Gazzetta n. 191 del 19 agosto 2015 (vai al sommario)
CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
ACCORDO 30 luglio 2015
Accordo, ai sensi dell'articolo 4, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano sul «Protocollo per la diagnosi e il follow up della celiachia». (Rep. Atti n. 125/CSR).


LA CONFERENZA PERMANENTE PERI RAPPORTI TRA LO STATO, LE REGIONI E LE
PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO

Nella odierna seduta del 30 luglio 2015:
Visto l'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che affida a questa Conferenza il compito di promuovere e sancire accordi tra Governo e Regioni, in attuazione al principio di leale collaborazione al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attivita' di interesse comune;
Vista la legge 4 luglio 2005, n. 123, recante «Norme per la protezione dei soggetti malati di celiachia», in particolare l'art. 3, comma 1, lettere b) e c), con cui viene disposto che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano indicano alle aziende unita' sanitarie locali gli interventi operativi per prevenire le complicanze e monitorare le patologie associate alla celiachia, nonche' per definire i test diagnostici e di controllo per i soggetti affetti da celiachia;
Visto il decreto dell'8 gennaio 2014, a firma del Capo del Dipartimento sanita' pubblica veterinaria, sicurezza alimentare e organi collegiali per la tutela della salute del Ministero della salute, di istituzione del Tavolo tecnico con finalita' di approfondire le problematiche legate alla diagnosi della celiachia ed elaborare un documento di aggiornamento;
Viste le Linee guida europee per la diagnosi della malattia celiaca, pubblicate dall'European society for pediatric gastroenterology, hepatology and nutrition sul Joumal of pediatric gastroenterology and nutrition, volume 41 (1) del gennaio 2012;
Considerata la rilevanza delle problematiche relativa alla diagnosi di celiachia, valutata la stretta relazione tra diagnosi precoce e prevenzione delle complicanze e stabilita la necessita' di intervenire con un nuovo protocollo, che permetta di far emergere la diagnosi nascosta;
Ritenuto opportuno aggiornare il Documento di inquadramento per la diagnosi ed il monitoraggio della celiachia e relative patologie associate (supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 32 del 7 febbraio 2008), elaborando un protocollo diagnostico piu' efficace, che tenga conto delle novita' diagnostiche e delle nuove scoperte scientifiche;
Vista la nota del 23 giugno 2015, diramata il 25 giugno 2015 dall'Ufficio di Segreteria di questa Conferenza con richiesta di assenso tecnico, con la quale il Ministero della salute ha trasmesso il documento in epigrafe;
Vista la nota dell'8 luglio 2015 con la quale la Regione Veneto, Coordinatrice della Commissione salute, ha chiesto un incontro tecnico per l'esame del documento in epigrafe;
Considerato che nel corso della riunione tecnica convocata dall'Ufficio di Segreteria di questa Conferenza in data 15 luglio le Regioni hanno formulato osservazioni al testo e proposto emendamenti;
Vista la nota del 17 luglio 2015, diramata in pari data con richiesta di assenso tecnico, con la quale il Ministero della salute ha trasmesso la versione definitiva dello schema di accordo con recepimento di recepimento delle osservazioni formulate dalle Regioni;
Vista la nota in data 29 luglio 2015 della Regione Veneto, Coordinatrice della Commissione salute, con la quale e' stato comunicato l'assenso tecnico con precisazioni;
Acquisito, nel corso dell'odierna seduta, il positivo avviso delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano sul documento in epigrafe, Allegato sub A, parte integrante del presente atto, subordinato all'eliminazione della dicitura «controllo della biochimica plasmatica» nel paragrafo «Follow up, tempi e indagini» e nel documento di supporto al citato paragrafo;

Sancisce accordo
tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nei seguenti termini:
Art. 1

E' approvato il documento recante «Protocollo per la diagnosi e il follow up della celiachia» allegato al presente atto (Allegato sub A) e che ne costituisce parte integrante.
Dall'attuazione del presente accordo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le Amministrazioni interessate provvedono all'attuazione delle indicazioni contenute nel Protocollo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Roma, 30 luglio 2015

Il Presidente: Bressa Il segretario: Naddeo
 
Allegato sub A

PROTOCOLLO PER LA DIAGNOSI
E IL FOLLOW-UP DELLA CELIACHIA

AGGIORNAMENTO 2015
Introduzione
La celiachia, o malattia celiaca (MC), e' una patologia di tipo autoimmunitario, primariamente localizzata nell'intestino tenue ma di natura sistemica, scatenata dall'ingestione di glutine nei soggetti geneticamente predisposti. La MC e' una delle patologie permanenti piu' frequenti, in quanto colpisce circa l'1% della popolazione generale su scala nazionale e mondiale. La malattia e' piu' frequente nel genere femminile (1,5 - 2 volte rispetto ai maschi), nelle popolazioni di origine indoeuropea ed in alcuni gruppi a rischio, come di seguito precisato.
Le cause necessarie della celiachia sono:
1. la presenza dei geni predisponenti DQ2 e/o DQ8 legati al sistema di istocompatibilita' HLA;
2. l'ingestione di cereali contenenti glutine (frumento, orzo e segale). Il glutine e' la frazione proteica principale del frumento (circa 80%) e la proteina maggiormente rappresentata nella dieta della popolazione europea (10-20 g/die).
A parte la predisposizione genetica e l'ingestione di glutine, altri fattori ambientali sembrano giocare un ruolo nel modulare il rischio di sviluppare celiachia, quali la tipologia del microbioma intestinale, specie nelle prime epoche della vita, la nutrizione infantile o le infezioni, le modalita' del parto.
Al fine di assicurare un percorso diagnostico appropriato mediante l'adozione del presente protocollo clinico concordato, la diagnosi di celiachia e' effettuata o confermata solo dai presidi accreditati con il Servizio sanitario nazionale e in possesso di documentata esperienza in attivita' diagnostica specifica per la celiachia, nonche' di idonea dotazione di strutture di supporto e di servizi complementari, appositamente individuati, mediante atto formale, dalle Regioni e dalle Provincie Autonome di Trento e Bolzano. ASPETTI CLINICI
La presentazione della celiachia e' estremamente variabile, tanto che questa condizione e' stata definita «un camaleonte clinico». Si distinguono le seguenti forme:
a) classica (o tipica). Piu' frequente nel bambino di eta' inferiore ai 3 anni, si manifesta con i segni tipici della sindrome da malassorbimento intestinale. Compaiono gradualmente inappetenza, cambiamento dell'umore, diarrea cronica, arresto/calo di peso e distensione addominale. Nei casi piu' eclatanti si evidenziano talora ipocalcernia, edemi da ipoprotidemia, riduzione dell'attivita' protrombinica da carenza di vit. K;
b) non classica (o atipica). E' caratterizzata da sintomatologia intestinale aspecifica (es. dolori addominali ricorrenti, stomatite aftosa ricorrente, stitichezza) e/o manifestazioni extra-intestinali quali anemia sideropenica resistente alla terapia marziale per os, stanchezza cronica, bassa statura, ritardo (piu' raramente anticipo) puberale, ipertransaminasemia isolata o dermatite erpetiforme (dermatite eritemato-ponfoide pruriginosa considerata come «celiachia della pelle»);
c) silente. Tale forma, nella quale e' assente una chiara sintomatologia, viene occasionalmente individuata a seguito di screening sierologico in soggetti a rischio, es. familiari di primo grado di celiaci o pazienti affetti da altre patologie autoimmuni. Nella celiachia silente sono presenti le stesse alterazioni sierologiche ed istologiche dei casi tipici;
d) potenziale. E' caratterizzata da un pattern sierologico tipico, in presenza di un quadro istologico intestinale normale o solo lievemente alterato. Il quadro clinico puo' essere silente o aspecifico (es. dolore addominale ricorrente). Con il passare del tempo la forma potenziale puo' evolvere in una celiachia conclamata sul piano istologico.
Proprie dell'eta' adulta sono le turbe della riproduzione (amenorrea, infertilita', abortivita', menopausa precoce, diminuzione della libido in entrambi i sessi), la maggiore perdita di massa ossea che, a differenza dell'infanzia, spesso richiede la somministrazione di farmaci mineralo-attivi, e le complicanze che verranno trattate in un successivo capitolo. GRUPPI A RISCHIO
Una maggiore prevalenza di celiachia si osserva in alcune situazioni (gruppi a rischio), che rappresentano pertanto una chiara indicazione alla indagine sierologica: (a) familiarita'. La frequenza di MC tra i familiari del celiaco e' di circa il 10 %; (b) altre malattie autoimmuni, soprattutto il diabete di tipo 1 (5-10%), le malattie tiroidee autoimmuni (5%), l'epatite autoimmune e le m. infiammatorie croniche intestinali; (c) s. di Down (5-10%), di Turner e di Williams; (d) deficit selettivo di IgA, il quale comporta una falsa negativita' dei marcatori sierologici di celiachia di tipo IgA. La Tabella 1 riassume le condizioni cliniche nelle quali e' indicato lo screening sierologico per la celiachia (cosiddetto case-finding).

