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| Gazzetta n. 139 del 17 giugno 2006 (vai al sommario) |  | PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA |  | DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 7 aprile 2006 |  | Approvazione del «Piano sanitario nazionale» 2006-2008. |  | 
 |  |  |  | IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 
 Visto  l'art.  1,  comma 5,  del  decreto legislativo 30 dicembre 1992,  n.  502, e successive modificazioni, che demanda al Governo la predisposizione  e  l'adozione del Piano sanitario nazionale, sentite le   Commissioni   parlamentari   competenti   per   materia   e   le Confederazioni  sindacali  maggiormente rappresentative, d'intesa con la  Conferenza  unificata  di  cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
 Visto l'art. 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997;
 Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
 Visto  il  decreto  del  Presidente del Consiglio dei Ministri in data  29 novembre  2001,  pubblicato  nel  supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 33 dell'8 febbraio 2002, recante individuazione dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'art. 1, comma 6, del decreto   legislativo   30 dicembre   1992,   n.  502,  e  successive modificazioni;
 Viste  le  osservazioni  delle regioni formulate dalla Conferenza delle regioni e delle Province autonome del 24 novembre 2005;
 Vista  la  preliminare  deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 2 dicembre 2005;
 Acquisito  il  parere delle Confederazioni sindacali maggiormente rappresentative;
 Acquisito  il  parere  della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati nella seduta del 22 febbraio 2006;
 Preso  atto  che il parere della 12ª Commissione Igiene e Sanita' del  Senato  della Repubblica non e' pervenuto nel termine dei trenta giorni di cni alla normativa vigente;
 Preso  atto  dell'intesa intervenuta nell'ambito della Conferenza permanente  per  i  rapporti  tra  lo Stato, le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  unificata  con  la  Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali nella seduta del 28 marzo 2006;
 Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 29 marzo 2006;
 Sulla  proposta  del  Ministro  della  salute,  di concerto con i Ministri per gli affari regionali e dell'economia e delle finanze;
 Decreta:
 
 Art. 1.
 
 1.  E' approvato il Piano sanitario nazionale 2006-2008 nel testo risultante  dall'intesa  tra  Stato  e  Conferenza  unificata, di cui all'allegato.
 Il  presente  decreto,  previa registrazione da parte della Corte dei conti, sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
 Dato a Roma, addi' 7 aprile 2006
 
 CIAMPI
 
 Berlusconi,  Presidente  del  Consiglio
 dei Ministri
 La  Loggia,  Ministro  per  gli  affari
 regionali
 Tremonti,   Ministro   dell'economia  e
 delle finanze Registrato alla Corte dei conti il 28 maggio 2006 Ufficio  di  controllo  preventivo  sui  Ministeri  dei  servizi alla persona e dei beni culturali, registro n. 3, foglio n. 155
 |  |  |  | PIANO SANITARIO NAZIONALE 2006-2008 1. INTRODUZIONE
 
 Il Piano sanitario nazionale 2006-2008 parte da una disamina degli scenari  che  nei  prossimi  3-5 anni caratterizzeranno fortemente il panorama  sanitario italiano, sia positivamente che negativamente, in termini  di opportunita' e di vincoli. Vengono quindi considerati gli elementi  di  contesto  che si riferiscono alla situazione economica, demografica,  epidemiologica del Paese nonche' a quelli relativi allo sviluppo  scientifico e tecnologico. Vanno infine tenuti presenti, da un  lato gli elementi che caratterizzano l'attuale fase istituzionale (federalismo   sanitario),   dall'altro   i   precedenti   cicli   di programmazione   sanitaria   nazionale  ed  anche  di  programmazione sanitaria  regionale  per  valutarne  il  rapporto con il nuovo Piano nazionale.
 
 Dopo  questa  parte  iniziale si svolgera' poi una riflessione sul Servizio  sanitario  nazionale che, partendo da una generale volonta' di  riconfermare  gli  attuali valori di carattere generale su cui lo stesso  poggia,  riaffermi,  soprattutto, il principio di uniformita' sul  territorio  nazionale,  articolato  all'interno  del federalismo sanitario.
 
 La  parte successiva del Piano sara' una conseguenza dei primi due capitoli  nel senso che la consapevolezza degli scenari e la volonta' di  mantenere  i  principi  fondamentali  su  cui  il sistema poggia, impongono di tenere conto della sua necessaria evoluzione. Bisognera' chiedersi  quali scelte strategiche devono connotare questo piano per dare seguito a quanto sopra detto.
 
 Occorrera'  fare  riferimento  alla  necessita'  di strutturare in maniera  forte  tutte  le  iniziative  che consentono di connotare in senso  europeo la nostra organizzazione sanitaria: portare la sanita' italiana in Europa e l'Europa nella sanita' italiana.
 
 Occorrera'  poi  fare  riferimento ai punti focali dell'azione del Servizio   sanitario  nazionale  ed  individuarne  le  priorita':  1) organizzare  meglio  e  potenziare  la  promozione  della salute e la prevenzione;   2)  rimodellare  le  cure  primarie;  3)  favorire  la promozione   del  governo  clinico  e  della  qualita'  nel  Servizio sanitario  nazionale; 4) potenziare i sistemi integrati di reti sia a livello nazionale o sovraregionale (malattie rare, trapianti etc) sia a  livello interistituzionale (integrazione sociosanitaria) sia tra i diversi  livelli  di  assistenza (prevenzione, cure primarie etc); 5) promuovere   l'innovazione   e  la  ricerca;  6)  favorire  il  ruolo partecipato  del  cittadino  e  delle associazioni nella gestione del Servizio   sanitario  nazionale;  7)  attuare  una  politica  per  la qualificazione delle risorse umane.
 
 L'ultima  parte  del Piano riguarda la definizione degli obiettivi di salute, le risorse e la valutazione.
 
 2. CONTESTI VINCOLI E OPPORTUNITA'
 2.1.   Gli   scenari   internazionali:   scenari   comunitario   e internazionale
 
 La  dimensione  della  tutela  della  salute  e  sanita'  pubblica trascende  il  livello  nazionale  per  radicarsi nell'Unione Europea (U.E.)   e   nelle   altre   Organizzazioni  intergovernative  (quali l'Organizzazione per lo Sviluppo e la cooperazione economica - OCSE e il  Consiglio d'Europa) oppure internazionali (quali l'Organizzazione Mondiale  della Sanita' - OMS) e in minor misura, nella co-operazione bilaterale  con  altri  Stati.  Infatti, a parte alcune eccezioni, e' proprio  in  tali  ambiti  che  prevalentemente  si  definiscono e si aggiornano  in modo sistematico gli obiettivi di salute e le relative strategie  ottimali,  successivamente  posti  in  essere  dai Governi nazionali.  Cio'  dipende da molteplici motivi, fra i quali rivestono particolare importanza: (a) la necessita' di un approccio globale per risolvere numerosi problemi sanitari (ad es. controllo delle malattie trasmissibili),  nonche' per assicurare la sicurezza degli alimenti e delle  altre merci che ormai vengono commercializzate su uno scenario mondiale;  (b) il carattere senza frontiera della ricerca scientifica e  biomedica  che  sottintende la praticabilita' e rende possibile il perseguimento  di  innovativi  obiettivi  di  salute;  (c) i notevoli benefici che derivano dalla collaborazione fra esperienze ed approcci diversi  per la ricerca di valide soluzioni di sanita' pubblica nella presente  fase di globalizzazione; e (d) la solidarieta' fra i popoli che  si  esprime  particolarmente  nell'aiuto reciproco per la tutela della  salute  attraverso  le  Organizzazioni citate, oltre che nella co-operazione bilaterale.
 
 Il  Piano  sanitario  nazionale  si  inserisce  in questo contesto europeo: l'allargamento dell'Europa amplia il confronto tra gli Stati e,  quindi, la necessita' di stabilire un sistema di relazioni tra il Servizio  sanitario  nazionale  e i sistemi di tutela della salute di altri  Paesi,  ma  vede  anche  la  possibilita'  di un aumento della mobilita' europea sia dei pazienti che dei professionisti.
 
 Il  raggiungimento  degli  obiettivi  di  Piano  e'  influenzato o condizionato dallo sviluppo delle politiche di integrazione europea e dalla  crescente  interrelazione  dei  processi  sociali,  economici, culturali a livello globale.
 
 In   questo  contesto  occorre  tenere  conto  degli  ampi  poteri decisionali attribuiti agli Organi della Unione Europea. Senza dubbio tra  i  principi  del diritto comunitario, ve ne sono alcuni che sono propri  del  vincolo  federale,  primo  fra  tutti il principio della prevalenza  del diritto comunitario sul diritto interno. Cio' implica che, in numerosi settori essenziali per la salute, l'Italia e' tenuta ad  adeguarsi  alle  normative  progressivamente  adottate  a livello europeo,  in  genere tramite la cosiddetta procedura di co-decisione. Questo  e'  il  caso di una varieta' di norme fra le quali si possono citare,   a  titolo  di  esempio,  quelle  in  materia  di  sicurezza alimentare,  tutela  dell'inquinamento  dell'aria,  delle acque e del suolo, medicinali, trapianti di cellule e tessuti, sangue e tabacco.
 
 Non  bisogna  sottovalutare la valenza politica del rispetto anche delle  Raccomandazioni  internazionali  ed  il  fatto  che  eventuali conseguenze   negative   per   la   salute,   derivanti  dal  mancato trasferimento  nella  normativa  o  nella  pratica  di  uno Stato dei principi  e delle procedure previsti in una Raccomandazione approvata a livello internazionale dallo stesso Stato, potrebbero consentire ai cittadini  danneggiati  di  citare  l'Amministrazione  competente per ottenere un risarcimento del danno.
 
 Anche   per   alcune  organizzazioni  internazionali  non  mancano fattispecie  specifiche  per le quali lo statuto conferisce il potere di  adottare  normative  vincolanti.  Ad esempio, l'OMS puo' adottare normative   vincolanti  in  materia  di  requisiti  di  igiene  e  di quarantena  e  di  altre  procedure  intese a prevenire la diffusione delle   malattie  fra  gli  Stati  membri.  In  tal  senso  opera  il Regolamento sanitario Internazionale adottato dall'Assemblea Mondiale della Sanita' il 24 maggio 2005.
 
 Fra  le  priorita'  delle  Organizzazioni  citate, quelle dell'OMS riguardano,   tra  l'altro,  il  tabagismo,  l'alcolismo,  la  salute mentale,  la  nutrizione  e  la sicurezza alimentare, la formazione e l'adeguamento  delle risorse umane per la salute, nonche' lo sviluppo di  strategie  e  pratiche ottimali da adottarsi per il miglioramento dell'ambiente  di  lavoro.  Inoltre,  l'OMS  e l'Unione Europea hanno sviluppato  strategie  e piani di azione dedicati specificamente alla relazione  tra  ambiente  e  salute  con  particolare  riferimento ai bambini.   L'OMS   agisce,   peraltro,   anche   con  iniziative  che coinvolgono,  oltre ai Governi nazionali, gli Enti territoriali quali le Regioni e Comuni (vedere ad esempio la Rete Citta' Sane costituita da Enti Locali).
 
 L'impegno  dell'OCSE  nel settore salute e' andato crescendo negli ultimi anni: nel 2004, questa organizzazione ha ricevuto dai Ministri della  salute  degli  Stati membri il mandato di continuare il lavoro sullo   sviluppo  dei  dati  sanitari,  sul  sistema  della  gestione analitica   dei   servizi,   sullo  sviluppo  di  indicatori  per  la valutazione del funzionamento dei servizi sanitari, nella prospettiva di  fornire ai responsabili politici e amministrativi elementi per il miglioramento  dei  sistemi  sanitari. Una delle attivita' che l'OCSE sta  sviluppando  con  maggiore impegno riguarda la valutazione della qualita' dell'assistenza sanitaria.
 
 Il  Consiglio  d'Europa considera la salute nel particolare ambito dei   diritti  umani.  Le  principali  linee  strategiche  riguardano l'equita' di trattamento e di accesso ai servizi, la protezione delle categorie piu' deboli, la partecipazione del cittadino e la bioetica. I  temi  prioritari  sono  la  qualita'  dei  servizi  sanitari  e la sicurezza  dei  pazienti,  e, accanto ad essi, lo sviluppo di sistemi nazionali  di notifica degli incidenti, la piattaforma internazionale per  lo  scambio  di  informazioni  ed  esperienze, la formazione del personale,  la  gestione delle liste di attesa, la partecipazione del cittadino,  la promozione della salute, la sicurezza di trasfusioni e trapianti,  gli  aspetti  etici  connessi  alle  nuove  tecnologie  e possibilita'  diagnostiche  e  le  cure palliative. La stessa U.E. si impegna  ad  attuare  ogni  forma  di collaborazione con il Consiglio d'Europa  e  con  l'OCSE  (artt.  303  e  304 del Trattato istitutivo dell'Unione Europea).
 2.2. Il contesto istituzionale e normativo
 
 Il contesto istituzionale e normativo allo scadere del triennio di vigenza  del Piano sanitario nazionale 2003-2005 e' caratterizzato da alcuni  elementi  fondamentali  che costituiscono la cornice entro la quale  si va a dispiegare la progettualita' del nuovo Piano sanitario nazionale.
 
 Il Piano sanitario nazionale 2006-2008 non puo' che partire da una analisi  degli elementi che ne costituiscono il contesto: la modifica del  Titolo  V  della  Costituzione  a seguito dell'entrata in vigore della  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e la individuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza con il d.P.C.M. 29 novembre 2001 e successive integrazioni.
 
 L'articolo  117,  comma  2  lettera  m), a seguito delle modifiche apportate  al  Titolo V della Costituzione per opera della legge n. 3 del  18  ottobre  2001,  ha  posto  in  capo  allo  Stato la potesta' esclusiva   nella   "determinazione   dei  livelli  essenziali  delle prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale" e la definizione dei principi fondamentali in materia, da adottarsi con legge nazionale.
 
 Alle   Regioni   e'   affidata   invece  la  potesta'  legislativa concorrente  in  materia di: "tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro, professioni, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione,   alimentazione,  ordinamento  sportivo,  previdenza complementare  e  integrativa,  armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento  della  finanza  pubblica e del sistema tributario". Il legislatore costituzionale ha posto con grande chiarezza in capo allo Stato la responsabilita' di assicurare a tutti i cittadini il diritto alla  salute  mediante  un  forte  sistema  di garanzie, attraverso i Livelli  Essenziali  di  Assistenza  e nello stesso tempo ha affidato alle  Regioni  la  responsabilita'  diretta  della  realizzazione del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese.
 
 La  competenza  generale  e  residuale,  nell'attuazione  di  tali garanzie, spetta alle Regioni e agli Enti locali. Alla base di questa scelta  vi  e'  il  "principio di sussidiarieta'" costituzionale, che vede  la necessita' di porre le decisioni il piu' possibile vicino al luogo  in cui nasce il bisogno e quindi al cittadino e alla comunita' locale.
 
 L'esigenza  di  garanzia  dei  Livelli  Essenziali,  postulata dal legislatore richiede altresi' che sia stabilito un serio raccordo tra livelli essenziali e sistema reale di perequazione finanziaria, dando attuazione agli articoli 119 e 120 della Costituzione.
 
 Con  queste  indicazioni  costituzionali al Governo e alle Regioni sono  affidati compiti tassativi, riconducibili all'individuazione di meccanismi  di  garanzia  di  tutela della salute per il cittadino in tutto il Paese in un'ottica di universalismo ed equita' di accesso.
 
 Il   Piano  sanitario  nazionale,  in  un  quadro  di  federalismo sanitario,  assume  quindi la necessita' di definire un nuovo "grande sistema   sanitario"  nel  quale  non  esiste  piu'  un  solo  attore istituzionale,  ma  numerosi soggetti di governo, posti in un sistema sussidiario  sia  in termini verticali che orizzontali, che esprimono diverse  e  differenti matrici di responsabilita'. Il Piano sviluppa, altresi', il tema delle modalita' di attuazione delle relazioni tra i soggetti istituzionalmente legittimati nella definizioni di politiche sanitarie  in  relazione agli obiettivi generali del Piano stesso e a quelli individuati nelle politiche regionali per la salute.
 
 Il  Piano  Sanitario 2006 2008 pone, quindi, l'attenzione piu' che sulle  competenze  di ciascun livello di responsabilita' del sistema, sulla  capacita'  di  instaurare  sinergie,  integrazioni  e corrette relazioni.
 
 L'esperienza di questi ultimi anni, dopo le modifiche apportate al Titolo  V  della Costituzione ha evidenziato la necessita' di trovare una   condivisione,   un  nuovo  approccio  alle  problematiche,  una cooperazione  sinergica  in  cui  i due principali attori del sistema uniscano  le  loro  potenzialita', nel reciproco rispetto delle nuove competenze,  per  garantire  che  il Servizio sanitario nazionale sia sempre in grado di affrontare le problematiche nuove emergenti e dare risposte   adeguate   ai  cittadini  soprattutto  in  presenza  della necessita' di contenere le risorse.
 
 Nel  mutato  quadro  costituzionale  dei  rapporti  tra  Governo e Regioni  si  e' affermato, in questi anni, l'utilizzo dello strumento pattizio   degli   accordi   e  dell'intesa,  sanciti  in  Conferenza Stato-Regioni,  quale  modalita' nuova e sussidiaria per affrontare e risolvere  le  problematiche che vedevano coinvolti i diversi livelli di  governo  sui problemi in materia di tutela della salute. Il Piano assume  pertanto  tale  strumento  come  modalita'  di attuazione dei principi e obiettivi in esso determinati.
 
 In  questo  quadro  istituzionale  il  Piano  sanitario nazionale, strumento di governo e di indirizzo del Servizio sanitario nazionale, sceglie  di  porre  al centro dell'attenzione quale attore principale del sistema il cittadino e la garanzia del suo stato di salute.
 
 Mentre  il  precedente  Piano  era  stato  connotato  dall'accordo Stato-Regioni  dell'8  agosto  2001  in base al quale, a fronte di un finanziamento  maggiorato  per un triennio, le Regioni si impegnavano ad  erogare  una  serie  di  servizi  inclusi  nei cosiddetti Livelli Essenziali  di  Assistenza  (LEA),  il  nuovo Piano si sviluppa in un contesto delineato dall' Intesa Stato-Regioni 23 marzo 2005, ai sensi dell'articolo 1, comma 173 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
 
 L'Intesa  ha  come premessa la garanzia del rispetto del principio della  uniforme  erogazione  dei  Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni  di  appropriatezza,  di adeguato livello qualitativo e di efficienza,  coerentemente  con  le  risorse programmate del Servizio sanitario nazionale.
 
 Il  Piano  sanitario  nazionale  stabilisce  per  tutti i soggetti operanti,  gli  obiettivi  di  consolidamento  e  di rinnovamento del sistema,  nel  rispetto  dei criteri di fondo su cui basare la scelta degli  obiettivi, che devono essere capaci di garantire i diritti e i Livelli   Essenziali  di  Assistenza,  di  cogliere  le  opportunita' dell'innovazione   coerentemente   con   il  quadro  organizzativo  e concorrere  al  perseguimento  della  qualita'  del  sistema  nel suo complesso.  Tali  obiettivi  si  intendono  conseguibili nel rispetto dell'Intesa  Stato-Regioni  del  23  marzo  2005  e  nei limiti ed in coerenza con le risorse programmate nei documenti di finanza pubblica per il concorso dello Stato al finanziamento del SSN.
 
 Il   Piano   deve  anche  tenere  conto  oggi  di  una  necessaria impostazione  intersettoriale  delle  politiche  per  la tutela della salute.  Non  si  puo' piu' parlare di Sanita' in un contesto che non contempli  anche  le  politiche  sociali,  ambientali ed energetiche, quelle  del  lavoro,  della scuola e dell'istruzione, delle politiche agricole e di quelle produttive.
 
 Gli  scenari  propri  di  una  societa'  in  continua  e  profonda trasformazione  impongono  una rivisitazione e una ricollocazione del Servizio  sanitario  nazionale  in  termini di ruolo, di compiti e di rapporti con altri sistemi che interagiscono con esso nel determinare le    condizioni   di   salute   della   popolazione.   La   politica socio-sanitaria  del Paese deve integrarsi ed essere resa coerente al fine della promozione e tutela della salute collettiva ed individuale con  le  politiche  relative  allo  sviluppo  economico,  alla tutela dell'ambiente, all'urbanistica ed ai trasporti.
 
 A  tale  proposito  occorre  ricordare  che  il Servizio sanitario nazionale  e' un sistema eminentemente pubblico articolato in Aziende sanitarie.  Il carattere pubblicistico del servizio non e' ovviamente da  intendersi  in  termini di esclusivita' dell'offerta pubblica, in quanto  il privato ha un suo spazio rilevante, anche se differenziato tra  le  diverse  realta'  regionali, quanto piuttosto nella unicita' pubblica  nel  governo  delle regole e delle relazioni tra i soggetti del sistema.
 
 Le  caratteristiche  di  pluralismo istituzionale e sociale che le scelte programmatiche intersettoriali rivestono, promuovono quindi la opportunita'  di  dare  impulso  al  processo normativo regionale per l'istituzione  e  la  valorizzazione  delle  sedi  di  confronto e di corresponsabilizzazione   delle  Autonomie  locali  nel  governo  del sistema.
 2.3. I diritti dei cittadini: la centralita' dei LEA
 
 Con  il  d.P.C.M.  29  novembre 2001 sono stati definiti i Livelli Essenziali   di  Assistenza  Sanitaria,  individuati  in  termini  di prestazioni e servizi da erogare ai cittadini, introducendo accanto a liste  positive  di  prestazioni,  anche  liste  negative  per quelle prestazioni  escluse dai Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria e per  quelle  parzialmente  escluse  in  quanto erogabili solo secondo specifiche   indicazioni   cliniche.   Il   compito   di   aggiornare progressivamente  l'insieme dei servizi e delle prestazioni erogabili alla  luce  dei  fattori  scientifici, tecnologici ed economici ed in relazione  alle  risorse definite, e' stato affidato alla Commissione nazionale per la definizione e l'aggiornamento dei livelli essenziali di  assistenza,  istituita  dalla  legge  15 giugno 2002, n. 112. Nel corso  dei  suoi  lavori,  la Commissione, composta paritariamente da esperti  di  designazione  ministeriale  e regionale, ha delineato un percorso   metodologico   che   indaga  sulla  effettiva  pertinenza, rilevanza,   efficacia,  equita'  e  compatibilita'  economica  delle attivita'  e delle prestazioni incluse o da includere nei livelli; la stessa Commissione si e' proposta, inoltre, di individuare principi e criteri  utili  a  specificare  l'effettivo  contenuto dei livelli di assistenza  garantiti ai cittadini, soprattutto nei settori in cui il d.P.C.M.  riporta  definizioni  eccessivamente  generiche o lacunose. L'esito  di questo lavoro consentira', da un lato, di individuare con piu'  chiarezza  l'esatta portata del diritto attribuito ai cittadini e, dall'altro, di meglio delineare i confini delle aree di competenza dello Stato e delle Regioni.
 
 Il  decreto ministeriale 12 dicembre 2001 "Sistema di garanzie per il  monitoraggio  dell'assistenza  sanitaria",  emanato  ai sensi del decreto  legislativo 18 febbraio 2000 n. 56 e attualmente in corso di aggiornamento,  individua  un  set  di  indicatori con cui monitorare l'assistenza erogata nelle varie Regioni, utilizzando le informazioni disponibili nell'ambito degli attuali flussi informativi esistenti ed integrandole con altre aggiuntive al fine di rappresentare importanti aspetti dell'assistenza sanitaria non valutabili con i dati correnti. Il  Tavolo  di monitoraggio dei LEA istituito secondo quanto previsto al   punto  15  dell'Accordo  Stato-Regioni  dell'8  agosto  2001  ha utilizzato   per   il  proprio  lavoro  una  parte  degli  indicatori individuati dal citato decreto, tenendo presente la reale fruibilita' degli  stessi  nella fase di avvio della rilevazione, con l'obiettivo di  ampliare il set di indicatori negli anni successivi. Il tavolo di monitoraggio  tuttavia  non  ha  potuto  effettuare  un'analisi sulla rilevazione  dei  costi in quanto non si e' raggiunta una convergenza di  opinioni  sull'analisi di appropriatezza necessaria per stabilire l'effettivo costo alle prestazioni erogate nell'ambito dei LEA.
 
 Dai  dati  rilevati si manifesta comunque una differenza nei costi regionali  dei singoli livelli di assistenza tale da sottolineare con evidenza  la  necessita'  di  promuovere  e  garantire  l'equita' del sistema,  intendendo  con  tale  termine  l'erogazione di cio' che e' necessario  garantendo  il superamento delle disuguaglianze sociali e territoriali.
 
 Il  tema  del  superamento  del  divario strutturale e qualitativo dell'offerta  sanitaria  tra le diverse realta' regionali rappresenta ancora  un asse prioritario nella programmazione sanitaria nazionale. Cio'  e' confermato dal persistere di fenomeni di mobilita' sanitaria che non riguardano solo le alte specialita'.
 
 Il   divario   e'  prevalentemente  registrabile  tra  le  Regioni meridionali  e  quelle  del centro nord, anche se pure all'interno di queste  ultime persistono aree disagiate sotto il profilo dei servizi sanitari disponibili.
 
 La  garanzia  dei Livelli Essenziali di Assistenza assume cosi' un ruolo  centrale  di  contesto nel Piano Sanitario. In questo senso il Piano  deve  prevedere  le  modalita'  con  cui il sistema si dota di strumenti   valutativi   che   rilevino   le   disomogeneita'   e  le disuguaglianze  della  domanda  e  dell'offerta,  tenendo conto delle differenze  della  struttura  demografica, sociale ed economica della popolazione  di  ciascuna  regione e dell'effetto che tale differenza induce sul versante della domanda.
 2.4.   Il   quadro   epidemiologico:  l'evoluzione  demografica  e l'evoluzione dei bisogni
 
 Il  quadro  epidemiologico e demografico nel quale si inserisce il PSN e' caratterizzato da modifiche assai rilevanti.
 
 L'aumento della speranza di vita alla nascita e' ormai consolidata nel nostro paese: attualmente per le donne siamo oltre gli 82,9 anni. Questo  comporta  un  aumento notevole della popolazione anziana che, pero',  non  si  distribuisce  omogeneamente  in tutte le Regioni con conseguenti  differenti  necessita'  di  modulazione dell'offerta dei servizi sanitari.
 
 Previsioni  demografiche  attendibili mostrano un continuo aumento del  numero  delle  persone  anziane  (ultra-65enni)  e molto anziane (ultra-85enni).
 
 Di  contro  in  Italia,  come  in molti paesi a economia avanzata, abbiamo  assistito  in  questi ultimi anni ad una diminuzione marcata della  natalita': attualmente il numero medio di figli per donna, nel nostro paese, e' di 1,2, un dato tra i piu' bassi nel mondo.
 
 Appare  evidente  che  tali  modifiche  demografiche  incidono nel determinare  i  bisogni  sanitari  perche'  il  quadro epidemiologico conseguente  vede  il prevalere di alcune tipologie di malattie quali quelle  cronico degenerative, cardiovascolari, tumori, altre malattie dell'invecchiamento  e  legate  alle  condizioni socio-economiche. Le priorita'  del  Piano  sanitario nazionale discendono dai problemi di salute  del  Paese,  con  particolare  riferimento al consolidarsi di elementi di cronicita', all'aumentata capacita' del sistema sanitario di   garantire   il   prolungamento  della  vita  anche  in  fase  di post-acuzie,   anche   per   effetto  dello  straordinario  progresso tecnologico  e  scientifico  (introduzione  di  nuovi farmaci e nuove tecnologie).
 
 Cresce  il  numero  dei  soggetti  che richiedono un alto grado di protezione  socio-sanitaria:  emergono  nuovi  bisogni  a cavallo fra sociale  e  sanitario  in  relazione all'evoluzione socio-economica e all'incremento  della  immigrazione  e della mobilita' generale della popolazione.
 La speranza di vita alla nascita
 
 L'aumento della speranza di vita alla nascita costituisce un trend storico  consolidato  nel  nostro Paese che prosegue tuttora, sia per gli uomini che per le donne. Per il genere maschile essa e' cresciuta da 76,7 anni del 2001 a 76,9 anni del 2003; anche la vita media delle donne,  sempre  maggiore  di  quella  degli uomini, sta ulteriormente aumentando:  da  82,7 anni del 2001 a 82,9 del 2003. La differenza di genere,  a  favore delle donne, permane e si attesta da tempo intorno ai 6 anni.
 
 Le  Regioni  piu' longeve tra gli uomini sono l'Umbria e le Marche (speranza di vita oltre i 78 anni); tra le donne ancora l'Umbria e le Marche e la Provincia di Trento (speranza di vita oltre gli 84 anni). La  speranza  di  vita alla nascita e' determinante della definizione dell'eta' in cui un soggetto puo' definirsi "anziano" e gli sforzi di assistenza  e  cura  vanno certamente concentrati sui soggetti la cui attesa  di vita e' di 10 anni. Sono certamente questi soggetti quelli che andrebbero assistiti per l'instaurarsi di patologie multiple, del rischio dei colpi di calore, etc.
 La struttura per eta'
 
 Nel  2004  quasi  un  italiano  su  cinque  aveva  piu' di 65 anni (19,2%),  due  terzi avevano tra 15 e 64 anni (66,6%) mentre solo uno su sette aveva meno di 15 anni (14,2%). Le Regioni in cui e' maggiore la proporzione di anziani sono la Liguria (26,2%) e l'Umbria (23,1%); viceversa,  le  Regioni  in  cui  piu'  alta  e'  la  proporzione  di giovanissimi,  al  di  sotto  di  15 anni, sono la Campania (18%), la Provincia di Bolzano (17,1%) e la Sicilia (16,7%).
 
 Il   continuo   e  progressivo  invecchiamento  della  popolazione italiana e' espresso dall'andamento dei vari indici strutturali della popolazione, a partire dal cosiddetto "indice di vecchiaia", dato dal rapporto  percentuale  tra  la  popolazione  di  65  anni e piu' e la popolazione di 0- 14 anni, che si e' incrementato da 130,3 del 2002 a 135,4  del 2004; nel 2004 sono solo due le Regioni in cui l'indice di vecchiaia  e'  inferiore  a  100  (ovvero  il numero dei giovanissimi supera  quello  degli  anziani):  la Provincia di Bolzano (93,8) e la Campania (81,9).
 
 E'  interessante  inoltre  considerare  il  cosiddetto  indice  di dipendenza    strutturale    (rapporto   tra   la   popolazione   non attiva-giovanissima e anziana- e la popolazione in eta' attiva, da 15 a  64  anni),  che  e' intorno al 50%, ed e' in continua crescita (da 49,1%  nel  2002  a  50,2%  nel  2004).  Nell'ambito  del progressivo invecchiamento,  merita  attenzione  l'andamento crescente del numero delle   persone   ultra-anziane  (di  99  anni  ed  oltre)  che  sono quintuplicate in venti anni (da circa 2000 nel 1981 a oltre 11000 nel 2001);   a  fronte  di  questo  notevole  aumento  della  popolazione ultra-anziana, la sua mortalita' cresce piu' lentamente.
 Previsioni demografiche
 
 Previsioni  demografiche  attendibili mostrano un continuo aumento del  numero delle persone anziane e molto anziane; in particolare, si stima  che  le  persone ultra-65enni passeranno da circa 10 milioni e mezzo  del 2001 a oltre 12 milioni nel 2011; in questo stesso arco di tempo si stima che il numero degli ultra-75enni cresca da 4 milioni e seicentomila circa ad oltre 6 milioni; si stima altresi' che anche il numero  delle  persone  molto  anziane  (ultra 85-enni) nell'arco dei dieci  anni  crescera' da 1 milione e duecentocinquantamila circa del 2001 ad 1 milione e settecentomila circa del 2011.
 La natalita'
 
 In  Italia, negli ultimi 40 anni si sono verificati, come in molti paesi  a  economia  avanzata,  notevoli  cambiamenti  nell'area della salute  riproduttiva.  Rispetto  al passato la natalita' e' diminuita drasticamente  con  l'aumento dell'eta' media delle primipare a oltre 28  anni. Il numero medio di figli per donna, nel nostro paese, e' di 1,2.  Un  dato  tra  i  piu' bassi nel mondo (dove la media e' 2,8 ma arriva a 5,4 nei paesi meno sviluppati) e anche in Europa.
 
 In  questi  recenti anni si sta assistendo ad un lieve ma costante incremento  delle  nascite,  attestato  nel  2004  sul 9,7 per mille; questo  fenomeno  e'  prevalentemente  dovuto alla nascita nel nostro Paese  di  bambini  stranieri  (l'incidenza  delle  nascite  di bimbi stranieri  sul  totale dei nati nella popolazione residente in Italia e' piu' che raddoppiata negli ultimi 5 anni, dal 3,9% del 1999 a 8,6% del  2004).  Il  tasso  di  natalita'  non  e'  uniforme  su tutto il territorio nazionale, varia da 7,6 nati per mille abitanti in Liguria a  11,5  nella  Provincia  di  Bolzano.  Sul fronte della mortalita', l'Italia  si  attesta a uno dei livelli piu' bassi in Europa, con 3,7 per mille nati morti contro una media europea di 4,5.
 Il quadro epidemiologico
 
 Le  evidenti  caratteristiche  dell'Italia  quali l'invecchiamento della popolazione, la ridotta natalita', la necessita' di controllare eventi  infettivi  prevenibili  con apposite strategie, indicano come prioritarie  le aree delle malattie cardiovascolari (principale causa di  morte e di consumo di risorse sanitarie), dei tumori (prima causa di   anni   di   vita   potenziale   persi),   delle  altre  malattie dell'invecchiamento, dell'infanzia.
 
 1.  Il  carico delle malattie cardiovascolari in Italia e' da anni uno  dei  piu' pesanti. La frequenza di nuovi eventi coronarici nella fascia  di eta' 35-69 anni e' di 5,7 per 1000 per anno negli uomini e di 1,7 per 1000 per anno nelle donne. Per gli eventi cerebrovascolari l'incidenza  e'  di  2,3  per 1000 per anno negli uomini e di 1.4 per 1000   per   anno  nelle  donne.  Gli  indicatori  disponibili  sono: mortalita'  (233.500  decessi  per anno), dimissioni ospedaliere (nel 2001  ci  sono  stati  102.210  ricoveri  ospedalieri per infarto del miocardio,  la spesa per gli interventi cardiochirurgici e' stimabile in  circa  650  milioni  di  Euro  e tocca, da sola, l'1% della spesa sanitaria),  pensioni  di invalidita' (31,2% dei motivi sono malattie cardiovascolari),   spesa   farmaceutica   (i   farmaci  del  sistema cardiovascolare  da  soli  assorbono circa la meta' dell'intera spesa farmaceutica).
 
 2. Una trattazione a parte merita il diabete mellito che in Italia colpisce  circa  2  milioni  di  persone.  I  risultati  dello studio nazionale (ISS, QUADRI) su un campione di popolazione tra i 18 e i 64 anni  mostrano che nel 28% la diagnosi di diabete e' stata effettuata prima  dei  40  anni.  Il  30% dei pazienti ha sofferto di almeno una complicanza;  le piu' frequenti sono la retinopatia diabetica (19%) e la cardiopatia ischemica (13%). Solo il 28% del campione ha un indice di  massa  corporea normale; il 40% e' in sovrappeso mentre gli obesi sono  il  32%.  Il  27%  del  campione  in  studio  non svolge alcuna attivita' fisica.
 
