Gazzetta n. 191 del 18 agosto 2011 (vai al sommario)
CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
INTESA 27 luglio 2011
Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concernente «Documento di consenso sulle politiche di offerta e le modalita' di esecuzione del test per HIV in Italia». (Rep. n. 134/CSR).


LA CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO, LE REGIONI E LE
PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
Nell'odierna seduta del 27 luglio 2011:
Visto l'art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che prevede la possibilita' per il Governo di promuovere, in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza Unificata, la stipula di intese dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni;
Vista l'Intesa sancita nel corso della seduta della Conferenza Stato-Regioni del 29 aprile 2010 (Rep. Atti n. 63/CSR) sul Piano nazionale per la prevenzione 2010-2012, che individua tra gli obiettivi di salute prioritari, sui quali e' opportuno elaborare progetti specifici, la prevenzione delle malattie infettive;
Vista la nota pervenuta in data 9 maggio 2011, con la quale il Ministero della salute ha inviato, ai fini del perfezionamento di una apposita intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, il documento indicato in oggetto;
Vista la lettera in data 16 maggio 2011, con la quale il documento di cui trattasi e' stato diramato alle Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano;
Considerato che, nel corso della riunione tecnica svoltasi in data 7 giugno 2011, le Regioni e le Province autonome hanno ritenuto accoglibile una proposta di modifica dello schema di intesa di cui trattasi avanzata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
Vista la nota in data 8 giugno 2011, con la quale il Ministero della salute ha inviato la versione definitiva della proposta di intesa in parola che recepisce la suddetta richiesta emendativa;
Vista la lettera in data 9 giugno 2011, con la quale tale nuova versione e' stata diramata alle Regioni e Province autonome;
Considerato che la proposta di intesa in oggetto e' stata iscritta all'ordine del giorno della seduta della Conferenza Stato-Regioni del 23 giugno 2011 e che la stessa non ha avuto luogo;
Considerato, inoltre, che la medesima proposta di intesa e' stata iscritta all'ordine del giorno della seduta della Conferenza Stato-Regioni del 7 luglio 2011 e che il punto non e' stato esaminato;
Acquisito, nel corso dell'odierna seduta, l'assenso del Governo e delle Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano sulla proposta di intesa in oggetto;

Sancisce intesa
tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano nei termini di seguito riportati:
Considerati:
l'art. 1 della legge n. 135 del 5 giugno 1990 - Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS - che assegna alla Commissione Nazionale per la lotta contro l'AIDS compiti di studio, consulenza e proposta nell'ambito del piano di interventi diretto a contrastare la diffusione delle infezioni da HIV;
la legge n. 3 del 18 ottobre 2001 che, nel novellare l'art. 117 della Costituzione, annovera la «tutela della salute» tra le materie di potesta' legislativa concorrente;
il decreto del Presidente della Repubblica del 7 aprile 2006, recante il Piano sanitario nazionale 2006-2008, che fissa gli obiettivi da raggiungere per attuare la garanzia costituzionale del diritto alla salute, conseguibili nel rispetto dell'Accordo sancito in Conferenza Stato-Regioni l'8 agosto 2001 (Rep. Atti n. 1285), come integrato dalle leggi finanziarie per gli anni successivi e nei limiti e in coerenza dei programmati livelli di assistenza;
l'obiettivo 5.8 del richiamato Piano sanitario nazionale, relativo al controllo delle malattie diffusive, e in attuazione degli obiettivi adottati dall'Organizzazione Mondiale della Sanita' (OMS);
l'art. 1, comma 4, della citata intesa sul «Piano Nazionale per la Prevenzione 2011-2012», che fa riferimento alle risorse finalizzate a sostenere il raggiungimento degli obiettivi del Piano nazionale 2010-2012, lo sviluppo dei sistemi di sorveglianza e l'armonizzazione delle attivita' di prevenzione negli ambienti territoriali;
che in Italia, analogamente ad altri Paesi europei, vi e' una proporzione consistente di persone con infezione da HIV (circa un terzo) che non e' a conoscenza del proprio stato di sieropositivita';
che si rende strategico, prioritario ed urgente riconoscere l'importanza e attivare azioni di identificazione precoce (early detection) in grado di permettere il contatto e la diagnosi precoce dell'elevato numero di persone sieropositive ancora inconsapevoli del proprio stato sierologico;
che, al fine di favorire la massima conoscenza dello stato sierologico per HIV, vanno promosse sperimentazioni di interventi finalizzati ad offrire attivamente il test a gruppi di popolazione che si rivolgono ai servizi sanitari anche per motivi non correlati epidemiologicamente o clinicamente all'infezione da HIV;

Si conviene
sul «Documento di consenso sulle politiche di offerta e le modalita' di esecuzione del test per HIV in Italia», Allegato sub A, parte integrante del presente atto, i cui contenuti saranno periodicamente aggiornati alla luce delle conoscenze tecnico-scientifiche disponibili. Si precisa che, dalla presente intesa, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Roma, 27 luglio 2011

Il presidente: Fitto Il segretario: Siniscalchi
 
Allegato A
DOCUMENTO DI CONSENSO SULLE POLITICHE DI OFFERTA E LE MODALITA' DI
ESECUZIONE DEI TEST PER HIV IN ITALIA
1. Introduzione.
1.1. Importanza di favorire la conoscenza dello stato sierologico per HIV.
Si stima che in Italia, analogamente ad altri Paesi europei, vi sia una proporzione consistente di persone con infezione da HIV (circa un terzo) che non e' a conoscenza del proprio stato di sieropositivita'.