Tabella 1

Situazioni nelle quali e' indicato
una valutazione sierologica per la celiachia



===================================================================
| Sintomi e segni suggestivi | Gruppi a rischio |
+=======================================+=========================+
|Disturbi intestinali cronici (dolore | |
|addominale, stipsi, diarrea, |Familiarita' per |
|meteorismo) |celiachia |
+---------------------------------------+-------------------------+
| |Deficit selettivo IgA |
|Stomatite aftosa ricorrente |sieriche |
+---------------------------------------+-------------------------+
| |Patologie autoimmuni |
| |associate (soprattutto |
| |diabete dipo 1 e |
|Ipoplasia dello smalto dentario |tiroidite) |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Ipostaturalita' |s. di Down |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Ipertransaminasemia |s. di Turner |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Sideropenia (con o senza anemia) |s. di Williams |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Stanchezza cronica | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Rachitismo, osteopenia | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Dermatite erpetiforme | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Anomalie dello sviluppo puberale | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Orticaria ricorrente | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Disturbi della fertilita' (abortivita' | |
|spontanea, menarca tardivo, menopausa | |
|precoce, infertilita') | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Epilessia con calcificazioni | |
|endocraniche ed altre patologie | |
|neurologiche (atassia, polineurite, | |
|etc.) | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Disturbi del comportamento alimentare | |
|(anoressia nervosa) | |
+---------------------------------------+-------------------------+

STRATEGIE DIAGNOSTICHE
Sistema maggiore di istocompatibilita' di II tipo HLA
L'importanza diagnostica del HLA risiede nel suo valore predittivo negativo, dato che la negativita' per entrambi gli aplotipi rende decisamente improbabile la diagnosi di malattia celiaca. Quindi nella pratica diagnostica della celiachia, il ruolo principale della tipizzazione HLA e' quello di escludere la malattia celiaca, in particolare negli individui appartenenti a gruppi a rischio di sviluppo di malattia, come ad esempio parenti di primo grado di pazienti celiaci. La negativita' del HLA in questi individui, rendendo improbabile lo sviluppo di malattia celiaca, rende inutile lo screening successivo con metodiche sierologiche. Sempre sfruttando il suo elevato valore predittivo negativo, la tipizzazione HLA andrebbe poi offerta ai pazienti con diagnosi incerta di celiachia, come in caso di negativita' per la sierologia e alterazioni mucosali lievi, o utilizzata nell'approccio al paziente a dieta senza glutine con pregressa diagnosi dubbia.
Sierologia
La celiachia e' caratterizzata dalla presenza di anticorpi specifici, diretti contro un auto-antigene, ovvero la transglutaminasi di tipo 2 (anti-TG2), e contro la gliadina deaminata (DGP). Gli anticorpi antiendomisio (EMA) sono rivolti contro la transglutaminasi extracellulare. Eccezion fatta per gli anti-DGP, gli anticorpi utili per la diagnosi appartengono alla classe IgA, ma in individui affetti da deficit di IgA e' utile ricercare lo stesso tipo di anticorpi di classe IgG.
Vi e' evidenza che alti valori di anti-TG2 predicono meglio la presenza di atrofia dei villi rispetto a valori bassi o intermedi. In particolare, vi e' una forte associazione tra valori di anti-TG2 superiori di 10 volte il cut-off dell'assay e la presenza di atrofia dei villi. Questo concetto e' alla base del nuovo approccio diagnostico proposto dalle linee guida pediatriche, ove la presenza in un soggetto con sintomi suggestivi di celiachia, di un valore di anti-TG2 superiore 10 volte il cut-off, associato alla positivita' degli EMA (ottenuta su un altro campione di sangue) e alla compatibilita' dell'HLA, permette la diagnosi di celiachia, evitando la biopsia. Nei soggetti asintomatici a rischio con positivita' per l'HLA invece, gli anti-TG2 vanno determinati una volta ogni 2-3 anni o in caso di comparsa di sintomatologia suggestiva di celiachia.
Gli anticorpi tipici della celiachia vanno testati quando il soggetto e a dieta libera, contenente glutine, e la prima volta vanno associati a una determinazione delle Ig totali, per escludere un deficit di IgA, condizione morbosa che puo' causare falsi negativi e che tra l'altro e' in associazione con la celiachia.
Biopsia e istologia
La biopsia viene eseguita mediante esofagogastroduodenoscopia. L'importanza del campionamento multiplo e' dovuta a una possibile distribuzione non omogenea delle alterazioni mucosali (lesioni patchy), che potrebbero quindi non esser individuate in caso di campionamento singolo. Per quanto riguarda le sedi del campionamento, andrebbero prelevati almeno 4 frammenti dalla seconda/terza porzione del duodeno e almeno uno dal bulbo.
Una seconda biopsia va considerata in caso di pazienti che pur essendo a dieta senza glutine rimangono sintomatici, mentre non e' necessaria, almeno per quanto riguarda i pazienti in eta' pediatrica, nei celiaci a dieta senza glutine che presentino risoluzione della sintomatologia e negativizzazione della sierologia.
L'aspetto istologico dell'intestino del soggetto celiaco presenta diversi gradi di severita', andando dall'infiltrazione linfocitaria fino all'atrofia completa dei villi. La descrizione delle lesioni va effettuata in accordo alle classificazioni riconosciute a livello internazionale, considerando l'infiltrazione linfocitaria, l'atrofia dei villi, l'iperplasia delle cripte, il rapporto villi/cripte. Fondamentale e' il corretto orientamento della biopsia. FOLLOW UP: tempi ed indagini
Un controllo entro 6-12 mesi dalla diagnosi e, successivamente, ogni 1-2 anni (salvo complicanze) e' sufficiente per verificare la compliance alla DSG, verificare la comparsa di malattie auto-immuni e/o alterazioni metaboliche (che possono comparire anche in soggetti celiaci trattati) e soprattutto, diagnosticare precocemente l'eventuale comparsa di complicanze.
Ad ogni controllo, il soggetto celiaco dovrebbe essere sottoposto a: visita medica, valutazione dietetica, controllo dell'emocromo e dosaggio anticorpi serici anti-transglutaminasi di classe IgA (o IgG se vi e' deficit delle IgA).
Gli accertamenti ematici per la valutazione del metabolismo del ferro (sideremia e ferritinemia) e la folatemia vanno eseguiti solo al primo controllo e, se alterati, ripetuti ai successivi fino alla normalizzazione. Inoltre, il dosaggio di sideremia, ferritinemia e folatemia va eseguito in caso i valori di emoglobinemia•e/o volume globulare medio risultino alterati.
Per quanto attiene la valutazione dell'autoimmunita' per tireopatia, presente in circa il 5% dei celiaci, va effettuato come segue:
dosaggio TSH e anticorpi anti TPO alla diagnosi:
1) entrambi nella norma → TSH ogni 3 anni
2) entrambi alterati → 3 tireopatia autoimmune (percorso seguente ben codificato per tale patologia in esenzione)
3) uno dei due alterato → endocrinologo per valutare tireopatia autoimmune (con seguente percorso come punto 2)
Altri esami strumentali e specialistici vanno effettuati se la valutazione clinica lo suggerisce. Nell'adulto, la densitometria ossea andrebbe eseguita di routine una volta almeno, dopo 18 mesi di dieta senza glutine e ripetuta periodicamente su indicazione del curante, solo se patologica o vi siano indicazioni cliniche. COSA NON VA FATTO
Eseguire la dieta senza glutine «per prova»
Utilizzare il dosaggio degli anticorpi antigliadina nativa (AGA) per la diagnosi di celiachia
Ripetere troppo presto dopo la diagnosi e troppo frequentemente durante il follow up il dosaggio degli anti-tTG.
Eseguire una valutazione mineralometrica (DEXA) al momento della diagnosi e durante il follow up nei bambini celiaci.
Sospettare la celiachia per sintomi acuti, anafilattici, anche gastrointestinali, che appaiono in stretta relazione temporale con l'assunzione del glutine