 3.  Ogni  anno in Italia si registrano ancora circa 240 mila nuovi casi  di  tumore  e  140 mila sono i decessi (il 28% della mortalita' complessiva).  Ci  sono,  dunque, quasi un milione e mezzo di persone affette  da  tumore,  fra  pazienti  guariti,  nuovi casi e quelli in trattamento.  L'incidenza  di queste patologie e' in costante aumento per  l'invecchiamento della popolazione e per l'esposizione a fattori di  rischio noti e non noti e a sostanze cancerogene, come il fumo di sigaretta,  e  alcuni inquinanti ambientali. Si stima che nel 2010 vi saranno  circa  270  mila  nuovi  casi  di tumore all'anno e 145 mila decessi. Nei dati dei Registri Tumore italiani, il tumore del polmone e' quello con il massimo livello di incidenza, seguono i tumori della mammella, del colon-retto e dello stomaco.
 
 La   distribuzione   del   cancro   in  Italia  e'  caratterizzata dall'elevata  differenza di incidenza e di mortalita' fra grandi aree del  Paese,  in  particolare fra nord, dove e' maggiore il rischio di ammalare, e il sud.
 
 Le  probabilita' di sopravvivenza a 5 anni, calcolata sui pazienti diagnosticati  negli  anni  1986-89,  sono  complessivamente del 39%: uguali  alla media europea per gli uomini e leggermente superiori per le donne. La proporzione dei malati che guariscono e' in aumento. Tra i  pazienti diagnosticati nel 1987-89, si stima che la proporzione di coloro  che  possono ritenersi guariti sia del 25% negli uomini e del 38%   nelle   donne.   Tale  proporzione  era  del  21%  e  del  29%, rispettivamente,  nel  periodo di diagnosi 1978-80. La differenza tra sessi   e'  dovuta  soprattutto  alla  minore  letalita'  dei  tumori specifici della popolazione femminile.
 
 4.  Il  3%  delle  donne  ed il 2% degli uomini da 65 a 69 anni ha bisogno  di  assistenza  quotidiana:  questa  percentuale sale al 25% nelle donne sopra gli 80 anni ed al 18% negli uomini.
 
 La  prevalenza  di patologie croniche dell'anziano e' aumentata di circa  il 50% negli ultimi 10 anni. Le malattie della senescenza e le malattie  a  morbilita'  elevata per le quali esistono prospettive di prevenzione, trattamento o ritardo della comparsa e della disabilita' ad  esse correlate sono: osteoporosi, osteoartrosi, diabete, malattie cardiovascolari,  depressione,  malattia di Alzheimer; demenze, morbo di  Parkinson,  tumori  (seno,  cervice  uterina, colon-retto), BPCO, disabilita'  fisica, psichica e mentale. E' difficile fornire dati di frequenza  attendibili  su tali patologie, ma ad esempio sappiamo che la demenza e' una condizione che interessa dal 1 al 5 per cento della popolazione sopra i 65 anni di eta', con una prevalenza che raddoppia poi  ogni  quattro anni, giungendo quindi a una percentuale circa del 30 per cento all'eta' di 80 anni. In Italia si stimano circa 500 mila ammalati  di  malattia di Alzheimer. Uno studio recente indica che il 23% delle donne di oltre 40 anni e il 14% degli uomini con piu' di 60 anni  e'  affetto  da  osteoporosi  e nel rapporto OSMED 2004 risulta evidente un aumento dell'uso di farmaci per l'osteoporosi.
 
 Il   costo  dell'assistenza  aumenta  nel  tempo  ed  in  funzione dell'eta':  aumenta il numero di anziani "utenti" ed aumenta il costo sanitario  dell'utente,  il  consumo di soggetto con oltre 75 anni di eta' e' 11 volte maggiore di quello di un soggetto di eta' tra i 25 e i  34  anni  (rapporto  OSMED).  Il 92% degli anziani Veneti assumono farmaci  in maniera continuativa o ciclica (Studio Veneto MMG) contro il  79% degli anziani in Sardegna ed il 95% in Puglia (Studio Argento ISS).   Esistono   grandi   differenze  geografiche  ad  esempio,  la prevalenza  di  disabilita'  media  nei 65enni e' diversa nelle varie aree del Paese.
 
 Gli  anziani  sono  un  gruppo  a  rischio per la depressione e il suicidio  e ci sono buone evidenze che si possono prevenire e ridurre questi  problemi  con  l'esercizio  fisico,  il  ricorso  a gruppi di mutuo-aiuto,   alle   attivita'   di   socializzazione,  alle  visite domiciliari  da  parte  di  personale capace di riconoscere i bisogni socio-sanitari e di promuovere interventi relativi.
 
 5.  Il  miglioramento  delle  cure  perinatali,  negli  ultimi due decenni,  ha indotto una rilevante riduzione della morbilita' e della mortalita'  infantile,  soprattutto  per  quanto  riguarda il periodo neonatale.  Tuttavia,  la  situazione sociale ed economica nonche' le caratteristiche  dell'assistenza  sanitaria  sono  molto  disomogenee nelle  varie Regioni in cui persistono significative differenze nella disponibilita'   e  nella  effettiva  utilizzazione  dei  servizi  di prevenzione  e  nella  qualita' dell'assistenza perinatale. I dati di copertura   vaccinale  relativi  ai  bambini  con  malattie  croniche indicano  come  questi  gruppi, che dovrebbero essere particolarmente tutelati,  sono generalmente poco protetti. La percentuale di bambini "a rischio" vaccinati per influenza e pneumococco e' inferiore al 3%, mentre  quella  per  varicella e' inferiore all'1%. Per i bambini con patologie  di  base, la copertura vaccinale sia per influenza che per pneumococco  era  inferiore  al  10%.  E'  necessario  migliorare  la copertura  vaccinale  dei  bambini  con patologie di base, che sono a maggior rischio di complicanze.
 
 Il  quadro  demografico  del  nostro  Paese si caratterizza per un aumento  della  speranza di vita, per un aumento della proporzione di anziani  e  "grandi anziani" e per una lieve ripresa della natalita', da attribuire prevalentemente alla nascita di bimbi stranieri.
 2.5. L'evoluzione scientifica e tecnologica
 
 Attualmente  i  sistemi  sanitari devono far fronte ad una domanda crescente  di  forme  assistenziali innovative e ad elevato contenuto tecnologico,  generando  un'esigenza  di  equilibrio tra l'incremento della  tecnologia  e  i  bisogni  assistenziali  dei pazienti. Cosi', mentre  in  passato  le  politiche sanitarie erano, in prima istanza, concentrate sulla valutazione degli standard organizzativi e, solo in seconda  istanza,  sull'appropriatezza delle procedure diagnostiche e terapeutiche  e  sui  risultati finali degli interventi, oggi diviene sempre  piu'  importante orientare le stesse politiche verso esigenze assistenziali   piu'  complesse  e  focalizzate  all'efficacia  degli interventi,   oltre  alla  diffusione  di  prime  esperienze  attuate attraverso metodi e procedure dell'health technology assessment.
 
 Lo  sviluppo  dei  sistemi  sanitari  dipende,  tra l'altro, dalla capacita'    di   governare   l'ingresso   delle   nuove   tecnologie (attrezzature,  ICT,  biotecnologie  sanitarie) nella pratica clinica per  assicurare risultati positivi in termini di salute, in un quadro di   sostenibilita'   finanziaria,   equita'  ed  integrazione  degli interventi.  L'innovazione  tecnologia  assume,  dunque, una cruciale importanza  in  termini  di generatore di sviluppo per due principali ordini di motivi:
 
 - da  un  lato,  e'  considerata  generatore di efficienza per il sistema  sanitario  e  di  miglioramento  dell'offerta complessiva di prestazioni  per  il paziente, sia attraverso specifiche decisioni di politica   sanitaria   (es.  la  promozione  al  ricorso  delle  cure domiciliari  attraverso  modelli  alternativi  di  organizzazione del servizio   con   dispositivi   innovativi  di  tele-assistenza),  sia attraverso nuove procedure assistenziali che si servono di tecnologia innovativa  per  lo sviluppo di percorsi diagnostici e terapeutici di particolare efficacia in termini di outcome;
 - dall'altro,  e'  considerata fattore critico di successo per lo sviluppo economico del paese perche' generatore di nuovi impulsi, sia per l'ulteriore sviluppo della ricerca e della conoscenza, sia per il trasferimento  dell'innovazione stessa verso il mercato delle imprese tradizionali e/o innovative.
 
 In  tale  contesto il settore sanitario rappresenta un elemento di forte  impulso  dell'innovazione  tecnologica  attraverso la presenza combinata dei seguenti elementi:
 
 - una  rilevante  attivita'  di  ricerca  "sul campo" sia di tipo sperimentale che di tipo industriale;
 - la  creazione  di  un  indotto  di  imprese  ad  alto contenuto innovativo che si rivolgono all'utilizzo e all'introduzione estensiva di  nuove  tecnologie  sanitarie e di nuovi farmaci. Il conseguimento dell'introduzione  di  nuovi  farmaci e' reso possibile, tra l'altro, dall'applicazione  di  discipline alla base dell'innovazione quali le biotecnologie sanitarie.
 
 Nel  campo  delle  scienze  della vita e della biotecnologia e' in corso una rivoluzione che comporta un'apertura nei confronti di nuove applicazioni nel settore sanitario negli ambienti di vita di lavoro e di  ricerca  con un coinvolgimento globale. Le nuove conoscenze hanno originato   nuove  discipline  scientifiche  quali  la  genomica,  la bioinformatica,  l'applicazione  delle  quali  ha un impatto profondo sulla  societa' e sull'economia. Le potenzialita' delle biotecnologie coinvolgono  fortemente settori di attivita' connessi al mantenimento della  salute  umana  e,  nel complesso sistema di applicazione delle biotecnologie in continua evoluzione, vanno ricordate particolarmente quelle  applicate  al genoma umano. Questo settore e' quello che piu' invade  la  sfera  privata dell'uomo ma che ha prodotto nella terapia risultati  impensabili  prima  della  nascita delle nuove tecnologie, quali  la  terapia  genica  e  la  riproduzione di tessuti, e ci sono attese per la terapia personalizzata e la riproduzione di organi.
 2.6. Il contesto socio economico nazionale
 
 La  ricostruzione  del  contesto  socio  economico,  in  cui  va a collocarsi  la  programmazione  sanitaria  2006-2008,  non  puo'  che partire  dalla  presa  d'atto dell'indubbia fase di grave difficolta' che  l'Italia  si  trova  oggi  ad  affrontare.  In  un  contesto  di rallentamento  che  riguarda  certamente  l'Europa nel suo complesso, l'Italia cresce da diversi anni assai meno degli altri paesi europei. Il  Piano  sanitario  nazionale, dunque, si iscrive in una situazione economica  nella  quale  la prevista ripresa dell'economia del nostro Paese  non  si  e' ancora materializzata, anzi la tendenza a breve e' ancora  quella  di  una  crescita  molto  limitata, al di sotto delle previsioni e in, alcuni momenti, vicina a valori pari allo zero.
 
 Tuttavia  le  previsioni  a  medio  termine non possono non tenere conto della possibile ripresa dei paesi industrializzati che dovrebbe consolidarsi  nel  2007,  assestandosi  su  un  trend simile a quello registrato  negli  anni novanta e il completamento delle politiche di riforma  dei  mercati  dei  beni  e del lavoro favoriranno un maggior grado  di  flessibilita'  con  crescita  della  produttivita' e della competitivita'.
 
 Nel  Documento  di  programmazione  economica  e  finanziaria  che introduce  la  manovra di finanza pubblica 2006-2009 il Governo stima che  l'attuale  fase  di ristagno non durera' a lungo e quindi per il 2006  e  il  2007,  in  linea  con  la  Commissione europea e in modo prudenziale,   prevede  una  crescita  intorno  all'1,5%.  In  questa situazione,  un  primo  approccio  per  verificare  quali problemi al settore  sanitario  derivano  da  questa  situazione di contesto puo' consistere   nel   raffrontare  l'andamento  del  PIL  rispetto  alle disponibilita'   finanziarie   messe   a  disposizione  del  Servizio sanitario  nazionale e alla spesa sanitaria effettivamente registrata negli ultimi 5 anni.
 
 Raffronto tra Prodotto Interno Lordo, disponibilita'
 finanziarie per il S.S.N. e spesa del S.S.N.
 (variazioni percentuali annue)
 
 ===================================================================== ITALIA                    | 2001  | 2002  | 2003  | 2004  | 2005(§) ===================================================================== PIL reale                 |  1,8  |  0,4  |  0,3  |  1,2  |   0,0 PIL a prezzi correnti     |  4,5  |  3,4  |  3,2  |  3,9  |   4,6 Spesa effettiva del SSN   |  8,3  |  4,7  |  2,9  |  7,5  |   5,8 Costo effettivo del SSN   |       |  4,8  |  2,7  |  7,0  |   4,0 Finanziamento             |       |       |       |       | (fabbisogno) previsto     |       |       |       |       | per il SSN (*)            |  8,2  |  6,1  |  3,9  |  4,9  |   7,0
 (*)  Nel  triennio  2001  -  2003  non  sono stati considerati gli ulteriori 1.450 milioni previsti dalla norma di ripiano.
 (§)   I   valori   2005   sono  stimati  tranne  il  finanziamento (fabbisogno),   che   e'   quello   stabilito  dalla  legge  311/2004 (finanziaria 2005)
 Come  si  vede la dinamica di crescita della spesa sanitaria e del finanziamento  garantito  e'  fortemente  piu'  accelerata rispetto a quella del PIL.
 
 Di  fronte a questi dati un'analisi superficiale potrebbe spingere ad  orientare  la  valutazione  dell'impatto  che  il  contesto socio economico  potra' esercitare sull'organizzazione sanitaria solo verso la  tematica del contenimento dei costi dell'assistenza sanitaria per conseguire  una compatibilita' con la situazione economica del Paese. In  realta'  tale semplificazione sarebbe erronea in quanto non tiene conto degli elementi che vengono di seguito descritti.
 
 In  prima  approssimazione  si  puo'  fare  riferimento  ad alcuni principali aspetti:
 
 1.  sanita'  come "azienda" impegnata nella gestione di un numero rilevante  di risorse umane e di rapporti con un "indotto" formato da imprese  fornitrici, atto a garantire il funzionamento corrente delle strutture sanitarie;
 2.  sanita' come impulso alla realizzazione di infrastrutture sul territorio con una mobilitazione di risorse finanziarie considerevoli e  di soggetti imprenditoriali coinvolti nel processo attuativo degli investimenti strutturali;
 3.  sanita'  come creatore di nuovi soggetti economici, erogatori di  servizi  socio  sanitari  volti  alla  copertura  della crescente domanda  proveniente  dalle dinamiche demografiche legate all'aumento dell'eta'    media   e   dal   conseguente   incremento   della   non autosufficienza  e  della  dipendenza  a  livello  di territorio e di domicilio;
 4.  sanita'  come  settore di impulso all'innovazione tecnologica attraverso l'utilizzo di nuove pratiche assistenziali e tecnologiche, di   attrezzature  e  strutture  di  comunicazione  innovative  e  di telecomunicazione,  nonche'  attraverso lo sviluppo del settore delle biotecnologie sanitarie;
 5.  il settore salute come settore attivo nella valutazione degli effetti  sulla  popolazione  e sul territorio derivanti dall'adozione delle  altre  politiche  di  sviluppo  (i.e. industriale, ambientale, agricolo,  ecc) e dalle valutazioni di eventuali azioni correttive da porre  in  essere  allo  scopo  di  garantire  uno sviluppo economico equilibrato.
 
 Piu'  nel  dettaglio,  puo'  essere  richiamato  l'elemento che si riferisce  al  ruolo  complesso  che l'organizzazione sanitaria gioca rispetto  alle  influenze che il rapporto tra invecchiamento e salute avra'  sulla societa' e sull'economia. A breve termine infatti, cioe' fin  dai  prossimi  anni, si osservera' un invecchiamento progressivo della forza di lavoro, che sara' di dimensioni mai viste prima, anche se  moderate  dal  tentativo,  peraltro sempre piu' contrastato dalle politiche  previdenziali, di espulsione dal mercato dei lavoratori in esubero  piu'  anziani.  Questo fenomeno puo' avere delle conseguenze inedite   sulla   salute   e   sul  sistema  economico  generale  che occorrerebbe prendere in considerazione in modo tempestivo.
 
 La  prima  conseguenza  riguarda i riflessi negativi per la salute fisica  e  mentale  dettati  dalle  necessita'  che un lavoratore che invecchia ha di adattarsi ad un posto di lavoro e ad una mansione che sono   stati  progettati  per  una  forza  di  lavoro  piu'  giovane: l'ergonomia   e   l'organizzazione  del  lavoro  dovranno  tenere  in considerazione questa nuova esigenza se non vogliono compromettere le abilita'  lavorative  di  una  forza  lavoro  piu' anziana, fatto che potrebbe  far perdere produttivita', generare assenteismo e aumentare i  costi per l'assistenza sanitaria. Il secondo aspetto, correlato al precedente,  e' che il luogo di lavoro e' il contesto dove la persona puo'  imparare  con  piu'  facilita'  a  curare  le  proprie abilita' funzionali,  fisiche  cognitive e sociali, abilita' che costituiscono il  migliore  viatico  per  un  invecchiamento in salute: oggi questi obiettivi  di  promozione  della  salute attraverso l'educazione agli stili  di vita salutari e attraverso la pratica dell'esercizio fisico regolare non sono perseguiti nei luoghi di lavoro e si perde un'altra occasione preziosa per mantenere questa "work ability".
 
 Sempre sul versante sociale ed economico, ma piu' a medio termine, ci   si  puo'  attendere  che  il  progressivo  invecchiamento  della popolazione  cambi  radicalmente  la  domanda  di  beni e servizi. In particolare,  questo fenomeno influenzera' le professioni sanitarie e l'assistenza:  il  bisogno  di  maggiore  prossimita'  e  continuita' nell'assistenza   richiesto   dall'invecchiamento  della  popolazione imporra'  una  necessita'  di  piu'  infermieri  e  di piu' medici di medicina generale.
 
 Inoltre,  gli  investimenti per migliorare la salute degli anziani (la  cosiddetta "compression of morbidity") attraverso la prevenzione e  la  promozione  della salute sono assolutamente prioritari per gli effetti benefici sulla salute e sulla qualita' della vita.
 
 In  conclusione,  ci  si puo' attendere un aumento progressivo dei costi   di   assistenza   sanitaria   nei  prossimi  decenni,  legato all'invecchiamento,   solo  moderatamente  influenzabile  dai  flussi immigratori  di  popolazione  giovane  e dal successo degli eventuali sforzi di promozione della salute e di prevenzione sanitaria.
 
 Un   secondo   elemento  si  riferisce  al  fatto  che  la  salute rappresenta  il  risultato marginale (unintended effect) praticamente di  tutte  le  politiche e gli interventi che hanno a che fare con lo sviluppo;   tuttavia   di   questo   effetto   quasi   sempre  si  ha consapevolezza solo dopo l'adozione delle politiche stesse e, quindi, esso  non  viene  preso  in  considerazione  ne' in sede di scelta di decisione  preliminare  sul singolo intervento, ne' nella valutazione dei  costi e delle responsabilita' che essi comportano. Solo in campo ambientale  la  valutazione  dell'impatto  sulla  salute  dei diversi interventi  e'  stata  disciplinata  con  le procedure di Health Risk Assessment  nei  documenti di Valutazione d'Impatto Ambientale, anche se con un ruolo abbastanza ancillare. Nel resto dei campi interessati dalle  politiche  e  dagli  interventi  per lo sviluppo (occupazione, welfare,  urbanistica  e  infrastrutture,  educazione, tecnologia...) questi  effetti indesiderati sono quasi sempre ignorati e non servono ad indirizzare le scelte.
 
 L'esigenza  che  va  emergendo,  invece e' che nessun intervento o politica che superi una certa soglia di rilievo dovrebbe poter essere introdotta senza un adeguato Health Impact Assessment, per il quale a tutt'oggi soccorrono alcuni modelli che non sono ancora adeguatamente conosciuti, diffusi, sperimentati ed applicati.
 
 Un  terzo  elemento  e'  relativo al ruolo che la sanita' esercita come  moderatore  degli  effetti  connessi  alle  dinamiche  socio  - economiche  e demografiche. Molti degli effetti sulla salute generati dalle  politiche  e  dagli interventi correlati allo sviluppo possono essere  prevenuti,  contrastati o moderati con appropriati interventi da  parte  del  sistema sanitario. Adeguati interventi di sostegno ed assistenza  territoriale,  possono  evitare  gli effetti indesiderati della  disoccupazione  e della precarieta' che possono essere indotti da  interventi  di  riconversione  della struttura produttiva o della forza di lavoro. Tuttavia in questo ambito e' ancora poco consolidata la  conoscenza  sull'efficacia  di  questi interventi e sarebbe molto importante   far   crescere   un   patrimonio   di   "evidence  based intervention",  soprattutto  con  le componenti del sistema sanitario deputati alla prevenzione dell'assistenza.
 
 Il quarto elemento si riferisce alla capacita' che la sanita' puo' avere   di   generatore   di   effetti   diretti  sui  "fondamentali" dell'economia.  In  Italia  il settore della salute occupa il settimo posto per numero di addetti (1,2 milioni) e il terzo per valore della produzione.  Definire  i  confini  del  sistema sanitario, in termini produttivi, e' un'operazione in certo modo arbitraria, ma necessaria. 11   sistema  sanitario  produce  e  impiega  sia  beni  sia  servizi appartenenti     a     branche    produttive    diverse    -industria chimico-farmaceutica,   apparecchi  e  materiale  sanitario,  servizi sanitari  alle  persone e alla collettivita' la cui caratteristica e' di  produrre  beni  e  prestazioni  a contenuto sanitario. Il settore sanitario  contribuisce  alla  produzione nazionale per il 7,6%, agli investimenti  fissi lordi per 1'1,4% e alle esportazioni per 1'1%. La sua rilevanza e' superiore a quella dell'intera agricoltura (2,9% del Pil), del settore tessile e dell'abbigliamento (3,4%), dell'industria chimica (2,0%) e automobilistica (1,3%).
 
 L'aumento o la diminuzione della spesa sanitaria puo' avere quindi un  effetto  espansivo  o riduttivo sulla produzione nazionale, sulle importazioni,  sull'occupazione, sugli investimenti, sui redditi, sui profitti  e  sulle imposte. Tagli alla spesa sanitaria comportano con effetto moltiplicativo una perdita di posti di lavoro e un calo delle imposte   indirette.   Naturalmente,  anche  le  condizioni  generali dell'economia  nazionale  esercitano un'influenza diretta sul sistema sanitario.  Le  risorse  spendibili per la sanita' sono vincolate, in qualche  modo,  dalle dimensioni dell'economia e dalle fasi del ciclo economico.  In  particolare, si dovranno considerare politiche attive con  riferimento  all'influenza  esercitata dal settore sanitario sul mercato   del   lavoro,   finalizzate   agli   interventi   a  favore dell'occupazione,   ad  un  piu'  ampio  e  strutturato  processo  di formazione  delle  risorse  professionali in merito ai nuovi sviluppo del  settore  sanitario  (territorialita', continuita' assistenziale, introduzione  di  nuova  tecnologia  sanitaria,  ecc)  e  ad una piu' rilevante  circolazione  a  livello nazionale ed internazionale delle risorse professionali.
 
 Il  quinto  elemento tiene conto della sanita' come "induttore" di sviluppo economico attraverso i legami con altri settori industriali. La  sanita'  e'  oggi  annoverabile  tra  i principali settori per lo sviluppo  dell'economia. Questo non solo per il legame diretto con le principali determinanti dell'economia quali il mercato del lavoro, la politica  degli  investimenti, la politica della spesa, etc. ma anche perche'  oggi il settore sanitario crea impresa. E' stato dimostrato, infatti,   che  ogni  euro  speso  nell'acquisto  di  beni  intermedi necessari   a   produrre  prestazioni  sanitarie  (ad  es.  materiale diagnostico,  energia  elettrica),  propaga un impulso ai settori che forniscono  questi  beni,  che a loro volta generano una richiesta di forniture in altri comparti e cosi' via.
 
 Infine,   un   sesto   elemento   da   menzionarsi   nel  contesto socio-economico  e'  quello  relativo  al  ruolo che i soggetti della societa'  civile  sono  chiamati  a  giocare nell'ambito della tutela della  salute  e  del  sistema  integrato  dei  servizi  sociali,  in particolare  ci  si riferisce al Terzo settore, che possiamo definire quale  spazio sociale tra Stato e mercato, caratterizzato da soggetti privati,    dotati    di   diverso   grado   di   formalizzazione   e istituzionalizzazione,   tutti   tendenti  a  finalita'  di  pubblico interesse.  Si  tratta  di un settore misto collegato a tutti e tre i sottosistemi  della  societa' (Stato, mercato e sfera informale), che porta  le  istanze di partecipazione alla vita sociale del cittadino. In  senso  ampio  e'  costituito dai cittadini, dai nuclei familiari, dalle  forme  di  aiuto-aiuto  e  di reciprocita'; dai soggetti della solidarieta'   organizzata;  dalle  organizzazioni  sindacali;  dalle associazioni  sociali  e  di tutela degli utenti, dagli organismi non lucrativi  di  utilita'  sociale; dagli organismi della cooperazione; dalle associazioni e gli enti di promozione sociale; dalle fondazioni e  gli enti di patronato; dalle organizzazioni di volontariato; dagli enti  riconosciuti  delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi e intese.
 
 Va  evidenziato  il  ruolo innovatore che e' stato riconosciuto al c.d.  Terzo  settore  nell'impianto  normativo del Servizio sanitario nazionale.  Gli  obiettivi  di politica sanitaria e sociale, infatti, possono  essere  meglio  perseguiti  con il coinvolgimento di tutti i soggetti   della   comunita'   locale:   istituzionali,  sociali,  di volontariato,  dell'associazionismo, delle imprese sociali, del mondo produttivo.  Per  questo  la  concertazione  e'  vista  non solo come strategia   di  valorizzazione  dei  diversi  soggetti  attivi  nelle politiche sanitarie e sociali, ma anche e soprattutto come condizione strutturale    e   strategica   per   facilitare   l'incontro   delle responsabilita'  e  delle  risorse  disponibili  nel  territorio,  da investire nei traguardi definiti dalla programmazione.
 
 In  questo  quadro  non  si  puo'  dimenticare che il ruolo che la sanita'  gioca  nello  sviluppo del Paese va al di la' di una lettura meramente  economicista.  Cio'  che  la  sanita'  puo'  produrre,  se organizzata  in un sistema efficiente ed efficace in cui il cittadino e  le  istituzioni  locali  rivestono  un ruolo centrale, e' coesione sociale,  processi  di  identificazione  e  solidarieta',  adesione e condivisione  di  valori;  ed  e'  indubbio  che tale processo sia di fondamentale   importanza   nel  superamento  dei  periodi  di  crisi economico-sociali, in cui invece le spinte economiche inducono spesso fenomeni  di  disgregazione,  conflittualita' territoriale e sociale, indifferenza ai valori nazionali e dello Stato.
 2.7. Quali risorse per il Servizio sanitario nazionale
 
 La evoluzione dell'importo delle disponibilita' finanziarie per il servizio sanitario e' in continua progressione con un notevole sforzo sia  delle  Regioni  che  dello  Stato  che  a partire dal 2002 hanno concordato   per   un   triennio,   l'ammontare   delle  risorse  che complessivamente   sono   destinate   alla   erogazione  dei  livelli essenziali di assistenza.
 
 La  legge  finanziaria  2005  ha fissato, per il triennio 2005-07, l'importo  del finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Per il 2006,  primo  anno di vigenza del nuovo PSN, l'importo e' definito in 89.960   milioni  di  euro.  Le  risorse  disponibili  consentiranno, mediamente,  una  quota  capitaria  pari  a  circa  €.  1500,  mentre l'importo  complessivo  sara'  destinato in riferimento ai livelli di assistenza,  per  il  5%  alla  prevenzione,  il  44%  all'assistenza ospedaliera  ed  il  rimanente  51%  all'assistenza  distrettuale sul territorio.
 
 Nonostante   l'incremento   di   risorse   messe   a  disposizione dall'Accordo  dell'8 agosto 2001 e dalla legge finanziaria 2005 negli anni  dal  2001 al 2005 si sono verificati e continuano a verificarsi disavanzi,  al  cui  determinarsi  contribuiscono  due  tipologie  di elementi.   La   prima   riferibile  al  fatto  che,  per  quanto  il finanziamento  del  SSN  abbia raggiunto il 6,3% del PIL (nel 2000 si era   al   5,6%),   si  stanno  verificando  fenomeni  epocali  quali l'evoluzione    scientifica    e    tecnologica    della    medicina, l'invecchiamento  della  popolazione  (con  aumento  delle  patologie croniche),  l'aumentata  percezione  del  bene  salute  e  quindi  la crescente  richiesta  di  servizi, unitamente al fatto che negli anni passati  gli investimenti in prevenzione (vaccinazioni, lotta al fumo di tabacco, all'obesita' e al diabete, all'uso di alcool e di droghe, agli  incidenti domestici) sono stati scarsi, nonostante sia noto che essi  sono  quelli  con  il massimo ritorno in termini economici e di salute.
 
 La  seconda  relativa  alle modalita' gestionali attuate in alcune realta'  del  Paese.  Nonostante  gli  sforzi  fatti dalle Regioni in termini organizzativi e di recupero dell'efficienza si ritiene che le economie  conseguibili  su questi aspetti sono ancora cospicue. Se e' vero  infatti  che tutte le Regioni si sono impegnate negli anni piu' recenti  con  interventi  di  miglioramento,  e'  anche  vero  che il risultato e' stato diverso da Regione a Regione, per cui ancora molto si puo' fare.
 
 In  questa  situazione  e'  fondamentale,  se  si vuole evitare il tendenziale  riformarsi  di  un  cospicuo  disavanzo, accompagnare le eventuali  misure  di riadeguamento delle disponibilita' finanziarie, con  manovre  strutturali  in  modo  che  le  nuove  risorse  messe a disposizione  dallo Stato restino vincolate ai fondamentali obiettivi di miglioramento del Servizio sanitario nazionale e di recupero della sua  efficienza,  gia'  a  suo  tempo condivisi con le Regioni con la cosiddetta  Dichiarazione  congiunta  di Cernobbio che ha previsto il rilancio  della  prevenzione  primaria e secondaria, la ridefinizione delle  cure  primarie,  la  qualificazione  dei  percorsi diagnostico terapeutici secondo l'approccio della clinical governance.
 
 In  questo  quadro  e'  da  ritenersi  determinante che le risorse disponibili  per  il  triennio 2005 - 2007, tenendo conto della spesa effettivamente  sostenuta  nel  2004  e correggendo il tendenziale di spesa  2005, possano soddisfare le esigenze del Servizio sanitario in modo da:
 
 - finalizzare  il  maggior  finanziamento  alla  realizzazione di servizi  inclusi  nei  LEA, definendo contemporaneamente gli standard qualitativi e quantitativi dei LEA stessi;
 - evitare che la manovra tesa a recuperare il disavanzo derivante dallo  scarto  tra  il  finanziamento concesso e la spesa tendenziale prevista dalle Regioni (che potrebbe anche superare € 93.000 milioni) sia  aspecifica, cioe' non tenga conto che i fattori di splafonamento sono  diversamente  distribuiti tra le Regioni e che quindi le misure correttive vanno adattate alle singole Regioni interessate;
 - realizzare,   nei   confronti  delle  Regioni  che  manifestano rilevanti  difficolta'  nel  mantenere  l'equilibrio  di  bilancio  e nell'assicurare  l'erogazione delle prestazioni comprese nei LEA, una adeguata  opera di affiancamento per aiutarle a recuperare efficienza e capacita' realizzativa.
 2.8. Gli strumenti della programmazione
 
 La  programmazione  sanitaria  nazionale,  nel  contesto del Piano sanitario  nazionale  si misura con almeno tre ordini di questioni: i contenuti,   la  "governance",  il  rapporto  con  la  programmazione regionale.
 
 Per  quanto  attiene  all'individuazione  degli  obiettivi e delle priorita'  del  Piano sanitario nazionale si deve in primo luogo fare riferimento  al  quadro  dei  principi  a  cui  il Servizio sanitario nazionale ed i singoli sistemi sanitari regionali fanno riferimento.
 
 Anche  questo  e'  uno  dei passaggi che consente di dare valore e sostanza  al  carattere  nazionale  del  Servizio  Sanitario, laddove individua   finalita'   condivise   e   fatte  proprie  dai  soggetti istituzionali del sistema.
 
 In questa ottica non si puo' dimenticare che:
 
 - la  definizione  degli obiettivi di salute non puo' prescindere dalla enunciazione dei valori fondamentali a cui essi debbono rifarsi e cioe':
 - la salute come diritto umano fondamentale;
 - l'equita' nella salute e la solidarieta' nell'azione per il suo conseguimento;
 - la  partecipazione  e la responsabilita' da parte di individui, gruppi,  istituzioni  e  comunita'  per lo protezione e la promozione della salute;
 - le  priorita'  del  Piano  sanitario  nazionale  discendono dai problemi  di  salute  del Paese, caratterizzati fortemente dal mutare del quadro demografico ed epidemiologico.
 
 Per  quanto riguarda il rapporto tra la programmazione nazionale e la "governance" del Servizio sanitario nazionale, cioe' il livello di responsabilita'  cui  la programmazione deve essere ricondotta, nella sede  della  Conferenza  Stato-Regioni  sono state sperimentate nuove modalita'  di  concertazione, che hanno, nel corso degli ultimi anni, consolidato   un  percorso  nel  rispetto  del  principio  di  "leale collaborazione".
 
 Quanto  al  rapporto tra programmazione nazionale e programmazione regionale  si  sottolinea  come  tutte  le Regioni dovrebbero nutrire interesse  nei confronti del programma di lavoro delineato dal Piano, volto  ad affrontare i problemi del SSN e a promuoverne l'evoluzione, sulla  base  della  constatazione  che lo sviluppo dei propri servizi sanitari  dipende  anche  da  quello del SSN nel suo complesso, cosi' come  i  problemi  dei  Servizi  sanitari  di alcune Regioni ricadono direttamente  o indirettamente su quelli di altre. In questo contesto le Regioni contribuiscono alla programmazione nazionale, contribuendo altresi'  ad  un  piu'  corretto rapporto tra il SSN e le sue singole parti.
 
 Tenendo   conto  delle  considerazioni  riportate  occorre  tenere presente  che  il  PSN  non  e' l'unico strumento di attuazione della programmazione nazionale e che anzi esso deve costituire strumento di riferimento  di  carattere  generale per iniziative programmatiche da attuarsi  nel  triennio  attraverso  una  forte  sinergia tra Stato e Regioni.
 
 A  tale  proposito  si  fa  presente  che  nel contesto attuale di programmazione  non  puo'  non  tenersi  conto  di nuovi strumenti di programmazione concertata, che, nel corso degli anni, sono assurti al ruolo di strumenti sussidiari e a volte principali di programmazione, anche alla luce dell'evoluzione del rapporto Stato-Regioni.
 