E' stato, peraltro, dimostrato che circa il 30% delle diagnosi di infezione da HIV viene effettuato in persone che sono gia' in stato avanzato di malattia (linfociti CD4 < 200/mmc e/o patologie indicative di AIDS) e comunque quasi il 60% delle diagnosi di AIDS viene fatta in persone con tardivo riconoscimento dell'infezione da HIV.
Questo fenomeno determina diverse conseguenze negative.
In primo luogo la persona con HIV diagnosticata tardiva mente non ha l'opportunita' di iniziare nei tempi ottimali la terapia antiretrovirale ed ha, da una parte, un rischio piu' elevato di giungere ad una fase conclamata della malattia e, dall'altra, una ridotta probabilita' di un pieno recupero immunologico una volta iniziato il trattamento farmacologico.
In secondo luogo la mancanza di consapevolezza dello stato di infezione puo' favorire un'ulteriore diffusione del contagio. E' stato, infatti, dimostrato che le persone con infezione da HIV riducono, in parte o completamente, i comportamenti a rischio di trasmissione dell'infezione una volta informati del loro stato. Inoltre, vi sono evidenze dell'efficacia degli interventi di prevenzione della diffusione del contagio indirizzati alle persone con infezione da HIV nota.
In terzo luogo la terapia antiretrovirale, riducendo la carica virale puo' anche contribuire a limitare la diffusione del contagio. Infatti, una persona consapevole del proprio stato sierologico che assume una terapia efficace ha un rischio molto ridotto di trasmettere l'infezione agli altri. Dati di programmi di sorveglianza sull'incidenza di nuove infezioni in Paesi sia occidentali che in via di sviluppo hanno mostrato una tendenza alla riduzione delle infezioni proporzionale all'incremento delle diagnosi e del trattamento dell'infezione.
Infine, le donne gravide consapevoli di avere l'infezione da HIV possono accedere ai programmi di profilassi maternofetale che riducono drasticamente la trasmissione del virus al nascituro.
In considerazione dell'elevato numero di persone sieropositive ancora inconsapevoli del proprio stato sierologico si ritiene strategico, prioritario ed urgente riconoscere l'importanza e attivare azioni di identificazione precoce (early detection) in grado di permettere il contatto e la diagnosi precoce di queste persone. Un esempio di modalita' efficace per identificare precocemente un alto numero di persone sieropositive ancora inconsapevoli del loro stato, e' quello di coinvolgere direttamente le persone gia' risultate sieropositive (e quindi consapevoli del loro stato) attraverso l'offerta attiva del test HIV, da parte delle strutture sanitarie, anche ai loro partner, in quanto esse sono il gruppo di persone sicuramente a piu' alto rischio di infezione.
1.2. La situazione dell'offerta del test in Italia.
I dati del «Progetto di ricerca per l'individuazione e la sperimentazione di modelli di intervento atti a migliorare l'adesione al test di screening HIV» (finanziato dal Ministero della salute, coordinato dall'Istituto Superiore di Sanita' e realizzato con il contributo delle Associazioni facenti parte della Consulta di Lotta all'AIDS) evidenziano una situazione di estrema disomogeneita' dell'offerta del test HIV oggi in Italia e, con frequenze importanti su alcuni aspetti procedurali fondamentali, il non rispetto della legge n. 135/1990 e la difformita' da quanto suggerito dagli organismi internazionali.
A partire da una banca dati di 1.030 Centri pubblici derivati da precedenti mappature dell'ISS e integrata con elenchi forniti da alcuni Assessorati regionali, sono state effettuate 665 interviste telefoniche standardizzate a 391 responsabili di Centri Diagnostico-clinici e a responsabili di 274 di Centri Trasfusionali nel periodo settembre 2008-novembre 2009. Dei restanti, 203 servizi sono stati eliminati perche' non rispondenti ai criteri di inclusione e per 162 servizi non e' stato possibile entrare in contatto con il responsabile o vi e' stato un rifiuto a partecipare all'intervista.
L'analisi dei dati delle 391 interviste condotte nei Centri Diagnostico-clinici ha evidenziato che nel 77,0% di questi il test HIV viene eseguito in modo gratuito, nel 38,4% e' assicurato l'anonimato (completa assenza di dati della persona che effettua il test), il colloquio di counselling pre test e' eseguito nel 48,1% dei casi e quello post test nel 44,7%.
In 139 Centri Diagnostico-clinici su 391, il risultato del test viene consegnato in busta chiusa. Per il 70,5% dei 139 Centri che consegnano l'esito in busta chiusa, cio' avviene in caso di esito negativo, per il 4,3% in caso di esito positivo, per il 25,2% indipendentemente dall'esito del test.
In 234 Centri il risultato del test viene consegnato dal medico, di questi il 7,3% in caso di esito negativo, il 47,4% in caso di esito positivo e il 45,3% indipendentemente dall'esito del test.