Parte di provvedimento in formato grafico

Documento di supporto scientifico al protocollo per la diagnosi e il
follow-up della celiachia
INTRODUZIONE
La celiachia, o malattia celiaca (MC), e' una patologia di tipo autoimmunitario, primariamente localizzata nell'intestino tenue ma di natura sistemica, scatenata dall'ingestione di glutine nei soggetti geneticamente predisposti. La MC e' una delle patologie permanenti piu' frequenti, in quanto colpisce circa l'1% della popolazione generale su scala nazionale e mondiale. La malattia e' piu' frequente nel genere femminile (1.5-2 volte rispetto ai maschi), nelle popolazioni di origine indoeuropea (con l'eccezione del popolo africano Saharawi nei quali la celiachia e' molto frequente) ed in alcuni gruppi a rischio, come di seguito precisato. La frequenza delle diagnosi e' in aumento, soprattutto grazie alla crescente applicazione dei test diagnostici nella pratica clinica. Cio' nonostante, circa il 70-80% dei casi sfuggono tuttora alla diagnosi (parte sommersa dell'iceberg celiaco), constatazione che potrebbe suggerire, per il futuro, l'opportunita' di uno screening sierologico di massa.
Le cause necessarie della celiachia sono:
1. la presenza dei geni predisponenti DQ2 e/o DQ8 legati al sistema di istocompatibilita' HLA. Il genotipo DQ2, piu' frequente, identifica il gene DQB1*02 generalmente associato, in posizione cis o trans, al gene DQA1*05, mentre il DQ8 indica i soggetti positivi per DQA1*0301/DQB1*0302. I soggetti portatori di una «doppia dose» di DQB1*02 (omozigoti) presentano un maggiore rischio di sviluppare la malattia. I genotipi DQ2 e DQ8 non sono specifici della MC, poiche' frequenti (circa il 30%) nella popolazione generale. Essi spiegano il 40-50% della predisposizione genetica, peraltro legata anche a decine di altri geni prevalentemente coinvolti nella risposta immunitaria ed infiammatoria;
2. l'ingestione di cereali contenenti glutine (frumento, orzo e segale). Il glutine e' la frazione proteica principale del frumento (circa 80%) e la proteina maggiormente rappresentata nella dieta della popolazione europea (10-20 g/die). E' costituito da numerose componenti di tipo gliadinico (α, γ e ϖ) e gluteninico, le cui caratteristiche sono il notevole contenuto di prolina e glutamina e la scarsa digeribilita', a causa della mancanza di prolil-endopeptidasi (PEP) intestinale. Tra i peptidi derivati dalla digestione del glutine, spicca il ruolo patogenetico del «33-mer», costituito da 33 aminoacidi, contenente numerose sequenze immunodominanti in grado di attivare la «catena» fisiopatologica della celiachia.
La patogenesi della MC dipende da una complessa reazione immunitaria innescata dal glutine a livello della mucosa intestinale, che coinvolge meccanismi di tipo sia adattativo che innato. La distruzione dell'epitelio intestinale e' causata dalla attivazione sia dei linfociti CD4 nella lamina propria, con conseguente rilascio di citochine pro-infiammatorie quali IFN , che dei linfociti intraepiteliali (IEL), quest'ultima mediata soprattutto dalla IL-15.
A parte la predisposizione genetica e l'ingestione di glutine, altri fattori ambientali sembrano giocare un ruolo nel modulare il rischio di sviluppare celiachia, quali la tipologia del microbioma intestinale, specie nelle prime epoche della vita, la nutrizione infantile o le infezioni, le modalita' del parto. ASPETTI CLINICI
La presentazione della celiachia e' estremamente variabile, tanto che questa condizione e' stata definita «un camaleonte clinico». Si distinguono le seguenti forme:
a) classica (o tipica). Nel bambino si manifesta tipicamente durante i primi 3 anni di vita, dopo una latenza di alcuni mesi dalla introduzione di cereali contenenti glutine col divezzamento. Compaiono gradualmente inappetenza, cambiamento dell'umore, diarrea cronica, arresto/calo di peso e distensione addominale. Nei casi piu' eclatanti si evidenziano talora manifestazioni di tipo rachitico, edemi da ipoprotidemia, riduzione dell'attivita' protrombinica da carenza di vit. K. La «crisi celiaca», con diarrea profusa, ipoprotidemia e disturbi metabolici ed elettrolitici, e' divenuta rara nel nostro Paese;
b) non classica (o atipica). Viene spesso osservata in bambini di eta' superiore ai 3 anni. E' caratterizzata da sintomatologia intestinale aspecifica (es. dolori addominali ricorrenti, stomatite aftosa ricorrente, stitichezza) e/o manifestazioni extra-intestinali quali anemia sideropenica resistente alla terapia marziale per os, stanchezza cronica, bassa statura, ritardo (piu' raramente anticipo) puberale, ipertransaminasemia isolata o dermatite erpetiforme (dermatite eritematoponfoide pruriginosa considerata come «celiachia della pelle»);
c) silente. Tale forma, nella quale e' assente una chiara sintomatologia, viene occasionalmente individuata a seguito di screening sierologico in soggetti a rischio, es. familiari di primo grado di celiaci o pazienti affetti da altre patologie autoimmuni. Nella celiachia silente sono presenti le stesse alterazioni sierologiche ed istologiche dei casi tipici;
d) potenziale. E' caratterizzata da un pattern sierologico tipico, in presenza di un quadro istologico intestinale normale o solo lievemente alterato. Il quadro clinico puo' essere silente o aspecifico (es. dolore addominale ricorrente). Con il passare del tempo la forma potenziale puo' evolvere in una celiachia conclamata sul piano istologico.
Per cio' che riguarda la malattia dell'adulto, le forme di presentazione sono sostanzialmente le stesse anche se, pur in assenza di studi controllati, si ritiene che quelle caratterizzate da sintomi aspecifici, minori, extraintestinali e l'associazione con altre malattie autoimmuni, abbiano una prevalenza maggiore. Proprie dell'eta' adulta sono le turbe della riproduzione (amenorrea, infertilita', abortivita', menopausa precoce, diminuzione della libido in entrambi i sessi), la maggiore perdita di massa ossea che, a differenza dell'infanzia, spesso richiede la somministrazione di farmaci mineralo-attivi, le complicanze che verranno trattate in un successivo capitolo. Anche l'anemia, in particolare quella sideropenica, assume un rilievo maggiore per le concomitanti perdite mestruali. GRUPPI A RISCHIO
Una maggiore prevalenza di celiachia si osserva in alcune situazioni (gruppi a rischio), che rappresentano pertanto una chiara indicazione alla indagine sierologica: (a) familiarita'. La frequenza di MC tra i familiari del celiaco e' di circa il 10 %; (b) altre malattie autoimmuni, soprattutto il diabete di tipo 1 (5-10%), le malattie tiroidee autoimmuni (5%), l'epatite autoimmune e le m. infiammatorie croniche intestinali; (c) s. di Down (5-10%), di Turner e di Williams; (d) deficit selettivo di IgA, il quale comporta una falsa negativita' dei marcatori sierologici di celiachia di tipo IgA. La Tabella 1 riassume le condizioni cliniche nelle quali e' indicato lo screening sierologico per la celiachia (cosiddetto case-finding).