 Tra  gli  strumenti  di  programmazione  che si possono annoverare oltre  al Piano sanitario nazionale, vi sono le leggi-quadro, i Piani Nazionali  di settore (che intervengono sulle modalita' erogative dei livelli  essenziali  di  assistenza);  le  Intese istituzionali e gli Accordi  di  programma  (che  costituiscono  il quadro di riferimento degli  atti di programmazione negoziata che hanno luogo nella Regione o  Provincia  autonoma);  le  linee  guida, gli Accordi sanciti dalla Conferenza  Stato-Regioni e dalla Conferenza Unificata e da ultimo le Intese  tra  Stato  e Regioni, ai sensi della legge 5 giugno 2003, n. 131,   dirette   a   favorire   l'armonizzazione   delle   rispettive legislazioni   o   il  raggiungimento  di  posizioni  unitarie  o  il conseguimento di obiettivi comuni.
 2.9.  Il  rapporto  con i cicli programmatori precedenti e i Piani sanitari regionali
 
 Tradizionalmente  il Piano sanitario nazionale individua obiettivi di    carattere    generale,   distinguibili,   in   via   di   prima approssimazione,  come obiettivi di tipo organizzativo e obiettivi di "salute", che le Regioni sono invitate in qualche modo a recepire nei rispettivi  strumenti di programmazione. Con il Piano 2003-2005 si e' avuto una iniziale modifica di tale impostazione.
 
 Il   Piano  2003-2005  si  e'  posto  da  un  lato  come  conferma dell'impianto  universalistico  che, in applicazione dell'articolo 32 della   Costituzione,   ha  portato  alla  costruzione  del  Servizio sanitario   nazionale,   dall'altro   come  strumento  condiviso  per agevolare  il  passaggio  al  federalismo in campo sanitario, tenendo conto   del   nuovo  contesto  istituzionale,  ma  anche  del  quadro demografico ed epidemiologico nazionale.
 
 Nel   passaggio   dalla  "sanita'"  alla  "salute",  il  Piano  ha individuato  dieci  progetti per la strategia del cambiamento, avendo come riferimento prioritario la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza.  Il  Piano rimandava, in una ottica di collaborazione, ad accordi  successivi  la  individuazione  delle  aree di priorita' cui vincolare, anche, risorse specifiche.
 
 Con   l'Accordo  Stato-Regioni  del  24  luglio  2003  sono  state individuate   cinque   aree   prioritarie  di  applicazione  del  PSN precedente:
 
 - l'attuazione dei Livelli essenziali di assistenza;
 - le cure primarie;
 - la non autosufficienza;
 - i centri di eccellenza;
 - la   comunicazione  istituzionale  soprattutto  applicata  alla prevenzione.
 
 Sulla base di ulteriori riflessioni congiunte Stato-Regioni tenuto conto  degli obiettivi gia' concordati nel PSN 2003-2005, il Ministro della   salute   e   gli   Assessori  alla  Sanita'  hanno  convenuto nell'incontro  di  Cernobbio,  nell'aprile  2004 su "Sanita' futura", alcune principali linee di azione:
 
 1. Ottimizzare la domanda con le "Primary Care Clinics" (UTAP);
 2.  Misurare  gli  outcome e promuovere il governo clinico per la qualita';
 3. Educazione sanitaria, prevenzione primaria e diagnosi precoce;
 4. Centri di eccellenza clinica;
 5. Ricerca clinica.
 
 Nella  sua  applicazione  il  PSN  2003-2005  ha,  inoltre,  fatto emergere  la  necessita'  di procedere ad una "messa in ordine" degli elementi   fondamentali   del  S.S.N.,  attraverso  l'ampio  progetto collaborativo  Ministero-Regioni  denominato  Progetto  Mattoni. Tale progetto,  ancora  in  corso,  sta  consentendo di rivisitare 15 aree tematiche  di  fondamentale  importanza  sia  per  la  programmazione nazionale e regionale che per la tenuta del Nuovo Sistema Informativo Sanitario.
 
 La innovazione di tale impostazione avviata con il Piano 2003-2005 tiene  conto  del fatto che il Servizio sanitario nazionale non e' la semplice  sommatoria  dei  21  Servizi sanitari delle Regioni e delle Province  autonome,  ma  e' qualcosa di piu' e di diverso: un sistema esteso  su  tutto il territorio nazionale di tutela della salute, con un  corrispondente  livello  di  governo, con proprie regole e propri obiettivi.
 
 Contemporaneamente le Regioni dopo la Riforma Costituzionale hanno adottato  i  loro  piani sanitari che hanno alcuni aspetti di cornice comuni,  in  particolare  esplicitano  i  principi  di fondo ai quali intendono  ispirarsi  e  accompagnano le enunciazioni sugli obiettivi prioritari  per  il  triennio con scelte strategiche per raggiungerli (anche  se  le  indicazioni  operative  variano  molto  da  Regione a Regione).
 
 Le  linee  di  indirizzo  dei Piani sanitari delle diverse Regioni disegnano  scelte politiche di fondo, naturalmente diversificate, del governo  del  sistema-salute  regionale,  ma al tempo stesso mostrano strategie  generalmente condivise, quale quella del rafforzamento del rapporto   tra   ospedale   e  territorio,  riservando  finalmente  a quest'ultimo  un  ruolo  primario nel circuito dell'assistenza: dalle cure   a   domicilio   all'assistenza   ai   malati   terminali  alla lungodegenza, anche se con modalita' attuative diverse.
 
 E'  evidente che la logica di fondo e' la ricerca di strumenti che "difendano" il soggetto piu' fragile ma le scelte sono diverse. Da un lato   si  privilegia  la  costruzione  di  un  sistema  pubblico  di protezione;  dall'altro  si privilegia la liberta' di scelta, tramite una  contrattazione  di mercato, con regole predefinite (di servizi e controlli).
 
 I  Piani  sanitari  regionali  perseguono anche un'altra finalita' particolarmente      rilevante      nell'ambito      della      piena responsabilizzazione  delle Regioni sul piano finanziario: quella del controllo   della  spesa  sanitaria,  senza  limitare  i  servizi  ai cittadini.  L'esperienza  degli  ultimi  quattro  anni suggerisce una possibile  innovazione: il Piano sanitario nazionale si pone come uno strumento  di  lavoro  condiviso  volto  ad  affrontare i problemi di salute  del  Servizio sanitario nazionale, definendo le priorita', le collaborazioni con e tra i diversi organismi settoriali esistenti.
 
 3. L'EVOLUZIONE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE:
 LE STRATEGIE PER LO SVILUPPO
 3.1.   Il   Servizio  sanitario  nazionale:  principi  ispiratori, universalita' del Servizio, equita', cooperazione
 
 Principi ispiratori.
 
 Una    riflessione   sul   Servizio   sanitario   nazionale   deve necessariamente  partire  dalla  considerazione che vi e' un generale consenso  nel  Paese  a  mantenere  le  caratteristiche  fondamentali dell'attuale    Servizio   sanitario   nazionale,   in   particolare: universalita',  sostanziale  gratuita'  per  l'accesso  a prestazioni appropriate uniformemente assicurate nel Paese, rispetto della libera scelta,   pluralismo  erogativo  basato  sul  ruolo  delle  strutture pubbliche, delle strutture private accreditate non profit e di quelle private accreditate profit.
 
 Il   Servizio   sanitario   nazionale   italiano   e'  un  sistema "universalistico",   rivolto   cioe'   a   tutta  la  popolazione  di riferimento  senza  distinzioni  di genere, residenza, eta', reddito, lavoro.  Il  PSN riafferma con energia, in quanto principio fondante, questo  valore,  a  volte dato quasi per scontato, ma che costituisce una  delle  variabili  piu'  importanti  nei  confronti  dei  sistemi sanitari  internazionali,  e  al  tempo  stesso  lo rende operativo e leggibile.
 
 Il PSN promuove, inoltre, l'equita' del sistema, da intendersi non come  capacita'  di  dare  tutto a tutti ma di assicurare cio' che e' necessario  garantendo  il superamento delle disuguaglianze sociali e territoriali.
 
 I  sistemi  sanitari  riflettono  le  disuguaglianze  della nostra societa',  derivanti dalle diverse condizioni socio-economiche e, per converso,   possono   risultare  strumento  per  il  contrasto  delle conseguenze  sulla  salute  di tali diverse condizioni. Per questo e' rilevante    perseguire    con   maggiore   incisivita'   l'obiettivo dell'equita'  e  dell'equilibrio  nella disponibilita' di risorse, in relazione ai bisogni di salute dei differenti contesti sociali.
 
 L'accessibilita'   deve   essere   garantita  per  l'attivita'  di prevenzione,  diagnosi,  cura e riabilitazione soprattutto alle fasce economicamente  piu'  deboli,  in  quanto  una  mancata previsione di erogazione ed una consequenziale espulsione del bisogno verso settori libero-professionali  a  pagamento, corrisponderebbero alla negazione del diritto alla tutela della salute. E' da valutare attentamente, in relazione  al  dispiegamento  dei  modelli  di  salute  regionali, la modalita'    attraverso    la   quale   e'   garantito   il   diritto all'accessibilita'   alle   fasce   socialmente,   economicamente   o culturalmente disagiate.
 Obiettivi.
 
 Il  PSN fa propri gli obiettivi di salute gia' individuati dal PSN 2003-2005  ed  in  particolare: la promozione della salute e la lotta alle  malattie trasmissibili, alle grandi patologie, al dolore e alla sofferenza  nei  percorsi di cura, l'umanizzazione dell'ospedale e le cure  palliative,  la  prevenzione  e  la  presa  in carico della non autosufficienza,  la  tutela  della  salute nelle prime fasi di vita, infanzia   e  adolescenza,  la  tutela  della  salute  mentale  e  la prevenzione e presa in carico delle dipendenze, la salute delle fasce sociali marginali.
 
 L'ipotesi  su  cui  si  regge  il nuovo Piano e' che i vincoli, ma anche   le  opportunita',  che  emergono  dall'analisi  dei  contesti condizioneranno  fortemente  il  modo  di essere del S.S.N. In questa situazione proprio la volonta' di salvaguardare le caratteristiche di fondo  del  Servizio  sanitario  nazionale  fa  nascere il bisogno di necessari adeguamenti rispetto ai nuovi scenari in cui e' chiamato ad operare. Senza tali adeguamenti la "forza delle cose" deformerebbe in maniera incontrollata il sistema.
 
 A  tal  fine si richiama quanto gia' evidenziato nel paragrafo 2.3 in  materia  di  superamento  del  divario  strutturale e qualitativo dell'offerta  sanitaria  tra le diverse realta' regionali, quale asse portante nella programmazione sanitaria regionale.
 
 Occorre  tener  presente  l'esigenza  di aggiustamenti strutturali dell'offerta.  In particolare a fronte delle nuove esigenze emergenti (innalzamento  dell'eta'  media  della  popolazione  e  necessita' di maggiori   risorse)   si   impone  una  ristrutturazione  della  rete ospedaliera   per  acuti  con  adeguati  investimenti  e  un  impegno contemporaneo di valorizzazione del territorio.
 
 Per   garantire   questo   adeguamento   e'   necessario   puntare contemporaneamente:
 
 - al miglioramento delle condizioni di salute;
 - alla razionalizzazione degli interventi;
 - all'implementazione di un processo di miglioramento qualitativo (anche sotto dei risultati di salute);
 - alla    razionalizzazione    delle    risorse   e   alla   loro rifinalizzazione piu' appropriata, coinvolgendo i cittadini e le reti di  cittadinanza  in  operazioni  di  governance creativa nelle quali cittadino,  associazioni  di  tutela e reti di cittadinanza divengano sponsor  e  attori  del  sistema  sanitario  nazionale  garantendo la partecipazione consapevole;
 - al  superamento del divario nell'offerta tra le diverse realta' regionali.
 
 Uno  degli  elementi  importanti  per  garantire  l'equita'  e' il governo  della  mobilita'.  Bisogna  prendere  atto della difficolta' legata alla diversita' di stato dell'arte dell'evoluzione dei diversi servizi  regionali: se infatti e' condiviso da tutte la necessita' di garantire livelli e qualita' delle cure ai propri cittadini, evitando discriminazioni  nell'accesso,  di  fatto  attualmente  non  tutte le Regioni  sono  in grado di rispondere allo stesso modo al bisogno del proprio  territorio  soprattutto  per quanto riguarda le piu' evolute risposte  tecnologiche  e  terapeutiche.  D'altra  parte  e' anche da evidenziare che, stante la disomogeneita' della popolazione residente nelle  diverse  Regioni,  non  e'  efficace  ed  efficiente  avere un approccio  del  "tutto  ad  ogni costo in ogni realta'": questo e' il caso  per  esempio della alta tecnologia che per garantire un livello di  qualita'  della  risposta  richiede  un  bacino di utenza a volte superiore  di  molto  a  un  milione di persone o, invece, della alta specializzazione   la   cui  qualita'  dell'offerta  e'  direttamente proporzionale al numero dei casi trattati. Nel periodo di vigenza del Piano  si  promuoveranno  nuove  forme  di  mutualita' reciproca e il governo della mobilita' non dimenticando il nuovo contesto europeo in cui si colloca l'Italia.
 
 Nel  periodo  di  vigenza  del  Piano  saranno  definite  regole e principi  di comportamento a livello nazionale che trovino attuazione attraverso  accordi  tra  le  Regioni  finalizzati  ad  ottimizzare e qualificare   le   prestazioni   di  alta  specialita'  e  promuovere l'autonomia regionale nella produzione di media - bassa complessita'.
 3.2. La garanzia e l'aggiornamento dei LEA
 
 La  prima linea di azione riguarda la prosecuzione del processo di attuazione   dei   Livelli   Essenziali  di  Assistenza  (LEA)  anche attraverso  un  perfezionamento  della  relativa  disciplina, volto a precisare il rapporto dialettico tra la uniforme garanzia dei servizi e  delle prestazioni assicurate a tutti i cittadini e la variabilita' applicativa regionale.
 
 In   questo   quadro  alcune  criticita'  in  materia  di  Livelli Essenziali di Assistenza impongono, nel triennio, di:
 
 - definire  e  specificare,  per quanto possibile, le prestazioni erogabili,  in  particolare  nelle  aree dell'assistenza territoriale domiciliare,   ambulatoriale,  residenziale  e  semiresidenziale;  un contributo  fondamentale  per  il  perseguimento  di questo obiettivo potrebbe  venire dalla contestuale definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale;
 - aggiornare   le   liste   delle   prestazioni   gia'  definite, inserendovi  le  prestazioni  innovative  sviluppate  nel corso degli ultimi anni, delle quali sia stata dimostrata l'efficacia clinica e/o l'economicita';
 - definire  le  condizioni di erogabilita' delle prestazioni che, piu'   frequentemente,  sono  oggetto  di  eccessiva  variabilita'  e inappropriatezza prescrittiva;
 - affermare   il   principio  che  la  garanzia  dei  livelli  di assistenza implica la garanzia dell'accessibilita' delle prestazioni, anche  nel  contesto  delle  isole  minori  e delle comunita' montane isolate,  come  previsto  dal  d.P.C.M.  di  definizione  dei Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria del 29 novembre 2001;
 - rilevare  le disomogeneita' e le disuguaglianze della domanda e dell'offerta,   tenendo   conto   delle  differenze  della  struttura demografica,  sociale  ed  economica  della  popolazione  di ciascuna regione  e dell'effetto che tale differenza induce sul versante della domanda e rimuovere i fattori che risultano di ostacolo all'esercizio del diritto ai livelli di assistenza a causa di:
 
 - carente  diffusione dei servizi sul territorio: in alcune aree del  territorio  nazionale  alcune  tipologie di servizi ed attivita' assistenziali presentano ancora una diffusione insufficiente rispetto alle  necessita'  della popolazione, in specie per quanto riguarda il livello  dell'assistenza  territoriale  domiciliare,  residenziale  e semiresidenziale;
 - onerosita'  della  quota  di  partecipazione  alla  spesa:  la disciplina  in  materia  di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie  e  delle  esenzioni, risalente agli anni 1993/1995, appare ormai  inadatta  a  selezionare  gli  assistiti  che hanno bisogno di un'agevolazione  di  natura  economica  per accedere alle prestazioni sanitarie;
 - disomogenea  distribuzione delle prestazioni specialistiche di alta  complessita'  nelle  diverse  aree  territoriali, cosi' come e' emerso  da  una analisi delle schede di dimissione ospedaliere che ha evidenziato  che  i  cittadini  residenti in alcune aree territoriali usufruiscono  di alcune prestazioni, sicuramente efficaci ed in grado di  incidere risolutivamente sulle specifiche condizioni patologiche, in   misura  significativamente  inferiore  dei  cittadini  residenti altrove;
 - liste  di  attesa:  l'erogazione delle prestazioni entro tempi appropriati  alle  necessita' di cura degli assistiti rappresenta una componente  strutturale  dei  livelli  essenziali  di assistenza. Per questo  motivo,  l'eccessiva  lunghezza  delle liste rappresenta, nei fatti,  la negazione del diritto dei cittadini ad accedere ai livelli essenziali.  La  soluzione  di  questo  problema  e'  particolarmente complessa  e  richiede  interventi  volti  sia alla razionalizzazione dell'offerta  di  prestazioni  sia alla qualificazione della domanda. Per  questi  aspetti  ci  si  atterra'  a  quanto  previsto dal Piano nazionale  per  il  contenimento  dei  tempi di attesa previsto dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266;
 
 - superare  il  divario  strutturale  e  qualitativo dell'offerta sanitaria  tra  le  diverse  realta'  regionali  anche  attraverso il completamento  del programma ex articolo 20 della legge 11 marzo 1988 n.  67,  che  proprio nelle Regioni meridionali fa registrare ritardi notevoli  rispetto  alla tempistica mediamente registrabile a livello nazionale.
 
 La  garanzia  dell'equita'  rende  necessario  che nel triennio di vigenza  del  PSN  si  individuino  regole condivise sia sul versante dell'offerta  (promovendo  l'omogeneizzazione in ambito nazionale dei livelli  di  garanzia  della qualita' dei servizi, dello sviluppo del sistema  informativo  del  SSN e tecnologie annesse, dei programmi di prevenzione e lotta alle malattie infettive vecchie e nuove), sia sul versante della domanda e delle condizioni di accesso (individuando le modalita'  per il governo della mobilita' interregionale, lo sviluppo della   comunicazione   e   della   partecipazione   dei   cittadini, l'omogeneizzazione  su  scala nazionale delle modalita' di accesso ai servizi, anche in riferimento al problema dei tempi di attesa).
 
 L'equita'   non   si   puo'   realizzare   senza   la   promozione dell'appropriatezza.   L'appropriatezza,   nei   suoi   due  classici significati di appropriatezza clinica delle prestazioni piu' efficaci a  fronte  del  bisogno  accertato e di appropriatezza come regime di erogazione della prestazione piu' efficace ma al tempo stesso a minor consumo  di  risorse,  e'  fortemente  relazionata alla capacita' del sistema di assicurare "equita'" di erogazione di prestazioni, perche' e'  evidente  che un sistema sottoposto ad una pressione eccessiva di domanda  non  valutata e potenzialmente inappropriata non e' in grado di  assicurare  a  tutti cio' che e' piu' necessario; al tempo stesso l'erogazione  di  prestazioni  in  regimi economicamente piu' costosi impedisce  la  finalizzazione  delle risorse verso le aree di maggior bisogno.
 3.3.  La  sanita'  italiana  in  Europa,  l'Europa  nella  sanita' italiana
 
 Per  quanto riguarda il contesto europeo, il livello di attenzione deve essere rivolto ai rapporti tra politiche europee e sistema della salute italiano, in relazione a tre aspetti principali:
 
 - la  dimensione  della  promozione  della  salute come affermata dall'  Unione  Europea  attraverso  piani e programmi a forte valenza intersettoriale;
 - gli  ambiti di armonizzazione su aspetti sanitari di competenza prevalentemente  nazionale  che  la  Commissione Europea promuove nel quadro delle politiche di sussidiarieta';
 - il  modello  di relazioni basato sull'impiego del metodo aperto di  coordinamento  per  la  tutela  e lo sviluppo della salute, della ricerca,   della   modernizzazione   e  diffusione  dei  processi  di informazione  e comunicazione interattiva anche in sede di formazione delle politiche comunitarie.
 
 Sotto  il  primo  aspetto,  anche  in carenza di specifici impegni derivanti  dal  Trattato, l'azione della Commissione Europea si muove nella   direzione   della   promozione  di  piani  e  programmi  (con particolare  riferimento  al  vigente Programma comunitario nel campo della  sanita'  pubblica 2003-2008 e allo schema di Programma Europeo di Salute Pubblica 2007-2013 proposto dalla Commissione e attualmente in discussione al Parlamento Europeo) a forte valenza intersettoriale attraverso   specifiche   azioni   di   incentivazione   mirate  alla cooperazione  delle  politiche  e  alla  realizzazione di piattaforme europee di informazione, di conoscenza, di servizio e di valutazione.
 
 Sotto  il  secondo  aspetto, vale rilevare le attivita' in corso a livello comunitario in materia di:
 
 - determinanti   di   salute  ivi  compreso  il  controllo  della sicurezza del ciclo alimentare;
 - controllo delle malattie trasmissibili;
 - mobilita'  dei cittadini europei con abilitazione all'accesso a prestazioni qualitativamente omogenee;
 - mobilita' degli operatori sanitari;
 - sviluppo dei Centri di riferimento europei;
 - sicurezza dei pazienti;
 - sviluppo della Societa' dell'informazione;
 - processi  di  integrazione tra ricerca per la salute, impresa e finanza, anche in relazione allo sviluppo della formazione avanzata e alle  modifiche  delle  modalita' di costituzione ed accesso ai Fondi Strutturali   per   lo   sviluppo   delle   piattaforme  tecnologiche interistituzionali e intersettoriali.
 
 Sotto  il terzo aspetto, il Piano deve tenere in particolare conto delle  indicazioni della Commissione Europea per l'integrazione delle politiche  socio-sanitarie. Il piano si deve sviluppare tenendo conto delle  tre  direttrici  innovative  su  cui  e' impostata la politica dell'Unione Europea per un profilo europeo dei sistemi di salute:
 
 - della "salute per tutti" con le sottospecifiche della copertura territoriale  e  dei  processi  di inclusione anche in relazione alla multiculturalita';
 - dello  sviluppo delle eccellenze sia per il miglioramento dello stato  di salute delle popolazioni europee, che per la valorizzazione dello know-how;
 - valorizzazione   delle  soluzioni  integrate  con  sviluppo  di processi di analisi, modellizzazione e valutazione di impatto al fine di  promuovere il trasferimento delle migliori pratiche europee in un quadro di sostenibilita' economica.
 
 Alla  luce  dei  punti sopra esposti, il Piano sanitario nazionale persegue  gli  obiettivi  sanitari  previsti  nel  vigente  Programma Comunitario nel campo della sanita' pubblica (2003-2008) attuando, in tal modo, il necessario coordinamento dei piani sanitari regionali, e si  ancora  agli sviluppi normativi comunitari che in una varieta' di settori   (quali   alimenti,   medicinali,   trapianti,  inquinamento ambientale,  tutela  delle  acque,  etc) definiscono periodicamente i nuovi  quadri  di  riferimento che le Regioni sono tenute ad attuare, ove  necessario,  previo recepimento delle normative in questione nel diritto nazionale.
 
 Le priorita' all'esame sono le seguenti:
 
 - Rafforzare  le  sinergie  tramite azioni e strumenti al fine di proteggere  i  cittadini  dai  rischi e dalle minacce che sfuggono al controllo  dell'individuo;  accrescere  la capacita' dei cittadini di decidere  riguardo  alla  loro salute e ai loro interessi e integrare nelle  altre  politiche  gli  obiettivi  della politica in materia di salute.
 
 I  principali  strumenti  e  le  azioni per il conseguimento degli obiettivi   sono  quelli  finalizzati:  (i)  al  miglioramento  della comunicazione  con  i cittadini; (ii) ad accrescere la partecipazione delle  associazioni  dei  cittadini,  del  volontariato e delle altre parti interessate all'elaborazione delle politiche in tema di salute; (iii)  alla  messa a punto di un approccio per integrare le questioni in   tema   di   salute   nelle   altre   politiche,  per  migliorare l'individuazione  precoce,  la  valutazione  e  la  comunicazione dei rischi  sanitari;  e  (iv) promuovere la sicurezza dei prodotti e dei servizi destinati ai cittadini.
 
 - Assicurare  le  necessarie  azioni  e  misure  di  sostegno per proteggere  i  cittadini  e  reagire contro le minacce per la salute, incoraggiare strategie intese a favorire stili di vita piu' salutari, contribuire   a   ridurre   l'incidenza  delle  principali  malattie, migliorare l'efficienza e l'efficacia dei sistemi sanitari.
 
 I  principali  strumenti  e  le  azioni  da  attuare  sono  quelli finalizzati  a:  (i)  rafforzare la sorveglianza e il controllo delle malattie  trasmissibili; (ii) reagire alle minacce per la salute, ivi incluse  quelle  derivanti dal terrorismo; (iii) promuovere la salute agendo  sui determinanti degli stili di vita; (iv) prevenire malattie e  lesioni  attraverso l'identificazione delle migliori pratiche; (v) realizzare   sinergie   tra   i   sistemi   sanitari   e   migliorare l'informazione  e le conoscenze in materia di sanita' in vista di una migliore sanita' pubblica.
 
 Un  altro  recente  sviluppo a livello europeo riguarda il settore dell'assistenza  sanitaria,  nel  quale  sono  state avviate numerose attivita', fra le quali vi sono le seguenti:
 
 a)  facilitare  l'offerta  e  l'acquisizione  di  cure  sanitarie transfrontaliere,  tramite  la raccolta e lo scambio di informazioni, onde  consentire la messa in comune delle capacita' di cure, anche al fine di contrastare la formazione di lunghe liste di attesa;
 b)  scambiare  informazioni  sulla  mobilita'  dei professionisti della salute e gestire le conseguenze di tale mobilita';
 c)  creare  un  sistema  di  cooperazione  tra  i diversi sistemi sanitari  attraverso  l'istituzione  di Centri di riferimento e altre strutture   di  collaborazione  per  fronteggiare  meglio  a  livello nazionale ed europeo i problemi connessi, ad es. alle malattie rare e ad    altre    patologie    che   richiedono   interventi   di   alta specializzazione;
 d)   costituire   una  rete  nazionale  ed  europea  destinata  a rafforzare  la  capacita' di elaborare e scambiare dati e valutazioni in  materia  di  tecnologie  sanitarie.  Cio'  anche  al fine di: (a) sviluppare  informazioni  comuni  di base; (b) condividere criteri di valutazione; e (c) identificare priorita' di lavoro comune;
 e) sviluppare un sistema nazionale ed europeo di informazione sui sistemi   sanitari  e  sulle  cure  mediche  on  line  per  pazienti, professionisti   e  responsabili  dell'elaborazione  delle  politiche sanitarie;
 f)   sviluppare  strumenti  intesi  a  valutare  l'impatto  delle politiche  nazionali  e  comunitarie  diverse da quelle sanitarie sui sistemi  sanitari  e  sulla  salute  al  fine di sviluppare strumenti condivisi che possano essere saggiati e validati;
 g) migliorare la sicurezza dei pazienti che si affidano alle cure dei  servizi  sanitari  attraverso  la messa a comune di esperienze e l'elaborazione congiunta di linee guida e sistemi di gestione.
 
 Per quanto riguarda i processi di formazione degli atti comunitari si  tratta  di  dare  pronta  attuazione  alle  norme  generali sulla partecipazione  dell'Italia,  sulla  base della caratterizzazione del Servizio sanitario nazionale come previsto dalla riforma del Titolo V della Costituzione, al processo normativo dell'Unione Europea e sulle procedure  di  esecuzione  degli  obblighi comunitari, ai sensi della Legge  4  febbraio  2005,  n.  11.  Per  quanto  riguarda, infine, le attivita'    curate    dalle    Organizzazioni    internazionali    e intergovernative,  e'  necessario  prevedere una specifica intesa tra livello  centrale  e  sistemi  regionali. Un'apposita procedura sara' posta  in  essere per assicurare una capillare e sistematica opera di informazione e partecipazione delle Istituzioni territoriali.
 
 In  conclusione,  per  quanto  riguarda  gli  aspetti  citati,  il Ministero e il coordinamento sanitario delle Regioni e delle Province autonome,  intendono, anche attraverso l'individuazione di specifiche strutture  operative,  a:  -  mettere a punto un efficace sistema nel promuovere  la  partecipazione  delle  Regioni  e  Province  autonome nonche'   di   altre  istituzioni  ed  aziende  italiane  a  progetti incentivanti  europei e alle politiche di collaborazione basate sulla sussidiarieta';
 
 - assicurare  un'efficace e costante informazione e coordinamento delle Regioni e Province autonome nel merito degli sviluppi a livello europeo  in  modo da innestare l'intero Servizio sanitario nazionale, nell'alveo  del  flusso  dell'evoluzione comunitaria e del piu' ampio contesto  europeo  sia  nella  fase  ascendente  che  discendente del processo decisionale.
 3.4. La prevenzione sanitaria e la promozione della salute
 
 La  consapevolezza  dell'efficacia degli interventi di prevenzione nel  contrastare  l'insorgere  delle  patologie  o nel contenerne gli effetti, ha portato in questi anni ad una crescita della sensibilita' internazionale  e  nazionale  sulla  necessita'  di attivare organici interventi in tema di prevenzione, sia con azioni per il contenimento dei  fattori  di  rischio,  sia  mediante  interventi per la diagnosi precoce  e  la  prevenzione delle complicanze. Caratteristiche comuni agli interventi di prevenzione sono:
 
 - le  motivazioni  etiche e di contrasto alle disuguaglianze: gli interventi hanno lo scopo di estendere azioni efficaci anche a quella parte della popolazione che ha difficolta' ad accedere ai servizi;
 - l'ampia  trasversalita',  infatti  numerosi soggetti sanitari e non  sanitari  possono concorrere alla loro realizzazione: spesso gli interventi  sono frutto di azioni coordinate all'interno del Servizio sanitario  nazionale,  altre  volte  devono essere realizzati tramite azioni  intersettoriali  che  vedono  coinvolte  altre istituzioni, e pertanto  devono  essere  condivisi  e  concertati dai diversi attori interessati,  anche  al  fine  di ottimizzare l'uso delle risorse e i risultati.
 
 Negli  ultimi  anni,  il  mondo istituzionale e quello scientifico hanno  evidenziato  come  l'offerta di servizi per la prevenzione dei rischi  e  delle  patologie,  cosi'  come  l'offerta  per  una attiva promozione   della   salute  dei  cittadini,  risultino  maggiormente efficaci  adottando  un  percorso metodologico che segue alcuni punti fondamentali:
 
 - effettuare  una  definizione  dei  bisogni,  e  tra  questi  la identificazione  delle  priorita',  partendo  da una analisi dei dati epidemiologici  per  quanto  possibile partecipata e condivisa tra il "sistema  sanita'",  le  altre  istituzioni,  le  rappresentanze  dei cittadini,  i  portatori  di  interessi  collettivi ed il mondo della produzione;
 - progettare e porre in essere azioni di sistema, in cui le "reti sanitarie"  operano  in  sinergia con le altre reti istituzionali, in cui  i  vari  attori  hanno  ben  chiari compiti propri, strumenti ed obiettivi da raggiungere;
 - operare  con  un  atteggiamento  culturale maggiormente rivolto all'appropriatezza  degli interventi ed alla valutazione di efficacia degli stessi (metodologia della Evidence Based Prevention);
 - utilizzare  le  normative  come  strumento  necessario,  ma non esaustivo,  per  il  raggiungimento di obiettivi di salute, piuttosto che    considerarle    come   finalita'   principale   dell'   azione istituzionale;
 - sviluppare,  all'interno della progettazione, strategie per una comunicazione  coerente ed efficace in quanto questa, nel campo della prevenzione  dei  rischi e promozione della salute, risulta strumento necessario e determinante per il raggiungimento degli obiettivi;
 - definire,  fin  dalla  fase  di  progettazione,  un  sistema di verifica dei risultati.
 
 Progressi  evidenti  sono  stati  effettuati nella direzione sopra indicata  in  tutte le aree di intervento della prevenzione; anche le normative  e  gli  atti  formali di riferimento tendono attualmente a privilegiare  azioni  di sistema per la realizzazione di processi che aiutino  la crescita della "cultura della prevenzione", piuttosto che la  mera  erogazione  di singole prestazioni. Esempi significativi di tale  percorso  culturale  e  metodologico che, peraltro, aderisce in senso istituzionale al nuovo rapporto tra Stato e Regioni determinato dalla modifica del Titolo V della Costituzione, sono rappresentati:
 
 - dal  Piano di Prevenzione attiva, sull'adozione del quale hanno concordato  il  Ministro  della  Salute  e  gli  Assessori  Regionali nell'incontro   di   Cernobbio   del   2004  su  "Sanita'  futura"  e successivamente  approvato  dalla  Conferenza  dei  Presidenti  delle Regioni e Province autonome. 11 documento e' stato oggetto di accordo tra lo Stato e le Regioni per l'erogazione delle quote vincolate agli obiettivi  di  PSN  2003-2005, ed infine modificato ed integrato come Piano  Nazionale  della  Prevenzione 2005-2007, allegato 2 all'Intesa Stato  Regioni  del  23  marzo  2005.  Tale  piano ha in se' un nuovo modello   di  metodo  di  lavoro  che  riconosce  un  punto  alto  di integrazione  istituzionale-scientifico  tra  i  livelli  di  governo centrale  ed i governi territoriali, rappresentato nel caso specifico dal Centro Nazionale per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM);
 - dal  documento  approvato  nella  Conferenza  delle  Regioni  e Province  autonome, che recepisce le indicazioni del gruppo di lavoro misto  per  la  semplificazione  delle  procedure  relativamente alle autorizzazioni,  certificazioni ed idoneita' sanitarie, quale esempio di  adozione  anche a livello istituzionale del metodo della Evidence Based Prevention (EBP).
 La prevenzione primaria e la promozione della salute.
 
 Dagli  anni  '80  si  e'  fatta  sempre  piu'  presente  una nuova concezione  della  salute, non piu' obiettivo da raggiungere ma "bene essenziale  per  lo  sviluppo  sociale, economico e personale..." che vede  nelle  "persone  stesse  la  maggiore risorsa" (Carta di Ottawa 1986).  La  promozione  della  salute  si  realizza  nei  due ambiti, individuale   e   collettivo,   in  primo  luogo  tramite  interventi finalizzati   a   modificare   i  comportamenti  soggettivi,  ad  es. promuovendo  l'adozione  da  parte dei cittadini di corretti stili di vita,  e  a  livello  delle collettivita' migliorando i contesti e le condizioni di vita rilevanti ai fini della salute.
 
 A fianco di cio', avvenimenti di carattere sopranazionale avvenuti nell'ultimo  decennio  hanno dimostrato come la prevenzione di rischi per  la  salute  e  la  sicurezza  della  collettivita'  deve  essere realizzata  attraverso la costruzione, e la costante manutenzione, di una rete di previsione, sorveglianza, controllo e gestione coordinata degli eventi.
 
 Tale  rete  riconosce nodi territoriali, regionali e nazionali del sistema  sanitario;  contemporaneamente,  in  piu'  casi riconosce la necessita' di integrazione operativa tra reti del sistema sanitario e reti  istituzionali  diverse  (ad  esempio  quella  della  protezione civile), sia per lo scambio rapido di informazioni, sia per eventuali interventi coordinati sul campo.
 