In merito all'indicazione sul periodo finestra fornita dai Centri viene confermata una sensibile varieta': il 27,7% risponde che il test deve essere effettuato dopo 6 mesi dall'ultima situazione di rischio, il 18,3% dopo 3 mesi, l'8,9% dopo un mese. Inoltre, nel 45,1% gli intervistati forniscono indicazioni diverse, ad esempio: «dopo 12 mesi», «dopo 20 giorni», «ripetuto ogni 6 mesi», «dopo 2 mesi», «dipende da caso a caso». In merito alle metodiche utilizzate risulta una proporzione limitata di centri che utilizzano test combinati (31,7%).
Per quanto riguarda i Centri Trasfusionali in 115/274 (42,0%), va sottolineato che ad essi accede talora anche la popolazione generale per effettuare il test. In questi centri, rispetto a difformita' o non corrette procedure la situazione e' irrilevante, probabilmente grazie alla normativa sulla donazione.
I risultati del Progetto evidenziano come, nei Centri coinvolti nell'indagine, manchi una comune modalita' di esecuzione del test, in particolar modo per quanto riguarda gratuita', anonimato e colloquio di counselling pre e post test. In alcune regioni va segnalata l'oggettiva scarsita' di Centri dove sia possibile accedere al test, scarsita' che in alcune realta' territoriali e' vicariata dall'accesso della popolazione generale ai Centri Trasfusionali.
Dati raccolti nell'ambito di un altro programma indicano che in molti casi il risultato del test non viene ritirato, in alcuni contesti fino al 25%. La situazione nelle persone che consumano sostanze stupefacenti.
In base a stime del 2010, in Italia sono circa 3.000.000 le persone che, nella fascia di eta' compresa tra i 15 e i 64 anni, consumano sostanze stupefacenti. Di queste, sono stimate 393.000 persone con stato di dipendenza (215.000 per oppiacei pari a 5,5/1000 residenti e 178.000 per cocaina pari a 4,5/1000 residenti) di cui circa il 60% con uso endovenoso delle sostanze.
Ogni anno vengono assistite dai Sert circa 170.000 persone tossicodipendenti. Vi e' una stabilizzazione negli ultimi quattro anni degli utenti in trattamento per uso di eroina, mentre vi e' un aumento degli utenti in trattamento per uso di cocaina. I soggetti che hanno richiesto per la prima volta un trattamento sono stati 33.984 con un tempo medio di latenza stimato tra inizio uso e richiesta di primo trattamento di 5,5 anni (oscillante tra i 4 e gli 8 anni), differenziato da sostanza a sostanza. L'eta' media dei nuovi utenti e' circa 30 anni, con un arrivo piu' tardivo rispetto agli anni precedenti. Questo significa che vi e' un aumento del tempo fuori trattamento con tutti i rischi che ne conseguono e quindi un arrivo sempre piu' tardivo ai servizi. Le sostanze primarie maggiormente utilizzate risultano essere il 69% eroina, il 16% cocaina e il 9,3% cannabis. In calo l'assunzione per via iniettiva. Si osserva, inoltre, una diminuzione generalizzata dell'uso iniettivo dell'eroina, a favore dell'assunzione inalatoria e respiratoria di tale sostanza.
Le persone che consumano sostanze stupefacenti hanno un rischio aumentato di acquisizione e trasmissione di varie infezioni virali che, in termini probabilistici decrescenti sono: HCV, HBV, HIV, come anche un rischio aumentato di acquisizione e trasmissione di varie malattie trasmesse sessualmente ed in particolare Lue e Gonorrea.
Nel corso del 2010, si e' potuto determinare che vi e' una tendenza ormai pluriennale a non testare gli utenti in trattamento per le principali infezioni quali quelle da HIV, HCV e HBV. La percentuale nazionale media di utenti dei Sert sottoposti al test HIV e' risultata 5010 del 37,3% degli utenti testabili e presenti all'interno dei servizi.
A livello nazionale la prevalenza media dei soggetti testati risultati HIV positivi e' risultata dell'11,5% con percentuali differenziate come segue: il 18,7% nelle femmine e il 12,3% nei maschi, nei soggetti gia' in carico, mentre e' il 2,3% nelle femmine e il 2,0% nei maschi, nei nuovi utenti. La maggior prevalenza di HIV si e' riscontrata nel genere femminile. Si e' rilevata un'associazione negativa tra basso livello di utilizzo del test e percentuale di soggetti HIV positivi, sottolineando che nelle Regioni a piu' alta prevalenza di sieropositivita' si tende anche a testare meno i nuovi soggetti in entrata al servizio. Le situazioni critiche per maggior positivita' per HIV e contemporaneo minor uso del test sono emerse in Bolzano, Toscana, Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria. Le regioni piu' colpite dall'HIV sono risultate: Sardegna, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia e Piemonte. La situazione nelle carceri.