Tabella 1

Situazioni nelle quali e' indicato
una valutazione sierologica per la celiachia



===================================================================
| Sintomi e segni suggestivi | Gruppi a rischio |
+=======================================+=========================+
|Disturbi intestinali cronici (dolore | |
|addominale, stipsi, diarrea, |Familiarita' per |
|meteorismo) |celiachia |
+---------------------------------------+-------------------------+
| |Deficit selettivo IgA |
|Stomatite aftosa ricorrente |sieriche |
+---------------------------------------+-------------------------+
| |Patologie autoimmuni |
| |associate (soprattutto |
| |diabete dipo 1 e |
|Ipoplasia dello smalto dentario |tiroidite) |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Ipostaturalita' |s. di Down |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Ipertransaminasemia |s. di Turner |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Sideropenia (con o senza anemia) |s. di Williams |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Stanchezza cronica | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Rachitismo, osteopenia | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Dermatite erpetiforme | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Anomalie dello sviluppo puberale | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Orticaria ricorrente | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Disturbi della fertilita' (abortivita' | |
|spontanea, menarca tardivo, menopausa | |
|precoce, infertilita') | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Epilessia con calcificazioni | |
|endocraniche ed altre patologie | |
|neurologiche (atassia, polineurite, | |
|etc.) | |
+---------------------------------------+-------------------------+
|Disturbi del comportamento alimentare | |
|(anoressia nervosa) | |
+---------------------------------------+-------------------------+
STRATEGIE DIAGNOSTICHE
Sistema maggiore di istocompatibilita' di II tipo HLA
I geni HLA di classe II DQA e DQB sono i principali determinanti della suscettibilita' genetica della celiachia. Piu' del 95% dei pazienti celiaci condivide l'eterodimero DQ2, che puo' essere presente in configurazione cis (codificato dall'allele HLA-DR3-DQA1*0501-DQB1*0201) o in configurazione trans (HLA-DR11-DQA1*0505 DQB1*0301/DR7-DQA1*0201 DQB1*0202); la maggior parte degli altri pazienti presenta l'eterodimero DQ8 (DQA1*0301-DQB1*0302). La presenza del DQ2 e/o del DQ8 e' condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo di malattia celiaca, e in effetti circa il 30-40% della popolazione generale presenta l'aplotipo DQ2, ma solo l'1% sviluppa la celiachia. Considerando i numerosi studi che hanno valutato l'uso del HLA nella diagnostica della celiachia, emerge che la sensibilita' del DQ2 e' del 91%, ed aumenta al 96% quando associato al DQ8, mentre la specificita' della combinazione dei due aplotipi e' bassa, e varia nelle diverse popolazioni studiate dal 12 al 68%.
L'importanza diagnostica del HLA risiede nel suo valore predittivo negativo, dato che la negativita' per entrambi gli aplotipi rende decisamente improbabile la diagnosi di malattia celiaca. Quindi nella pratica diagnostica della celiachia, il ruolo principale della tipizzazione HLA e' escludere la malattia celiaca, in particolare negli individui appartenenti a gruppi a rischio di sviluppo di malattia, come ad esempio parenti di primo grado di pazienti celiaci. La negativita' del HLA in questi individui, rendendo improbabile lo sviluppo di malattia celiaca, rende inutile lo screening successivo con metodiche sierologiche. Sempre sfruttando il suo elevato valore predittivo negativo, la tipizzazione HLA andrebbe poi offerta ai pazienti con diagnosi incerta di celiachia, come in caso di negativita' per la sierologia e alterazioni mucosali lievi, o utilizzata nell'approccio al paziente a dieta senza glutine con pregressa diagnosi dubbia.
Sierologia
La celiachia e' caratterizzata dalla presenza di anticorpi specifici, diretti contro un auto-antigene, ovvero la transglutaminasi di tipo 2 (anti-TG2), e contro la gliadina deaminata (DGP). Gli anticorpi antiendomisio (EMA) sono rivolti contro la transglutaminasi extracellulare. Eccezion fatta per gli anti-DGP, gli anticorpi utili per la diagnosi appartengono alla classe IgA, ma in individui affetti da deficit di IgA e' utile ricercare lo stesso tipo di anticorpi di classe IgG.
Gli anti-TG2 possono essere individuati con metodiche ELISA o RIA, mentre gli EMA vengono studiati con metodiche di immunofluorescenza, soggette alla variabilita' interindividuale dell'operatore, ma dotate di specificita' vicina al 100% in laboratori esperti. Non esiste un metodo standardizzato tale da esprimere gli anti-TG2 e gli anti-DGP in concentrazione assoluta di immunoglobuline, tuttavia la maggior parte dei kits in commercio utilizza curve di taratura basate su diluizioni che corrispondono a valori numerici proporzionali alla concentrazione di anticorpo.
La positivita' degli anti-TG2 e/o degli EMA e' associata ad un'alta probabilita' di celiachia. La positivita' isolata degli anti-TG2, in particolare se caratterizzata da bassi valori, puo' essere associata anche ad altre condizioni, quali malattie autoimmuni, malattie epatiche, psoriasi. Questo fenomeno invece non e' descritto per gli EMA, ed e' questo il motivo per cui gli EMA presentano una specificita' maggiore.
Vi e' evidenza che alti valori di anti-TG2 predicono meglio la presenza di atrofia dei villi rispetto a valori bassi o intermedi. In particolare, vi e' una forte associazione tra valori di anti-TG2 superiori di 10 volte il cut-off dell'assay e la presenza di atrofia dei villi. Questo concetto e' alla base del nuovo approccio diagnostico proposto dalle linee guida pediatriche, ove la presenza in un soggetto con sintomi suggestivi di celiachia, di un valore di anti-TG2 superiore 10 volte il cut-off, associato alla positivita' degli EMA (ottenuta su un altro campione di sangue) e alla compatibilita' dell'HLA, permette la diagnosi di celiachia, evitando la biopsia. Nei soggetti asintomatici a rischio invece, gli anti-TG2 vanno determinati periodicamente se vi e' positivita' per l'HLA.
Gli anti-DGP hanno una performance inferiore rispetto agli anti-TG2 e agli EMA, ma hanno un ruolo nella diagnostica della celiachia nei soggetti con deficit di IgA e nei bambini di eta' inferiore ai 2 anni con forte sospetto clinico, ma negativita' degli anticorpi anti-transglutaminasi. Gli anticorpi anti-gliadina nativa presentano in genere bassa sensibilita' e specificita', e non vanno presi in considerazione nella diagnostica della celiachia.
Gli anticorpi tipici della celiachia vanno testati quando il soggetto e a dieta libera, contenente glutine, e la prima volta vanno associati a una determinazione delle Ig totali, per escludere un deficit di IgA, condizione morbosa che puo' causare falsi negativi e che tra l'altro e' in associazione con la celiachia.
Biopsia e istologia
La biopsia andrebbe eseguita mediante esofagogastroduodenoscopia. Questa, rispetto alla capsula, offre notevoli vantaggi: la possibilita' di effettuare campionamenti multipli, l'assenza esposizione ai radiazioni, la durata minore della procedura. L'importanza del campionamento multiplo e' dovuta a una possibile distribuzione non omogenea delle alterazioni mucosali (lesioni patchy), che potrebbero quindi non esser individuate in caso di campionamento singolo. Per quanto riguarda le sedi del campionamento, andrebbero prelevati almeno 4 frammenti dalla seconda/terza porzione del duodeno e almeno uno dal bulbo.
Una seconda biopsia va considerata in caso di pazienti che pur essendo a dieta senza glutine rimangono sintomatici, mentre non e' necessaria, almeno per quanto riguarda i pazienti in eta' pediatrica, nei celiaci a dieta senza glutine che presentano risoluzione della sintomatologia e negativizzazione della sierologia.
L'aspetto istologico dell'intestino del soggetto celiaco presenta diversi gradi di severita', andando dall'infiltrazione linfocitaria fino all'atrofia completa dei villi. La descrizione delle lesioni va effettuata in accordo classificazioni riconosciute a livello internazionale, considerando l'infiltrazione linfocitaria, l'atrofia dei villi, l'iperplasia delle cripte, il rapporto vini/cripte. Fondamentale e' il corretto orientamento della biopsia.
La biopsia si puo', infine, rivelare utile per studi di secondo livello che soprattutto nei casi con danno minimo possano indirizzare il sospetto verso una patologia da glutine. Un assay relativamente nuovo prevede l'individuazione mediante immunofluorescenza dei depositi di antiTG2 IgA nella mucosa intestinale. Utile anche la conta dei linfociti intraepiteliali con recettore di tipo gamma/delta, il cui aumento risulta essere il parametro immunoistochimico piu' specifico per la diagnosi di celiachia.
L'algoritmo diagnostico per l'adulto e' piu' semplice di quello dei pazienti in eta' pediatrica, in quanto nell'adulto, in caso di positivita' serologica, si passa direttamente alla biopsia. Inoltre, nell'adulto in casi particolari, e' prevedibile una seconda biopsia dopo dieta aglutinata. PROBLEMATICHE PARTICOLARI
Malattia celiaca potenziale