 Quelle che seguono sono importanti esperienze gia' poste in essere o attualmente in corso:
 
 - sul  versante  del monitoraggio degli stili di vita e' iniziata nel  2005  l'attuazione, da parte di CCM, ISS e Regioni, del progetto "Passi  per  l'Italia"  (ideato  nell'ambito  della progettazione del Nuovo  Sistema  Informativo Sanitario), finalizzato a sperimentare un sistema  di  sorveglianza  di  popolazione  centrato  sui  fattori di rischio   comportamentali   e   sulla   diffusione  delle  misure  di prevenzione all'interno della popolazione. L'obiettivo strategico del sistema  e'  quello  di  fornire  a  Regioni  e  Aziende basi di dati tempestive  e  utili  per  la  pianificazione,  la realizzazione e la valutazione dell'azione in sanita' pubblica;
 - sul  versante  dei  sistemi  informativi  per la conoscenza dei fenomeni,  l'analisi  delle  cause  degli  stessi  e  la  conseguente progettazione  delle  attivita'  di  prevenzione nei luoghi di lavoro basate  sulle  evidenze  epidemiologiche.  Dal  2002  INAIL,  ISPESL, Regioni  e  Province  autonome  hanno  sviluppato e reso operativo il progetto  denominato  "nuovi  Flussi  informativi"  ed "analisi delle cause degli infortuni gravi e mortali";
 - sul versante dei sistemi di allerta la BSE prima e la influenza aviaria   attualmente  hanno  portato  a  sviluppare  importantissime sinergie   di  sistemi  in  rete  tra  le  strutture  specifiche  dei Dipartimenti    di    Prevenzione,   gli   Istituti   Zooprofilattici Sperimentali, le strutture tecniche del Ministero della Salute;
 - sul versante della programmazione delle attivita' per contenere gli  effetti  calamitosi  generalizzati sulla popolazione, recente e' l'approvazione  da  parte della Conferenza Stato-Regioni del piano di prevenzione in previsione della pandemia influenzale.
 
 Tali  esperienze sono importanti riferimenti per l'approfondimento di tematiche di coordinamento, che attualmente presentano criticita', e che possono esitare in utili accordi tra Stato e Regioni:
 
 1.  analisi  dello  stato  attuale  dei  nodi  del  sistema della prevenzione   primaria,   ponendosi   l'obiettivo  di  una  revisione sistematica  dei  compiti  delle  varie  istituzioni  e  dei  livelli coinvolti;
 2.  organizzazione  generale  del  sistema  a livello nazionale e regionale  e  modalita' di coordinamento tra i diversi attori (Stato, ISS, ISPESL, Regioni, IZS, ARPA ecc);
 3.  individuazione  di  metodologie  condivise per la definizione delle priorita' di sistema e delle conseguenti necessita' di risorse;
 4.  ruolo  e  funzioni  di una rete integrata per la sorveglianza epidemiologica e l'analisi dei dati;
 5.   valutazione   delle   necessita'   specifiche   del  sistema informativo,  integrato nel piu' vasto ambito del sistema informativo sanitario.
 
 Obiettivi  di  sistema  prioritari  da  raggiungere  nella  durata temporale del presente Piano sono:
 
 - il  consolidamento  in tutto il territorio nazionale della rete per   la   prevenzione   collettiva  territoriale  rappresentata  dai Dipartimenti   di  Prevenzione  e  consolidamento  dei  nodi  tecnici regionali  di  supporto  e  coordinamento,  nel  rispetto dei diversi modelli organizzativi delle Regioni e Province autonome;
 - la  strutturazione  ed  il  consolidamento, all'interno di tale rete, della funzione epidemiologica, in ambito sia umano che animale, come  funzione  chiave per la conoscenza dei bisogni, il monitoraggio della efficacia degli interventi, il miglioramento della qualita' dei flussi informativi e della capacita' della loro gestione, finalizzate anche ad una piu' efficace e sintonica comunicazione istituzionale;
 - la  creazione  e/o consolidamento, all'interno di tale rete, di nodi   per   il   supporto   alle  azioni  sul  campo,  che  sappiano metodologicamente  sviluppare  programmi  finalizzati alla promozione della   salute,   con   particolare   riferimento  alle  tecniche  di comunicazione;
 - il  consolidamento del metodo di lavoro in rete, in cui i nodi, posti  ai  vari  livelli  istituzionali  (territoriali  e nazionali), condividano   gli   obiettivi,   gli   strumenti,   le  reciproche  e complementari  funzioni,  divenendo  -  in  una  medesima  filiera  - "coproduttori" dei programmi di azione;
 - il  miglioramento del sistema informativo a supporto della rete per la prevenzione.
 Obiettivi di salute prioritari.
 
 Il   Piano   Nazionale  della  Prevenzione  2005-2007,  che  viene confermato al 2008, di cui all'Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 definisce  una  parte delle priorita' degli interventi di prevenzione da  sviluppare  nel  prossimo  triennio. A quel documento, cosi' come alle  linee guida emanate dal CCM successivamente per lo sviluppo dei programmi  regionali, si rimanda relativamente alle tematiche in esso contenute, ovvero:
 
 - la   prevenzione   cardiovascolare   suddivisa  nelle  seguenti iniziative:
 - diffusione della carta del rischio cardiovascolare a gruppi di soggetti,
 - prevenzione  della  obesita' nelle donne in eta' fertile e nel bambino,
 - prevenzione  attiva  delle  complicanze del diabete di tipo II nell'adulto e nel bambino, aumentando la compliance del paziente;
 - prevenzione  delle  recidive nei soggetti che hanno gia' avuto accidenti, cardiovascolari, cosicche' non si ripetano;
 
 - gli screening;
 - dei tumori al seno;
 - del cancro della cervice uterina;
 - del cancro del colon-retto;
 
 - la prevenzione degli incidenti;
 - stradali;
 - domestici;
 - sul lavoro;
 
 - le vaccinazioni;
 - implementazione  coperture  vaccinali,  attestabili attraverso l'anagrafe vaccinale;
 - implementazione   dell'offerta   vaccinale   per   i  soggetti appartenenti alle categorie a maggior rischio;
 - miglioramento  della  qualita'  dei  servizi e delle attivita' vaccinali.
 Altri obiettivi.
 
 Si   elencano  di  seguito  gli  altri  obiettivi  di  prioritario interesse  ai  fini  della  prevenzione dei rischi e promozione della salute, che verranno sviluppati successivamente:
 
 - lo  sviluppo,  in  sinergia  con  la  rete delle Agenzie per la Protezione  Ambientale,  di  programmi  per  la tutela dell'ambiente, inteso  quale fattore di qualita' della salute, partendo dall'analisi dei  dati  epidemiologici integrati con quelli ambientali (cosiddetta epidemiologia ambientale);
 - l'attuazione  di  programmi  per  il  controllo e la promozione della salute e sicurezza negli ambienti di lavoro, in sintonia con le linee    europee,    consolidando    i    livelli   di   integrazione interistituzionale gia' presenti;
 - la promozione della sicurezza alimentare con l'adeguamento agli standard europei di controllo basati sull'analisi del rischio secondo principi di efficacia ed imparzialita';
 - la   promozione  della  sanita'  pubblica  veterinaria  con  la razionalizzazione  delle  attivita' di monitoraggio, il miglioramento del  sistema di raccolta delle informazioni e l'implementazione delle anagrafi delle specie di maggior interesse zootecnico;
 - l'individuazione  di  modelli  operativi  piu'  efficaci per la promozione  degli  stili di vita sani. In particolare va potenziata e resa  stabile  una  periodica  sorveglianza  dei  fattori  di rischio comportamentali  da condursi sul modello della Behavioral Risk Factor Surveillance degli Stati Uniti, in modo da consentire un monitoraggio longitudinale  delle modifiche nei comportamenti della popolazione ed una  verifica  di  efficacia  delle  azioni  poste in essere. Tra gli interventi sugli stili di vita si ritengono prioritari:
 
 - lo  sviluppo  di  programmi  multisettoriali  di  contrasto al tabagismo in linea con le indicazioni dell'OMS e dell'Unione Europea, che prevedano la prevenzione del fumo tra i giovani, il sostegno alle politiche   di   tutela   dal   fumo   passivo  e  il  supporto  alla disassuefazione;
 - la promozione attiva di abitudini non sedentarie;
 - la  promozione  attiva  di corrette abitudini alimentari anche attraverso  il  sostegno alla produzione e alla vendita di alimenti o di  gruppi  di  alimenti il cui consumo abituale e' associato a bassa frequenza  delle patologie correlate a scorrette abitudini alimentari e  le  attivita'  di counseling nutrizionale in tutte le occasioni di incontro tra operatori sanitari ed utenti/pazienti.
 
 Tra  le sinergie possibili per lo sviluppo di tutti i programmi di prevenzione  e  promozione  della  sicurezza  e  salute e' certamente prioritaria  quella  con  il  mondo  della  scuola per la sua valenza formativa verso le classi di popolazione piu' giovane.
 La comunicazione istituzionale.
 
 Indispensabile  per  l'ottenimento di risultati positivi in queste aree  di  attivita' e' la capacita' di saper gestire la comunicazione istituzionale:  nonostante  si siano sviluppate esperienze positive e di eccellenza, nel prossimo futuro dovra' maggiormente diffondersi in tutte   le   strutture   del   sistema  sanitario  la  consapevolezza dell'importanza   strategica   di   tali  azioni  e  dovra'  crescere parallelamente  la  capacita' professionale nell'attuare le strategie comunicative.  Pur  essendo  evidente  che  tutte  le tematiche sopra trattate  necessitano  di interventi di comunicazione strutturati, si ritiene  che  possano  risultare  di  particolare valore le strategie comunicative  per  alcuni  argomenti  in cui l'azione informativa, ai fini  di  modifiche  comportamentali, e' prevalente rispetto ad altri strumenti di azione (l'elenco e' indicativo e non esaustivo):
 
 - interventi   di   promozione   della  salute  alla  guida,  con particolare   riguardo   al   conseguente  fenomeno  degli  incidenti stradali;
 - sviluppo della comunicazione del rischio e dell'emergenza e, in particolare,  sulla  sensibilizzazione (a livello regionale e locale) della  popolazione alle problematiche relative alle calamita' di tipo chimico, fisico e biologico;
 - sviluppo   della  comunicazione  medico-paziente,  al  fine  di migliorare  la qualita' del rapporto stesso e aumentare il livello di customer satisfaction;
 - interventi  di  promozione  della  salute  praticanti attivita' sportiva e fisica in senso piu' generale, con particolare riferimento al problema del doping e dell'utilizzo di integratori;
 - interventi  mirati  a  favorire  la  corretta convivenza tra le persone   e  gli  animali  domestici,  nel  rispetto  delle  esigenze sanitarie,  ambientali  e  del  benessere  degli  animali stessi, con specifiche   iniziative  sulle  problematiche  relative  al  rapporto uomo-animale  da compagnia ed i conseguenti risvolti sociali (come il fenomeno degli abbandoni, del randagismo e della pet-therapy).
 3.5. La riorganizzazione delle cure primarie.
 
 Un  importante ambito di rinnovamento del S.S.N. si riferisce alla riorganizzazione  delle  cure  primarie  delle quali va accelerato il processo  di  riassetto  organizzativo  e  funzionale che comporti un maggiore coinvolgimento dei MMG e dei PLS nel governo della domanda e dei   percorsi  sanitari,  sperimentando  nuove  modalita'  erogative favorenti  l'integrazione con le altre professionalita' sanitarie del territorio.
 
 Per raggiungere questo obiettivo occorre determinare le condizioni per  completare  il  percorso  che  conduca  al  graduale superamento dell'assistenza  primaria basata sullo studio individuale del medico, in   favore   di   forme   sempre  piu'  aggregate  ed  integrate  di organizzazione,  rivolte anche ai medici di continuita' assistenziale ed agli specialisti ambulatoriali, che consentano, in sedi uniche, la risposta  ai  bisogni di salute dei cittadini per 24 ore, 7 giorni la settimana.  Questa  articolazione delle cure primarie consentira' una piu'  appropriata  erogazione  dei  servizi,  l'efficace  continuita' assistenziale  e  la  presa in carico dei pazienti, una piu' incisiva attivita'  di promozione e di educazione alla salute per i cittadini, la  fornitura  di  attivita' specialistiche, la riduzione delle liste d'attesa,   l'attivazione  dei  percorsi  assistenziali  e  una  piu' efficace  integrazione  socio sanitaria. Questo modello organizzativo avra'  inoltre  importanti  ricadute  sull'accesso  improprio al P.S. grazie anche alla valorizzazione di tutte le componenti sanitarie del sistema territoriale.
 
 Nelle  aree  non urbane, nelle zone montane, nelle isole minori, o comunque  caratterizzate  da  popolazione sparsa, nelle quali non sia ipotizzabile  l'uso  di  sedi  uniche  e' necessario promuovere l'uso dell'informatica medica, del telesoccorso e della telemedicina, per i quali   vanno   definiti  standard  qualitativi,  quantitativi  e  di accreditamento.  Va inoltre raccordato il sistema delle cure primarie con  quello  delle cure ospedaliere completando l'offerta dei servizi di  Cure  intermedie  (intermediate health care) con lo sviluppo, la' dove  ne ricorrano le condizioni secondo l'organizzazione dei servizi regionali,   dell'Ospedale   di  Comunita',  a  cura  dei  medici  di assistenza primaria, quale struttura dedicata, all'attuazione di cure domiciliari  in  ambiente  protetto  ovvero  al  consolidamento delle condizioni  fisiche  o  alla prosecuzione del processo di recupero in ambiente non ospedaliero di dimessi da unita' per acuti o post-acuti.
 
 Nell'area pediatrica va consolidata la centralita' del pediatra di libera  scelta,  anche  per garantire la continuita' assistenziale la dove finora e' stata carente. Anche in questo campo vanno attivate le diverse  forme  di  integrazione  ed  aggregazione, nelle varie forme associative  tra pediatri di libera scelta, in particolare nelle aree urbane,  come  ad  es.  la pediatria di gruppo, e, dove questo non e' possibile,  all'interno  di studi medici in cui possano operare con i medici  di  medicina  generale, nell'ambito di una collaborazione che possa  prevedere  lo  sviluppo della continuita' di assistenza e cura dall'eta' pediatrica a quella adulta.
 3.6. L'integrazione delle reti assistenziali: sistemi integrati di reti sovraregionali e nazionali.
 
 I  risultati  ottenuti negli ultimi anni dalle attivita' regionali che,  per  le loro specificita', hanno richiesto un approccio a rete, in  termini  di  sviluppo  e qualita' del sistema, devono spingere le Regioni,  anche  sulla  base  di specifiche intese, a sviluppare tale metodologia,  favorendo  lo  sviluppo  di  reti  nazionali di servizi clinici,  assistenziali,  di formazione, di ricerca. La realizzazione delle  reti  avra'  come  risultato  anche un migliore utilizzo delle risorse e una maggiore garanzia di qualita' delle cure.
 
 Se  si considera l'attuale sviluppo tecnologico ospedaliero con il conseguente  incremento  vertiginoso  dei costi, in particolare della diagnostica  per  immagine,  e l'altissima specializzazione richiesta all'ospedale,   emerge   la   necessita'   di  concentrare  l'offerta ospedaliera  in  strutture  dislocate strategicamente sul territorio. Questi   ospedali   devono   rappresentare   lo  snodo  regionale  ed interregionale  di  un  sistema  integrato  di  rete  che consenta il collegamento   con  presidi  ospedalieri  di  livello  locale  e  con strutture  territoriali per la realizzazione di modelli organizzativi finalizzati  alla presa in carico del paziente, alla realizzazione di percorsi  sanitari appropriati, alla garanzia della continuita' delle cure e dello sviluppo dell'accessibilita' da parte dei cittadini.
 
 Occorre quindi lavorare in due direzioni, da un lato per garantire funzionalita' ed efficienza delle reti assistenziali aventi anche una valenza nazionale, dall'altro esplicitando quali reti, pur di valenza intraregionale, richiedono comunque un richiamo nel PSN.
 
 Il   concetto   di  rete  va,  infatti,  sviluppato  in  tutte  le potenzialita':  non solo rete intraregionale per garantire efficienza nella  risposta, (emergenza urgenza), o interregionale per permettere un  utilizzo  ottimale del servizio offerto (trapianti) ma anche rete per  alcuni servizi (malattie rare), per i quali conviene individuare alcuni  centri  altamente  qualificati o anche rete come scelta delle Regioni  di  condividere  alcune strutture per l'erogazione di alcuni servizi,  tramite  accordo tra piccole Regioni e grandi o tra Regioni viciniore.  La  rete  in  questo caso puo' servire da stimolo per una efficacia  collaborazione  interregionale  e  per  colmare il divario Nord- Sud.
 
 Il  disegno  in  rete  dei servizi dovrebbe proporre un modello di organizzazione  regionale,  per  specifiche  tipologie  territoriali. Peraltro l'attuazione di sistemi di rete regionale, pur se adeguati a specifiche   realta',   deve   tener   conto   di   norme  e  di  una modellizzazione   organizzativa   e  gestionale  che  renda  la  rete intraregionale  compatibile con quella aziendale e quindi permetta di ottenere  l'efficacia  e  l'efficienza stessa. In particolare si deve promuovere  la  realizzazione  di  nuovi  sistemi  di rete per quelle specialita'  non  integrate  in  modelli di gestione, e potenziare le reti  gia'  esistenti,  allargandone  la competenza territoriale. Tra queste    un    ruolo    particolare    e'   rivestito   dalla   rete dell'emergenza-urgenza con le sue interconnessioni con la rete per il trauma,  le  grandi ustioni, la neuroriabilitazione, dalla rete per i trapianti, dalla rete per le malattie rare.
 
 Il   Piano   individua   le   reti   di   interesse   nazionale  e sovraregionale.
 La rete dell'emergenza-urgenza.
 
 Il  sistema  dell'Emergenza  sanitaria  e'  formato da una fase di allarme  assicurata  dalla  Centrale Operativa alla quale affluiscono tutte  le  richieste  di intervento sanitario in emergenza tramite il numero  unico  "118"  e  da due fasi di risposta, quella Territoriale costituita  da idonei mezzi di soccorso distribuiti sul territorio, e quella Ospedaliera costituita dalla rete degli ospedali sede di P. S. e di DEA di I e II livello.
 
 Per  quanto  attiene  alle  maxiemergenze  o alle emergenze la cui gestione  coinvolge  varie  istituzioni l'esperienza di questi ultimi anni  ha dimostrato la necessita' di intervento congiunto di Regioni, amministrazioni  centrali  statali  quali i Ministeri e la Protezione civile, organizzazioni nazionali governative e non; a questo scopo di volta  in  volta  sono  stati individuati modelli di cooperazione che permettessero  di  affrontare  il  problema  emergente,  senza  pero' evitare  rischi  di  sovrapposizioni  o  attriti  istituzionali.  Nel triennio  di vigenza del PSN si affrontera' questo tema delineando la cornice  di  riferimento  e  indicando gli strumenti in cui i diversi soggetti,  per  le  rispettive  competenze, riescano ad agire in modo coordinato ed efficiente.
 La rete delle malattie rare.
 
 Lo  sforzo  gia' compiuto nel triennio 2003-2005 per la tutela dei soggetti  affetti da malattie rare dovra' essere intensificato. Se e' vero, infatti, che le Regioni hanno formalmente individuato i presidi deputati  alla  diagnosi  delle  malattie ed alla presa in carico dei pazienti, e' anche vero che la costituzione della Rete e' ancora agli inizi  e  la  collaborazione  tra  i  presidi  deve essere fortemente implementata. E' necessario che si attuino azioni atte a garantire ai pazienti  con  malattie  rare  un'assistenza  omogenea  su  tutto  il territorio   nazionale.   Per  molte  delle  malattie  rare  comprese nell'elenco allegato al decreto ministeriale 18 maggio 2001 n. 279 e' ragionevole  ritenere  che  in ogni Regione possa essere garantito un approccio  adeguato,  funzionale  ad  evitare  gravosi spostamenti di pazienti.  E' pur vero che per malattie estremamente rare, cosi' come per quelle che richiedono trattamenti particolarmente impegnativi, si dovra'   giungere   all'identificazione  di  presidi  di  riferimento sovraregionali  o  nazionali,  che opportunamente supportati, possano garantire  assistenza  superspecialistica per il periodo necessario e che  si  raccordino con i centri vicini al domicilio dei pazienti per quanto riguarda il monitoraggio piu' a lungo termine.
 
 Il  potenziamento  della  Rete  per le malattie rare dovra' infine tendere non solo a garantire l'assistenza ai pazienti al meglio delle attuali   potenzialita',   ma   anche   a   sviluppare   azioni   che contribuiscono  a  migliorare le possibilita' di cura oggi inadeguate per la maggior parte di queste patologie.
 
 Le principali azioni da sviluppare nel triennio sono le seguenti:
 
 - sviluppare i rapporti tra i presidi della Rete per diffondere e consolidare  protocolli  diagnostici  e  terapeutici  per le malattie rare;
 - promuovere l'integrazione delle competenze per garantire sia un approccio  multidisciplinare  a  condizione  complesse  che  maggiori possibilita' di successo nella ricerca;
 - diffondere  nella popolazione le informazioni sui presidi della Rete,  anche  attraverso  le  associazioni  dei  malati  e  dei  loro familiari,  per  garantire  una  diagnosi  ed  una  presa  in  carico tempestiva ed evitare gli accessi ripetuti presso strutture sanitarie prive della necessaria esperienza specifica;
 - aggiornare  l'elenco  delle  malattie  rare allegato al decreto ministeriale  n. 279/2001, sulla base delle piu' recenti acquisizioni scientifiche nel settore;
 - consolidare  l'attivita'  del Registro nazionale delle malattie rare istituito presso l'Istituto Superiore di sanita', sviluppando ed omogeneizzando l'attivita' dei Registri regionali;
 - sviluppare   programmi   di   ricerca   sulla  diagnosi  ed  il trattamento  delle  malattie  rare  e  favorire la disponibilita' dei farmaci orfani;
 - promuovere la formazione e l'aggiornamento degli operatori.
 La rete trasfusionale.
 
 Occorre  dare attuazione alla direttiva 2002/98/CE, del Parlamento Europeo  e  del  Consiglio  (che  stabilisce  norme  di qualita' e di sicurezza   per   la  raccolta,  il  controllo,  la  lavorazione,  la conservazione  e  la  distribuzione  del  sangue  umano  e  dei  suoi componenti  e che modifica la direttiva 2001/83/CE) e delle direttive di  Commissione  alla  predetta  correlate. A tale fine e' necessario provvedere  alla  organizzazione ed attuazione dei sistemi ispettivo, di qualita', di emovigilanza e di notifica eventi avversi.
 
 Per   quanto   riguarda   l'Italia   il  nuovo  modello  sanitario federalista  lancia  una grande sfida alle amministrazioni centrali e regionali,   alle  associazioni  e  federazioni  dei  donatori  e  ai professionisti    delle   societa'   scientifiche,   affinche',   nel perseguimento dell'autosufficienza nazionale di sangue, emocomponenti ed emoderivati, sia realizzato il rispetto dell'uniformita' nazionale dei livelli essenziali trasfusionali, sia nelle competenze produttive sia nelle funzioni cliniche ed assistenziali, rispettando il criterio su cui si basa il servizio trasfusionale italiano, che mantiene in un unico processo completo la donazione e la trasfusione.
 
 L'impegno  all'introduzione del sistema di gestione della qualita' (accreditamento    istituzionale   e   di   eccellenza)   rappresenta l'obiettivo  generale, che dovra' essere raggiunto contemporaneamente ai   paesi  europei,  dando  efficacia  agli  obiettivi  di  sistema, misurabili  essenzialmente attraverso un costante benchmark sanitario e  gestionale,  interno  ad  ogni  regione ed aperto al confronto fra realta' regionali ed europee.
 
 Pertanto, in questa ottica, gli obiettivi di sistema restano:
 
 a)    il    raggiungimento    e   mantenimento   della   costante autosufficienza  regionale di sangue, emocomponenti ed emoderivati, e dunque  il  costante soddisfacimento della domanda trasfusionale, con ricorso   al  supporto  interregionale  per  le  sole  condizioni  di oggettiva e insuperabile carenza;
 b)  la  realizzazione  di  sempre  maggiori  livelli di sicurezza trasfusionale   sotto  il  profilo  immunologico  e  infettivologico, all'interno  di modelli organizzativi regionali con elevata capacita' in termini di esperienza professionale e innovazione tecnologica;
 c)  l'applicazione  diffusa dell'appropriatezza clinica in ambito trasfusionale   con   l'adozione   di   riscontrabili,   specifici  e condivisibili  indicatori di output e di outcome; il potenziamento di pratiche alternative alla trasfusione allogenica;
 d)  lo  sviluppo di tecnologie terapeutiche basate sui precursori ematopoietici,   che   si   affianchino   e  permettano  l'evoluzione dell'attuale metodologia trasfusionale.
 
 Gli   strumenti   per   realizzare  gli  obiettivi  indicati  sono pienamente  rappresentati  nella  nuova  normativa  (legge 21 ottobre 2005,  n.  219)  e si riassumono sia in atti di indirizzo e azioni di verifica   da   parte  delle  Regioni  che  devono  adottare  modelli organizzativi  trasfusionali  sempre  piu'  adeguati  alla  loro rete ospedaliera  e  sanitaria,  sia  nel  ruolo  di indirizzo affidato al Ministero  della  salute, che potra' avvalersi dell'istituendo Centro Nazionale   Sangue,   con  la  collaborazione  delle  Associazioni  e Federazioni  dei  Donatori  volontari  per  l'attuazione  di campagne nazionali.
 La rete dei trapianti.
 
 A  questo  riguardo  e'  opportuno  evidenziare che l'Italia della donazione  e  del  trapianto  di  organi,  tessuti  e  cellule  e' in crescita.  Fino  a  10  anni fa, l'Italia era il Paese europeo con il piu'  basso  numero  di  donazioni  per  milione di abitanti. Oggi la situazione  e'  cambiata  e  constatiamo  che  l'Italia  con oltre 21 donatori  per milione di popolazione e' il secondo tra i grandi paesi europei, dopo la Spagna. Accanto a questo dato fondamentale il nostro paese  e'  ai  vertici  europei per il sistema organizzativo (la rete trapiantologica),  per  lo  sviluppo  del sistema informativo, per la rete della sicurezza e per la qualita' delle prestazioni.
 
 Nel   settore  degli  organi,  nonostante  i  risultati  ottenuti, l'Italia  non  appare in grado di garantire il totale soddisfacimento delle  richieste  assistenziali, che si rivelano in costante aumento, cosi'  che  i  pazienti  in  attesa sono pari a 3 volte il numero dei trapianti effettuati in un anno.
 
 Le  cause  principali  di tale carenza possono essere indicate nei seguenti punti:
 
 - molti  potenziali  donatori non vengono ancora sistematicamente identificati;
 - il  numero  dei  posti  letto  nelle  rianimazioni  e' in molte Regioni insufficiente rispetto alle necessita';
 - il trasporto dei pazienti neurolesi verso le rianimazioni, dove potrebbero   essere   adeguatamente   trattati,   e'  inferiore  alle necessita' per inefficienze organizzative;
 - il tempo di attesa medio per un rene e' di 3 anni, per un cuore 2 anni, per un fegato quasi 2 anni.
 
 Accanto  a  cio',  va sottolineato che i livelli di attivita' sono disomogenei  tra le diverse Regioni, sia in termini di donazioni, sia in  termini  di  trapianti.  L'aumento  di attivita' registrato negli ultimi  anni,  infatti, non ha ridotto le differenze esistenti tra il numero dei donatori e dei trapianti registrati al nord e quelli delle Regioni meridionali, dove le carenze sopra indicate si manifestano in modo accentuato.
 
 Per  quanto  attiene  alla  rete  dei trapianti gli obiettivi sono individuati in tre ambiti tematici:
 
 1. Trapianti di organo:
 
 - ridurre  il  divario fra le Regioni in termini di attivita' di reperimento donatori;
 
 - favorire la migliore utilizzazione degli organi disponibili;
 - verificare  la  possibilita'  che, nei casi opportuni, vengano utilizzati organi anche da donatore vivente;
 - rendere  sempre  piu'  trasparenti  e  uniformi  i  criteri di ammissione del paziente al trapianto;
 - proseguire   la  valutazione  di  qualita'  dell'attivita'  di trapianto di organi compresa la sorveglianza sugli esiti;
 - verificare il recepimento e l'applicazione delle linee guida a livello regionale;
 - adeguare  il  Sistema  Informativo  Trapianti  alla  direttiva europea in termini di tracciabilita' e gestione degli eventi avversi;
 - sviluppare  le iniziative italiane nel settore dei trapianti a livello europeo;
 - sviluppare  il  sistema  di  accordi  bilaterali  con  i paesi esteri;
 - favorire lo sviluppo di attivita' di ricerca e sperimentazione connesse alle attivita' di trapianto;
 - promuovere   adeguate  campagne  di  informazione  rivolte  ai cittadini,  con  il  concorso  delle  Associazioni dei pazienti e dei volontari;    - promuovere  la  formazione  e  l'aggiornamento  degli operatori;
 - iniziare   un'opera   di   prevenzione   al  fine  di  ridurre l'incidenza  di  patologie che conducono all'insufficienza d'organo e quindi alla domanda di trapianto.
 
 2. Trapianti di tessuto.
 
 - predisporre  un  Piano  nazionale per prelievo, conservazione, distribuzione e certificazione dei tessuti;
 - promuovere   l'applicazione   della  Direttiva  europea  e  il conferimento  ai  centri regionali di riferimento delle funzioni loro attribuite;
 - estendere  ed  implementare  il sistema informativo per quanto riguarda  l'attivita'  di  procurement,  di  banking,  di trapianto e follow-up dei tessuti;
 - promuovere  lo  sviluppo  della  donazione e del trapianto dei tessuti nelle Regioni meridionali.
 
 3. Trapianti di cellule.
 
 - prevedere  che  il  flusso  informativo  dei  dati relativi ai trapianti di cellule staminali emopoietiche sia integrato nell'ambito del Sistema Informativo Trapianti;
 - attivare  le  procedure di sportello unico per la richiesta di terapie con cellule staminali emopoietiche;
 - estendere  il modello di valutazione degli esiti dei trapianti di organi a quello del trapianto di cellule emopoietiche;
 - realizzare  il  coordinamento  nazionale delle attivita' delle strutture   per   la  preparazione  di  prodotti  cellulari  a  scopo terapeutico nell'uomo, "cell factories";
 - partecipare alla stesure delle normative europee riguardanti i settori del trapianto e della terapia cellulare.
 
 Per quanto concerne le linee operative e' necessario:
 
 - predisporre,  per  i  familiari  dei  soggetti  sottoposti  ad accertamento, un supporto psicologico e di aiuto;
 - realizzare   la  selezione  dei  riceventi  il  trapianto  con algoritmi  condivisi  e  procedure  informatizzate, documentando ogni passaggio del processo decisionale;
 - valutare  e  rendere  pubblici  i risultati delle attivita' di prelievo e trapianto di organi;
 - supportare    l'attivazione    di    procedure    informatiche standardizzate soprattutto per la gestione delle liste di attesa;
 - sorvegliare  il  rispetto delle Linee Guida per i trapianti da donatore  vivente attivando in particolare l'organismo di parte terza ivi  previsto  per  informare  correttamente  le  parti  in causa sui vantaggi e svantaggi delle procedure;
 - monitorare  l'attivita' delle singole Regioni circa i prelievi di tessuti umani e la loro utilizzazione, l'attivazione di banche dei tessuti  regionali o interregionali, il loro accreditamento e la loro funzionalita';
 - avviare  il  programma  nazionale  di  trapianto di rene per i pazienti di difficile trapiantabilita';
 - istituire  l'archivio  biologico  nazionale  per  la sicurezza della rete trapiantologia;
 - inserire  anche  i trapianti di cellule staminali emopoietiche tra i trapianti d'organo e da tessuti.
 3.7. L'integrazione tra i diversi livelli di assistenza.
 
 In  questi  anni  e'  sempre  piu'  maturata la consapevolezza che occorre   promuovere   un  nuovo  modo  di  fare  assistenza  fondato sull'integrazione,  sulla  comunicazione  e  sulla partecipazione dei professionisti,  pur  appartenenti  ad  unita'  operative diverse o a diversi  livelli  gestionali  del SSN, al raggiungimento di obiettivi comuni.  Una modalita' operativa in questa direzione e' rappresentata dall'elaborazione  ed  attuazione  dei percorsi clinico-assistenziali condivisi  tra  territorio  ed  ospedale che sappiano calare le linee guida  scientifiche,  validate  e  condivise,  nel peculiare contesto organizzativo  locale  o regionale in cui i professionisti si trovano ad  operare.  L'attivazione  di  reti  integrate,  anche  per  l'eta' pediatrica,  il  cui  coordinamento  puo'  essere  attribuito,  ferma restando  l'autonomia  regionale,  al  distretto,  vede quindi il SSN formulare   percorsi  assistenziali  complessi  a  diverso  grado  di protezione   ed  intensita'  di  cura  partendo  da  una  valutazione multiprofessionale e multidisciplinare del bisogno.
 
 La  rete  e'  finalizzata  all'integrazione  tra  la  prevenzione, l'assistenza  di  base  (MMG  e  PLS),  i  servizi  distrettuali,  la specialistica  territoriale, l'assistenza ospedaliera, per assicurare appropriatezza, coordinamento e continuita' dell'assistenza sanitaria e  dei  servizi  sociali, e facilitare l'accesso e l'erogazione delle prestazioni   socio-sanitarie,   contenere  i  costi,  permettere  il monitoraggio  degli  assistiti  e  delle  prestazioni procedendo alla valutazione  dei  risultati clinici e organizzativi, e migliorando la compliance  del paziente, educandolo e responsabilizzandolo, al tempo stesso,  alla  gestione della malattia. Uno strumento validissimo per l'integrazione  della  rete  viene  dallo sviluppo della telemedicina che,   portata  al  domicilio,  facilita  la  deospedalizzazione  dei pazienti cronici e costituisce parte della rete socio-sanitaria.
 
 Per  raggiungere  questi  obiettivi  vanno superate le difficolta' oggettive  all'integrazione ed implementati i segmenti della rete non ancora  perfettamente  funzionanti.  In  particolare va raccordato il sistema  delle  cure  ospedaliere con quello delle cure primarie e va progettato un sistema integrato di coordinamento tra queste ultime ed il   livello   specialistico   territoriale  ed  ospedaliero  per  la continuita'  delle  cure  sia dei pazienti cronici che di quelli post acuti.  L'ospedale  deve adottare procedure di raccordo con il Medico di  medicina  generale  ed  i  servizi territoriali per l'attivazione delle  risposte  sanitarie  corrispondenti  ai  bisogni  del paziente dimesso,   nel   rispetto   della  continuita'  delle  cure  e  della tempestivita'  delle  stesse.  Va  enfatizzato il ruolo del medico di medicina  generale, componente fondamentale delle reti di assistenza, con  il  quale  devono  essere  concordati  con  puntualita' compiti, responsabilita',  poteri  e  strumenti  per  esercitare  la  funzione centrale del sistema.
 