Le carceri rappresentano un «reservoir» dell'infezione da HIV in tutto il mondo. L'elevata diffusione e' riconducibile a comportamenti a rischio di una gran parte della popolazione detenuta. Tra i 45.211 detenuti che hanno fatto ingresso dal 1° gennaio 2009 al 30 giugno 2009 nei 207 Istituti penitenziari italiani, 13.292 (29,4%) sono stati sottoposti a screening per HIV. La positivita' al test e' stata riscontrata nel 3,22% della popolazione esaminata. Con un tasso di esecuzione del test volontario dell'80%, come avvenuto in uno studio del 2005 condotto in Istituti penitenziari in cui era «ristretto» il 14,6% della popolazione detenuta nazionale, la sieroprevalenza per anti-HIV sale al 7,5%. Osservazioni condotte in carceri non italiane documentano una incidenza/anno dell'1,9%.
1.3. Le iniziative delle Regioni.
Negli anni, piu' Regioni si sono attivate inserendo indicazioni specifiche sulla diagnostica HIV in provvedimenti riguardanti la sorveglianza e la prevenzione dell'Infezione da HIV e la lotta all'AIDS, o effettuando un riordino mirato dell'offerta del test HIV a livello locale.
1.4. Scopo del documento.
Questo documento si propone di ribadire la necessita' di effettuare il test, proporre modalita' univoche di erogazione del test stesso e della consegna dei risultati sul territorio nazionale, aprire la possibilita' dr sperimentare modalita' diverse di offerta del test per garantirne l'accesso ed identificare programmi di intervento finalizzati a far emergere il sommerso. 2. Principi generali.
2.1. Gratuita' e facilita' di accesso.
Il test per HIV deve essere reso disponibile gratuitamente nell'ambito di servizi pubblici che garantiscano la piu' ampia facilita' di accesso ai cittadini.
2.2. Consenso e garanzia di riservatezza.
L'esecuzione del test per HIV e' possibile solo con il consenso della persona interessata. Tale principio, oltre a rispondere al dettato costituzionale e ai principi deontologici, e' espressamente sancito della legge n. 135 del 1990.
Una eccezione prevista dalla stessa legge e' rappresentata da «motivi di necessita' clinica» nell'interesse del paziente stesso. Tale eccezione e' tuttavia da interpretarsi come applicabile in caso di interventi d'urgenza, con riferimento ad una incapacita' del paziente ad esprimere il consenso e all'esistenza di un grave pericolo. In tal caso, infatti, si puo' configurare per chi richiede il test senza consenso uno stato di necessita' (cfr. art. 54 c.p.). Comunque, perche' si realizzi lo stato di necessita' occorre provare:
a. l'attualita' del pericolo di danno alla vita o alla salute;
b. la gravita' del danno;
c. l'assenza di altre alternative al di fuori di quella attuata in assenza di consenso;
d. la proporzionalita' fra benefici ottenibili e dannosita' dell'intervento posto in essere.
Inoltre, sempre a norma della legge n. 135 del 1990: «Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell'ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilita' di pervenire alla identificazione delle persone interessate.».
La Corte costituzionale, con propria sentenza additiva n. 218/1994, ha stabilito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, terzo e quinto comma, nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositivita' all'infezione da HIV come condizione per l'espletamento di attivita' che comportino rischi per la salute di terzi, perche' incompatibile con l'art. 32 della Costituzione Italiana.
Con la medesima pronuncia la Corte ha dichiarato, invece, superata la questione di legittimita' costituzionale sollevata con riferimento all'art. 6 della stessa legge; pertanto rimane valido il divieto per il datore di lavoro di svolgere indagini, anche in fase pre-assunzione, per accertare l'esistenza di uno stato di sieropositivita' del lavoratore, in tutti i casi nei quali l'attivita' lavorativa non comporti rischi per la salute di terzi.
Il medico che prescrive il test per l'HIV deve quindi ottenere un preventivo consenso scritto da parte della persona interessata.
La normativa vigente prevede inoltre una serie di garanzie a tutela della riservatezza dei risultati del test per HIV. La legge n. 135 del 1990 prescrive, infatti, che la comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione da HIV puo' essere data esclusivamente alla persona alla quale tali esami sono riferiti.
La comunicazione del risultato del test ad altri operatori sanitari e' ammissibile a patto che tale trasmissione di informazioni soddisfi contemporaneamente le seguenti condizioni:
a. deve effettuarsi tra soggetti tenuti al segreto professionale;
b. la finalita' deve essere quella di tutelare la salute del paziente;
c. sussista il consenso di quest'ultimo.
In casi particolari, da valutare volta per volta, al fine di facilitare il ritiro del risultato del test si ritiene utile prospettare una possibilita' di delega a terzi per la consegna del risultato, atteso quanto disposto dalla legge n. 135 del 1990. Una ipotesi di lavoro potrebbe essere quella di valutare con esperti di diritto del Ministero la possibilita' di delegare con le procedure previste dalla legge n. 241 del 1990 («legge Bassanini») e successive modifiche ed integrazione (copia carta d'identita' del delegante e del delegato con la richiesta e consenso esplicito del diretto interessato).
Il trattamento dei dati sensibili in ambito medico deve assicurare adeguati standard di sicurezza e il pieno rispetto della privacy a quanti si rivolgono alle diverse strutture sanitarie per finalita' di controllo, prevenzione e cura delle malattie.
Secondo l'art. 11 del Codice sulla privacy, tale trattamento deve avvenire in ossequio ai principi di liceita', correttezza, esattezza e pertinenza e deve risultare compatibile e non eccedente rispetto agli scopi prefissati, anche con riferimento al periodo di conservazione dei dati stessi.