La Celiachia Potenziale e' caratterizzata dal riscontro di anticorpi specifici per la malattia celiaca, in presenza di HLA compatibile, ma in assenza di alterazioni architetturali della mucosa intestinale (Tipo 0, 1 secondo Marsh). I pazienti con Celiachia Potenziale possono o meno presentare sintomatologia clinica; il riscontro di tale condizione e' frequente come risultato dello screening di popolazioni a rischio quali familiari di primo grado di celiaci, diabetici o pazienti con altre patologia autoimmunitarie. Tale condizione nell'ultima decade e' diventata sempre piu' frequente nella pratica clinica fino a rappresentare oggi circa il 18%-20% delle diagnosi di celiachia. Essa pone al clinico problemi diagnostici e di terapia.
Dal punto di vista diagnostico, di fronte a quadri di danno «minimo» della mucosa, rivestono un ruolo importante tecniche eseguibili sui campioni bioptici che indirizzino in maniera piu' specifica verso una patologia da glutine; tra queste la conta dei linfociti intraepiteliali con recettore di tipo gamma/delta, il cui aumento risulta essere il parametro immunoistochimico piu' specifico per la diagnosi di celiachia. A livello dei villi intestinali e' inoltre possibile distinguere un pattem di distribuzione particolare dei linfociti intraepiteliali che nel celiaco sono maggiormente localizzati a livello dell'apice del villo rispetto ai soggetti normali. Piu' recentemente e' stato dimostrato che gli anticorpi anti-transglutaminasi si depositano nella mucosa intestinale del celiaco: il ritrovare depositi di anticorpi anti-transglutaminasi di tipo IgA a livello intestinale viene considerato un segno specifico della malattia celiaca ed e' stato suggerito come elemento predittore di eventuale evoluzione verso l'atrofia.
La storia naturale della malattia nei pazienti con Celiachia Potenziale non e' ancora del tutto chiarita; un recente lavoro ha mostrato che circa il 30% dei bambini con Celiachia Potenziale, lasciati a dieta libera, sviluppa un'atrofia della mucosa intestinale durante un periodo di osservazione di 9 anni. Nello stesso periodo di osservazione nel 20% dei casi si e' assistito ad una scomparsa degli anticorpi specifici nel siero. Ad oggi, in realta', non esistono chiare evidenze scientifiche che permettano di identificare un unico parametro in grado di predire al momento della diagnosi chi sviluppera' nel tempo un franco danno della mucosa intestinale.
Per quanto riguarda le decisioni terapeutiche, il ruolo della dieta priva di glutine e' ancora dibattuto, in particolar modo per i soggetti asintomatici.
L'atteggiamento prevalente nei centri Italiani e' quello di porre a dieta priva di glutine i pazienti sintomatici per verificare la glutine-dipendenza dei sintomi; al contrario i pazienti asintomatici vengono lasciati a dieta libera, ma con uno stretto programma di follow-up per verificare l'andamento clinico-laboratoristico e la comparsa di eventuali segni e sintomi della malattia, come per altro indicato dalle nuove linee-guida dell'ESPGHAN pubblicate nel 2012.
La celiachia nella transizione dall'eta' pediatrica a quella adulta
Il problema della celiachia nell'adolescente merita qualche sottolineatura per tre aspetti peculiari: quello clinico, quello dell'elevato rischio di abbandono della dieta senza glutine e delle sue conseguenze in questa epoca della vita e quello della transizione alle cure del medico specialista dell'adulto.
Durante l'adolescenza, in condizioni fisiologiche, si completa il processo di mineralizzazione dell'osso con il raggiungimento del cosiddetto picco di massa ossea. Dopo questa eta', la deposizione di calcio nell'osso e' irrilevante e prevale il processo di riassorbimento. Nell'adolescente celiaco non diagnosticato o che non esegue correttamente la dieta senza glutine, il picco di massa ossea che viene raggiunto rimane piu' o meno significativamente ridotto con la conseguenza di un maggior rischio di osteoporosi in eta' adulta. L'aderenza alla dieta glutinata durante l'adolescenza ha pertanto un'importanza specifica perche', qualora instaurata dopo il raggiungimento del picco di massa ossea (16-18 anni nelle femmine, 20-22 anni nel maschio), non bastera' piu' da sola a correggere il difetto di mineralizzazione dell'osso.
Piu' della meta' degli adolescenti abbandona la dieta senza glutine. Questo fenomeno ha diverse spiegazioni non solo attinenti alla fase evolutiva stessa, caratterizzata tra l'altro da rifiuto delle regole e spesso anche della sorveglianza medica, ma anche alle modalita' con cui era stata fatta la diagnosi (per screening piuttosto che per sintomi o nelle primissime eta' della vita). Molti adolescenti celiaci che liberalizzano la dieta per prova (o anche come gesto di sfida), qualora le conseguenze di questa scelta non siano state discusse e approfondite ripetutamente e direttamente con loro (con largo spazio all'ascolto oltre che alla prescrizione), mal intendono il fatto di non presentare alcun sintomo acuto dopo l'ingestione di cibi contenenti glutine e finiscono col convincersi di aver fatto la scelta giusta. E' questo un momento critico, con elevato rischio che l'adolescente esca dal controllo e dalle cure dello specialista pediatra senza essere correttamente traghettato al controllo e alle cure del medico specialista dell'adulto e senza avere reale consapevolezza delle possibili implicazioni negative dell'abbandono della dieta aglutinata.
E' stato calcolato che solo una minoranza (meno del 20%) degli adolescenti celiaci rimane affidato a cure mediche specialistiche dopo l'adolescenza. Questo evento rappresenta uno dei fattori di maggior peso nel favorire una cattiva aderenza alla dieta aglutinata e impone la ricerca di una soluzione specifica.
Sarebbe opportuno che l'inizio dello sviluppo pubere rappresentasse un'occasione per riformulare la diagnosi direttamente al bambino, discutendone a tu per tu le implicazioni senza la mediazione dei genitori, dandogli cosi' occasione di ricevere risposte personalizzate a dubbi e timori e di maturare consapevolezza del suo problema. Questo processo di internalizzazione del locus of control (quel processo col quale in un individuo cresce la consapevolezza di quanto sia personalmente responsabile di cio' che gli accade) e' un fattore di importanza determinante per la buona compliance alle terapie nella celiachia come in tutte le malattie croniche in generale e potrebbe essere favorito da un intervento condiviso e concordato (transizione) tra pediatra e medico dell'adulto.
Per quanto nella letteratura medica internazionale non vi siano al momento linee guida ufficiali sulla transizione dell'adolescente celiaco alle cure del medico dell'adulto, in alcuni centri sono gia' in uso dei protocolli perche' questa avvenga in maniera strutturata, specie per quel gruppo di pazienti che vengono considerati a piu' alto rischio di abbandonare la dieta aglutinata (ad esempio quelli che hanno ricevuto diagnosi nella prima infanzia o che sono stati diagnosticati per screening in assenza di sintomi conclamati). La transizione ideale dovrebbe prevedere la creazione di un ambulatorio dedicato in cui gastroenterologo pediatra e dell'adulto possano interagire alla presenza dell'interessato in un paio di incontri formulando e condividendo il suo programma di controlli. Sara' molto utile in queste occasioni la lettura e la discussione di una relazione strutturata scritta dal pediatra che riassuma i punti salienti della storia clinica, lo stato attuale del paziente, la qualita' della sua aderenza alla dieta aglutinata e in cui vengano sottolineati i rischi e le conseguenze associati all'abbandono della dieta stessa specifici dell'eta' adolescenziale e dell'adulto. FOLLOW UP: tempi ed indagini
Un controllo entro 6-12 mesi dalla diagnosi e successivamente, ogni 1-2 anni (salvo complicanze) e' sufficiente per verificare la compliance alla dieta senza glutine (DSG), verificare la comparsa di malattie auto-immuni e/o alterazioni metaboliche (che possono comparire anche in soggetti celiaci trattati) e soprattutto, diagnosticare precocemente la comparsa di complicanze.
Ad ogni controllo, il soggetto celiaco dovrebbe essere sottoposto a: visita medica, valutazione dietetica, controllo dell'emocromo, dosaggio anticorpi serici anti-transglutaminasi di classe IgA (o IgG se vi e' deficit delle IgA) e TSH. Altri esami strumentali e specialistici vanno effettuati se la valutazione clinica lo consiglia. Nell'adulto, la densitometria ossea andrebbe eseguita di routine una volta almeno, dopo 18 mesi di dieta senza glutine e ripetuta periodicamente su indicazione del curante, solo se patologica o vi sono indicazioni cliniche. LE COMPLICANZE DELLA MALATTIA CELIACA
Si tratta di rare situazioni che occorrono in circa il 5% dei pazienti celiaci che afferiscono a Centri di riferimento e che peggiorano, in misura spesso irreversibile, il decorso clinico della MC. E' opportuno chiarire che, nella quasi totalita' dei casi, riguardano la forma dell'adulto, cioe' adulti diagnosticati in eta' adulta e non pazienti in eta' pediatrica o pazienti adulti diagnosticati in eta' pediatrica e da allora in dieta aglutinata. A conferma, solo per la forma dell'adulto e' stata ripetutamente riportata una mortalita' significativamente superiore a quella della popolazione generale. Fattori predisponenti allo sviluppo di complicanze sono rappresentati da una diagnosi tardiva e/o da una insufficiente compliance alla dieta aglutinata.