 La  componente  di residenzialita' della rete deve essere limitata quanto   piu'   possibile   ai   casi  con  rilevante  compromissione dell'autosufficienza,  e,  preso  atto  dell'ampia  variabilita'  dei bisogni,  le  residenze  dovrebbero  prevedere  nuclei  con finalita' specifiche: luoghi di sollievo per la persona disabile e la famiglia, nuclei  per  preminenti  esigenze  riabilitative  o per problematiche cliniche  temporanee,  ecc.  Infine  occorre  implementare  i sistemi informativi  esistenti  per  avere  una conoscenza certa dei bisogni, dell'offerta, della qualita' dei servizi e degli esiti.
 
 La   rete,  di  cui  sono  parte  essenziale  e  qualificante  gli specialisti  ambulatoriali  interni,  sara'  in grado di garantire la continuita'  dell'assistenza,  la individuazione e la intercettazione della  domanda  di  salute  con  la presa in carico dell'utente ed il governo  dei  percorsi  sanitari  e sociali, in una rigorosa linea di appropriatezza degli interventi e di sostenibilita' economica.
 
 I  campi  nei  quali  l'integrazione e' particolarmente necessaria sono  quelli delle patologie neoplastiche e delle patologie croniche, sia  congenite che acquisite, quali ad es. le patologie respiratorie, osteoarticolari,  neurologiche, gastrointestinali che si accompagnano spesso a disabilita', a progressiva diminuzione della funzionalita' a carico  degli  apparati  e conseguente perdita del grado di autonomia delle persone affette.
 3.8. L'integrazione socio-sanitaria.
 
 L'integrazione   tra   prevenzione,   cure   primarie  e  percorsi diagnostico-terapeutici  non e' di per se' sufficiente a garantire la copertura  di  bisogni  socio-sanitari  complessi,  che  vedono agire accanto a determinanti sanitari anche, e in qualche caso soprattutto, determinanti  sociali. Si tratta di un'area assistenziale nella quale la  mancata  azione  sul piano dei servizi sociali tende a vanificare anche il piu' complesso intervento sanitario.
 
 Con  il  d.P.C.M.  29  novembre  2001,  che  ha definito i Livelli Essenziali  di  Assistenza sanitaria, all'Allegato 1 C, sono elencate le    prestazioni   che   fanno   capo   all'area   di   integrazione socio-sanitaria ed e' precisato che l'erogazione delle prestazioni va modulata  in  riferimento ai criteri dell'appropriatezza, del diverso grado di fragilita' sociale e dell'accessibilita'.
 
 In  tale  contesto  assume  rilevanza strategica la programmazione integrata,  con  il  superamento della programmazione settoriale, per intercettare  i  nuovi  e  diversi bisogni che derivano dai mutamenti sociali,   economici   e   culturali   e   predisporre   le  risposte assistenziali.  L'approccio  integrato  risponde,  infatti,  in  modo adeguato   alla  complessita'  dei  problemi  di  salute,  a  partire dall'analisi dei bisogni fino alle scelte di priorita' di intervento.
 
 Il  momento  di programmazione rappresenta, in un'area come quella dell'integrazione socio-sanitaria facente capo a due diversi comparti istituzionali  (S.S.R.  e  Comuni),  il  momento  fondamentale per la definizione  delle scelte strategiche e delle priorita', in relazione alle   basi   conoscitive  rappresentate  dai  bisogni  presenti  sul territorio,  dal  sistema  di  offerta e dalle risorse disponibili in capo a ciascun comparto.
 
 Quale  momento fondamentale facente capo ad un duplice sistema, il problema  principale  e'  costituito  dalla  necessita' di realizzare concretamente   una  programmazione  partecipata,  sulla  base  della condivisione di obiettivi e priorita' d'intervento sociale e al tempo stesso   sanitario,  in  relazione  ai  quali  destinare  le  risorse disponibili in capo a ciascun comparto.
 
 Tuttavia non sempre e non dovunque la predisposizione di strumenti di   programmazione   si  traduce  concretamente  in  un  sistema  di interventi  integrati  e  coordinati a livello di territorio, tale da orientare  unitariamente  il volume delle risorse esistenti sull'area socio-sanitaria   (risorse  del  sociale,  risorse  sanitarie,  fondi regionali  finalizzati, risorse degli enti locali, rette degli utenti e  altre  risorse)  verso le aree di bisogno e gli obiettivi ritenuti congiuntamente prioritari.
 
 Per  un'ottimale organizzazione, gestione ed impiego delle risorse sull'area   dell'integrazione   socio-sanitaria,   occorre   pertanto individuare e condividere, a livello nazionale e regionale, le regole per  la cooperazione interistituzionale a livello locale, nella quale i  diversi  attori  del  sistema  si  confrontino,  sulla  base delle rispettive  competenze,  per  addivenire  a  programmi e progetti sui quali investire energie e risorse.
 
 L'evoluzione  della  domanda  di  salute  pone  la  necessita'  di intervenire in modo diverso in tema di salute, al fine di garantire e organizzare    servizi    centrati   sul   bisogno   della   persona, caratterizzati  da  elevati livelli di appropriatezza, tempestivita', efficacia, nonche' da una gestione efficiente delle risorse.
 
 La risposta al bisogno di unitarieta' del processo di cura, inteso nell'accezione  ampia del termine che coinvolge ambedue le componenti interessate, si realizza attraverso lo sviluppo di percorsi integrati e  di  continuita'  delle cure, che garantiscono un'adeguata risposta assistenziale  per i pazienti ed un intervento a rete. La famiglia e' uno  dei  nodi  della  rete,  al pari degli altri ambiti considerati, poiche'  essa  riveste  il  doppio  ruolo di espressione di richiesta assistenziale e di risorsa con cui instaurare un'alleanza terapeutica forte,  soprattutto  per  la  cura  delle  patologie  croniche.  Tale approccio  assistenziale richiede un'impostazione secondo metodologie e   strumenti   di   gestione   capaci   di  assicurare  un  percorso assistenziale  continuo  capace  di  cogliere  le  specificita' delle situazioni,  la  complessita'  delle  relazioni  e  dei bisogni delle persone.
 
 Il  sistema di offerta sull'area dell'integrazione socio-sanitaria e' spesso capillare, ma diversificato sul territorio.
 
 La diversificazione dipende dalle scelte organizzative e operative delle  strutture  aziendali, nonche' dalla carenza, su quest'area, di profili  assistenziali  e  di linee guida finalizzate ad orientare il lavoro  interprofessionale  verso  percorsi appropriati finalizzati a garantire la continuita' terapeutica fra ospedale e territorio.
 
 Pertanto,  dal punto di vista operativo, l'aspetto un problema non e'  costituito  dalla  tipologia  e  dalla qualita' delle prestazioni erogate,   bensi'  dalla  persistente  frammentarieta'  del  percorso assistenziale  del  cittadino  nell'ambito  del  sistema  sanitario e sociale.
 
 Nel  sistema  dell'integrazione  socio  sanitaria  costituisce  un problema   il   fatto   che   mentre  sono  stati  determinati,  come fondamentale  elemento  di  unitarieta',  i  livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti a tutti i cittadini (d.P.C.M. 29.11.2001), sul versante sociale non esiste ancora l'atto formale di definizione   dei  Livelli  Essenziali  dell'assistenza  sociale,  in attuazione  della  legge quadro dei servizi sociali (legge 8 novembre 2000,  n.  328).  Tuttavia l'esperienza maturata in alcune Regioni di accordi-quadro  col  sistema delle autonomie locali ha consentito, in tali   realta',  un  rilevante  sviluppo  di  servizi  socio-sanitari integrati.  Si  richiama,  a tal fine, la previsione degli Accordi di programma  "ASL-Comuni"  previsti  dal  decreto legislativo 18 agosto 2000   n.   267,   quale  strumento  primario  per  la  realizzazione dell'integrazione  socio-sanitaria  atta  a  garantire effettivamente l'Assistenza  domiciliare integrata. Obiettivo del triennio e' quello di  promuovere  la  generalizzazione  di  tali esperienze, in modo da rendere  realmente  integrabili  a favore del cittadino sia i livelli essenziali  delle  prestazioni sociali e che quelli delle prestazioni sanitarie  (LEA),  almeno  in  riferimento  alle  aree  prestazionali individuate   dall'Allegato   1C   del  d.P.C.M.  29  novembre  2001, finalizzando,  a  tale  scopo, una parte delle risorse destinate agli obiettivi specifici del Piano sanitario nazionale.
 
 In  questo  contesto  il  PSN  promuove  lo sviluppo di interventi integrati  finalizzati a garantire la continuita' e l'unitarieta' del percorso  assistenziale, anche intersettoriale, nelle aree ad elevata integrazione  socio-sanitaria nell'ambito delle attivita' individuate dalla normativa vigente (salute mentale, dipendenze, malati terminali etc.), con la diffusione di strumenti istituzionali di programmazione negoziata  fra  i  Comuni  associati e tra questi e le A.S.L., per la gestione  degli  interventi  ad  elevata integrazione, lo sviluppo di ambiti  organizzativi e gestionali unici per l'integrazione, operanti in raccordo con gli ambiti di programmazione.
 3.9. Il dolore e la sofferenza nei percorsi di cura.
 
 Il  nostro  Paese  e'  impegnato  da  oltre dieci anni in numerose iniziative  volte  al  contrasto  del dolore all'interno dei percorsi assistenziali  sanitari. La realizzazione del Programma Nazionale per le  cure  palliative  e per la implementazione della relativa rete e' stata   la   prima  iniziativa  finalizzata  a  migliorare  l'offerta assistenziale   per   i   malati  affetti  da  malattie  inguaribili, primariamente ma non esclusivamente riferita ai neoplastici, anche al fine   di   promuovere   il  contenimento  della  sofferenza  globale caratteristica delle fasi finali della vita.
 
 Successivamente,  per  superare  le  limitazioni  della precedente legislazione  sui  farmaci analgesici oppiacei, al fine di agevolarne la prescrizione e l'utilizzo, sono stati emanati alcuni provvedimenti normativi (legge 8 gennaio 2001, n. 12 e relativi decreti attuativi), che  regolamentano e facilitano l'uso degli analgesici oppiacei anche nel  settore  dell'assistenza domiciliare. Le nuove norme sono valide oltre  che per il trattamento del dolore secondario a neoplasia anche per  la  cura  delle  gravi  forme  di  dolore  secondario  ad  altre patologie.  Con  tali  azioni  si  e'  voluto  offrire agli operatori sanitari  la  possibilita'  di  utilizzare questi farmaci con maggior facilita',  consentendo  la  realizzazione  di interventi sempre piu' efficaci   nell'eliminare  o  ridurre  il  dolore.  Nonostante  cio', l'Italia  e'  tra  gli  ultimi  Paesi  europei per quanto riguarda il consumo  di  farmaci  analgesici  oppiacei.  In tal senso va valutato quanto  riportato  nella  Raccomandazione n. 34/2003 del Comitato dei Ministri  del Consiglio dei Ministri Europei, in cui si afferma che i governi europei dovrebbero rivedere le normative in vigore in materia di  accesso  agli  oppioidi  per il trattamento del dolore in modo da renderne piu' agevole la prescrizione e la somministrazione.
 
 Per  migliorare  l'organizzazione  di  processi  assistenziali  in funzione  del  controllo  del  dolore  il 24 maggio 2001 lo Stato, le Regioni e le Province autonome hanno stipulato l'accordo "Linee guida per la realizzazione dell'Ospedale senza dolore".
 
 L'Accordo  e'  ampio  e articolato. Occorre, pertanto, operare per una  sua  piena  attuazione, in particolar modo per l'elaborazione di specifici  protocolli  nei  differenti  tipi  di  dolore e per la sua puntuale   rilevazione,   recependo   le  Linee  guida  nazionali  ed internazionali  gia'  disponibili.  In  questa  direzione puo' essere seguito   l'esempio  di  alcuni  Paesi  europei  che  hanno  aggiunto l"intensita'  del  dolore" ai 4 classici parametri rilevati durante i ricoveri ospedalieri.
 
 Infine,  in  sintonia  con  l'Accordo,  va garantita la diffusione della lotta alla sofferenza e al dolore anche fuori dall'Ospedale, in primis avvalendosi del contributo dei MMG e dei PLS.
 
 La  formazione  degli  operatori  ospedalieri  e  territoriali  va realizzata nell'ambito del programma di ECM.
 
 La  lotta  al  dolore deve essere potenziata anche nei settori nei quali, anche a causa di limiti culturali non ancora superati, esso e' spesso misconosciuto e sotto trattato, come durante il travaglio e il parto  per  via  naturale,  in  ambito  post-operatorio  e  in Pronto Soccorso.
 
 A  tale  riguardo  va  ricordato che alcune Regioni hanno previsto specifiche  modalita'  volte  alla incentivazione della realizzazione del "parto indolore".
 
 Va,  inoltre,  sensibilizzata  la cittadinanza in tema di cura del dolore  e  del diritto al suo superamento. In tal senso, accanto alle iniziative   di  carattere  sanitario,  sono  state  gia'  realizzati importanti  eventi come la "Giornata Nazionale del Sollievo", indetta secondo  la  direttiva  della  Presidenza  del Consiglio, con cadenza annuale con l'obiettivo di sensibilizzare e promuovere la cultura del sollievo  dalla  sofferenza fisica e morale, soprattutto per i malati inguaribili.  In  uno  studio  presentato  in  occasione  dell'ultima Giornata  Nazionale,  i  dati  rilevati confermano come il dolore nei pazienti  ricoverati  e'  spesso  sottostimato  e  trattato in misura insufficiente.  Occorre  pertanto moltiplicare l'impegno del Servizio sanitario  nazionale  nella lotta al dolore per il carattere etico ed umanitario  che  la  connota e perche' essa e' indice di qualita' dei Sistemi Sanitari.
 
 Un passo in questa direzione e' il completamento della definizione di  Linee  Guida  Nazionali  sul trattamento del dolore nel bambino e nell'adulto,   mediante   il   Sistema   Nazionale   Linee   Guida  e l'integrazione   con   le   iniziative   europee  ed  internazionali, partecipando  alle  attivita'  di  network gia' operativi nella lotta contro il dolore.
 
 Accanto  alla  lotta  al  dolore,  vanno  attivati,  nei  percorsi sanitari,  gli  interventi  volti  a promuovere l'umanizzazione delle cure,  nella  consapevolezza  che il fulcro del Servizio Sanitario e' rappresentato dalla persona malata, nella garanzia del rispetto della sua  dignita', identita' e autonomia. In primo luogo va migliorato il rapporto  tra  malato,  medico  e  operatori  sanitari, in termini di qualita'  della  comunicazione,  di  livelli  di  comprensione  e  di trasmissione  di empatia. Deve essere stimolata in tutto il personale sanitario,  socio-sanitario,  socio assistenziale e amministrativo la disponibilita'  all'accoglienza, all'ascolto e alla comunicazione. E' importante  che  al  paziente venga assicurato il necessario supporto psicologico,  quando le sue condizioni cliniche lo richiedano, per la gravita'  della patologia o dell'evento occorso o per gli effetti che la   stessa   puo'  comportare  in  diversi  ambiti  culturali  o  in particolari condizioni sociali.
 3.10. La rete assistenziale per le cure palliative.
 
 Allo  stato  attuale  occorre  recuperare  il  ritardo  accumulato nell'attuazione  del  Programma  nazionale  per  la  realizzazione di strutture   per   le   cure  palliative,  istituito  con  il  decreto ministeriale  28  settembre  1999.  Attualmente  sono  attive solo 61 strutture  tra  pubbliche  e  private  accreditate;  31  delle  quali realizzate con gli stanziamenti statali, a fronte delle 201 strutture approvate  per il completamento del Programma nazionale. Le strutture esistenti  presentano  un elevato standard qualitativo sia in termini della  qualita'  strutturale  sia  per  quel che attiene l'assistenza erogata,  dimostrando  la  validita'  dei presupposti programmatori e stimolando il completamento della rete.
 
 I  programmi  regionali,  di  attuazione  del programma nazionale, integrano    lo    sviluppo   dei   centri   residenziali   di   cure palliative-hospice  nella  rete  assistenziale per le cure palliative definita   con   il   citato  decreto  e  promuovono  in  particolare l'intervento  assistenziale  al  domicilio  del  paziente, al fine di consentire la continuita' assistenziale.
 
 La  necessita'  di  offrire  livelli  assistenziali a complessita' differenziata,  adeguati  ai  bisogni  del  malato  e della famiglia, mutevoli  anche  in  modo  rapido  e  non sempre programmabili, rende necessario realizzare un sistema che offra la maggior possibilita' di sinergie  tra  differenti  modelli  e  livelli  di intervento e tra i numerosi  soggetti  professionali  coinvolti.  La  rete  deve  essere composta  da  un  sistema di offerta nel quale la persona malata e la sua  famiglia,  ove presente, possano essere guidati e coadiuvati nel percorso  assistenziale  tra il proprio domicilio, sede di intervento privilegiata ed in genere preferita dal malato e dal nucleo familiare e    le    strutture   di   degenza,   specificamente   dedicate   al ricovero/soggiorno  dei  malati  non  assistibili  presso  la propria abitazione.  La rete deve offrire un approccio completo alle esigenze della  persona  malata,  garantendo,  ove  necessario e richiesto, un adeguato intervento religioso e psicologico.
 
 Particolare  attenzione  va posta alle esigenze di cure palliative nell'eta'  neonatale, pediatrica e adolescenziale, tenuto conto della considerevole diversita' dei problemi da affrontare rispetto a quelli presentati  nell'eta'  adulta  e  anziana,  della  grande  varieta' e frammentazione  delle  patologie  in causa, spesso rare e richiedenti interventi  di  alta  specializzazione  e  dell'intervallo  temporale interessato  a  tali  cure  spesso assai lungo e non prevedibile. Per quanto  sopra  esposto  si ritiene indispensabile l'organizzazione di reti  di cure palliative dedicate a questa fascia di popolazione, che permettano di garantire la qualita' e la specialita' degli interventi richiesti  unitamente  alla  globalita'  e multidimensionalita' della presa  in carico del bambino e della sua famiglia. Tali reti dovranno essere  rispettose delle scelte delle famiglie dei soggetti coinvolti e  supportate da specifiche dotazioni di risorse. La relativa rarita' dei  problemi  da  affrontare  richiede  lo sviluppo di reti con ampi bacini  di  utenza,  che  potranno di volta in volta essere garantiti dall'azione  programmatoria  delle  singole  Regioni  o di volontarie aggregazioni di esse.
 
 Inoltre, anche nella fase che segue la morte della persona malata, in  base  a  numerose  esperienze internazionali e nazionali, risulta sempre  piu' evidente la necessita' di offrire interventi di supporto al lutto dei familiari, qualora se ne ravvisi la necessita'.
 
 La  rete di cure palliative deve essere flessibile ed articolabile sulla   base   delle  scelte  regionali,  d'altro  canto  la  diversa organizzazione  regionale  deve  comunque garantire in tutto il Paese una  risposta  adeguata  alle  necessita'  dei  malati  e  delle loro famiglie.  Dovra'  essere  stimolata  e favorita l'integrazione nella rete  delle  numerose  Organizzazioni  Non  Profit, in particolare di volontariato,  attive  da  anni  nel  settore  delle cure palliative, dell'assistenza domiciliare e negli hospice, nel rispetto di standard di  autorizzazione/accreditamento  precedentemente definiti a livello nazionale e regionale.
 
 In  attesa  della realizzazione di un iter professionale specifico per le cure palliative, definito a livello universitario per ciascuna figura  professionale, e' comunque necessario che la formazione degli operatori  venga  realizzata  in  base  a  programmi  propedeutici  e continui  il  piu'  possibilmente  omogenei  a  livello  nazionale  e regionale.
 
 4. STRATEGIE DEL SISTEMA
 4.1. Promuovere innovazione, ricerca e sviluppo.
 
 Nel  triennio  2006-2008  occorre  perseguire  il  rilancio  della ricerca per la salute. Come indicato nelle premesse e negli obiettivi del  presente Piano, la filiera che lega nel sistema per la salute la ricerca,  il  trasferimento,  i processi di innovazione e lo sviluppo delle  conoscenze  operative,  e'  un  fattore  in  grado non solo di garantire  l'adeguamento  costante  e  tempestivo  del nostro sistema sanitario  alle  innovazioni  in  campo scientifico e tecnologico, ma anche  in  grado  favorire  lo sviluppo complessivo del sistema Paese quale  leva  maggiore  sia  nell'ambito  dello  specifico settore sia nell'ambito  dei  settori correlati e dell'indotto. Il rilancio della ricerca  sanitaria e' un obiettivo primario del Paese che deve essere conseguito  con  una  stretta  integrazione  tra diverse tipologie di ricerca,  ed  in  particolare  tra  ricerca  biomedica  e ricerca sui servizi sanitari. Esso si realizza, per dare risposta all'esigenza di innovazione   tecnologica,   organizzativa  e  gestionale  attraverso programmi di ricerca, sviluppo, trasferimento, adozione, attuazione e manutenzione,  corrispondenti  alla  strutturazione  di  filiere  sul modello  di  quelle  realizzate nell'ambito dei sistemi per la salute dalle esperienze europee piu' avanzate oggi ricomprese nel modello di Programma  Quadro  dell'Unione  Europea  sotto il nome di piattaforme tecnologiche'.  Questo  comporta  una  complessiva  rivisitazione del meccanismo  attraverso  il  quale  si  determinano  le priorita' e si identifica il fabbisogno per il sostegno alla filiera. Si indicano in particolare i seguenti elementi principali:
 
 1. il finanziamento della ricerca deve essere indirizzato in base ad  una  schedulazione  pluriennale che deve essere congruente con le linee   strategiche   e  i  processi  attivi  a  livello  europeo  ed internazionale,  favorendo lo sviluppo di sinergie e integrazioni tra gli  attori del Servizio Sanitario, i Centri di ricerca, le Imprese e gli  stakeholders territoriali. Il ruolo di coordinamento deve essere condotto,  nel  rispetto  delle  competenze  istituzionali, presso il Ministero  della  Salute,  dalla Commissione nazionale della ricerca. Cio'  anche  per  il  ruolo  che  Ministero della salute svolge quale attore di raccordo tra gli enti statali, regionali e territoriali;
 2.  la selezione dei progetti finanziabili deve essere raccordata alla   pianificazione   nazionale   in   materia   di  infrastrutture tecnologiche e informative, evitando le duplicazioni di investimento, le  sovrapposizioni  o  il  finanziamento  di progetti manifestamente estranei  ai  processi  di standardizzazione e omogeneo dispiegamento operativo;
 3.  deve  essere  prevista  l'integrazione  delle attivita' degli IRCCS,  delle  Aziende  sanitarie,  con  particolare riferimento alle aziende  Ospedaliero-Universitarie,  con  l'obiettivo  di  realizzare masse  critiche  adeguate,  in  termini  di  risorse  di  conoscenza, tecnico-operative, di skills professionali e finanziarie, ad accedere a  processi  di finanziamento europei ed internazionali sia sul piano della  ricerca  di  base  che  su  quello  della ricerca finalizzata, precompetitiva e del trasferimento di impresa;
 4.  va  sviluppata  nelle  Regioni  e  all'interno  delle aziende sanitarie,  la capacita' di gestire la funzione di ricerca e sviluppo come  attivita'  istituzionale  propria  del  SSN,  inscindibile  dai tradizionali  compiti  di  assistenza,  che  comporti la capacita' di valutare  e  tempestivamente  adottare le innovazioni tecnologiche di provata  efficacia,  stimarne  l'impatto  economico  e,  soprattutto, analizzarne  il  possibile impatto sull'organizzazione e le possibili ricadute sulla programmazione locale e regionale dei servizi;
 5.  deve  essere  incentivata  la relazione fra il sistema per la salute  e  il  sistema  industriale  e  commerciale,  con particolare riferimento alle industrie chimico-farmaceutiche, biomedicali e delle tecnologie  dell'informazione  e comunicazione, favorendo lo sviluppo di  sinergie controllate nel settore della ricerca e della formazione che,  pur assicurando priorita' e vincoli del sistema pubblico per la salute,   consentano   il   dispiegamento  di  programmi  di  ricerca cofinanziati su tematiche di reciproco interesse ed impegno;
 6.  e'  necessario  studiare  e  proporre innovativi strumenti di potenziamento  e  gestione  del sistema della ricerca in relazione al complesso  delle  attivita',  allo sviluppo di singoli progetti, alla realizzazione  di  attivita'  di  filiera,  favorendo  lo sviluppo di sistemi   di   supporto   alla  progettazione,  alla  negoziazione  e all'accounting  dei  progetti  a  livello nazionale ed internazionale anche   attraverso   l'individuazione   di   specifiche   partnership professionali  e  la  valorizzazione  dei  circuiti  informativi e di conoscenza.  Tutto cio' prevede il coinvolgimento di tutti gli attori del   SSN   utilizzando   gli   appositi   luoghi   istituzionali  di coordinamento,  al fine di evitare la frammentazione delle proposte e dei risultati.
 
 E'  ormai  matura  la  consapevolezza che la sfida sulla salute si possa  vincere  soltanto attraverso una ricerca caratterizzata da una visione  unitaria,  comuni  obiettivi e dunque costante interscambio, facendo  convergere  con  pari dignita' discipline diverse, da quelle mediche  e  infermieristiche,  a  quelle economiche, ingegneristiche, epidemiologiche, statistiche e informatiche.
 
 Gli  strumenti  di tale politica andranno poi concretizzati in via prioritaria   nel   procedere  alla  costruzione  di  alcuni  modelli sperimentali  patologici  che  abbiano  una  correlazione con le piu' importanti  malattie comuni e rare, associando le conoscenze cliniche a quelle gestionali-organizzative.
 La promozione della ricerca sanitaria.
 
 Il  rilancio  della  ricerca  e'  obiettivo  primario del presente Piano:   si   tratta   di   coordinare  e  valorizzare  iniziative  e professionalita'  gia'  presenti  nel SSN in una visione unitaria che consenta  di  impostare  una  vera  e  propria  politica di Ricerca e Sviluppo  con  il  coinvolgimento  del  Ministero  della  Salute, del Ministero   della   Ricerca,   del  Ministero  dell'Innovazione,  del Ministero  dell'Economia e Finanze, dei Centri di ricerca nazionali e regionali  Il  Programma  di Ricerca Sanitaria (PRS) (ex art. 12 bis, comma   3,   d.   lgs.   30   dicembre  1992,  n.  502  e  successive modificazioni),  tenendo  conto degli obiettivi individuati nel Piano sanitario   nazionale,   dovra'   definire   su   base  triennale  le corrispondenti  strategie  di ricerca e l'allocazione delle risorse a cio'   dedicate,   prevedendo   anche   le  necessarie  modalita'  di coordinamento  con  il programma Nazionale per la Ricerca 2005/2007 e assicurando le indispensabili sinergie fra ricerca pubblica e ricerca privata   nonche'   tra   ricerca  nazionale  e  ricerca  europea  ed extraeuropea.
 
 Nel   triennio  di  competenza  2003-2005,  sono  stati  raggiunti notevoli risultati nella promozione delle collaborazioni e delle reti di  scambio  tra  ricercatori, Istituti di Ricerca, Istituti di Cura, Associazioni  scientifiche,  Associazioni  di  malati  e Associazioni attive  nel campo del volontariato, con un'indubbia positiva ricaduta sul SSN.
 
 Per quanto attiene alla Ricerca Europea, si evidenzia che e' stata implementata  la  partecipazione degli istituti pubblici e privati ai progetti  di  ricerca  del VI Programma Quadro dell'Unione Europea ma che  la  partecipazione  diretta  del  sistema  Paese  al  piano  dei finanziamenti  europei  in  materia di ricerca e' ancora estremamente ridotto  e,  sotto  il  profilo della visibilita', marginale, anche a causa  di interventi non coordinati di tutti gli enti con conseguente azione presso l'Unione Europea frammentaria e contraddittoria.
 
 L'impegno  del  presente Piano e' quindi quello di sviluppare ogni possibile   azione   di   sostegno  per  la  selezione  dei  progetti candidabili    al   finanziamento   europeo   anche   attraverso   la predisposizione di apposite strutture di supporto alla progettazione, alla  negoziazione  e  all'accounting  dei  progetti  identificati  a livello  delle  adeguate sedi istituzionali anche al fine di renderle immediatamente disponibili e condivise a tutti gli attori del SSN.
 
 Per  favorire  la  cooperazione  delle imprese pubbliche e private nella  ricerca, e' stata attivata la politica dei cofinanziamenti, al fine  di  aumentare  la  massa critica finanziaria disponibile, in un momento di particolare carenza di fondi.
 
 Un  maggiore  impiego  di  cofinanziamenti nel campo della ricerca sanitaria appare auspicabile e deve rappresentare un impegno che puo' essere  raggiunto  attraverso  nuove  forme  di collaborazione con il settore privato.
 
 Per  facilitare  lo  sviluppo  della  ricerca  sono  state inoltre elaborati   ed  approvati  progetti  per  studiare  le  modalita'  di attuazione  di  condizioni favorevoli alla mobilita' dei ricercatori, alla  collaborazione  fra  istituzioni  pubbliche  e  private nonche' l'attivazione di strumenti capaci di attirare ricercatori provenienti dall'estero.  In  tal senso sono stati raggiunti accordi di programma con  gli  U.S.A. e con la Cina, nell'ambito di tematiche di interesse comune. Un ruolo molto importante nell'ambito della ricerca e' svolto dall'Istituto Superiore di Sanita' che coniuga la ricerca clinica con l'attivita'   di   valutazione   e   controllo  sanitario  tesa  alla prevenzione  e alla protezione della salute pubblica, per la quale si coordina  con  lo  Stato,  l'Unione  europea,  le Regioni, le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere.
 
 L'Agenzia dei servizi sanitari regionali con le Regioni e Province autonome   porta   avanti   programmi  di  ricerca  su  problematiche organizzativo-gestionali ed il successivo trasferimento di conoscenza e "best-practice" tra i diversi soggetti coinvolti.
 
 A    livello   centrale   il   Ministero   della   Salute   svolge istituzionalmente una funzione di sintesi tra i diversi interlocutori per  la  validazione  della  ricerca  sanitaria  e  una  funzione  di coordinamento a livello nazionale, europeo ed extraeuropeo.
 
 Attualmente,  all'interno dello stesso Ministero, coesistono varie linee  di  ricerca,  per  le  quali  sarebbe  opportuno promuovere un miglior  coordinamento,  in  modo  da  finalizzare  le  risorse verso obiettivi  concordati.  Questa sinergia programmatica, che deriva dal concorso  di  tutte  le istituzioni di ricerca afferenti al Ministero della  Salute  con l'intera comunita' scientifica, dal punto di vista operativo   si   deve   tradurre  in  ulteriori  azioni  di  sviluppo nell'ambito del PSN 2006/2008.
 
 Per   quanto   riguarda   la  Ricerca  Veterinaria,  gli  Istituti Zooprofilattici    Sperimentali    (IZS)   operano   come   strumenti tecnico-scientifici  dello  Stato,  delle  Regioni  e  delle Province autonome  e  svolgono  attivita'  di ricerca scientifica sperimentale veterinaria  e  di accertamento dello stato sanitario degli animali e di salubrita' dei prodotti di origine animale, su input dello Stato e delle Regioni, fornendo consulenza e supporto tecnico-scientifico per le  attivita' di pianificazione. Sono inoltre un punto di riferimento per  le  Istituzioni Comunitarie e per Organismi Internazionali quali l'O.I.E. (Ufficio Internazionale dell'Epizoozie), l'OMS.
 
 In  questo  campo  gli  obiettivi  prioritari  del  PSN  2003-2005 riguardavano le ricerche sulle zoonosi, sulle TSE e su altre malattie a   carattere   diffusivo   per  la  popolazione  animale.  L'attuale programmazione  conferma  tali priorita' con un orientamento verso la comprensione  e  soluzione  di  problematiche  sanitarie  attuali  ed urgenti,  le emergenze infettive, infatti, continuano a costituire un rischio  rilevante per la sanita' animale e per la salute pubblica ed un  notevole  costo  per  il  Servizio sanitario nazionale, e cio' in particolar  modo  per  le  malattie  altamente  diffusibili,  in aree soprattutto ad elevata densita' animale.
 
 Gli  obiettivi  generali  della  ricerca  per  la sanita' pubblica veterinaria sono i seguenti:
 
 - lo  sviluppo  di strumenti epidemiologici per l'identificazione di aree a particolare rischio di insorgenza di emergenze sanitarie;
 - l'elaborazione  di  modelli di sorveglianza basati sull'impiego di  sistemi  informativi georeferenziati (GIS) e sull'analisi di dati spaziali  per  lo studio dei fattori col coinvolgimento delle diverse figure professionali interessate;
 - lo  sviluppo di strumenti diagnostici innovativi, comparabili e sostenibili   per  l'individuazione  di  patogeni  lungo  la  filiera produttiva  e  per  un'applicazione  in piani di sorveglianza su base nazionale;
 - la  validazione  e  l'introduzione  di sistemi e metodologie di trattamento  atte  ad  elevare  il  grado  di  sicurezza dei prodotti alimentari d'origine animale;
 - lo  sviluppo  di  metodologie  innovative  per  la  ricerca  di residui,  contaminanti ambientali, additivi e organismi geneticamente modificati  negli alimenti di origine animale e negli alimenti ad uso zootecnico.
 L'ammodernamento  strutturale  e tecnologico e l'Health technology assessment.
 
 Le  politiche  pubbliche  di  investimento  del Servizio sanitario nazionale, finanziate con il programma straordinario di interventi in
 |  |  |  | edilizia  e  tecnologie sanitarie, di cui all'articolo 20 della legge 11  marzo 1988, n. 67, hanno avuto ed hanno il compito di traghettare il  patrimonio  strutturale  e  tecnologico  del  SSN attualizzandolo rispetto  ai  nuovi principi di assistenza pubblica: riqualificazione dell'offerta  attraverso  la definizione di una rete differenziata di strutture,   dall'alta   specialita'   all'ospedale   di   comunita', assistenza sul territorio, potenziamento del parco tecnologico. 
 L'attuazione  delle  politiche  del  programma straordinario degli investimenti  previsti  dall'art.  20  della  legge 67/1988 e' volta, quindi,  a  garantire  l'adeguamento delle strutture edilizie e delle tecnologie  impiegate  nel  Sistema  Sanitario  Nazionale  alla nuova visione della Salute.
 
 La   politica   degli  investimenti  va  considerata  quale  parte integrante  delle  risorse  destinate  al  finanziamento del Servizio sanitario  nazionale,  tenuto  conto  che  la definizione dei livelli essenziali  di  assistenza  si  configura quale modello prestazionale obbligatorio  e  che  le attivita' sanitarie e socio sanitarie devono essere esercitate in strutture idonee, con caratteristiche edilizie e tecnologiche  minime  che,  allo  stato, risultano quelle fissate dal D.P.R. 14 gennaio 1997.
 
 Il programma di investimenti, infatti, contribuisce al processo di razionalizzazione  della rete ospedaliera e territoriale, finanziando interventi  volti al miglioramento dell'offerta dei servizi, e quindi della   dotazione   strutturale  e  tecnologica,  ricompresi  in  una programmazione sanitaria regionale.
 