I risultati del test per HIV vanno considerati dati sensibili e, come tali, destinatari di una disciplina specifica in tema di garanzie di riservatezza, poiche' la loro diffusione e comunicazione rappresenta una profonda intrusione nella vita privata dell'interessato, ammessa solo nei casi previsti dalla legge.
I suddetti dati devono, pertanto, essere custoditi e monitorati attraverso tutte quelle regole tecniche che ne assicurino in ogni momento l'integrita', preservandoli cioe' da fenomeni di distruzione, perdita, accesso non autorizzato o trattamento non consentito; a tal riguardo, gli articoli 33 e 34 del Codice, il Disciplinare tecnico in materia di misure minime di sicurezza e le Linee guida emanate dal Garante, dettano le misure volte ad assicurare il livello minimo necessario a garantire la riservatezza di dati ritenuti particolarmente degni di protezione. L'adozione ed il rispetto di tali misure deve essere adeguatamente documentato dalle strutture presso le quali si esegue il test per HIV.
Ad ulteriore garanzia della protezione della riservatezza della persona che si sottopone al test, i centri che lo eseguono devono garantire la possibilita' di esecuzione del test in anonimato su richiesta dell'interessato, definendo una apposita procedura.
2.3. Diritto all'informazione e gestione dei risultati.
Strettamente legato al problema del consenso e' il problema di una corretta informazione.
I piu' recenti orientamenti giurisprudenziali hanno portato a sottolineare come l'informazione sugli interventi medici sia un diritto inalienabile del paziente. Il diritto all'informazione ha contribuito a livellare quell'asimmetria informativa che da sempre ha contraddistinto il rapporto medico-paziente. Anche nel caso del test per HIV l'informazione e' dovuta, non solo con riguardo alla salute, ma soprattutto in riferimento alla liberta' di autodeterminazione del soggetto.
L'effettuazione del test e la consegna del suo risultato, sia con esito negativo che positivo deve accompagnarsi all'offerta di informazioni sull'infezione da HIV (informative counselling) svolto da personale adeguatamente formato.
2.4. L'esecuzione del test nei minori.
I minori possono essere esposti ad un rischio significativo di contrarre l'infezione da HIV anche a causa dell'inesperienza e della disattenzione legate all'eta', che li puo' portare ad una valutazione non corretta dei rischi che corrono.
Il vantaggio di una diagnosi precoce dell'infezione e' ben noto, tanto che negli Stati Uniti, l'autorita' sanitaria ha raccomandato l'effettuazione del test alle persone dai 13 ai 64 anni che si presentano per qualsiasi motivo ad una struttura sanitaria.
E' importante quindi favorire un accesso dei minori al test per HIV se esistono possibili situazioni di rischio, anche in considerazione del fatto che accedere ad una struttura per effettuare il test rappresenta un contatto assolutamente importante in termini non solo di diagnosi precoce, ma anche di prevenzione ed educazione sanitaria.
Come principio generale, in Italia i minori possono eseguire il test per HIV solo con il consenso dei genitori. Questo puo' costituire un potenziale fattore limitante della possibilita' di effettuare l'accertamento da parte dei giovani dopo esposizioni a rischio.
La questione relativa alla validita' del consenso all'esecuzione del test, prestato dal minorenne senza l'autorizzazione degli esercenti la potesta' genitoriale o del tutore, deve allo stato essere risolta alla luce dei principi costituzionali in materia di tutela della salute, salva ovviamente l'esigenza di un intervento normativo sulla disciplina dettata dai commi 3 e 4 dell'art. 5 della legge n. 135 del 1990.
Pertanto, va comunque richiesta l'autorizzazione dei genitori o del tutore prima di procedere all'esecuzione del test HIV. Si pone quindi la necessita' di definire prassi che facilitino l'accesso al test soprattutto per i grandi minori, cioe' a partire dai sedici anni di eta'.
Nel facilitare l'accesso al test da parte dei minori deve essere assolutamente evitato che il test venga effettuato senza uno specifico colloquio che affronti sia i temi della prevenzione dell'infezione, sia il problema dell'eventuale coinvolgimento dei genitori che la possibilita' di coinvolgere nel processo il giudice dei minori.
Prassi facilitate per l'accesso al test dei minori dovranno quindi essere gestite solamente in strutture con specifica competenza di counselling per giovani e che dispongono di un percorso gia' codificato di collaborazione con il tribunale dei minori per la gestione delle problematiche che si presentano nei singoli casi. 3. Strutture per l'accesso al test richiesto direttamente dagli
interessati.
3.1. Il SSN deve rendere disponibili servizi ambulatoriali e/o punti di prelievo che garantiscano l'accesso alla diagnostica per HIV.
Tale attivita' deve essere organizzata in modo da rendere quanto piu' semplice l'accesso al test HIV. In particolare e' necessario che tutti possano accedere a questi servizi senza la richiesta del medico di base. Questi servizi devono essere resi disponibili anche alle persone straniere temporaneamente presenti nel territorio (ovvero persone non italiane prive di permesso di soggiorno, richiedenti asilo, ecc.) alle stesse condizioni delle persone italiane o straniere con permesso di soggiorno e iscrizione al SSN (gratuita', riservatezza, diritto di non eseguire il test senza che il rifiuto determini discriminazione).