Le principali complicanze della MC sono: (a) la celiachia refrattaria, (b) il linfoma T-cellulare e (c) l'atrofia della milza.
(a) La celiachia refrattaria e' caratterizzata da una mancata risposta istologica, e quindi clinica, dopo 12 mesi di esclusione del glutine dalla dieta. L'accertamento di questa condizione pone numerosi problemi clinici. In accordo con tale definizione, la persistenza o la ricomparsa, dopo dieta, dei soli sintomi non e' indicativa di MC refrattaria. La presenza di diarrea, ad esempio, puo' dipendere dalla frequente associazione alla MC di altre condizioni, quali deficit di lattasi, colite microscopica, insufficienza pancreatica, diabete, che, poiche' non glutine-sensibili, non rispondono alla dieta aglutinata. Il marker della forma refrattaria e', invece, costituito dalle lesioni intestinali, ma anche in loro presenza la refrattarieta' puo' essere solo apparente e simulata da (i) una scadente aderenza (consapevole o inconsapevole) alla dieta aglutinata, da (ii) un miglioramento tardivo e pertanto non evidente dopo un anno di dieta, da (iii) un errore nell'interpretazione della prima biopsia legato ad artefatti tecnici o all'aver scambiato la MC con altre condizioni non glutine-sensibili, ma anch'esse caratterizzate da atrofia dei villi, quali l'enteropatia autoimmune, l'enteropatia da Olmesartan, l'immunodeficit comune variabile o, meno frequentemente, la giardiasi o l'enteropatia da lICV. In queste condizioni la negativita' degli anticorpi propri della MC, la positivita' di esami particolari, quali gli anticorpi antienterocita nel caso dell'enteropatia autoimmune, e la raccolta di un'attenta storia clinica consentono la loro differenziazione dalla MC refrattaria. E' opportuno, inoltre, sottolineare che il riconoscimento di tale condizione pone particolari e maggiori difficolta' in quei pazienti in cui alla diagnosi il paziente e' gia' affetto dalla complicanza rispetto a quelli nei quali essa si sviluppa dopo una iniziale positiva risposta alla dieta. Nel primo caso, infatti, mancano due criteri forti per MC: la regressione delle lesioni dopo dieta aglutinata e la positivita' degli anticorpi antitransglutaminasi ed endomisio (di norma negativi in corso di MC complicata) e, di conseguenza, per una diagnosi sicura e' necessario escludere con molta attenzione quelle condizioni gia' menzionate.
Una volta definita la diagnosi di MC refrattaria, e' assolutamente necessario distinguere tra i suoi possibili sottotipi, marcati da importanti differenze prognostiche. Le principali caratteristiche del Tipo 1 e Tipo 2 di MC refrattaria sono riportate nella Tabella 1. Per cio' che riguarda il Tipo 1, la sua frequente associazione con altre malattie autoimmuni e la sua possibile risposta alla somministrazione di immunosoppressori, inducono a considerarlo il viraggio autoimmune di una MC che ha perso nel tempo la capacita' di rispondere alla dieta priva di glutine. Per cio' che riguarda il Tipo 2, il piu' frequente accumulo di linfociti intraepiteliali (le cellule dalle quali origina il linfoma intestinale) con un fenotipo aberrante, caratterizzato dal riarrangiamento monoclonale della catena gamma del T-cell receptor, dalla mancata espressione del CD4, del CD8 e della porzione di membrana del CD3, dalla presenza di alterazioni cromosomiali, dal rischio elevato di evoluzione in linfoma T-cellulare e da una conseguente elevata mortalita', inducono a considerarla una vera e propria forma preneoplastica. Il Tipo 2 e', a volte, associato alla presenza di digiuno-ileite ulcerativa, cioe' di ulcerazioni intestinali multiple, che determinano stenosi plurime della parete e che si accompagnano a sintomi quali intenso dolore di tipo colico, distensione gassosa, febbricola, peggioramento di diarrea e malnutrizione. Per la dimostrazione delle specifiche alterazioni a carico dei linfociti intraepiteliali la citofluorimetria a flusso su cellule separate si e' dimostrata piu' sensibile e specifica dell'immunoistochimica.
Ne consegue che sia la diagnosi che la successiva caratterizzazione della malattia celiaca refrattaria richiedono esperienza ed attrezzature particolari. Ciononostante, a volte, non si riesce a differenziare con sicurezza Tipo 1 e Tipo 2, alcuni hanno addirittura osservato una conversione tra le due forme e non e' escluso che in un prossimo futuro tale classificazione possa cambiare. Mentre, come si e' detto, il Tipo 1 e' correntemente trattato con immunosoppressori, privilegiando la budesonide ed evitando l'azatioprina per non aumentare il rischio di linfoma, per il Tipo 2 non esiste una terapia codificata. Poiche' si ritiene che una persistente sovraproduzione di IL-15 sia la principale responsabile di questa complicanza, il monoclonale anti IL-15 (AMG714), gia' usato sperimentalmente in ambito reumatologico, rappresenterebbe un naturale candidato. Il suo profilo di sicurezza, tuttavia, non si e' rivelato tale da consentirne un impiego clinico allargato e, al momento, la terapia del Tipo 2 non si differenzia in maniera sostanziale da quella del linfoma T.
(b) Il linfoma T si localizza piu' frequentemente nell'intestino tenue prossimale, con nodularita' multiple ed ulcerate, spesso complicate da stenosi e perforazioni. Sul piano istologico, e' caratterizzato dall'accumulo di cellule di dimensioni aumentate con nucleo rotondeggiante o vescicolare, nucleoli prominenti, abbondante citoplasma pallido ed elevato indice mitotico, in un contesto di eosinofili, istiociti e piccoli linfociti. Sul piano clinico, sesso maschile, eta' avanzata, omozigotismo DQ2, e, soprattutto, il precedente rilievo di celiachia refrattaria, rappresentano importanti predittori clinici. L'insorgenza inattesa di calo ponderale, dolore addominale, ripresa della diarrea, perdita di sangue e/o albumine, febbre, sudorazione notturna, elevazione delle latticodeidrogenasi debbono sempre allenare nei confronti di questa complicanza. Anche se sul piano diagnostico l'accertamento di linfoma avviene molto spesso in corso di laparotomia, le recenti tecniche di immagine (TAC, RMN, PET) ed endoscopiche (videocapsula e, soprattutto, enteroscopia «a doppio pallone» che consente biopsie multiple delle lesioni) sono provviste di livelli di sensibilita' e specificita' molto elevati ma, in assenza di studi comparativi, l'impiego dell'una o dell'altra metodica dipende eminentemente dalla loro disponibilita' locale.
La risposta alla terapia del linfoma associato alla MC e', purtroppo, ancora estremamente deludente, con una sopravvivenza che a 5 anni risulta mediamente inferiore al 15%. D'altra parte, non esiste alcun regime adeguatamente standardizzato ed anche il ruolo della chirurgia e' molto dibattuto: se da una parte la resezione della massa tumorale riduce il rischio di perforazione associato a chemio e radioterapia, dall'altra l'intervento chirurgico, per la possibilita' di fistole, incompleta cicatrizzazione, ed infezioni, puo' ritardare oltre il dovuto l'inizio della chemioterapia. Lo schema CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone), il piu' usato per anni, consente assai raramente una soddisfacente sopravvivenza. Risultati migliori sono stati ottenuti associando un ciclo iniziale di CHOP a sei cicli alternati di IVE (ifofosfamide, epirubicina, etoposide) e metotrexate, seguiti da melfalan e trapianto di cellule staminali autologhe. Altri farmaci, quali l'alemtuzumab (anti CD52), la cladribina (nucleoside purinico), la romidepsina (inibitone della istone-deacetilasi), sono stati insufficientemente testati e/o hanno portato a risultati contrastanti.
(e) L'atrofia della milza deve essere sospettata in pazienti diagnosticati tardivamente, complicati, o con altre malattie autoimmuni. E' confermata dal riscontro, anche alla semplice ecografia addominale, di una milza piccola, spesso associata a cavitazione dei linfonodi mesenterici, quale espressione di un piu' generalizzato disordine linfo-reticolare. L'atrofia e' sempre accompagnata da una importante compromissione funzionale, confermata dall'aumento nel sangue periferico dei corpi di Howell-Jolly o, piu' specificamente, delle «pitted red cells» (globuli rossi con caratteristiche escavazioni di membrana).
Per anni l'atrofia splenica della MC e' stata considerata solo una curiosita' patologica, probabilmente sprovvista di una reale valenza clinica. Piu' recentemente, alcuni studi hanno dimostrato nella MC una frequenza abnormemente elevata di sepsi da batteri capsulati (pneumococco, meningococco, haemophilus) nei confronti dei quali gli anticorpi «naturali» prodotti dalla milza rappresentano l'unica linea di difesa. Di conseguenza, il riscontro nel celiaco adulto di una compromissione anatomo-funzionale della milza costituisce un'indicazione alla vaccinazione nei confronti di tali microrganismi.
Come considerazione conclusiva, questo panel si sente di raccomandare che, a motivo della loro prevalenza non elevata, della inerente complessita' clinico-diagnostica e della costante severita', le complicanze della malattia celiaca costituiscono un argomento di pertinenza ultraspecialistica e che i pazienti che ne siano portatori debbano essere indirizzati a Centri di riferimento terziario.