 Dai dati delle piu' recenti rilevazioni sul patrimonio tecnologico del  SSN,  risulta  che  molte delle apparecchiature censite sono mal distribuite,   e   a   volte   sottoutilizzate   rispetto  alle  loro potenzialita'  intrinseche,  sul  territorio  nazionale  e presentano un'obsolescenza  a rischio. Va rilevato che in questo settore ad alta tecnologia  l'impegno  di  spesa  si  traduce  sistematicamente in un risparmio  notevole  sui costi complessivi del settore sanitario, dal momento  che  diagnosi  accurate e precoci consentono quasi sempre di ridurre  in  maniera  rilevante  i  costi  sanitari  (e anche i costi sociali) della maggior parte delle patologie.
 
 Anche  in  questo  settore  vanno  rispettati  gli impegni assunti congiuntamente  dallo Stato e dalle Regioni assunto il 23 marzo 2005, in  cui  e'  previsto  di  destinare almeno una quota pari al 15% del finanziamento per l'ammodernamento tecnologico.
 
 In  tema di ammodernamento tecnologico, un discorso a parte merita lo  sviluppo dei sistemi informativi. Il primo punto che e' opportuno sottolineare  e'  che  i  sistemi informativi delle aziende sanitarie assolvono a una duplice funzione:
 
 1. supportare i processi (amministrativi e sanitari) aumentandone il piu' possibile efficienza e qualita';
 2. registrare i dati fondamentali relativi ai processi stessi.
 
 E'  necessario  che  entrambi gli obiettivi siano essere tenuti in opportuna  considerazione  in sede di selezione o implementazione dei sistemi  informativi  e  che  lo sviluppo dei sistemi informativi del livello   aziendale   del   SSN,  soprattutto  laddove  finanziato  o co-finanziato  dalle  amministrazioni  centrali,  sia  opportunamente indirizzato  per consentire il contemporaneo raggiungimento sia degli obiettivi   di   supporto  ai  processi  sia  per  gli  obiettivi  di valutazione.
 
 L'inserimento   dei   sistemi   informativi  nelle  organizzazioni sanitarie  deve essere accompagnato da un parallela riflessione sulle modalita'  di  funzionamento  dei  processi,  in  particolare in quei contesti  (primo fra tutti il territorio e l'erogazione di servizi ai pazienti  affetti  da  cronicita) in cui l'assenza di unitarieta' nel "luogo"  in  cui  il processo si realizza e la sostanziale assenza di modelli organizzativi gia' pienamente consolidati e integrati (ad es. tra  sanitario  e  sociale)  rendono  arduo  pensare allo sviluppo di soluzioni   informatiche   indipendenti  dall'organizzazione  in  cui debbono essere calati.
 
 Anche  in  questo  caso  si puo' portare un esempio, che e' quello della telemedicina.
 
 In  generale  e'  quindi  esigenza  ormai  inderogabile, quella di orientare  tutti  gli  attori  interessati, ad un'azione congiunta su sistemi  informativi  e  reingegnerizzazione  dei processi. In questo contesto  appare  opportuno  che  si  apra  uno  specifico  campo  di collaborazione  tra  Ministero  della Salute e Regioni che, nel pieno rispetto  dell'autonomia delle singole Regioni stesse, consenta pero' di  mettere in condivisione le singole esperienze sui diversi modelli organizzativi   adottati,   e   di  identificare  le  best  practices esistenti.  Tali  best  practices,  possono  essere  condivise tra le Regioni (che rimangono comunque libere riguardo alla loro adozione) e possono  fornire  elementi  di  guida  per  le diverse iniziative, in particolare  quelle per cui sono disponibili finanziamenti nazionali, volte a supportare lo sviluppo dei sistemi informativi.
 
 La  valutazione  delle  tecnologie  sanitarie  - Health technology assessment  -  (HTA)  ha  l'obiettivo  di informare coloro che devono prendere  le decisioni sulla scelta di tecnologie, usando le migliori evidenze   scientifiche   sull'impatto  e  le  implicazioni  mediche, sociali,  economiche  ed  etiche  degli investimenti in sanita'. Tali metodologie   sono   indispensabili   nella  valutazione  delle  alte tecnologie,  per  gli alti costi e la difficile gestione connessi, al fine  di  consentirne una distribuzione razionale sul territorio, per evitare inutili sprechi (doppioni) o gravi carenze.
 
 E'  ormai  largamente  diffusa  anche  in  molti  Paesi europei la consapevolezza  che  occorre  effettuare  la  valutazione sistematica delle  tecnologie  sanitarie  rispetto  ai principali elementi che ne connotano  l'utilizzo,  e  cioe'  la  tecnologia  stessa, i pazienti, l'organizzazione  e l'impatto economico ed e' necessario che anche in Italia  si  riconosca  che  l'HTA  e' una priorita', ed e' necessario sviluppare la promozione dell'uso degli strumenti di HTA, mettendo in comune  le  conoscenze  sul  tema,  gia'  in parte presenti in alcune realta' regionali ed aziendali.
 
 La  valutazione delle tecnologie sanitarie, intesa come insieme di metodi e strumenti per supportare le decisioni, si rivolge ai diversi livelli  decisionali secondo modelli operativi differenziati, rivolti a fornire supporto a:
 
 1.  decisioni  di  politica  sanitaria  (adozione,  diffusione  e finanziamento di nuove tecnologie);
 2.  decisioni "manageriali" di investimento in nuove tecnologie a livello  aziendale  e  per  la  promozione di un utilizzo appropriato delle tecnologie medesime tramite l'elaborazione di protocolli;
 3.  decisioni  cliniche, per la diffusione di "modelli di governo (governance)"  individuati  da  strutture  centrali,  e da adottare a livello  organizzativo,  quali  la  definizione  e  diffusione  degli standard qualitativi e quantitativi.
 
 L'obiettivo  principale  da perseguire e' la creazione di una rete nazionale articolata a livello regionale ed aziendale, per consentire lo  scambio  effettivo  di informazioni che possa fungere da supporto per  le scelte di politica sanitaria, in relazione alla necessita' di avere    a   disposizione   informazioni   attendibili,   tempestive, trasparenti e trasferibili sulle tecnologie sanitarie.
 
 Le  attivita' di HTA devono essere in stretto legame con le azioni in  corso  a  livello europeo, per consentire un effettivo scambio di esperienze  tra  i  paesi  europei,  nel  contesto del Gruppo di alto livello sulle cure sanitarie.
 
 A  tale  scopo  potrebbero  essere  utilizzati finanziamenti della ricerca finalizzata ex art. 12 dedicati a:
 
 - sviluppo della ricerca "primaria" originale;
 - revisioni sistematiche e metaanalisi di studi gia' disponibili;
 - sostegno   allo   sviluppo   di   piattaforme  tecnologiche  ed informative  per  il  supporto  agli  studi  clinici,  valutativi  ed economici dell'impatto delle innovazioni sulle condizioni di salute e sui  costi,  quali  ad  esempio  registri  delle  patologie e/o delle tecnologie, su base regionale o interregionale;
 - sviluppo  della funzione di coordinamento (clearinghouse) delle attivita'   di   valutazione   condotte   a   livello   regionale  (o interregionale) da parte degli organi tecnici centrali del SSN, quali l'Istituto  Superiore  di  Sanita' e l'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali.
 4.2. Il ruolo del cittadino e della societa' civile nelle scelte e nella gestione del Servizio sanitario nazionale.
 
 Obiettivo  del  piano e' favorire le varie forme di partecipazione del  cittadino,  in  particolare  attraverso  il  coinvolgimento  dei pazienti e delle associazioni dei familiari.
 
 La  partecipazione  e'  intesa  in  senso  ampio, sia come diretta partecipazione del cittadino/paziente/utente alle scelte terapeutiche e  assistenziali  che  lo  riguardano,  sia come partecipazione delle organizzazioni  che  esprimono  la societa' civile e, in primo luogo, delle   associazioni   dei   pazienti  e  delle  loro  famiglie  alla determinazione  delle  politiche  assistenziali,  sia,  infine,  come valorizzazione  del ruolo del terzo settore come una delle componenti cui  affidare  la  erogazione  di  servizi socio sanitari con oneri a carico del Servizio sanitario nazionale.
 
 Il SSN deve garantire la partecipazione dei cittadini quale vero e proprio  strumento  di pratica democratica esercitata dalla comunita' che finanzia un servizio destinato a soddisfare i suoi stessi bisogni di  tutela  della  salute.  In  tal  senso  si  esprimono i documenti dell'OMS e i numerosi documenti elaborati a livello europeo.
 
 Va  pertanto  previsto  un  ruolo  attivo delle organizzazioni dei cittadini  con  riferimento  agli  organismi di tutela dei diritti, a quelli  del  terzo  settore  ed  alle  associazioni  di categoria, di soggetti  che si rivolgono al SSN, in modo da valorizzare esperienze, conoscenze  e  punti  di  vista  destinate  ad arricchire il processo decisionale, operativo e valutativo, anche tenuto conto del programma di  azione  della  UE  nel  campo  della  salute  e  della tutela dei consumatori.
 La   partecipazione   nelle   attivita'  di  programmazione  e  di valutazione.
 
 Vanno  previste  forme  di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini  nelle attivita' relative alla programmazione, al controllo ed   alla  valutazione  dei  servizi  socio-sanitari  sia  a  livello regionale   che  aziendale,  che  distrettuale.  In  tale  ottica  va valorizzato  il ruolo degli organismi di partecipazione a partire dal Comitato Misto Consultivo.
 
 Per  quanto  riguarda  la  Carta  dei Servizi, i contenuti in essa riportati,   devono  costituire  un  preciso  impegno  per  l'Azienda Sanitaria  nei  confronti  dei cittadini e fornire informazioni certe circa  l'erogazione quali-quantitativa dei servizi destinati a questi ultimi. E' auspicabile che, per la redazione del suddetto documento a cura   delle   Aziende  Sanitarie,  le  Regioni  prevedano  modalita' compilative omogenee.
 
 Si  dovranno  favorire  forme di valutazione dei servizi in comune tra cittadini ed operatori del SSN, diffondendo metodiche partecipate di  raccolta  di  informazioni,  che  dovranno  costituire, una volta effettuata   la  valutazione  partecipata,  la  base  per  realizzare percorsi ed interventi di miglioramento.
 
 Anche  la  Conferenza  dei  Servizi deve effettivamente costituire momento  di  confronto  tra  Azienda  Sanitaria ed Organizzazioni dei Cittadini,  garantendo  a  queste  ultime  adeguato  spazio per poter esprimere  valutazioni  sull'andamento  dei servizi e proposte per il loro   miglioramento;  anche  per  tale  adempimento  e'  auspicabile l'individuazione,  da  parte delle Regioni, di modalita' omogenee per l'organizzazione,   la   pubblicizzazione   e  lo  svolgimento  della Conferenza dei Servizi.
 Dal consenso informato all'empowerment.
 
 Il  cittadino  deve  essere  il  primo  attore  delle  scelte  che riguardano   la  sua  salute.  Perche'  questo  si  realizzi  occorre promuoverne  la  partecipazione  attiva  nei processi sanitari che lo coinvolgono.   Questa   azione  e'  richiamata  anche  nei  documenti dell'Organizzazione   Mondiale   della   Sanita',  come  in  numerosi documenti  elaborati  a  livello  Europeo  e,  in  primo luogo, nella Convenzione  europea sui diritti dell'uomo e la biomedicina, recepita in Italia con la legge 28 marzo 2001, n. 145.
 
 E'  necessario  pertanto implementare i processi di informazione e comunicazione tra cittadino ed operatore, finalizzati a migliorare il consenso  informato, e tra cittadino ed istituzioni sanitarie (ad es. promuovendo  l'ulteriore  sviluppo  della  Carta  dei Servizi, con la quale  vengono  esplicitati  il  livello  di  qualita'  garantito nei servizi  erogati  e  gli  impegni  assunti).  E'  inoltre  necessario orientare  i  servizi offerti sui reali bisogni del cittadino/utente, fornire  al  cittadino  gli  strumenti  adeguati per interloquire con l'istituzione/servizio   affinche'  sia  messo  nelle  condizioni  di esprimere le proprie volonta' sul processo di cura che lo riguarda e, successivamente,  di  esprimere  la  propria opinione e il livello di soddisfazione per i servizi erogati. E' dunque opportuno sperimentare strumenti e modalita' di partecipazione dei cittadini sugli indirizzi di politica sanitaria.
 
 Le  azioni di partecipazione e coinvolgimento dei cittadini devono essere  finalizzate  a  rendere  le persone consapevoli della propria situazione  clinica,  delle  alternative  terapeutiche possibili, del proprio  diritto a scegliere consapevolmente e liberamente il proprio piano  di  cura  assumendone  le  spettanti  responsabilita'. Piu' in generale  i  cittadini  devono essere resi consapevoli e responsabili della  propria  salute,  anche in termini di promozione e prevenzione della  stessa e in grado di collaborare con le strutture responsabili dello sviluppo della qualita' dei servizi per la salute.
 
 Lo   scopo   del   coinvolgimento  e'  erogare  cure  efficaci  ed appropriate  sotto  il  profilo  clinico  ed  etico  e, nel contempo, garantire  il  massimo  livello  possibile  di equita' nell'uso delle risorse. Cio' e' favorito dal processo di empowerment del paziente ed in modo diverso dei suoi familiari.
 
 I   pazienti   sono  infatti  resi  "empowered"  quando  hanno  la conoscenza, le abilita', le attitudini e la consapevolezza necessaria per  influenzare  il proprio e l'altrui comportamento, per migliorare la  qualita'  della  propria  vita.  Per conseguire tale risultato, i servizi debbono accertare le aspettative e le priorita' dei pazienti; coinvolgere  i  pazienti  nei  propri  piani di cura ed assistenza ed utilizzare,  nel  rispetto  dei diritti e delle liberta' individuali, l'approccio  della  decisione condivisa, richiedere il loro feedback, anche sui servizi ed avviare conseguenti processi di miglioramento.
 
 L'empowerment   subisce,   tra   l'altro,  influenze  legate  alle caratteristiche    demografiche,    socio-culturali,   economiche   e relazionali  dei  pazienti:  e'  dunque sempre importante considerare tali  aspetti  e,  in particolar modo, laddove ai servizi afferiscono persone  provenienti  da  diverse aree geografiche e/o appartenenti a diverse etnie o culture.
 
 Dunque  un  elemento  essenziale  per sviluppare l'empowerment del paziente  e'  proprio il farlo partecipe del processo decisionale. E' infatti  universalmente riconosciuto che quando l'utente partecipa al processo  decisionale,  anche  la  sua soddisfazione e' maggiore ed i risultati  clinici migliorano poiche' accetta le decisioni prese e si attiene   al  trattamento  deciso.  Inoltre,  il  coinvolgimento  dei familiari e delle associazioni di volontariato nei percorsi sanitari, consentendo  la  reciproca conoscenza e la collaborazione mirata - in forma  sinergica  con  le  attivita'  portate  avanti  dal personale- aumenta l'efficacia e l'efficienza degli interventi.
 La  valorizzazione  dell'associazionismo  dei  pazienti e dei loro familiari.
 
 Nel  corso  del  triennio  di  sviluppo  del  PSN sara' necessario adottare  iniziative  in  grado  di  dare  alle  molteplici  forme di associazionismo,  che  si  sono  sviluppate  nel nostro Paese, voce e ruolo  adeguati,  anche  in  sintonia  con  il  programma  di  azione comunitaria in tema di salute.
 
 In   particolare   le   iniziative   da   assumere  riguarderanno: l'aggiornamento  del  decreto  del  Ministro  della salute 15 ottobre 1996,  ai  sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 dicembre 1992  n. 502 e successive modificazioni, per la definizione, d'intesa con  la  Conferenza Stato- Regioni dei contenuti e delle modalita' di utilizzo degli indicatori di qualita' dei servizi e delle prestazioni sanitarie   relativamente  alla  personalizzazione  ed  umanizzazione dell'assistenza,   al   diritto  all'informazione,  alle  prestazioni alberghiere,  nonche'  la  promozione  degli interventi attuativi dei principi fondamentali desumibili dal medesimo articolo 14.
 Il ruolo del terzo settore.
 
 I  soggetti  del  terzo  settore  sono  costituiti dall'articolato universo di cooperative sociali, associazioni e fondazioni di diritto privato, societa' di mutuo soccorso, organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale.
 
 Le  modifiche introdotte dal decreto legislativo 19 giugno 1999 n. 229  al  decreto  legislativo 502/1992 avevano riservato un ruolo del tutto  peculiare  alle  istituzioni non lucrative nella realizzazione dei  servizi  sanitari  e  socio  sanitari  laddove  nel disciplinare l'istituto  dell'accreditamento  viene  puntualmente  evidenziato  lo "spazio"  che  a tali organismi deve essere riservato come ad uno dei tre  componenti  che  caratterizzano, come principio fondamentale del sistema,  il  pluralismo  erogativo  (erogatori  pubblici,  erogatori privati profit ed erogatori privati non profit).
 
 Obiettivo  del  triennio  di  applicazione  del  PSN  e' quello di recuperare il ritardo che in questo aspetto applicativo della riforma del  1999  si e' determinato in molte realta' regionali. Naturalmente e'  importante  che sia superata la teoria e la pratica del ricorso a tali  soggetti  come  semplici  esecutori di servizi appaltati, senza capacita'  progettuale  e imprenditoriale, mentre vanno evidenziati i principi   della  "reciprocita'"  e  dello  "scambio".  L'azione  dei soggetti  non  profit  produce,  infatti,  vantaggi  reciproci  per i cittadini  e  per  l'istituzione,  ed  il  volontariato  e'  un  bene prezioso,  per  il  quale  si rendano indispensabili regole nazionali chiare.  Agli  Enti  locali  e alle Regioni e' affidato il compito di precisare,  nel campo dei servizi socio sanitari, le forme attraverso cui  conseguire un coinvolgimento ampio e rappresentativo del privato non profit nei vari territori di competenza.
 
 Va  riconosciuto  ed implementato, soprattutto in un Paese come il nostro che ha una antica tradizione in questo campo, il contributo di grande   valore   portato   dal   volontariato   nella   sua   attiva collaborazione  con le Istituzioni per il raggiungimento di rilevanti obiettivi  di  salute.  La  Croce  Rossa  Italiana,  Ente  di diritto pubblico,  con  i  suoi  dipendenti  ed  i  suoi  250  mila volontari rappresenta   una  forza  diffusa  in  modo  capillare  su  tutto  il territorio  nazionale,  in  grado  di  rispondere  tempestivamente ai bisogni  che  si  possono manifestare. In particolare, la Croce Rossa Italiana  svolge  una  funzione sinergica e complementare al Servizio sanitario  nazionale  nei  settori della formazione alla persona, dei servizi sanitari di emergenza, sia individuale che collettiva in caso di maxi-emergenze, e dell'assistenza sanitaria e socio-sanitaria agli individui  piu'  fragili  della  nostra societa' (immigrati, anziani, malati  cronici, malati terminali). Per quanto attiene alle patologie neoplastiche  sono presenti nel nostro territorio varie ed importanti associazioni  i  cui  interventi  sono  connotati da alti standard di qualita',  come  ad es. la lega italiana per la lotta ai tumori, ente di  diritto  pubblico,  il cui raggio di azione va dalla promozione e raccolta   fondi,  alla  prevenzione  primaria  tramite  campagne  di sensibilizzazione  sulla  prevenzione  delle  malattie tumorali, alla prevenzione  secondaria, tramite effettuazione di visite preventive e di  screening,  all'assistenza  ospedaliera  e  domiciliare ai malati oncologici.
 
 Per  consentire  al  mondo del volontariato e del terzo settore di effettuare  interventi  non  parcellizzati, ma sinergici e coordinati con le attivita' delle istituzioni potranno essere promosse soluzioni in  grado  di  garantire  alle  imprese  sociali  la  possibilita' di qualificare  la loro presenza favorendone investimenti qualitativi di lungo   periodo,   coerentemente   con   le   esigenze   dei  servizi caratterizzati  da  continuita' assistenziale e modalita' di presa in carico previste dai livelli essenziali di assistenza.
 
 Andranno  favorite forme di sperimentazione che, in riferimento ai bisogni   che   richiedono  competenze  finalizzate  a  garantire  la integrazione  di  diversi  fattori  produttivi  per  la erogazione di risposte  con  diverso grado di complessita' tecnica e professionale, possano  prevedere  specifiche  forme  di  accreditamento che tengano conto  della  maggiore  o minore continuita' di presenza dei soggetti candidati nei vari sistemi regionali dei servizi socio sanitari.
 
 4.3.  Le  politiche  per la qualificazione delle risorse umane del SSN.
 Professioni sanitarie: fabbisogni e formazione di base
 
 La   stima  del  fabbisogno  del  personale  sanitario  presuppone principalmente  una  valutazione  da parte delle istituzioni che sono responsabili  a  pieno  titolo  dell'organizzazione delle aziende del Servizio sanitario nazionale, cioe' le Regioni e le Province autonome di  Trento  e  Bolzano.  Tuttavia,  non va trascurata la fondamentale azione  di  impulso  e  coordinamento  per una omogeneizzazione delle politiche  in  materia  che  il  Ministero  gia'  esercita  e  dovra' continuare  ad  esercitare  in modo ancor piu' incisivo, assumendo le necessarie  iniziative  finalizzate  alla  realizzazione di specifici accordi Stato-Regioni. Nell'ambito del procedimento non va trascurata la  preziosa collaborazione che la legge prevede debba essere offerta dagli  enti  pubblici  e  privati  e dagli Ordini professionali e dai Collegi  interessati,  anche  alla  luce della legge approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati il 24 gennaio 2006 "Disposizioni in  materia  di  professioni  sanitarie  infermieristiche, ostetrica, riabilitative,  tecnico-sanitarie  e  della  prevenzione  e delega al governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali.
 
 Per  quanto  concerne  il  fabbisogno  del  personale del Servizio sanitario  nazionale,  va sottolineata l'opportunita' che Ministero e Regioni  operino  al  fine  di  effettuare stime corrette in funzione delle esigenze delle strutture sanitarie e del mercato del lavoro che le   stesse   offrono,   mentre   compito  successivo  del  Ministero dell'Istruzione, Universita' e Ricerca e' quello della programmazione degli  accessi  ai  corsi  di  diploma  di  laurea,  alle  scuole  di formazione  specialistica  ed  ai  corsi di diploma universitario. E' necessario   quindi   che  si  creino  sinergie  positive  perche'  i fabbisogni trovino corrispondenza nel correlato modo del lavoro.
 
 A tale scopo e' indispensabile pervenire ad una programmazione non piu'  annuale  ma  almeno  triennale  del  fabbisogno  del  personale sanitario tenendo conto di quanto previsto dal comma 2, dell'articolo 6-ter  del  citato  d.lgs.  n.  502/92 e successive modificazioni, in termini di:
 
 - obiettivi e livelli essenziali di assistenza indicati dal Piano sanitario nazionale e da quelli regionali;
 - modelli organizzativi dei servizi;
 - offerta di lavoro;
 - domanda  di  lavoro,  considerando  il  personale  in  corso di formazione   e   il   personale  gia'  formato,  non  ancora  immesso nell'attivita' lavorativa.
 
 In   quest'ottica   andranno   sicuramente  privilegiate,  per  il soddisfacimento    dei   bisogni   del   cittadini   utente,   quelle professionalita'  delle  quali  l'assistenza  al  malato  avverte una particolare  carenza,  causa di disservizi e di un impegno suppletivo da parte degli operatori presenti in servizio.
 
 Anche  in  questo  caso e' necessario procedere all'individuazione corretta  dei fabbisogni da effettuarsi con criteri analoghi a quelli delle  suddette  professioni  sanitarie.  Uno degli aspetti rilevanti della  formazione  e'  infatti quello della formazione specialistica, per la quale vanno assunte iniziative per offrire allo specializzando una   formazione   teorico   pratica  di  alta  qualita'  coerente  e compatibile  con  i  livelli  essenziali di assistenza che gli stessi devono concorrere a realizzare.
 
 In  tal  senso  si  e'  anche  espresso  il Consiglio Superiore di Sanita', che ha affermato che:
 
 "l'obiettivo    preminente    della,   formazione   professionale specialistica  sia  inequivocabilmente  quello  di  fornire ai futuri specialisti  competenze  congrue  e  coerenti  con  le  esigenze  del Servizio  sanitario  nazionale,  sia a livello di strutture sanitarie che  di  territorio.  A  tal fine, per la definizione e l'elencazione delle  discipline,  si  preveda  un  sistema  di  flessibilita'  e di aggiornamento,   che  consenta  un  pronto  adeguamento  della  parte didattico-formativa    all'evoluzione    clinica,    allo    sviluppo scientifico,  al progresso tecnologico nonche' alle reali prospettive di  esercizio  professionale  che si potranno modificare o sviluppare all'interno del S.S.N."
 
 Nell'ambito  del procedimento dei fabbisogni e della formazione di base  degli  operatori  sanitari trova collocazione anche l'argomento delle  "medicine  e delle pratiche non convenzionali" che sicuramente verra' sviluppato nel corso dei prossimi anni.
 
 Non  vi  e' dubbio, infatti, che esigenze di garanzia della salute del   cittadino,   il   quale   deve   contare   sulla  formazione  e sull'affidabilita'  dei professionisti cui si rivolge, impongano allo Stato  di  prendere  in considerazione le medicine e le pratiche c.d. "alternative"  dal  punto di vista della loro validita' scientifica e della  qualificazione  di  chi  eroga  le prestazioni, quale fenomeno spesso occulto da rendere trasparente e controllato.
 Educazione continua in medicina.
 
 L'istituzione    dell'Educazione    Continua    in   Medicina   ha rappresentato  una  scelta  finalizzata  soprattutto al miglioramento dell'assistenza  sanitaria e della qualita' delle prestazioni erogate ai  cittadini.  Da  questa  motivazione  e'  derivata  come  naturale conseguenza  il  principio  dell'obbligatorieta' dell'aggiornamento e della  formazione  permanente,  nonche'  l'estensione  della stessa a tutti gli operatori sanitari e non solo ai medici.
 
 Gli   obiettivi   che   la   Formazione   continua   propone  sono sinteticamente:
 
 - mantenimento  della  motivazione  alla professione di tutti gli operatori  sanitari;  - adeguamento della capacita' professionale dei singoli  al  loro  livello  di  maturazione;  - adeguamento al rapido progresso    delle   conoscenze   e   delle   tecnologie   sanitarie;
 - miglioramento   continuo  dell'organizzazione,  del  rendimento  e dell'economia dell'intero sistema sanitario.
 
 La  formazione  deve  essere  considerata  come la possibilita' di aumentare  la capacita' di risposta ai bisogni del cittadino, in modo da  poter assicurare, in una prospettiva di continuo miglioramento il ragionato  passaggio,  fondamentale in ogni nuova organizzazione, tra passato  e  futuro,  innovando avendo sempre riguardo alle esperienze acquisite.   La   formazione  in  sanita'  e',  quindi,  un  percorso obbligato,  in  quanto  collegato  alla  crescita professionale degli operatori,  diretto  a sviluppare un'importante azione di adeguamento delle capacita' e competenze alle esigenze della collettivita'.
 
 Sotto  questo  profilo  tutti  i  provvedimenti  che riguardano la formazione    costituiscono    un   investimento   finalizzato   alla valorizzazione   del   capitale   umano   del   quale   accresce   la disponibilita' ad operare con alti livelli di motivazione.
 
 Al  di  la'  delle  difficolta' di carattere oggettivo legate alla gestione  del sistema e del relativo dispendio di energie, il settore deve  confrontarsi  con  tutta  una  serie  di  criticita' fra cui si segnalano  l'assenza  di una adeguata razionalizzazione dei fondi, il metodo   di   contabilizzazione   e  la  mancanza  di  un  efficiente monitoraggio  delle  spese.  In questo contesto andranno affrontati e risolti  in  modo espresso e senza ambiguita' gli aspetti relativi ai rapporti tra provider pubblici e privati e sponsorizzazioni all'ECM.
 
 In  questo  quadro  e' necessario un impegno per addivenire ad una puntuale   disciplina   delle   sponsorizzazioni   e  prefigurare  le fattispecie   che   danno   luogo   al   conflitto   d'interessi.  La sperimentazione  finora eseguita ha fornito indicazioni preziose alla luce delle quali e' possibile adottare provvedimenti per semplificare il  sistema e renderlo ancora piu' trasparente. Il ruolo riconosciuto alle Regioni nelle predette intese non e' solo coerente con l'attuale assetto  costituzionale,  ma  permette  una migliore penetrazione del programma  di  formazione  continua  sul territorio, dove peraltro la necessaria  e  dovuta  partecipazione  degli  Ordini  e  dei  Collegi professionali garantisce l'uniformita' nella qualita' dei programmi.
 
 Il  Piano Nazionale dell'Aggiornamento, come affermato nell'Intesa Stato-Regioni,  di  cui  all'intesa del 23 marzo 2005, costituisce il presupposto   necessario   "per   l'individuazione   degli  strumenti condivisi   per   il   contenimento  della  dinamica  dei  costi,  il miglioramento  qualitativo  dei  servizi  e  la riduzione della spesa inappropriata,   nel   rispetto   del  principio  della  uniforme  ed appropriata erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) sul territorio  nazionale,  di  cui  al  d.P.  C.M  29  novembre  2001  e successive modifiche ed integrazioni".
 
 Si   tratta,  quindi,  di  ripensare  l'assetto  istituzionale  ed organizzativo  dell'Educazione  Continua in Medicina, per fissare con chiarezza  il  riparto  di  competenze tra Stato e Regioni in tema di aggiornamento  professionale  successivo  alla formazione di base, in modo tale che nei prossimi anni il processo di educazione continua in medicina una volta portato a regime, risponda a criteri di efficienza ed adeguatezza.
 4.4.  La promozione del Governo clinico e la qualita' nel Servizio sanitario nazionale compresa la tematica delle liste di attesa.
 
 In  tutti  i  paesi  sviluppati  gli  ultimi  anni hanno visto una crescita  enorme  della  domanda di prestazioni sanitarie e quindi lo svilupparsi   di  politiche  tese  a  razionalizzare  al  massimo  le strategie   di  offerta.  Ma  anche  queste  iniziative  si  mostrano insufficienti  nel  lungo  periodo  se non affiancate da una corretta politica  di  governo  della  domanda  che  trovi il suo fulcro nella appropriatezza delle prestazioni erogate.
 
 La   traduzione   operativa   di   questi   concetti   si  colloca sostanzialmente nello sviluppo di un reale governo clinico che veda i professionisti direttamente coinvolti e responsabilizzati.
 
 Il  governo  clinico  (o  governo  della  qualita'  clinica) e' il "cuore"  delle  organizzazioni  sanitarie nell'ospedale: il controllo dei  costi  e  degli  aspetti  finanziari dovrebbe essere, almeno per larga  parte,  conseguenza del suo esercizio, giacche' non e' sensato porsi  un  obiettivo di efficienza se non vi e' innanzitutto garanzia di qualita'.
 
 Il  Governo  clinico (GC) - Clinical Governance - e' uno strumento per  il  miglioramento della qualita' delle cure per i pazienti e per lo  sviluppo  delle capacita' complessive e dei capitali del SSN, che ha lo scopo di mantenere standard elevati e migliorare le performance professionali  del  personale,  favorendo lo sviluppo dell'eccellenza clinica  e  rappresenta  lo  sviluppo  di  riflessioni sul tema della qualita'  sul  quale  da anni molte organizzazioni stanno lavorando e tra queste l'Organizzazione Mondiale della Sanita' (The principles of quality assurance, 1983).
 
 L'obiettivo  fondamentale  dei  programmi  di  miglioramento della qualita'  e'  che ogni paziente riceva quella prestazione che produca il  miglior  esito possibile in base alle conoscenze disponibili, che comporti  il minor rischio di danni conseguenti al trattamento con il minor  consumo  di  risorse,  e  con  la massima soddisfazione per il paziente.  Da  cio' deriva la definizione delle caratteristiche di un sistema   sanitario  ideale  a  cui  tendere:  sicurezza,  efficacia, centralita' del paziente, tempestivita' delle prestazioni, efficienza ed  equita'.  Pertanto,  il  miglioramento della qualita' richiede un approccio  di  sistema  in  un  modello  di  sviluppo complessivo che comprenda  i pazienti, i professionisti e l'organizzazione: la logica sottostante  a  tale  nuovo  concetto e' quella della programmazione, gestione  e  valutazione del "sistema" in forma mirata all'erogazione di prestazioni cliniche per la tutela della salute della popolazione.
 
 La  politica  di attuazione del governo clinico richiede quindi un approccio  di  "sistema"  e  va  realizzata tramite l'integrazione di numerosi  determinanti tra di loro interconnessi e complementari, tra i  quali  vi  sono  la  formazione  continua, la gestione del rischio clinico,  l'audit, la medicina basata sull'Evidenza (EBM ed EBHC), le linee  guida  cliniche  e  i  percorsi assistenziali, la gestione dei Reclami   e  dei  contenziosi,  la  comunicazione  e  gestione  della documentazione, la ricerca e lo sviluppo, la valutazione degli esiti, la  collaborazione multidisciplinare, il coinvolgimento dei pazienti, l'informazione corretta e trasparente e la gestione del personale. E' in questa sistematica attenzione alla qualita' dell'assistenza che il governo  clinico  offre,  prima  di  tutto  agli stessi operatori, la possibilita' di valutare l'efficacia e l'appropriatezza clinica delle prestazioni erogate.
 
 Un elemento determinante per il successo del governo clinico e' la modalita'  con  cui  viene  esercitato  il  diritto  di conoscenza ed accesso.  In relazione ai sistemi di partecipazione e alla diversita' dei  modelli  organizzativi regionali e delle aziende sanitarie, deve intervenire  un  modello di comunicazione multiculturale specialmente nei  settori  della  prevenzione  o  la'  dove  e'  necessario che il messaggio di salute sia pienamente e immediatamente compreso (ad es.: nel campo dell'emergenza).
 
 A  questo  si  legano  anche  le opportune indagini su percezione, priorita',  gradimento  e  soddisfazione.  Le  azioni previste devono promuovere   il   coinvolgimento   dei   cittadini  nei  progetti  di miglioramento,  la loro partecipazione relativamente ai meccanismi di informazione,   di   consenso   informato,   per   favorire  il  loro coinvolgimento nel processo terapeutico.
 
 Altro  aspetto  fondamentale  e' quello della gestione del rischio clinico  a  salvaguardia  e tutela della sicurezza dei pazienti e del personale. In stretta relazione a cio' e' necessario che le attivita' di  audit  clinico  siano  effettivamente  integrate  nella  missione aziendale,   abbandonando   la  logica  elitaria  che  li  ha  finora accompagnati.   Un   ulteriore   elemento   che  deve  caratterizzare l'innovazione  legata  al  governo  clinico  e'  la  partecipazione a progetti  di  ricerca e l'introduzione sperimentale ed a regime delle innovazioni prodotte da ricerche.
 