Il ricorso ai centri trasfusionali come servizi per l'esecuzione del test per HIV non puo' essere considerata una modalita' corretta di offerta, in quanto implica il rischio che una afferenza di soggetti con comportamenti a rischio faccia aumentare la probabilita' di casi con infezione non documentata con gli altri test di sereening.
3.2. In occasione dell'esecuzione del test va svolto un colloquio di informative counselling effettuato da personale adeguatamente formato. Dovranno essere fornite informazioni sull'infezione da HIV, sul significato del testi sulla utilita' di eseguirlo, sul tipo di test che verra' eseguito, sulle conseguenze di un test negativo o positivo. Dovra', inoltre, essere offerto l'accesso ad ulteriori interventi di counselling preventivo a tutte le persone piu' vulnerabili rispetto al rischio di infezione e, ove necessario, l'invio ad altri servizi, quali quelli per il trattamento delle dipendenze o altre strutture di supporto (psicologico o psichiatrico). La persona dovra' avere l'opportunita' di porre domande in particolare sugli aspetti preventivi anche di altre malattie a trasmissione sessuale o ematica.
Nel caso l'esame venga richiesto da un medico che non operi nelle strutture deputate all'esecuzione del test, l'informazione pre-test andra' comunque effettuata dal medico che effettua la prescrizione. Deve essere garantita altresi' la riservatezza sull'identita' delle persone che lo eseguono. Ogni struttura sanitaria presso la quale viene eseguito l'accertamento deve garantire la riservatezza dei dati personali.
In tutte le strutture presso le quali viene effettuato il test, deve essere garantita, in caso di richiesta della persona, la possibilita' di eseguirlo in anonimato e vanno definiti specifici percorsi e protocolli per l'accesso da parte di minori. Andranno inoltre ridotti quanto piu' possibile i tempi di esecuzione e facilitato l'accesso per il ritiro dei referti al fine di ridurre la probabilita' di mancato ritiro dei referti stessi.
3.3. Il risultato del test andra' consegnato, personalmente all'interessato identificato, da personale sanitario adeguatamente formato. (vedi sopra, 2.2)
La consegna dovra' essere effettuata nell'ambito di un colloquio con l'interessato. In caso di esito negativo, nel corso del colloquio dovranno essere fornite indicazioni sul significato del risultato e valutata la necessita' di una eventuale ripetizione dell'esame. All'interessato dovra' essere inoltre offerta l'opportunita' di ricevere ulteriori informazioni, in particolare per quanto riguarda gli aspetti di prevenzione, eventualmente indirizzandolo a strutture specializzate in questo campo.
In caso di esito positivo, nel corso del colloquio, che dovra' vedere la partecipazione del personale adeguatamente formato sulle procedure di corretta comunicazione dei risultati del test, si dovra': spiegare chiaramente il significato del risultato, aiutare la persona a fronteggiare i problemi emotivi emergenti, prospettarle le possibilita' di supporto incluso quello psicologico, fornirle indicazioni su come evitare i rischi di trasmissione ad altre persone. Inoltre, sara' necessario affrontare con la persona l'opportunita' di comunicare ad altri il risultato del test, invitandola ad inviare presso le Unita' di prevenzione/accesso al test per l'esecuzione dell'esame, il partner o altre persone, le quali potrebbero essere a rischio di aver contratto l'infezione. Infine, spiegare la necessita' di appropriati ulteriori interventi diagnostici e terapeutici, valutando la necessita' di interventi clinici urgenti e comunque avviando l'interessato alle Unita' di cura e assistenza secondo protocolli predefiniti.
Alle persone sieropositive consapevoli afferenti ai centri di diagnosi e cura, andra' sistematicamente evidenziata la forte opportunita' di offrire ed eseguire tempestivamente un controllo sierologico anche sui loro partner. Questa azione andra' espletata anche, se necessario, mediante supporto da parte del personale medico alla comunicazione al partner del reale rischio infettivo corso, della necessita' di sottoporsi al controllo sierologico e di eseguire il test dell'anonimato. L'adesione a tali procedure dovra' essere totalmente volontaria e rispettosa della libera volonta' del paziente che, reso pienamente consapevole della problematica attraverso una corretta ed esaustiva informazione, non dovra' in alcun modo essere sottoposto a pressioni o condizionamenti di alcun tipo.
3.4. In caso di test eseguiti al di fuori di strutture del SSN, sara' compito del medico che effettua la richiesta fornire le informazioni sopra descritte nel colloquio pre-test. La consegna dei risultati dovra' essere effettuata da personale sanitario della struttura che esegue il test nell'ambito di un colloquio con l'interessato. In caso di test negativo, nel corso del colloquio dovra' esserne spiegato il risultato e valutata la necessita' di un'eventuale ripetizione.
In caso di test positivo, nel corso del colloquio il medico, adeguatamente formato, dovra' spiegare chiaramente il significato del risultato, prospettare alla persona le possibilita' di assistenza e cura disponibili nell'ambito del SSN, spiegare la necessita' di appropriati ulteriori interventi diagnostici e terapeutici, avviare il paziente alle Unita' Assistenziali di riferimento.