Tabella 2
MALATTIA CELIACA REFRATTARIA TIPO I E II

Parte di provvedimento in formato grafico
LA DIETA SENZA GLUTINE
Una scrupolosa e permanente dieta senza glutine (DSG) e' l'unico trattamento ad oggi disponibile per la MC. Con termine glutine si comprende in origine il complesso proteico alcol-solubile solo del grano (composto da gliadine e glutenine), ma in considerazione dell'omologia di sequenze e della simile tossicita' per i soggetti celiaci, questo termine e' stato esteso per identificare le omologhe proteine dell'orzo (ordeine) e della segale (secaline). Quindi i soggetti celiaci devono evitare cibi a base di grano (tutto il gruppo Triticum, compresi farro e spelta), segale ed orzo; inoltre queste persone devono prestare attenzione a tutti quei prodotti alimentari trasformati e/o confezionati, nei quali in glutine viene aggiunto durante i processi industriali come additivo.
I cereali che non contengono glutine, e che quindi sono liberamente permessi in un DSG sono mais, riso, sorgo, miglio e teff. Inoltre gli pseudo-cereali, tra i piu' diffusi quinoa, grano saraceno e manioca, sono privi di glutine. Riguardo all'inclusione dell'avena nella DSG, persistono tuttora delle perplessita'; sebbene sia tollerata dalla maggior parte dei soggetti celiaci, alcuni pazienti celiaci trattati mostrano comunque una risposta immune ed inoltre vi e' ancora incertezza riguardo la tossicita' delle diverse varieta' di avena nella malattia celiaca. Sono naturalmente privi di glutine: verdure ed ortaggi, frutta, tuberi, legumi, carne, pesce ed uova, purche' non presenti in prodotti lavorati e/o trasformati.
La DSG e' efficace nel determinare la remissione nel soggetto celiaco, dei sintomi e segni dipendenti dalla malattia, la normalizzazione dei livelli plasmatici degli auto-anticorpi glutine-dipendenti e delle lesioni della mucosa duodenale. La DSG inoltre, e' uno strumento efficace nel prevenire le complicanze associate alla MC, alcune delle quali a prognosi estremamente sfavorevole.
La compliance alla DSG deve essere rigorosa, nell'ambito di questo regime dietetico va evitata l'assunzione volontaria di glutine (trasgressioni), anche saltuariamente e in piccole dosi e anche qualora non si scatenassero sintomi e/o segni propri della MC nell'immediato dopo l'assunzione di glutine. Riguardo alle contaminazioni (presenza non voluta di tracce di glutine in alimenti che ne sono naturalmente privi in seguito al passaggio accidentale durante processi di conservazione e preparazione domestica e/o nella ristorazione collettiva), l'atteggiamento da tenere deve essere di attenzione, evitando comportamenti troppo restrittivi.
La DSG prevede il consumo, oltre di alimenti naturalmente privi di glutine (sopra descritti), di prodotti alimentari appositamente formulati per celiaci. Questi sono succedanei di alimenti di uso comune in cui la presenza di cereali contenenti glutine e' caratterizzante e prevalente, se non esclusiva e che sono stati prodotti con materie prime prive di glutine o private del glutine. Tali prodotti possono riportare in etichetta l'indicazione nutrizionale volontaria «senza glutine». La stessa dicitura e' permessa per gli alimenti confezionati e/o lavorati che pur non essendo caratterizzati dalla sostituzione di cereali contenenti glutine con quelli che ne sono privi, sono stati prodotti evitando l'aggiunta di glutine come additivo. Per poter riportare l'indicazione «senza glutine» in etichetta, un prodotto alimentare deve avere un contenuto di glutine inferiore a 20 parti per milione.
Nonostante le limitazioni della DSG, che condiziona in maniera importante la qualita' di vita delle persone celiache, questo regime dietetico puo' fornire un apporto vario, bilanciato e completo di nutrienti, vitamine e minerali. Gli individui celiaci in trattamento dietetico presentano a regime un intake inferiore alle quantita' raccomandate di fibre, calcio, folati e vitamina B12, mentre non ci sono evidenti differenze tra la dieta libera e la DSG riguardo all'apporto di energia e di macronutrienti. La carenza di fibre e' dovuta alla difficolta' di inserire nella dieta cereali integrali. Non e' comunque necessario assumere integratori di particolari nutrienti, se si segue una DSG varia ed equilibrata.
Al momento non esistono indici non invasivi che permettano con certezza di valutare la compliance alla DSG di un soggetto celiaco. La soglia di ricomparsa dei sintomi legati alla malattia celiaca all'esposizione al glutine con la dieta e' variabile da individuo ad individuo. Il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA non correla strettamente con il consumo di glutine, soprattutto a lungo termine. La compilazione di questionari alimentari tramite cui il paziente possa auto-riportare le trasgressioni alla DSG non e' uno strumento che ha dato risultati tali da poter sostituire la biopsia duodenale. Pertanto, la duodenoscopia con prelievo bioptico di campioni della mucosa duodenale rimane tuttora l'unico mezzo per valutare l'aderenza alla DSG.
L'aderenza alla DSG va monitorata sei mesi dopo la diagnosi e poi una volta ogni 12-24 mesi (se non compaiono segni o sintomi suggestivi di riesposizione al glutine) mediante valutazione dietetica da parte di un nutrizionista e/o dietista e dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi di classe IgA. COSA NON VA FATTO
Eseguire la dieta senza glutine «per prova»
A fronte di un sospetto clinico l'ipotesi diagnostica di celiachia va approfondita attraverso le indagini sierologiche (anti-tTG, EMA) e bioptiche prima che il paziente inizi la dieta senza glutine. La semplice valutazione clinica dell'effetto della dieta impedisce nei fatti di porre o di escludere la diagnosi con certezza basandosi su elementi obiettivi, comporta un elevato rischio di errore, sia nel senso della sottovalutazione che della sopravalutazione della diagnosi, esponendo il paziente al rischio di sottoporsi a lungo termine a una restrizione dietetica non necessaria o al contrario a quello di non ricevere la diagnosi di certezza di celiachia in tempi brevi (ad esempio se dopo una risposta clinica apparentemente favorevole alla dieta di esclusione del glutine si vorra' arrivare alla diagnosi di certezza si dovra' per forza di cose riesporre per un tempo sufficientemente lungo il paziente a una dieta glutinata). Oltre a comportare un elevato rischio di errore e di ritardo diagnostico, la prescrizione di una dieta senza glutine per prova e' nei fatti un modo per allontanare il paziente dalla necessaria consapevolezza della natura della malattia, delle sue complicanze e dell'importanza di seguire la dieta nella maniera piu' corretta possibile per tutta la vita.
Utilizzare il dosaggio degli anticorpi antigliadina nativa (AGA)
Gli anticorpi antigliadina nativa di classe IgA e IgG sono presenti a titolo elevato in una percentuale variabile di celiaci in dieta libera. In circa un terzo dei casi, il dosaggio di questi anticorpi risulta peraltro negativo e nel contempo titoli significativi di anticorpi antigliadina nativa possono essere riscontrati nel soggetto sano e in molte patologie diverse dalla celiachia. La sensibilita' e la specificita' del dosaggio degli AGA nativa vanno pertanto considerate del tutto insoddisfacenti e il loro utilizzo a fronte di un sospetto di celiachia puo' risultare fuorviante a qualsiasi eta'.
Utilizzare l'indagine genetica (determinazione HLA DQ2/D428) come unico test diagnostico
La quasi totalita' dei soggetti celiaci (> 95%) e' portatore dell'HLA DQ2 o DQ8. Questi marcatori genetici sono peraltro presenti, nel loro complesso, in piu' del 30% della popolazione generale. La loro positivita' in assenza dei marcatori sierologici della malattia celiaca (EMA, antitTG) non ha di fatto alcun significato diagnostico. La determinazione degli HLA DQ2 / DQ8 riveste invece concreta utilita' nell'escludere la malattia nei casi in cui il dubbio diagnostico e' difficile da risolvere (sierologia e/o biopsia male interpretabili): la malattia potra' infatti essere ragionevolmente negata se il test risultera' negativo.
La determinazione degli HLA puo' essere utile anche per individuare quali casi appartenenti a gruppi a rischio (ad esempio neonati con familiarita' celiaca) siano effettivamente esposti a una aumentata probabilita' di sviluppare la celiachia e meritino in questo senso un piu' attento follow-up e quali invece possano essere ragionevolmente (e definitivamente) tranquillizzati.