 Il  personale deve essere direttamente ed effettivamente coinvolto nelle scelte cliniche ed organizzative e deve ricevere informazione e comunicazione   sistematiche.   E'   anche  necessario  prevedere  la progettazione  dei  percorsi  di  carriera,  per  favorire  la  reale integrazione  degli  operatori,  che  deve comprendere una necessaria attivita'   di   valutazione  e  feedback  delle  performance,  anche individuale.   L'elemento   fondamentale   e'   rappresentato   dalla formazione  continua  mirata  (interna  ed  esterna):  specialistica, organizzativa,  per  lo  sviluppo  della qualita'. Va individuata una esplicita   finalita'  valutativa  per  il  professionista  che  puo' diventare  uno strumento utile alla reale implementazione del governo clinico   nel  sistema  delle  aziende.  Oggi  e'  messa  particolare attenzione   ai  meccanismi  di  selezione  e  di  scelta  dei  ruoli dirigenziali  e  di  responsabilita'  dei  professionisti, molta meno attenzione  e'  invece  affidata  alla valutazione dell'operato degli stessi.  I  risultati  di salute conseguiti possono rappresentare una delle linee del profilo di valutazione del professionista.
 
 In  sostanza,  il  perseguimento  della efficacia clinica richiede forme  di valutazione e controllo delle prestazioni erogate, oltre il mero  aspetto  quantitativo  nel  rispetto,  tra l'altro, di un nuovo paradigma della medicina per il quale il ragionamento fisiopatologico non  e'  piu'  sufficiente  per  garantire  un  risultato positivo di salute.  Il  processo  valutativo,  per  essere sensibile e specifico nella  misura  del  fenomeno  osservato, deve rimodularsi in funzione della dimensione organizzativa che l'Azienda tendera' ad assumere.
 
 Un  altro  elemento  portante  e'  la gestione e lo sviluppo della organizzazione,  che  svolga attivita' di programmazione e budgeting, la  diffusione  di un sistema informativo che consenta la valutazione dei  processi  e  dei  prodotti,  la  gestione  clinica  del paziente (patient  file) e la valutazione degli esiti (outcome), sulla base di standard  nazionali  ed internazionali. Infine devono essere promosse azioni  di  ricerca  organizzativa.  Un elemento trasversale rispetto agli  elementi  portanti del governo clinico e' la comunicazione, che deve  prevedere  idonei  strumenti  quali  bollettini, informazioni e rapporti con i mass media, pubblicazioni, forum e convegni.
 
 In  ultima  analisi  appare  evidente che lo strumento del governo clinico  non  puo'  essere  finalizzato  solo  a dare risposta ad una emergenza   finanziaria   e,   quindi,   essere   ristretto   ad  una programmazione di budgeting e di sviluppo del sistema informativo che garantisca che le risorse disponibili siano impiegate nelle attivita' piu'  utili per i cittadini ma deve essere esteso al governo di tutte quelle  attivita'  che  ci  permettono  di  raggiungere  obiettivi di qualita' delle prestazioni e di appropriatezza.
 
 Nel triennio di vigenza del Piano saranno individuate le modalita' operative  per  realizzare la strategia, gli ambiti di miglioramento, le  modalita'  condivise per attuare il governo clinico. L'attuazione di prassi di governo clinico non solo a livello ospedaliero, ma anche a  livello  territoriale  permettera'  un  aumento  della qualita' ed accessibilita' delle cure offerte ai cittadini.
 Le liste di attesa.
 
 Il  fenomeno  delle liste di attesa e' presente in tutti gli Stati dove insiste un servizio sanitario che offra un livello di assistenza avanzato,   qualunque  sia  il  modello  organizzativo  adottato.  La complessita'  del  problema,  sia  per  l'impatto  organizzativo  sul sistema  sanitario nazionale che per le conseguenze sulla definizione dei  diritti  dei  cittadini  in  materia  di  livelli  di assistenza garantiti,  richiede  un  impegno  comune di Governo e Regioni, nella consapevolezza  che  non  esistono  soluzioni semplici e univoche, ma vanno  poste  in  essere azioni complesse ed articolate. E necessario condividere  un  percorso  per  il  governo  delle  liste  di  attesa finalizzato  a  garantire  un  appropriato  accesso  dei cittadini ai servizi  sanitari,  percorso  che  tenga  conto della applicazione di rigorosi   criteri   sia  di  appropriatezza  che  di  urgenza  delle prestazioni  e  che  garantisca  la trasparenza del sistema a tutti i livelli.  Sara'  necessario  generalizzare  la dotazione regionale di sistemi  di  prenotazione  in  rete  (CUP),  nonche'  prevedere l'uso sistematico  delle  classi  di priorita' per governare l'accesso alle prestazioni,  ed  individuare  delle  tipologie  di  prestazioni,  ad esempio  quelle di urgenza o quelle oncologiche, per le quali i tempi devono essere certi ed uguali su tutto il territorio nazionale.
 
 La  gestione  delle  liste  di  attesa  puo'  trovare  piu' facile soluzione  se  si  individuano  strumenti e modi di collaborazione di tutti  gli  attori  del  sistema,  sia  quelli  operanti sul versante prescrittivo sia quelli di tutela del cittadino.
 La promozione di linee guida: il sistema nazionale Linee Guida.
 
 Con  il  decreto del Ministro della salute 30 giugno 2004 e' stato istituito  il  Sistema nazionale linee guida (SNLG) a cui partecipano le  istituzioni  centrali,  le Regioni e le societa' scientifiche. Il SNLG   definisce   priorita'  condivise  privilegiando  le  tematiche associate  in primo luogo a variabilita' nella pratica clinica, liste d'attesa   significative,   appropriatezza   diagnostico-terapeutica, obiettivi  individuati  dal  Piano  sanitario  nazionale.  Il Sistema nazionale   linee   guida   riconosce  il  ruolo  delle  linee  guida nell'aggiornamento   professionale  e  nella  formazione  continua  e promuove  un  sito  web  di  aggiornamento professionale dedicato che possa consentire l'acquisizione di crediti ECM.
 
 La  necessita'  di  istituire il SNLG e' nata dalla consapevolezza sempre  piu'  presente  della  necessita'  di  erogare  cure di buona qualita'  ed  evidente  based  in un contesto di risorse limitato. In questo contesto assumono particolare rilevanza le Linee Guida (LG), i Protocolli  Diagnostico  Terapeutici ed i Percorsi di Cura, strumenti che,  nel  loro  insieme, rappresentano l'elaborazione sistematica di indicazioni  basate  sulle  evidenze  disponibili,  secondo  standard raccomandati,  nel  rispetto  del  principio  di  appropriatezza, con l'obiettivo  di  assistere  i  clinici  ed  i  pazienti  nel prendere decisioni,  migliorare  la qualita' delle cure sanitarie e ridurre la variabilita' nella pratica clinica e negli outcomes.
 
 Una  delle  vie  per  incoraggiare l'aderenza alle LG e' quello di inserire  le  raccomandazioni e gli standards nella cartella clinica: il  sistema  delle  "care patways" prevede di incorporare le LG nelle cartelle cliniche in maniera che agiscono come suggerimento immediato per  il  clinico. La verifica del grado di adesione delle LG ritenute importanti  per  raggiungere  i  migliori  esiti  e'  un  processo di valutazione  di  qualita'  che lega la pratica clinica agli outcomes, anche   tramite   l'adeguamento   dei   sistemi   informativi  ed  il raggiungimento di consenso su come misurare la qualita' delle cure.
 Il rischio clinico e la sicurezza dei pazienti.
 
 Sulla  gestione  del rischio clinico esistono iniziative regionali da  valorizzare e generalizzare che assumono come obiettivo quello di coniugare  il tradizionale punto di vista "assicurativo" tipico della responsabilita'  dei  professionisti  a  quello  piu'  generale della "sicurezza  del  paziente"  che  attiene  ai  livelli di qualita' del sistema  dei  servizi  e  che  ha  pertanto  un impatto diretto sulle capacita'  di  offerta  dei  livelli  di  assistenza.  Negli ospedali italiani  si  cominciano  a sperimentare e a diffondere Unita' per la gestione del rischio.
 
 Il  rischio clinico e' la probabilita' che un paziente sia vittima di  un  evento  avverso,  cioe'  subisca un qualsiasi danno o disagio imputabile,   anche  se  in  modo  involontario,  alle  cure  mediche prestate,  che causa un peggioramento delle condizioni di salute o la morte.
 
 Una  gestione efficace del rischio clinico presuppone che tutto il personale  sia  consapevole  del  problema,  che  sia incoraggiata la segnalazione  degli eventi e che si presti attenzione ai reclami e al punto  di  vista  dei  pazienti. Le strategie di gestione del rischio clinico     devono     utilizzare     un     approccio    pro-attivo, multi-disciplinare,  di  sistema,  e  devono  prevedere  attivita' di formazione e monitoraggio degli eventi avversi.
 
 La  formazione, che deve prevedere un livello nazionale, regionale ed  aziendale,  deve consentire a tutti gli operatori di acquisire la consapevolezza  del  problema  del  rischio  clinico, per favorire la cultura   della  sicurezza  che  considera  l'errore  come  fonte  di apprendimento    e   come   fenomeno   organizzativo,   evitando   la colpevolizzazione del singolo.
 
 Le  attivita'  di  monitoraggio, devono essere condotte secondo un criterio  graduato  di  gravita'  di  eventi,  prevedendo  che  i tre livelli,  nazionale,  regionale  ed  aziendale, possano promuovere le rispettive  azioni,  secondo  un disegno coerente e praticabile. Deve essere attivato un monitoraggio degli eventi sentinella, cioe' quegli eventi  avversi  di  particolare  gravita',  indicativi  di  un serio malfunzionamento  del  sistema,  che  causano  morte o gravi danni al paziente  e  che determinano una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti  del  Servizio  Sanitario.  L'efficace gestione del rischio clinico portera' oltre ad importanti risultati di carattere sanitario anche rilevanti risvolti economici.
 4.5. L'aziendalizzazione e l'evoluzione del servizio sanitario.
 
 Il  tema del completamento del processo di aziendalizzazione viene affrontato evidenziando l'esigenza di incrementare l'efficienza delle aziende  sanitarie.  I  cambiamenti  avvenuti negli anni 90 e i primi anni  del  2000  nell'assetto  e  nell'organizzazione delle strutture sanitarie  hanno  costituito quello che e' stato definito processo di aziendalizzazione.
 
 Con   l'aziendalizzazione   e'   stato  riconosciuta  la  primaria rilevanza  per  il sistema sanitario ai fini del raggiungimento della propria  missione, dei processi di acquisizione, di combinazione e di allocazione  delle risorse disponibili, meglio garantiti, appunto, da una gestione dei servizi di tipo aziendale.
 
 Queste  motivazioni  che  hanno portato ad individuare nel modello aziendale  quello  piu'  efficiente  ed  efficace per la gestione dei servizi  sanitari  sono  tutt'ora valide, ma a quasi 15 anni dal varo della  riforma  del  1992,  occorre  fare un bilancio del processo di aziendalizzazione per proporre correttivi sulla base delle esperienze fatta.
 
 Nella  sua fase di avvio l'elemento di forte discontinuita' con il passato,  individuabile  dalla  adozione  di  tecniche e impostazioni manageriali, ha costituito una oggettiva spinta all'innovazione ed al cambiamento ed e' stato arricchito da una specifica sensibilizzazione culturale.
 
 Oggi la spinta si e' in parte esaurita, per cui occorre promuovere iniziative    specifiche    per   il   rilancio   del   processo   di aziendalizzazione, dal momento che vi sono ancora margini cospicui di miglioramento  nell'utilizzazione  delle  risorse. L'analisi dei soli dati  relativi all'assistenza ospedaliera mostra come la variabilita' interregionale  ed  interaziendale nella produzione di prestazioni di ricovero   ospedaliero   sia  molto  ampia,  evidenziando  accanto  a situazioni  di  inefficienza  legate  a  o  motivi  strutturali (reti ospedaliere  incongrue)  anche  situazioni  legate  prevalentemente a incapacita'   delle   direzioni  aziendali  nell'adottare  misure  di razionalizzazione  dell'organizzazione  e dell'acquisizione di beni e servizi.
 
 E'  necessario,  inoltre, cominciare a fare una riflessione, sulla base dell'evoluzione che il modello aziendalistico sta registrando in diverse  regioni,  sulla  possibilita'  di  prevedere  meccanismi che rendano  il  sistema  piu'  flessibile e piu' permeabile alle istanze politiche e sociali emergenti sul territorio.
 
 La  struttura  aziendale,  con  cio' che di fortemente positivo ha recato   e  reca  sul  versante  della  organizzazione  dell'offerta, soprattutto  ospedaliera,  ha  presentato due sostanziali criticita': una   tendenza   alla  autosufficienza  produttiva,  che  produce  se esasperata,  alla  lunga,  inefficienze  e inutile concorrenza, e una sostanziale  autoreferenzialita'  rispetto  ai  bisogni  di  crescita dell'organizzazione  e  delle  categorie  professionali coinvolte con poche   relazioni   con  i  cittadini,  singoli  o  rappresentati,  e soprattutto   con   le   politiche   locali  correlate  al  tema  dei determinanti di salute.
 
 Per questo motivo in diverse regioni si sono sviluppate da un lato politiche  di  programmazione interaziendale (cosiddette Aree vaste o quadranti  ecc.)  per  lo sviluppo in rete dei presidi ospedalieri, e dall'altro  politiche  di  coinvolgimento,  soprattutto per i servizi territoriali e preventivi, delle realta' locali e dei cittadini.
 
 Nel  triennio  di  vigenza del PSN si svolgera' una riflessione in materia,  per  valutare,  avvalorare  ed  indirizzare queste linee di sviluppo,  cosi'  come  per  gettare  le  basi  per un loro confronto finalizzato   nel   medio  periodo  a  verificare  l'opportunita'  di eventuali modifiche migliorative del sistema.
 
 Le iniziative da promuovere riguardano tre ambiti tematici:
 
 - il   consolidamento   della   adozione   degli   strumenti  del management;
 - la  ridefinizione degli ambiti territoriali e le altre forme di reingegnerizzazione istituzionale;
 - il rapporto con le tematiche del governo clinico.
 
 In  linea  generale  e'  necessario evidenziare come oggi piu' che investire  ancora  sulla  progettazione  di  nuovi strumenti e' utile invece  implementare  definitivamente  quelli  gia'  disponibili.  Le priorita' da seguire possono cosi' essere individuate:
 
 - promuovere  la  qualita' (appropriatezza, comfort, economia...) del servizio fornito e correlarla al risultato, in base alle evidenze sulla efficacia clinica e sulla efficienza operativa dei servizi;
 - fare  in  modo  che  l'organizzazione  aziendale e le dinamiche interne   del  suo  funzionamento  siano  ben  chiare,  valutabili  e verificabili  per  tutti  quelli  che operano al suo interno, per gli utenti  e per quanti sono chiamati a svolgere funzioni di governo, di indirizzo, di valutazione o di controllo;
 - combattere  i  fenomeni  di "dissonanza organizzativa" (dire un cosa ma farne altre);
 - fare in modo che i risultati attesi siano conseguiti mantenendo l'unitarieta' dell'azione aziendale;
 - incentivare  e  formalizzare le modalita' con cui le competenze professionali    possono    contribuire    al   miglioramento   della programmazione, della organizzazione e della produzione dei servizi;
 - promuovere  l'innovazione organizzativa puntando sullo sviluppo e  sul  rendimento  del  capitale  professionale  e  dell'innovazione tecnologica;
 - modulare   le   priorita'   di   applicazione  (programmazione, organizzazione,  gestione  risorse  umane,  sistema  di  decisione  e controllo,  acquisizioni)  in  base alla specifica situazione locale, promuovendo  sistematicamente  da  parte  delle  aziende sanitarie le iniziative  in  grado  di  aumentare  la  capacita'  di produzione di servizi  a  parita'  di  risorse  impiegate (efficienza tecnica) e la capacita'   di  produrre  attivita'  e  prestazioni  a  costi  minori (efficienza economica);
 - ottimizzare  la  funzione  acquisti  di beni e servizi, tenendo conto  della  complessita'  del  mercato dei beni sanitari, la rapida obsolescenza   che   caratterizza   molti  prodotti  e  procedure,  i consistenti fenomeni di asimmetria della domanda e dell'offerta.
 4.6. Le sperimentazioni gestionali.
 
 Con  la  legge  30  dicembre 1991, n. 412 (finanziaria 1992) si e' dato  avvio  alle  sperimentazioni  gestionali,  per  sviluppare  nel Servizio   sanitario  nazionale  la  collaborazione  tra  pubblico  e privato,  con  l'obiettivo di far confluire verso le iniziative e gli interventi  di  attuazione  degli  obiettivi  strategici del Servizio sanitario  nazionale  risorse  finanziarie  e  competenze integrative rispetto  a  quelle gia' presenti nell'ambito del settore pubblico. I progetti  di  sperimentazione  gestionale,  da realizzarsi attraverso convenzioni  tra  Enti  del  Servizio  sanitario nazionale e soggetti privati  dovevano definire, a livello aziendale, modelli di gestione, anche  in deroga alle norme vigenti, con lo scopo di realizzare opere (edilizie  o  tecnologiche)  o  di  svolgere  in  forma  integrata la gestione  di  un servizio con particolare attenzione al miglioramento continuo   della   qualita'   in   condizioni   di   efficienza.   Le sperimentazioni  si sono sviluppate nell'ottica della ricerca di piu' efficienti  modelli  di  governo  della  spesa  sanitaria,  avendo ad oggetto sia modalita' di pagamento e di remunerazione dei servizi sia il  coinvolgimento,  nella  fornitura  di  servizi  e prestazioni, di soggetti erogatori diversi da quelli istituzionali.
 
 L'analisi  condotta  dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali nel  settembre  2003  ha  individuato  le  cinque  aree ritenute piu' critiche, per il coinvolgimento del privato:
 
 1.   l'opportunita'  che  il  pubblico  mantenga  la  maggioranza assoluta  delle  quote  di azioni delle societa' miste costituite col privato;
 2. la necessita' di incrementare oltre i tre anni la durata delle sperimentazioni,  per  consentire  la  corretta  valorizzazione degli investimenti;
 3.  la  opportunita'  di  normative regionali che definiscano con chiarezza  le procedure di selezione del partner privato, evitando le rigidita' dei capitolati di gara;
 4.  la  necessita'  di norme e strutture che disciplinino in modo chiaro  le  posizione del personale nel caso di partecipazione ad una societa' mista;
 5.  il  chiarimento  sulle  limitazioni  che la societa' mista, a capitale  pubblico maggioritario, incontra nell'operativita' nel caso in cui essa venga considerata organismo pubblico.
 
 Non  esiste  ad  oggi  una  precisa  definizione  normativa  delle collaborazioni  pubblico-privato,  ne'  a  livello  nazionale,  ne' a livello comunitario.
 
 Solo  nell'aprile  del 2004, la Commissione europea e' intervenuta sul  tema,  dedicandovi una specifica pubblicazione, nota come "Libro verde  relativo  ai  partenariati  pubblico  privati  ed  al  diritto comunitario  degli  appalti  pubblici  e  delle concessioni". In tale contesto  "il  termine  partenariato pubblico privato si riferisce in generale  a  forme  di  cooperazione tra le autorita' pubbliche ed il mondo  delle  imprese  che  mirano  a  garantire il finanziamento, la costruzione,  il  rinnovamento,  la  gestione o la manutenzione di un 'infrastruttura o la fornitura di un servizio."
 
 D'altro  canto,  l'11 febbraio 2004 Eurostat, l'ufficio statistico delle   Comunita'   europee,   con   la   decisione   "Treatment   of public-private   partnerships",   ha   indicato   i  criteri  per  il trattamento  contabile,  nei conti nazionali, di specifiche tipologie di PPP.
 
 La  decisione  riguarda  il  caso  di  contratti  a lungo termine, conclusi  tra  la  Pubblica  Amministrazione  e un partner privato in settori  di attivita' dove il Governo e' fortemente coinvolto, per la realizzazione  di  una  infrastruttura  in  grado  di erogare servizi secondo parametri quantitativi e qualitativi stabiliti.
 
 La decisione si applica nei casi in cui lo Stato sia il principale acquisitore  dei  beni e servizi forniti dall'infrastruttura, sia che la  domanda  sia  originata  dalla stessa parte pubblica che da terze parti.  E'  questo  il  caso, ad esempio, di servizi pubblici come la sanita'.
 
 In   considerazione  dei  cambiamenti  demografici  in  atto,  che comportera'  un  aumento  della  cronicita',  e  conseguentemente del fabbisogno  di servizi territoriali, la partenership pubblico/privato potra',  nei  prossimi  anni  giocare un ruolo significativo. Infatti l'assistenza  sanitaria  territoriale  dovra'  essere  organizzata  e spesso  reingegnerizzata  e  l'assistenza  ospedaliera  dovra' essere funzionalmente e tecnologicamente riqualificata.
 
 La disponibilita' del privato, in termini di capacita' innovativa, nella   organizzazione   dei  processi  e  la  collegata  innovazione tecnologica,  nonche' di finanziamento delle strutture sanitarie puo' essere  colta  mettendo  a punto le corrette modalita' di interazione tra  pubblico  e  privato,  con la garanzia che il mondo pubblico sia l'unico   garante   verso   il   cittadino   del   conseguimento  del bilanciamento  ottimale  in  termini  di  costi-qualita'  dei servizi sanitari erogati.
 
 4.7. La politica del farmaco ed i dispositivi medici.
 La politica del farmaco.
 
 Si  tratta di sviluppare il tema di una razionalizzazione di tutta la  filiera  dalla produzione, alla distribuzione, alla prescrizione, al consumo.
 
 In  tale  contesto  il principio su cui si fonda la definizione di una  nuova politica del farmaco e l'assunzione ad esso sotteso e' che il  sistema  salute  oltre  a  costituire per il cittadino un diritto costituzionale,  puo'  diventare  sistema  di sviluppo per il Paese e settore in cui favorire gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S): in   altri   termini   il   farmaco   non   puo'  essere  considerato esclusivamente  come  fattore  di  spesa  ma anche e soprattutto come elemento di sviluppo e di promozione della innovativita'.
 
 Per  realizzare  tale obiettivo e' necessario garantire un assetto istituzionale  e normativo che favorisca i processi di R&S nel nostro Paese, in modo da evitarne una dimensione esclusivamente di mercato.
 
 Tutto  cio'  esige  una programmazione di medio-lungo periodo (3-5 anni),   tesa   ad   impedire  che  vengano  introdotti  nel  sistema cambiamenti  non  programmati  e improvvise discontinuita'. Pertanto, gli obiettivi strategici individuati e le azioni che sara' necessario porre  in  essere  per  realizzare  una  nuova  politica del farmaco, secondo i principi sopra definiti, possono essere cosi' riassunti:
 1.   Garantire   il   mantenimento  dell'unitarieta'  del  Sistema farmaceutico.
 
 L'unitarieta'  del sistema farmaceutico viene garantita attraverso il  Prontuario  Farmaceutico  Nazionale  (PFN)  che  deve  assicurare attraverso i medicinali di fascia A l'accesso uniforme ed omogeneo su tutto  il  territorio  nazionale  ai  farmaci  innovativi, ai farmaci orfani  e  a  tutti  i  farmaci  essenziali  per il trattamento delle patologie  gravi,  acute, croniche nell'ambito dei livelli essenziali di       assistenza       (LEA).       Va       inoltre       attuata l'implementazione/omogeneizzazione, a livello istituzionale, di tutte quelle  forme  di  dispensazione  del  farmaco previste dalla vigente normativa e finalizzate alla razionalizzazione e qualificazione della spesa  farmaceutica  e  sottolineata  la  priorita'  del monitoraggio dell'appropriatezza dell'assistenza farmaceutica erogata.
 2.  Assicurare  il  governo della spesa e il rispetto del tetto di spesa programmato.
 
 L'AIFA  provvedera' al governo della spesa e al rispetto del tetto di  spesa  programmato  attraverso  i  meccanismi  di  autorizzazione all'immissione  in  commercio  (AIC)  secondo  i criteri di qualita', efficacia,  sicurezza, di costo beneficio e di convenienza economica, mediante   l'aggiornamento   periodico  del  Prontuario  Farmaceutico Nazionale  (PFN)  e attraverso le procedure di ripiano della spesa in caso  di  sfondamento, secondo quanto previsto dal comma 5, dell'art. 48, della legge 24 novembre 2003, n. 326.
 3. Garantire una programmazione di medio-lungo periodo.
 
 Fino  ad  oggi  e'  venuta  a mancare una capacita' complessiva di governo  del  sistema,  nel rapporto tra domanda ed offerta e cio' ha richiesto nel tempo l'adozione di numerosi provvedimenti di ripiano a valle,  in  assenza  di una capacita' di regolazione programmatoria a monte. L'adozione, anche in via sperimentale, di un nuovo sistema dei prezzi   che   preveda   la   negoziazione   dell'intero  portafoglio dell'Azienda e non del singolo prodotto, al netto delle nuove entita' chimiche  e  di  un meccanismo automatico di ripiano, con un tasso di incremento  della spesa sostenibile e programmato, puo' costituire lo strumento  attraverso  cui realizzare una programmazione triennale di settore.
 4. Promuovere gli investimenti in Ricerca e Sviluppo (R&S).
 
 La  promozione  degli  investimenti in R&S puo' essere incentivata attraverso  il "Premium Price", ovvero il riconoscimento di un premio di prezzo (separato e aggiuntivo rispetto al premio di rimborso), per i   farmaci  innovativi  che  sono  stati  realizzati  dalle  Aziende attraverso  investimenti nel nostro Paese in termini di: insediamento o  potenziamento  dei  siti  di  produzione,  assunzione di personale qualificato  nei  settori  della  ricerca  e  conduzione  di ricerche cliniche  innovative  di  Fase  I  e  II.  A  tal  fine,  su proposta dell'Agenzia  Italiana  del  Farmaco,  il  Ministro  della  salute di concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  finanze  individua con proprio  decreto  i  criteri per la successiva stipula da parte della agenzia  stessa  di  accordi  di  programma  con  le  singole aziende farmaceutiche,  con  cui  siano determinati le attivita' e i piani di interventi da realizzare da parte di ciascuna azienda.
 5. Promuovere ricerche cliniche no-profit.
 
 L'AIFA promuovera' ricerche cliniche, specie di tipo comparativo e su  aree  strategiche, finalizzate a dimostrare il valore terapeutico aggiuntivo  (VTA)  di  farmaci  e  strategie terapeutiche. A tal fine sara'  realizzata una rete informatica e culturale dei Comitati Etici locali    e   sara'   potenziato   l'Osservatorio   Nazionale   sulle Sperimentazioni Cliniche (OSSC).
 
 La  specificita'  della  ricerca sui farmaci promossa dall'AIFA e' quella    di    favorire,    nell'ottica    della    trasparenza    e dell'indipendenza,  tutte  quelle  ricerche  finalizzate ad acquisire conoscenze   innovative   relativamente   al  profilo  di  efficacia, sicurezza,   impatto  sulla  salute  pubblica  dei  farmaci  e  degli interventi    terapeutici    in   quelle   aree   che,   nell'attuale organizzazione  della  ricerca  sui  farmaci,  appaiono  destinate  a rimanere  marginali per il mercato, ma rilevanti ed essenziali per la salute del cittadino.
 
 6.  Favorire  l'internazionalizzazione del sistema e consentire un piu' rapido accesso ai farmaci innovativi.
 
 L'AIFA si impegna a semplificare e ridurre i tempi delle procedure registrative   per   il   perfezionamento  delle  procedure  relative all'autorizzazione  all'immissione  in  commercio  di nuovi farmaci a carico  del  SSN,  in  modo  trasparente  e  verificabile, al fine di garantire ai cittadini un accesso piu' rapido ai farmaci innovativi e ai  medicinali  orfani  registrati  in  Europa.  Da  tale processo di semplificazione delle procedure e di riduzione dei tempi di AIC ci si attende  un  corrispondente  incremento  delle domande da parte delle Aziende  affinche' l'Italia guidi il processo registrativo in Europa, come  paese  di riferimento nelle procedure di mutuo riconoscimento e come rapporteur nelle procedure centralizzate.
 7. Garantire un impiego sicuro ed appropriato dei farmaci.
 
 L'ALFA  promuove  programmi  di Farmacovigilanza attiva e studi di sicurezza post commercializzazione di intesa con le Regioni e secondo piani  di  formazione  e ricerca con i Medici di Medicina Generale, i Pediatri di libera scelta, le Societa' Scientifiche e le Universita'. Tali  studi  saranno  orientati a verificare la trasferibilita' nella pratica   di   medicina   generale   dei  risultati  originati  dalle sperimentazioni   cliniche  pre-marketing  e  gli  esiti  nella  fase post-marketing  (outcome research). Anche i farmaci di fascia C vanno assoggettati   al   regime  di  codifica  e  di  lettura  ottica  per verificarne l'utilizzo anche ai fini dell'appropriatezza.
 8.  Contribuire  ad  assicurare  maggiore  eticita' al mercato dei farmaci.
 
 Una  maggiore  trasparenza ed eticita' al mercato farmaceutico, in particolare  nel settore della informazione scientifica, dei convegni e  dei  congressi  promossi  dalle Aziende farmaceutiche, richiede la revisione della legge 30 dicembre 1992, n. 541.
 
 L'AIFA   deve   assicurare,   inoltre,  l'implementazione  di  una informazione pubblica e indipendente, al fine di favorire un corretto uso  dei farmaci, di orientare il processo delle scelte terapeutiche, di  promuovere  l'appropriatezza  delle  prescrizioni, riequilibrando l'attuale   condizione  di  asimmetria  tra  informazione  privata  e informazione pubblica.
 
 L'AIFA  garantira',  infine,  il  proprio contributo istituzionale all'aggiornamento  degli  operatori  sanitari in ambito farmacologico attraverso  le  attivita' editoriali, lo svolgimento come provider di programmi   di   formazione   a   distanza   (FAD),   la  gestione  e l'implementazione dei contenuti del proprio sito internet.
 9. Coinvolgere i cittadini attraverso la Comunicazione.
 
 La  implementazione  di una nuova politica sul farmaco richiede il coinvolgimento  dei  cittadini  per ricostituire un rapporto di piena fiducia affinche' sia percepito e riconosciuto il ruolo del Ministero della  Salute  e  dell'AIFA  a  difesa  e  a tutela dei bisogni e dei diritti del cittadino in ambito farmaceutico e sanitario.
 
 L'AIFA  promuovera'  Campagne  di  informazione e comunicazione ai cittadini  sul corretto impiego dei farmaci; assicurera' attraverso i Medici  e  i  Farmacisti  la diffusione delle liste di trasparenza di farmaci  di fascia C sottoposti a prescrizione medica e implementera' campagne  specifiche  per  la  promozione dei farmaci equivalenti, al fine  di  liberare preziose risorse destinate ad offrire ai cittadini una  sempre  maggiore  disponibilita'  per  i  farmaci innovativi. In questo senso e' importante ricordare che i farmacisti possono dare un rilevante  contributo professionale all'ottimizzazione delle risorse, favorendo  il  ricorso  a  medicinali  che, nell'ambito di una stessa categoria  terapeutica,  sono meno costosi e il ruolo che le farmacie possono svolgere ampliando le attivita' di monitoraggio dei consumi e della spesa.
 I Dispositivi medici.
 
 Questa  linea  tematica si riferisce al complesso delle iniziative che occorrera' sviluppare sulla tematica dei dispositivi medici.
 
 La  diffusione  e  l'uso sempre piu' esteso nelle diverse pratiche sanitarie  di  dispositivi  medici  dovra'  comportare  una crescente attenzione da parte del Sistema Sanitario.
 
 Nel  triennio  andranno  pianificati  interventi  mirati ad alcuni obiettivi fondamentali:
 
 a)  conoscenza sempre piu' completa ed aggiornata delle tipologie di  dispositivi  medici  presenti  sul  mercato italiano e delle loro caratteristiche tecniche ed economiche;
 b) promozione della ricerca scientifica in questo campo;
 c)   miglioramento  della  capacita'  di  risposta  ad  eventuali segnalazioni   di   incidenti  o  di  anomalie  di  funzionamento  di dispositivi medici e attivazione di un sistema di vigilanza;
 d) attenzione alla qualita' dei prodotti sul mercato, soprattutto in  arrivo  dal mercato extracomunitario, anche attraverso costanti e fattivi contatti con le altre autorita' competenti.
 
 In questa situazione nel corso del triennio, andranno attivate, in accordo  con  le  Regioni  misure  volte  a garantire la sicurezza, e l'appropriatezza d'uso dei dispositivi medici, in particolar modo:
 
 - l'istituzione  di una database nazionale dei dispositivi medici in vendita nel nostro Paese, contenente le caratteristiche essenziali (comprese biocompatibilta' e sicurezza) degli stessi;
 - la  valutazione  del  rapporto  costo-beneficio,  finalizzata a definire il Repertorio dei dispositivi medici rimborsati dal Servizio sanitario nazionale;
 - la  realizzazione  di un monitoraggio specifico sulla spesa dei dispositivi medici.
 
 5. GLI OBIETTIVI DI SALUTE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE.
 5.1. La salute nelle prime fasi di vita, infanzia e adolescenza.
 
 Negli  ultimi anni si e' delineata una nuova dinamica demografica, con   una  trasformazione  delle  caratteristiche  del  comportamento riproduttivo delle coppie, che ha comportato una riduzione del numero delle  nascite.  L'innalzamento  dell'eta' media al parto delinea una tendenza a posticipare l'inizio della vita riproduttiva ma, in parte, anche un recupero di fecondita' in eta' matura.
 
 Dai  dati  ISTAT si rileva che il tasso di natalita' in Italia nel 2004  e'  del  9,7  per 1000 abitanti, in particolare nel Mezzogiorno d'Italia  pari al 10,1 per mille, mentre nel Nord e nel Centro Italia rispettivamente al 9,5 e 9,4 per mille.
 
 Malgrado i progressi realizzati negli ultimi anni, non sono ancora stati raggiunti gli obiettivi indicati dal precedente Piano sanitario nazionale  2003-2005,  che faceva proprie molte delle indicazioni del Progetto  obiettivo  materno-infantile  del Piano sanitario nazionale 1998-2000, i cui standard relativi al numero minimo di parti anno per struttura,  al  bacino  di  utenza  per unita' operativa di pediatria risultano ancora validi e del quale andrebbe monitorata l'attuazione.
 
 Nella  mortalita'  infantile,  in  costante diminuzione permangono purtroppo  notevoli  diseguaglianze  fra  le  Regioni del Nord-Centro Italia  e  quelle  al  Sud  del  paese. La mortalita' neonatale, piu' elevata nelle Regioni del Sud, e' responsabile della maggior parte di tale  mortalita'.  L'incidenza  dei  neonati  di  basso  peso  si  e' dimezzata  nel corso dell'ultimo trentennio e' ha raggiunto il valore medio   europeo   (6%),  persiste  pero'  un  gradiente  tra  Regioni meridionali  e settentrionali. Devono, pertanto, essere migliorate le cure  perinatali  riducendo le diseguaglianze nei tassi di mortalita' neonatale   nelle  Regioni  del  Sud  del  paese,  legate  a  fattori socioeconomici,  quali  i  piu'  elevati  livelli  di  poverta'  e la scolarita'  piu' bassa, ma anche a fattori organizzativi e gestionali quali  ad  esempio:  la  carenza  delle  strutture  consultoriali, la mancata  concentrazione delle gravidanze a rischio, l'incompleta o la mancata  attivazione del sistema di trasporto assistito del neonato e la    mancanza    di    una   guardia   attiva   medico-ostetrica   e pediatrico-neonatologica, 24 ore su 24 in una percentuale elevata dei troppi punti nascita del nostro paese.
 