4. Offerta attiva del test a gruppi di popolazione a piu' elevata prevalenza di infezione che si rivolgono per altri motivi ai servizi sanitari. 4. I Principi generali.
In caso di pazienti che presentano patologie infettive causate da agenti patogeni che hanno le stesse modalita' di trasmissione di HIV o la cui comparsa puo' essere indice della presenza dell'infezione da HIV, il test deve essere offerto attivamente dagli operatori sanitari che hanno in cura il paziente e l'esecuzione del test va considerata come parte della procedura diagnostica standard nelle specifiche condizioni.
Il paziente va informato con un colloquio pre-test della opportunita' di eseguire l'esame nell'ambito degli accertamenti motivati dalla sua condizione clinica e va informato che e' nei suoi diritti rifiutare l'offerta senza che cio' pregiudichi l'accesso ad altra diagnostica o alle cure. Se la persona non rifiuta, il test viene effettuato. In ogni caso, alla persona deve essere garantita una adeguata informazione.
In caso di test negativo, nel corso del colloquio dovra' esserne spiegato il risultato e valutata la necessita' di un'eventuale ripetizione dell'esame. All'interessato dovra' essere inoltre offerta l'opportunita' di ricevere ulteriori informazioni, in particolare per quanto riguarda gli aspetti riguardanti i rischi di contagio con HIV.
In caso di test positivo, nel corso del colloquio (e' auspicabile la presenza anche di personale medico), si dovra' fornire l'informazione descritta al punto 3.3 ed avviare la persona alle Unita' assistenziali. Alla persona con primo riscontro di positivita' per HIV dovra' essere offerta la possibilita' di sottoporsi a visita specialistica quanto prima possibile, e comunque entro una settimana dalla comunicazione del risultato.
4.2. Condizioni cliniche nelle quali il test va offerto attivamente.
Il test deve essere attivamente offerto in tutte le condizioni cliniche che possano essere riferite all'infezione da HIV, indipendentemente da una valutazione di rischio comportamentale incluse le patologie comprese nella definizione di caso di AIDS e patologie associate quali: linfomi, sindrome similmononucleosica, dermatite seborroica/esantemi di natura non determinata, leucocitopenia, trombocitopenia, herpes zoster multimetamerico, candidasi orofaringea, febbre di origine ignota, cancro o displasia cervicale, cancro o displasia anale.
Il test per la diagnosi di infezione da HIV deve essere, inoltre, attivamente offerto a tutte le persone che si rivolgono a strutture assistenziali per i seguenti motivi: infezioni a trasmissione sessuale, infezione da virus dell'epatite a trasmissione ematica/sessuale, tubercolosi.
4.3. Il test nei servizi per tossicodipendenti.
Il test va offerto in maniera sistematica a tutte le persone che afferiscono ai servizi per il trattamento delle dipendenze. Allo stesso modo va loro offerta la possibilita' di eseguire accertamenti per altre infezioni a trasmissione ematica e sessuale (epatiti, sifilide, etc.). In caso di risultato negativo va consigliata e programmata la ripetizione periodica del test se persistono comportamenti a rischio.
4.4. Il test nelle carceri.
I dati disponibili sono indicativi della necessita' non solo di promuovere l'offerta di sottoporsi volontariamente al test al momento dell'ingresso in carcere ma anche periodicamente durante tutto il periodo di detenzione. L'obiettivo prioritario e' di rendere concretamente accessibili e fruibili ai detenuti con HIV tutti i servizi offerti dal SSN, al quale compete, in virtu' del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° aprile 2008, l'assistenza sanitaria in carcere. In considerazione degli elevati tassi di prevalenza riscontrati, appare raccomandato, inoltre, estendere l'esecuzione routinaria del test. In questo modo il paziente detenuto e' informato dell'esecuzione del test HIV che viene effettuato insieme ad altri esami di routine, fatto salvo l'esplicito rifiuto scritto.
I programmi di offerta del test dovranno essere collegati a programmi di riduzione del rischio di trasmissione dell'infezione e di garanzia di accesso alle cure.
4.5. Il test in gravidanza.
Nonostante la bassa prevalenza di infezione da HIV nelle donne a termine di gravidanza in Italia, l'efficacia degli interventi di prevenzione della trasmissione verticale e le gravi conseguenze che avrebbe una mancata diagnosi di infezione in una donna in gravidanza, impongono di offrire l'esecuzione del test a tutte le donne gravide, secondo le prescrizioni gia' vigenti in tema di accertamenti diagnostici in gravidanza, indipendentemente da ogni valutazione di rischio.
II test per HIV dovrebbe essere inserito tra gli eventuali accertamenti diagnostici eseguiti in epoca pre-concezionale, al momento del riscontro della gravidanza e successivamente se negativo in presenza di esposizioni a rischio. Il test dovrebbe inoltre essere sistematicamente offerto ai partner delle donne in gravidanza o che intendano iniziarne una analogamente a quanto previsto attualmente per altre infezioni a trasmissione verticale.
A tutte le donne in gravidanza il test deve comunque essere offerto dal medico che ha in cura la donna e l'esecuzione del test va considerata come parte della routine dell'assistenza prenatale. La donna va informata del fatto che il test verra' eseguito nell'ambito degli accertamenti motivati dalla cura prenatale a meno che non esprima il suo diniego all'esecuzione. Tale procedura deve sempre e comunque essere accompagnata da adeguata informazione (informative counselling).