Ripetere troppo presto dopo la diagnosi e troppo frequentemente durante il follow up il dosaggio degli anti-tTG
Il dosaggio degli anticorpi anti-tTG e' spesso utilizzato nel follow up del paziente celiaco come indicatore della risposta clinica e della compliance alla dieta senza glutine. Ciononostante, la ripetizione del dosaggio degli anti-tTG nei primi mesi dopo la diagnosi ha poco significato poiche' in molti pazienti, che pur eseguono correttamente la dieta, la loro negativizzazione richiede molti mesi o anche piu' di un anno. D'altra parte, il dosaggio degli anti-tTG ha dei limiti di affidabilita' per la valutazione della aderenza alla dieta aglutinata anche nel follow up a lungo termine: il dosaggio degli anti-tTG sierici infatti puo' risultare costantemente negativo in pazienti in cui si ha certezza di trasgressioni piu' o meno occasionali e viceversa rimanere positivo (ma in questo caso si tratta di casi eccezionalmente rari) in pazienti in cui si ha evidenza dell'aderenza alla dieta e della remissione istologica. E' in questa consapevolezza e limitandone la ripetizione a condizioni particolari (come ad esempio la ricomparsa di sintomi compatibili con una celiachia conclamata) che il dosaggio degli anti-tTG dovrebbe essere utillizato durante il follow up del paziente celiaco.
Eccedere nella attenzione alle contaminazioni dietetiche
La dieta senza glutine va prescritta come dieta da proseguire a vita evitando ogni eccezione volontaria. Tuttavia una prescrizione ossessiva in questo senso puo' essere oltre che inutile anche controproducente penalizzando senza vantaggi la vita personale e sociale del paziente col rischio di favorire, specie nell'adolescente, una reazione di frustrazione e un peggioramento paradosso della aderenza alla dieta.
Eseguire una valutazione mineralometrica (DEXA) al momento della diagnosi e durante il follow up nei bambini celiaci
Un difetto di mineralizzazione ossea e' di frequente riscontro sia nei bambini che negli adulti celiaci al momento della diagnosi indipendentemente dalla presenza o meno di segni clinici conclamati.
In eta' pediatrica, a differenza di quanto succede nell'eta' adulta, la dieta senza glutine e' in grado da sola di ottenere in tempi brevi (un anno) la normalizzazione della mineralizzazione ossea e non vi e' quindi ragione di eseguire approfondimenti diagnostici quali la DEXA ne' al momento della diagnosi ne' durante il follow-up, come potrebbe invece essere indicato nei soggetti adulti (dopo almeno 18 mesi dalla diagnosi) per selezionare coloro che abbisognano di terapie aggiuntive (supplementazione calcica, vitamina D, bifosfonati).
Sospettare la celiachia per sintomi acuti, anafilattici, anche gastrointestinali, che appaiono in stretta relazione temporale con l'assunzione del glutine
A differenza che nell'allergia alimentare IgE mediata, i sintomi gastrointestinali nel soggetto celiaco sono di tipo cronico e non appaiono in stretta correlazione temporale con l'assunzione del glutine. COSA NON E' CELIACHIA
Allergia al glutine
L'allergia al glutine ha le caratteristiche di tutte le altre allergie ad alimenti e si presenta con reazioni acute di tipo anafilattico (orticaria, angioedema, asma, dolore addominale con o senza vomito e diarrea esplosiva, shock) in stretta correlazione temporale (minuti) con l'ingestione di glutine. Queste reazioni sono mediate da anticorpi anti-glutine di classe IgE, anticorpi che sono facilmente dimostrabili con i test cutanei (prick test) o sierologici (RAST). Si tratta di una allergia non particolarmente frequente e che a volte puo' manifestarsi solo nel caso l'assunzione del glutine venga seguita a breve distanza da uno sforzo fisico (Food dependent exercise induced anaphylaxis). I soggetti con allergia al glutine non sono esposti ad un aumentato rischio di celiachia.
FPIES (Food Protein Intolerance Enterocolitis Syndrome) glutine dipendente
Si tratta di una forma di allergia alle proteine alimentari che puo' presentarsi nel bambino fino ai due-tre anni di vita. La sintomatologia e' classicamente caratterizzata dal vomito incoercibile, con o senza diarrea, che segue l'assunzione dell'alimento di una - due ore, si accompagna ad intensa leucocitosi neutrofila e puo' portare il paziente in un marcato quadro di prostrazione tanto da essere non di rado scambiata per uno stato settico o per una emergenza di tipo chirurgico. Pur se acute, le manifestazioni cliniche non sono mediate da anticorpi di tipo IgE (la reazione allergica e' attribuita alla liberazione massiva di TNF alfa da parte dei linfociti sensibilizzati) e la diagnosi viene posta solo su base clinica. Il glutine (il frumento) e' tra i cinque alimenti piu' frequentemente in causa. Anche in questi casi non vi e' un rischio aumentato di malattia celiaca rispetto alla popolazione generale.
La sensibilita' al glutine (Gluten sensitivity)
Con il termine NCGS (Sensibilita' al Glutine Diversa dalla Celiachia) si definisce una sindrome caratterizzata dalla presenza, in rapporto all'ingestione di alimenti contenenti glutine, di sintomi intestinali ed extra intestinali (Tabella 3) in pazienti in cui MC ed allergia alle proteine del frumento siano gia' state escluse. Pazienti con tali caratteristiche sono noti da anni ma e' bene premettere che, nonostante un numero crescente di essi riferisca quadri di questo tipo, l'esistenza stessa della sindrome e' ancora messa in dubbio da numerosi esperti. Piu' in particolare, il fatto che i disturbi (quasi tutti soggettivi!) migliorino all'esclusione del glutine e peggiorino alla sua reintroduzione viene considerato come legato al ben noto effetto placebo e nocebo delle diete da eliminazione e provocazione. D'altra parte studi «in cieco» sono resi difficili e scarsamente affidabili dalla riconoscibilita' (mai adeguatamente testata «a priori») del glutine quando aggiunto o mescolato ad altri alimenti.
Tutti, pertanto, concordano sul fatto che i risultati finora ottenuti si riferiscono a pazienti presunti, ma non sicuramente portatori di tale sindrome, e sulla necessita' di studi ulteriori e piu' approfonditi.
Sul piano clinico e' fondamentale combattere l'autodiagnosi ed evitare che, il paziente abbia gia' escluso il glutine prima ancora di un consulto medico. Tale comportamento impedisce l'accertamento di una MC vera, con tutte le conseguenze del caso, e rende assolutamente necessaria la riesposizione al glutine. In accordo con la definizione di NCGS, la prima cosa da fare e' escludere un'allergia alle proteine del frumento attraverso la ricerca delle IgE specifiche mediante metodica di «ImmunoCAP» e, soprattutto, la MC attraverso la ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi o endomisio. Come si e' gia' accennato, non esistono algoritmi minimamente standardizzati e validati per la diagnosi positiva di NCGS. In assenza di «biomarker» specifici, c'e' largo consenso sull'opportunita' di test dietetici controllati ed in «doppio cieco». Restano, tuttavia, da precisare modalita', dosi, tempi di somministrazione e criteri per la valutazione dei risultati. Qualora il medico ritenga di disporre di evidenze sufficienti per NCGS, il paziente potra' essere cautelativamente consigliato di evitare il glutine con la finalita' di controllare i sintomi. Non vi sono evidenze che la NCGS sia soggetta a complicanze o di una sua conversione nella MC.

Tabella 3
SINTOMI ATTRIBUITI ALLA "NCGS"

Parte di provvedimento in formato grafico
Il presente documento e' stato realizzato dal Tavolo Tecnico
in materia di diagnosi di celiachia

Componenti:
Catassi Carlo, Professore Associato di Pediatria Universita' Politecnica delle Marche - Ancona,
Copparoni Roberto, Dirigente Medico DGISAN - Ministero della salute,
Corazza Gino Roberto, Professore Ordinario di Medicina Interna Universita' di Pavia,
De Stefano Simona, Dirigente Chimico DGISAN - Ministero della Salute,
Ruocco Giuseppe, Direttore Generale DGISAN - Ministero della salute,
Silano Marco, Primo Ricercatore, Dipartimento di Sanita' Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare - Istituto Superiore di Sanita',
Troncone Riccardo Professore Ordinario di Pediatria Universita' Federico II - Napoli,
Ventura Alessandro, Professore Ordinario di Pediatria Universita' di Trieste.
 
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