Prima dell'esecuzione del test la donna va informata dal personale sanitario del Servizio che la assiste o dal medico che ha effettuato la richiesta del test sui rischi di trasmissione verticale dell'infezione, sul significato del test, sulle garanzie di riservatezza del risultato, e sul fatto che la donna puo' liberamente decidere di non sottoporsi al test o di posporre la sua esecuzione, sulla necessita' di far eseguire il test anche al partner.
La consegna del test andra' eseguita con modalita' analoghe a quelle descritte precedentemente.
Il personale che assiste le donne nelle strutture sede di parto deve verificare che la donna abbia eseguito un test per HIV durante la gravidanza. Qualora risulti che la donna non abbia eseguito un test, va offerto il test con le procedure sopra descritte. Il test va eseguito con procedura d'urgenza al fine di poter prendere le opportune decisione (travaglio, etc.) sugli interventi di profilassi incluse le modalita' di espletamento del parto. Ove necessario andranno utilizzati test rapidi, il cui risultato andra' comunque confermato con metodi sierologici tradizionali.
L'efficacia del trattamento antiretrovirale nel prevenire la trasmissione verticale dell'infezione andra' chiaramente esposta nel colloquio di counselling. Questo intervento dovra' essere sempre offerto alle donne risultate positive secondo quanto previsto dalle linee-guida nazionali ed internazionali.
Il test inoltre andrebbe offerto attivamente a tutte le donne che si sottopongono ad interruzione volontaria della gravidanza nel contesto degli accertamenti di laboratorio richiesti per tale intervento.
4.6. Offerta attiva del test in altre strutture sanitarie.
Al fine di favorire la massima conoscenza dello stato sierologico per HIV, vanno promosse sperimentazioni di interventi finalizzati ad offrire attivamente il test a gruppi di popolazione che si rivolgono ai servizi sanitari anche per motivi non correlati epidemiologicamente o clinicamente all'infezione da HIV. Questi interventi potranno prevedere, ad esempio, l'offerta sistematica del test a tutti i pazienti afferenti a strutture sanitarie, come i servizi di Pronto Soccorso ed i Dipartimenti di Emergenza ed Accettazione.
I progetti riguardanti questi interventi dovrebbero essere disegnati prevedendo indicatori di processo e di esito, anche per potere fornire le basi razionali ad interventi diffusi a livello nazionale ed internazionale. 5. Offerta attiva del test a gruppi di popolazione a piu' elevata
prevalenza di infezione che non vengono raggiunti dai servizi
sanitari.
5.1. Effettuazione del test al di fuori dei servizi sanitari.
Non esistono ad oggi strategie validate per l'offerta del test al di fuori delle strutture sanitarie. Andrebbe, peraltro, promossa la sperimentazione di programmi finalizzati a favorire l'accesso al test e la presa in carico delle persone sieropositive rivolta a gruppi di popolazione nei quali e' dimostrata una aumentata prevalenza di infezione o nei quali tale aumentato e' ipotizzabile sulla base della prevalenza di comportamenti a rischio. In particolare tali interventi dovrebbero essere rivolti a gruppi di popolazione vulnerabili, e potranno prevedere l'esecuzione di prelievi e/o di test rapidi anche al di fuori delle strutture sanitarie. I progetti riguardanti questi interventi dovrebbero essere disegnati prevedendo indicatori di processo e di esito, anche per potere fornire le basi razionali ad interventi diffusi su tutto il territorio nazionale.
La Commissione Nazionale per la lotta contro l'AIDS promuovera' una raccolta a livello nazionale dei risultati di questi interventi al fine di definire specifiche linee di indirizzo in questo ambito. 6. Strumenti tecnici.
6.1. Procedure di effettuazione del test per HIV.
La CNA ha approvato uno specifico documento sulle procedure di effettuazione del test al quale si rimanda. Tale documento raccomanda l'impiego unicamente di test di III e IV generazione, riporta un algoritmo diagnostico, che include raccomandazioni sui test di conferma, e fissa a 3 mesi il tempo massimo del periodo finestra.
6.2. I test rapidi.
Il gia' citato documento sulle procedure di effettuazione del test al quale si rimanda, riporta anche dati sull'accuratezza e sulle indicazioni d'uso dei test rapidi. 7. Promozione e revisione delle raccomandazioni.
7.1. Strategia di implementazione delle raccomandazioni.
La CNA concordera' con le Regioni strategie per favorire la conoscenza di queste raccomandazioni da parte degli operatori e la loro l'implementazione nei Servizi sanitari regionali.
7.2. Promozione di sperimentazioni e monitoraggio dell'efficacia delle raccomandazioni.
La CNA promuovera' l'inclusione di temi riguardanti le politiche di offerta del test e la loro efficacia nell'ambito di bandi di' ricerca quali il Progetto AIDS o i Progetti CCM.
7.3 Revisione periodica delle raccomandazioni.
Le presenti raccomandazioni verranno rivalutate ed aggiornate sulla base di nuove evidenze e dei risultati delle sperimentazioni, con cadenza indicata dal Ministero della salute.
 
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