 Per   quanto   riguarda  la  mortalita'  infantile,  la  patologia perinatale  (55%),  in particolare la prematurita' e le malformazioni congenite  (30%) costituiscono l'85% circa della mortalita' nel primo anno di vita. Tra il primo mese ed il primo anno di vita, la sindrome della  morte  improvvisa  del  lattante  costituisce, ancora oggi nei paesi industrializzati, la prima causa di morte, essa ha un'incidenza che  puo'  essere  stimata  tra  lo  0,5  e  l'1%  dei  lattanti. Per affrontare  questa rilevante problematica e' stata emanata la recente legge  2  febbraio  2006, n. 31 "Disciplina del riscontro diagnostico sulle  vittime  della  sindrome  della  morte improvvisa del lattante (SIDS)  e di morte inaspettata del feto" che prevede l'individuazione del  centro  deputato  a  elaborare  il  protocollo  diagnostico,  le modalita'  di  individuazione e di autorizzazione dei centri chiamati ad  effettuare  il  riscontro autoptico, la promozione di campagne di sensibilizzazione   e  di  prevenzione  per  garantire  una  corretta informazione  sulle  problematiche  connesse  alla  SIDS e ai casi di morte  del feto senza causa apparente, la predisposizione di appositi programmi  di ricerca multidisciplinari che comprendano lo studio dei casi   sul   piano  anamnestico,  clinico,  laboratoristico,  anatomo patologico,   istologico,   l'emanazione   di   linee  guida  per  la prevenzione della SIDS.
 
 Nella fascia di eta' da 1 a 14 anni la mortalita' ha presentato un considerevole  declino,  la  prima causa e' rappresentata dalle cause violente  (traumatismi  e  avvelenamenti)  con il 4,3 per 100.000, al secondo  posto i tumori con il 4,0, non si rilevano grosse differenze fra  Nord  e  Sud  del  paese.  Tuttavia,  se  esaminiamo il tasso di mortalita'  in eta' adolescenziale e nei giovani adulti (15-24 anni), appaiono  evidenti  le  differenze fra Nord, Centro e Sud, con valori piu'  bassi  nelle  aree  meridionali.  Queste differenze sono legate soprattutto ai traumatismi: 39 per 100.000 al Nord, rispetto a valori di  24  per 100.000 delle Regioni meridionali. Gli incidenti stradali rappresentano il 57% delle morti legate a traumatismi, il rischio nel maschio appare triplicato rispetto alla popolazione femminile.
 
 L'incidenza  dei tumori in eta' infantile ed adolescenziale sembra presentare  un  trend  in  aumento dell'1% circa all'anno. Dati molto buoni  vengono  dalla  sopravvivenza  a  5  anni  dalla  diagnosi che attualmente  e'  pari  a oltre il 70% per tutti i tumori infantili in Italia ed in Europa.
 
 L'obesita'  ha  una  significativa  prevalenza, il 36% dei bambini italiani  a  9  anni  e'  sovrappeso,  di  questi  il  12%  e' obeso, percentuali superiori ai valori medi europei. La prevalenza dell'asma nei  bambini  e'  pari al 9,3% e al 10,3% tra gli adolescenti, questa patologia  non  sembra  essere  aumentata,  mentre si e' osservato un incremento   della  prevalenza  di  rinite  allergica  e  eczema.  La prevenzione  di queste due condizioni morbose cosi' frequenti, legate a   problematiche  ambientali  (inquinamento  e  fumo  passivo)  e  a comportamenti alimentari e stili di vita non corretti deve costituire uno  degli obiettivi piu' importanti di politica sanitaria nel nostro Paese.
 
 Uno  dei  problemi  piu' critici, strettamente connesso con quello delle  patologie  croniche,  e' quello della disabilita', intesa come difficolta'  grave ad espletare almeno una delle attivita' della vita quotidiana,  anche  se  i  dati  non  consentono  ancora  di definire esattamente  il  fenomeno,  si  puo'  calcolare  che  i  portatori di disabilita' sono circa il 16-20% della popolazione scolastica. Questi soggetti sono affetti prevalentemente da problematiche neuropsichiche o  comportamentali  gravi,  che richiedono un forte impegno a livello sanitario  e  sociale,  un  sostegno  alla  famiglia ed alla scuola e necessitano  sovente  di  una  integrazione  di  competenze a livello multidisciplinare  che  occorre  garantire. Una situazione che sembra poi  emergere con sempre maggiore drammaticita' nella nostra societa' e'  quella  dell'abuso  e  del  maltrattamento  in  eta' infantile ed adolescenziale.
 
 In  Italia  il tasso di gravidanze in eta' adolescenziale e' fra i piu'  bassi  in  Europa ed e' in continua diminuzione, meno del 2% di tutte  le  nascite avviene in donne di eta' inferiore ai 20 anni. Sul territorio  la  mancanza  di  una  vera  continuita' assistenziale ha determinato,  anche  in  ambito pediatrico, un continuo aumento degli accessi in Pronto soccorso, sia generale che pediatrico, il 90% degli accessi  e'  imputabile  ai codici bianchi o verdi, che in gran parte potrebbero essere valutati e risolti in un contesto extraospedaliero.
 
 La   rete   ospedaliera   pediatrica,   malgrado  i  tentativi  di razionalizzazione,  appare ancora ipertrofica rispetto ad altri paesi europei. 11 numero dei punti nascita e' ancora molto elevato, ha meno di  500  parti  all'anno  che dovrebbe essere considerato lo standard minimo.  Alcune  Regioni  non  hanno ancora attivato il trasporto del neonato  in  emergenza,  altre  lo  hanno fatto in modo incompleto. I tassi  di  ospedalizzazione sono ancora doppi rispetto ad altri Paesi europei,  pur  con  grandi  differenze a livello regionale. L'analisi delle  prime  10  cause  di  ricovero,  per  DRG,  mette  in evidenza patologie  ad elevato rischio di inappropriatezza. Inoltre per quanto attiene all'assistenza ospedaliera occorre rispettare la peculiarita' dell'eta'  pediatrica  destinando  spazi  adeguati  a questi pazienti (area  pediatrica)  che  tengano  conto  anche  dell'esigenze proprie dell'eta'  adolescenziale  e  formare  in  tal  senso  gli  operatori sanitari.   Occorre  inoltre  valorizzare  il  ruolo  degli  ospedali pediatrici  e  dei Centri regionali per l'assistenza al bambino, come punti di riferimento per le patologie complesse.
 
 La  day  surgery  in  eta'  pediatrica  stenta  ad  affermarsi, La mobilita'  interregionale  e',  anche in eta' pediatrica, un fenomeno rilevante.  La valutazione della sua entita' e' importante ai fini di correggere  le potenziali diseguaglianze nell'erogazione dei servizi. Tale  migrazione  puo'  essere  motivata  dalla mancanza o inadeguata allocazione  o  organizzazione  dei  Centri  di  alta specialita', da esigenze familiari, ma anche da una non corretta informazione.
 
 Gli obiettivi da raggiungere nel triennio sono:
 
 - miglioramento         dell'assistenza        ostetrica        e pediatrico/neonatologica  nel periodo perinatale, anche nel quadro di una  umanizzazione  dell'evento  nascita  che deve prevedere il parto indolore,  l'allattamento  materno  precoce  ed il rooming-in tenendo conto  anche degli altri standard definiti dall'OMS e dall'UNICEF per gli   "Ospedali   amici  dei  bambini",  colmando  le  diseguaglianze esistenti  fra  le Regioni italiane, al fine di ridurre la mortalita' neonatale  in  primo  luogo  nelle  Regioni  dove  e'  piu'  elevata, ottimizzando  il  numero dei reparti pediatrici e dei punti nascita e assicurando  la  concentrazione  delle  gravidanze  a  rischio  e  il servizio  di  trasporto  in  emergenza del neonato e delle gestanti a rischio;
 - la  riduzione  del  ricorso  al taglio cesareo, raggiungendo il valore  del  20%,  in  linea con i valori medi europei, attraverso la definizione  di Linee guida nazionali per una corretta indicazione al parto   per   taglio   cesareo,  l'attivazione  di  idonee  politiche tariffarie per scoraggiarne il ricorso improprio;
 - promuovere  campagne  di  informazione  rivolte alle gestanti e alle puerpere, anche attraverso i corsi di preparazione al parto ed i servizi  consultoriali,  per la promozione dell'allattamento al seno, il corretto trasporto in auto del bambino, la prevenzione delle morti in  culla  del  lattante,  la  promozione  delle vaccinazioni e della lettura  ad  alta  voce. Deve essere prevenuto il disagio psicologico dopo la gravidanza ed il parto;
 - educare  i  giovani alla promozione della salute, all'attivita' motoria,  ai  comportamenti  e stili di vita adeguati nel campo delle abitudini  alimentari, alla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale  compresa  l'infezione  da  HIV,  della  tossicodipendenza e dell'alcolismo,   alla  procreazione  responsabile,  sollecitando  il contributo  della  scuola, attivando anche interventi, in particolare nei consultori familiari e negli spazi destinati agli adolescenti, di prevenzione  e  di  lotta ai maltrattamenti, abusi e sfruttamento dei minori e alla prevenzione degli incidenti stradali e domestici;
 - prevenire  la  patologia  andrologica  e ginecologica nell'eta' evolutiva;
 - controllare  e  diminuire  il  sovrappeso  e  l'obesita'  nelle giovani generazioni tramite interventi che devono riguardare non solo la casa e la famiglia (ma anche la scuola e la citta) e infine i mass media  e  gli organismi di controllo che devono diffondere la cultura dei  cibi  salutari  (frutta  e  verdura) e combattere la pubblicita' alimentare ingannevole;
 - riorganizzare i Servizi di emergenza-urgenza pediatrica;
 - ridurre i ricoveri inappropriati in eta' pediatrica;
 - migliorare   l'assistenza   ai  pazienti  affetti  da  sindromi malformative congenite;
 - definire                  appropriati                  percorsi diagnostici-terapeutici-riabilitativi  per  le  patologie  congenite, ereditarie  e  le malattie rare, mediante una migliore organizzazione dei  Centri  di riferimento a valenza regionale o interregionale e la realizzazione di reti assistenziali;
 - migliorare  l'assistenza  ai bambini e agli adolescenti affetti da  patologie  croniche mediante lo sviluppo di modelli integrati tra Centri specialistici, ospedali, attivita' assistenziali territoriali, quali  l'assistenza psicologica e sociale, la scuola, le associazioni dei malati e il privato no profit;
 - valutare  con  attenzione  e contrastare il fenomeno del doping che  sembra  interessare  sempre  di  piu'  anche  i giovanissimi che praticano   lo   sport   a   livello  dilettantistico  e  amatoriale, coinvolgendo    le   famiglie,   le   istituzioni   scolastiche,   le organizzazioni  sportive  e  le  strutture  del  SSN. Cio' al fine di acquisire una piu' approfondita conoscenza dell'entita' del fenomeno, coinvolgendo  le  strutture  del SSN, le organizzazioni sportive e le istituzioni  scolastiche,  al fine di sviluppare un efficace piano di prevenzione  e lotta al doping, elaborando le strategie da adottare e le azioni da intraprendere.
 
 5.2.   Le  grandi  patologie:  tumori,  malattie  cardiovascolari, diabete e malattie respiratorie.
 I tumori.
 
 La   lotta  ai  tumori  si  realizza  in  primo  luogo  attraverso interventi finalizzati alla prevenzione sia primaria che secondaria e a  questo  proposito  negli  anni  di  vigenza  del  precedente Piano sanitario nazionale sono state realizzate importanti iniziative nella lotta  al  fumo. Per la prevenzione nell'ambiente di vita e di lavoro sono   stati  realizzati  gli  interventi  previsti  dalla  normativa nazionale,  regionale  e  comunitaria  di settore. Sono stati inoltre finanziati con le risorse vincolate al raggiungimento degli obiettivi di  PSN  gli  screening  oncologici per la prevenzione del tumore del collo  dell'utero,  della  mammella  e del colon retto ed in corso di attuazione il Piano Nazionale di prevenzione, del quale gli screening oncologici costituiscono una linea operativa.
 
 Le  azioni  da  completare  nel campo della prevenzione dei tumori sono:
 
 - interventi  di  informazione  e  di  educazione  sulla lotta ai principali agenti causali e sui comportamenti positivi per ridurre il rischio;
 - informazione  e  comunicazione  sulla  validita' della diagnosi precoce,  integrando  nelle attivita' dei medici di medicina generale attivita' utili alla riduzione di alcuni tumori (ad es. melanomi);
 - attivare  programmi  intersettoriali  di  riduzione del rischio ambientale (ad es. incentivazione del trasporto su rotaia o del mezzo pubblico nelle aree ad alta densita' di traffico).
 
 Per  quanto  attiene  alla diagnosi precoce e' necessario ottenere nell'esecuzione  degli  screening  una  copertura  quanto piu' totale della  "popolazione  bersaglio", superando le differenze nell'accesso legate  ai  determinanti  sociali  anche  tramite  il  sistema  della chiamata diretta.
 
 Devono  essere  superati  gli  squilibri territoriali nell'offerta degli  screening efficaci, come stabilito dal Parlamento con la legge 26 maggio 2004, n. 138 art. 2-bis.
 
 Vanno  garantiti  i  controlli  di  qualita'  su tutte le fasi del processo  diagnostico  e  sulla  dotazione  tecnologica (obsolescenza tecnologica) al fine di evitare falsi negativi. E' necessario inoltre garantire  alle  persone  risultate  positive  al  test  di screening l'attuazione di percorsi assistenziali in tempi consoni alla gravita' della  sospetta diagnosi. A tale proposito nella gestione delle liste di attesa e' necessario che si tenga conto della sospetta diagnosi di neoplasia per l'attivazione di percorsi differenziati.
 
 Per  quanto  riguarda  la  fase  terapeutica,  di  follow  up e di riabilitazione occorre sia promuovere la qualificazione dei servizi e delle  unita'  operative  presenti  sul  territorio, migliorandone la qualita'  e  l'accessibilita', valorizzando l'utilizzo di linee guida nazionali   ed   internazionali   e   di  protocolli  condivisi,  sia concentrare l'offerta ospedaliera di alta specialita' in strutture di altissima specializzazione, dislocate strategicamente sul territorio, dotate  delle  piu' moderne tecnologie (ad es. in tema di diagnostica per  immagine  e  di  radioterapia),  che  siano  parte  di  una rete integrata con ospedali di livello locale e strutture territoriali per la  presa  in  carico  del  paziente,  la  realizzazione  di percorsi sanitari  appropriati  in  un  contesto  di  continuita'  delle cure. L'offerta  dei servizi per la terapia delle patologie neoplastiche ed in   particolare   della   radioterapia   deve   essere   distribuita omogeneamente  sul  territorio  e  devono  essere attivati sistemi di valutazione della qualita' e degli esiti.
 
 Lo  sviluppo degli indirizzi coordinati in oncologia sara' incluso nell'apposito Piano Oncologico Nazionale.
 
 Per  quanto  attiene alla fase terminale e al controllo del dolore si rinvia ai rispettivi paragrafi.
 Malattie cardiovascolari.
 
 Le  malattie cardiovascolari costituiscono uno dei piu' importanti problemi  di  sanita'  pubblica,  e  in Italia rappresentano la prima causa  di morte e la principale causa di inabilita' nella popolazione anziana.
 
 Anche  nel  campo  delle malattie cardiovascolari l'intervento del SSN  deve  essere in primo luogo rivolto alla prevenzione. Per questo lo  Stato  e  le Regioni hanno concordato di attivare nell'ambito del programma del Piano Nazionale di prevenzione, da attuarsi nel periodo 2005-2008,  il  Programma  di prevenzione cardiovascolare che prevede quattro distinte iniziative:
 
 1) la diffusione della carta del rischio a gruppi di soggetti;
 2) la prevenzione dell'obesita' nelle donne in eta' fertile e nel bambino;
 3)  la  prevenzione  attiva delle complicanze del diabete di tipo mellito, attuando tecniche di gestione integrata della malattia;
 4)  la  prevenzione  delle  recidive  nei soggetti che gia' hanno avuto accidenti cardiovascolari, cosicche' questi non si ripetano.
 
 Vanno  inoltre  promosse  azioni  di  informazione e comunicazione sull'importanza  dell'adozione di stili di vita sani, di una corretta alimentazione,    della    riduzione   della   pressione   arteriosa, dell'abolizione  del fumo, del controllo della glicemia, dei lipidi e del peso corporeo.
 
 E'  necessario  procedere  all'individuazione precoce dei soggetti affetti  da cardiopatia per prevenirne l'aggravarsi e il manifestarsi di  eventi  acuti.  La gestione delle liste di attesa deve permettere percorsi   differenziati,   in   caso  di  sospetto  diagnostico,  su indicazione  del  Medico di medicina generale dell'eventuale urgenza. In  presenza della patologia il paziente deve essere trattato secondo protocolli e linee guida condivise.
 
 Per  la  gestione  della fase acuta della malattia, in particolare nell'infarto  miocardio  acuto,  occorre  che il sistema di emergenza urgenza   sia   organizzato   per   intervenire  in  modo  rapido  ed appropriato,  per la diagnosi preospedaliera, l'eventuale trattamento trombolitico,  l'accompagnamento del paziente con rischi piu' elevati alla struttura ospedaliera piu' idonea.
 
 Per  la  gestione  dei  pazienti  cronici  va realizzata una forte integrazione  tra  territorio  ospedale  per  attivare  interventi di prevenzione di ulteriori eventi acuti, garantire la continuita' delle cure, monitorare il paziente, ridurre le recidive e i ricoveri, anche mediante    l'elaborazione    di   percorsi   diagnostico-terapeutici condivisi. In questo campo e' valido l'utilizzo degli strumenti della teleassistenza  e  del  telesoccorso  che  consentono di monitorare i pazienti  presso il proprio domicilio, con l'invio per via telematica di   ecg   e  di  analisi,  che  consentono  di  effettuare  diagnosi differenziali  e  di prevenire ricoveri impropri e spesso non graditi dai pazienti.
 Diabete.
 
 Il  diabete  mellito  costituisce  un  importante  problema per la sanita'  dei paesi industrializzati per l'incremento della frequenza, legata  all'aumento  della vita media e all'adozione di stili di vita insalubri  (scorrette  abitudini  alimentari, scarsa attivita' fisica con  incremento dell'obesita). Esistono due forma di diabete mellito: il  diabete  di  tipo  1,  infanto-giovanile,  dipendente  da carenza primaria  di  insulina,  a  genesi  autoimmune, la cui prevalenza nel nostro Paese e' di 0,4-1 caso per mille abitanti e il diabete di tipo 2,   cosiddetto   dell'adulto,   spesso   associato   a   sovrappeso, dislipidemia  ed  ipertensione,  la  cui prevalenza e' di circa 2,7-3 casi  per  cento abitanti. Entrambe le forme della malattia diabetica sono caratterizzate dall'insorgenza di numerose e gravi complicanze a carico  di  vari  organi  e apparati, che incidono pesantemente sulla qualita'  della vita dei pazienti e sul Servizio sanitario nazionale, ma   che   possono   essere   prevenute   da  un  corretto  controllo glicometabolico.
 
 Le    malattie   cardiovascolari   rappresentano   la   principale complicanza  del  diabete  di  tipo 2. Se il diabete si accompagna ad ipertensione  arteriosa,  dislipidemia  e obesita' (oppure anche solo sovrappeso,  quando  questo  sia di tipo "viscerale") si configura la sindrome   metabolica  caratterizzata  da  ulteriore  incremento  del rischio cardiovascolare. La retinopatia diabetica, piu' frequente nel diabete  di  tipo  1 e' un importante causa di cecita', la nefropatia diabetica  e' la terza causa di ricorso alla dialisi; le vasculopatie e  neuropatie  periferiche  causano  lesioni trofiche alle estremita' inferiori  che  a  volte  esitano  in  amputazioni  (prima  causa  di amputazione).
 
 Studi  clinici  condotti  in  questi ultimi anni hanno evidenziato come  l'incremento  dell'incidenza del diabete di tipo 2 possa essere contrastata   dall'attuazione   di   stili  di  vita  salutari  e  di un'alimentazione corretta.
 
 Uno  stretto  controllo dell'equilibrio metabolico, e, soprattutto nel   diabete   di   tipo   2,   degli  altri  parametri  di  rischio cardiovascolare  noti  (fumo,  peso  corporeo,  pressione  arteriosa, lipidi  plasmatici)  riduce  il  rischio  di complicanze nel paziente diabetico.   Il  paziente  quindi  si  deve  sottoporre  con  cadenza stabilita  ad  una  serie  di  accertamenti  per  il  controllo della malattia   e   per   la   diagnosi  precoce  delle  complicanze.  Per incrementare   l'adesione  del  paziente  ai  protocolli  diagnostici terapeutici  lo  Stato  e le Regioni hanno concordato sull'attuazione del   Piano   Nazionale   di  Prevenzione  che  prevede  tra  l'altro l'iscrizione   dei   pazienti   diabetici   in  appositi  registri  e l'integrazione  in  rete  delle  strutture territoriali deputate alla prevenzione e alla gestione del paziente diabetico.
 Le malattie respiratorie.
 
 Le  malattie  respiratorie costituiscono la terza causa di morte e di   queste   la   BPCO  (broncopneumopatia  cronica  ostruttiva)  e' responsabile  di circa il 50% dei decessi ed il sesso piu' colpito e' quello  maschile.  Anche  la  lotta  alle  malattie  respiratorie  si realizza  in  primo  luogo  attraverso  interventi  finalizzati  alla prevenzione  sia  primaria che secondaria, come la lotta al fumo e la lotta agli inquinanti presenti negli ambienti di vita e di lavoro.
 
 Le  azioni  da compiere nel campo della prevenzione delle malattie respiratorie sono:
 
 - attivazione  di  programmi  intersettoriali  di  riduzione  del rischio ambientale e professionale;
 - interventi  di  informazione  e  di  educazione  sulla lotta ai principali agenti causali e sui comportamenti positivi per ridurre il rischio;
 - informazione, comunicazione, promozione della diagnosi precoce, con   il  coinvolgimento  nelle  attivita'  dei  medici  di  medicina generale;
 - prevenzione ed il trattamento della disabilita'.
 
 Estremamente  importante  e' la diagnosi precoce che nella maggior parte  dei casi puo' essere eseguita con la spirometria, nei soggetti fumatori  per  individuare  la  patologia cronica in fase iniziale ed impedire  la  progressione della patologia respiratoria verso livelli di patologia piu' severi.
 
 Per  quanto  riguarda  la  fase  terapeutica,  di  follow  up e di riabilitazione  occorre  promuovere  la  qualificazione dei servizi e delle  unita'  operative  presenti  sul  territorio, migliorandone la qualita'  e  l'accessibilita', valorizzando l'utilizzo di linee guida nazionali  ed  internazionali e di protocolli condivisi e concentrare l'offerta  ospedaliera  di alta specialita' in strutture dotate delle piu'   moderne   tecnologie  (ad  es.  laboratori  di  fisiopatologia respiratoria,   di   valutazione   delle  patologie  sonno-correlate, endoscopia  toracica, oncologia toracica, unita' di terapia intensiva respiratoria,   allergologia  respiratoria).  Tali  strutture  devono essere  inserite  in  un  sistema  di  rete  comprendente  ospedale e territorio  che  faciliti  l'individuazione  e l'utilizzo di percorsi diagnostico-terapeutici-riabilitativi     adeguati.     A     livello territoriale   deve   essere  implementata  l'assistenza  domiciliare integrata,  in  particolare  per  i pazienti affetti da insufficienza respiratoria  grave,  con  disponibilita'  al domicilio del paziente, dove  necessario,  degli  strumenti  di  monitoraggio  della funzione respiratoria,   anche   in  modalita'  telematica.  I  pazienti  e  i familiari, devono essere formati a conoscere le caratteristiche della malattia, a seguire/far seguire correttamente la terapia prescritta e a reagire prontamente in caso di riacutizzazione.
 
 Per  quanto  riguarda  l'offerta  ospedaliera si ricorda, inoltre, l'efficacia  delle  unita'  di  terapia  intensiva respiratoria nella gestione completa del paziente respiratorio critico, con possibilita' di  attuare  terapia  intensiva  respiratoria non-invasiva e notevole miglioramento   della  qualita'  di  vita,  possibilita'  di  ridurre l'occupazione  di  posti letto in reparti di rianimazione e riduzione dei costi di gestione del paziente con insufficienza respiratoria.
 5.3. La non autosufficienza: anziani e disabili
 
 La  non  autosufficienza e' una grande problematica assistenziale, che  tendera'  ad assorbire crescenti risorse nell'ambito dei servizi sanitari   e   socio-sanitari.   E'  pertanto,  fondamentale  attuare sistematici   interventi   di   prevenzione  primaria,  secondaria  e terziaria, tramite interventi in grado di affrontare la molteplicita' dei fattori che concorrono a determinare e ad aggravare la situazione di  non  autosufficienza,  Altrettanto  basilare  e' il rafforzamento delle  reti  assistenziali,  con  una  forte integrazione dei servizi sanitari e sociali.
 Gli Anziani.
 
 Il   possibile  incremento  delle  disabilita'  e  delle  malattie croniche causato dall'invecchiamento della popolazione e' funzione di vari  fattori,  tra  loro  contrastanti,  gli  uni legati al naturale deterioramento  fisico,  gli altri alla validita' degli interventi di prevenzione  e  al  miglioramento delle condizioni di vita gia' nelle eta'  precedenti.  I possibili scenari che al momento attuale possono prevedersi  presentano  caratteri  discordanti:  a)  incremento degli anziani  non  autosufficienti proporzionale all'incremento del numero di  anziani  con forte crescita in numeri assoluti, b) incremento del numero  assoluto di anziani non autosufficienti piu' contenuto grazie al  miglioramento  delle  condizioni  di  vita,  dei  progressi della medicina, delle attivita' di prevenzione.
 
 Infatti gia' oggi si registra un innalzamento ad eta' piu' elevate delle  problematiche piu' importanti (perdita di autonomia, riduzione della  mobilita', decadimento cognitivo) connesse con l'eta' anziana. In  ogni  caso  il mutato assetto demografico impone un'accelerazione nell'attuazione  delle  scelte di politica sanitaria in questo campo. Agli  effetti  dell'invecchiamento  della  popolazione  si  sommano i cambiamenti  nelle  struttura  familiare  che  hanno  portato  ad una drastica diminuzione del ruolo tutelare della famiglia, che, li' dove e'  presente,  si trova appesantita dalla difficolta' di affrontare a volte  da  sola  problematiche  complesse  alle  quali  non sempre e' preparata  e  che  richiedono  grande  dispendio  di tempo, energie e risorse, soprattutto in presenza di "anziani fragili".
 
 Con  tale  termini  si  intendono anziani limitati nelle attivita' quotidiane  per  effetto  di  pluripatologie, ritardo nei processi di guarigione e recupero funzionale.
 
 Negli  anziani, accanto ai problemi di carattere sanitario, spesso sono  presenti  problemi  di  carattere  economico. L'incidenza della poverta'  e'  superiore alla media (13,9%) tra le famiglie con almeno un  componente di oltre 65 anni di eta' e raggiunge il valore massimo quando  i  componenti  anziani  sono  due  o piu' (16,7%). Il disagio relativo  e'  piu'  evidente  nelle Regioni del Sud, dove l'incidenza media e' pari al 21,3% ma le coppie povere con persona di riferimento di oltre 65 anni sono il 28,2% e gli anziani poveri e soli il 25,7%.
 
 Partendo   dall'esperienza   di   questi  anni  e  dall'esperienza internazionale,  che sta individuando quale priorita' in tutta Europa un      incremento      delle      cure      domiciliari     rispetto all'istituzionalizzazione,  l'obiettivo  prioritario che il SSN vuole perseguire  in  tutto  il territorio e' la garanzia per l'anziano non autosufficiente  della  permanenza  al  proprio domicilio, laddove le condizioni sanitarie, sociali, abitative e di solidarieta' sociale lo rendano  appropriato.  Conseguentemente  e'  necessario  lavorare  in collaborazione  con  le  istituzioni e i gruppi formali ed informali, che  concorrono  all'assistenza per l'ottimizzazione degli interventi di  propria competenza, per un miglioramento delle componenti di cura e di assistenza al fine di ampliare le condizioni di appropriatezza.
 
 Occorre,  in  tal senso, agire essenzialmente sull'implementazione dell'integrazione   funzionale  tra  le  varie  componenti  sanitarie ospedaliere e territoriali e tra i servizi sanitari e sociali, con le modalita' previste dall'attuale normativa (Piani attuativi locali che recepiscono  le indicazioni dei Piani di zona, e che costituiscono la base  degli  accordi  di  programma tra i Comuni e le ASL, e il Piano delle attivita' territoriali, articolazione dell'accordo di programma etc),   per   il   raggiungimento  di  obiettivi  comuni  tramite  la concertazione degli interventi e la condivisione delle risorse.
 
 Occorre, inoltre:
 
 - riorganizzare   la   rete  dei  servizi  sanitari,  potenziando l'assistenza   territoriale   e   l'integrazione   con   il  sociale, avvalendosi   anche   del  privato,  disponibile  a  progettare  e  a realizzare   vere  reti  assistenziali  con  supporti  tecnologici  e pacchetti di servizi;
 - garantire   il   livello   di   assistenza   agli  anziani  non autosufficienti  su  tutto  il  territorio  nazionale,  ancorando  la definizione   del   livello   all'individuazione   di   standard   di prestazioni, di processo e di esito, anche ai fini di una valutazione della sua effettiva erogazione;
 - promuovere  la  ricerca biomedica e clinica sull'invecchiamento ed   in   particolare   sulle  relazioni  esistenti  tra  fragilita', patologia,   comorbilita',  menomazioni  e  disabilita'  geriatriche, promuovendo  inoltre  il  coordinamento delle ricerche gerontologiche attraverso una maggiore cooperazione tra i paesi europei;
 - procedere  alla  realizzazione di una sorgente di finanziamento adeguata al rischio della non autosufficienza.
 I Disabili.
 
 Nell'analizzare  gli  interventi  e  le  politiche  da attuare per l'integrazione dei servizi di cura per le persone diversamente abili, non   si  puo'  prescindere  dal  contributo  fortemente  innovativo, apportato   dalla   riflessione   internazionale   in  questo  campo, concretizzatosi    nella    "Classificazione    internazionale    del funzionamento,  disabilita' e salute (ICF)". L'approccio, che e' alla base dell'ICF, amplia grandemente il campo di azione degli interventi da  porre  in  essere  per  una piu' piena integrazione delle persone affette  da  disabilita',  mettendo  in  risalto  la  responsabilita' condivisa  delle varie istituzioni (istruzione, sanita', lavoro, enti locali,  etc) per il miglior inserimento o reinserimento nel contesto familiare, lavorativo, relazionale e sociale di questi pazienti.
 
 In  questa  visione  e' ribadita la centralita' dell'individuo nei processi  assistenziali  e  sanitari,  cui  devono essere garantiti i Livelli  Essenziali  di  Assistenza, eliminando le disuguaglianze che ancora   caratterizzano  l'accesso  ai  servizi.  Conseguente  e'  la necessita'  (piu'  volte ribadita in documenti del livello centrale e regionale)  che  i servizi e gli operatori si attivino per rispondere in  maniera  coordinata e continuativa alla molteplicita' dei bisogni espressi,  in  un sistema di interrelazioni che costituiscono la rete integrata  per le disabilita'. L'approccio da seguire per il paziente con   disabilita'   e',  quindi,  il  coordinamento  delle  attivita' multiprofessionali   e  multidisciplinari,  che  analizzi  tutti  gli aspetti  della  persona  in  relazione ai bisogni causati dall'evento lesivo    per    la   successiva   elaborazione   di   un   programma individualizzato  di  riabilitazione,  rieducazione  e  reinserimento sociale  alla  cui  definizione partecipa attivamente il paziente con disabilita'  e  la  sua  famiglia. Nel progetto individuale i diversi interventi  sono  integrati e i diversi operatori riconoscono il loro apporto  professionale,  per  quanto  autonomo,  facente parte di una strategia  piu'  ampia  finalizzata  al  raggiungimento  di obiettivi comuni.
 
 L'impegno del Servizio sanitario nazionale in primo luogo e' volto a  garantire  che  l'intervento riabilitativo sia precoce per ridurre gli esiti invalidanti degli eventi lesivi, facilitando il recupero di competenze  funzionali  e/o lo sviluppo di competenze sostitutive Per tale scopo vanno sviluppati anche in questo settore gli strumenti del governo   clinico   e   della  valutazione  della  qualita',  tramite indicatori  di  struttura,  di  processo  e  di  esito, implementando l'utilizzo  di  linee  guida  cliniche  e  di percorsi assistenziali, fondati sui principi della medicina basata sulle evidenze.
 
 Alla  dimissione  dell'ospedale il paziente entra nella dimensione riabilitativa  territoriale:  per garantire la continuita' delle cure soprattutto  nel  delicato  passaggio  dall'ospedale  al territorio e dalle strutture territoriali al domicilio, e' necessario promuovere e potenziare  il  coordinamento  delle strutture e dei servizi sanitari che  entrano  a  far  parte  della  rete di riabilitazione in modo da consentire  la  presa  in  carico globale del paziente, l'unitarieta' degli  interventi,  il  facile  passaggio  da un nodo all'altro della rete.
 
 A  questo riguardo vanno previsti percorsi assistenziali anche per la  fase  di  cronicita',  dimensionando  i nodi della rete a livello regionale  e  locale,  secondo  l'epidemiologia  del  territorio.  E' auspicabile che, per migliorare l'integrazione e la comunicazione, si utilizzino   terminologie  comuni  per  individuare  i  bisogni,  gli obiettivi  e  i  risultati  degli  interventi.  A  tale proposito, in considerazione  del  grande  sviluppo  in  termini di organizzazione, tecnologie,   ricerca,   bisogni   informativi  che  il  mondo  della riabilitazione  ha  avuto  in  questi  anni, occorre procedere ad una rielaborazione  delle  linee  guida  ministeriali per le attivita' di riabilitazione, gia' approvate con un Accordo Stato-Regioni nell'anno 1998.
 
 Occorre  inoltre  provvedere  ad un aggiornamento del nomenclatore dei  presidi  protesici ed ortesici, al fine di adeguare la lista dei dispositivi  erogabili  e  meglio  ricollegare l'assistenza protesica alla piu' generale assistenza riabilitativa.
 
 L'integrazione  territoriale  prevede il coinvolgimento della rete assistenziale e di solidarieta' sociale. Importante infatti nel campo della  disabilita'  e'  il  contributo  che puo' essere apportato dal volontariato  e  dal privato no profit, per la peculiarita' di queste associazioni  di  rispondere  in  modo  flessibile  ed  articolato ai bisogni   anche   non  codificati  dei  pazienti.  E'  inoltre  molto importante  l'apporto delle associazioni di familiari e dei gruppi di auto-aiuto, il cui contributo va ricercato e riconosciuto.
 
 Il  programma  individualizzato  di riabilitazione deve prevedere, inoltre,  interventi  finalizzati  alla formazione professionale e al reinserimento  o  inserimento  scolastico.  Vanno, pertanto, promossi incontri  congiunti  tra gli operatori sociosanitari e scolastici per definire  percorsi di integrazione e di orientamento scolastico e con i  centri di formazione professionale per l'inserimento nel mondo del lavoro. L'esercizio del diritto all'istruzione e al lavoro costruisce infatti  il  primo passo verso quella piena integrazione sociale, che insieme  al  raggiungimento e al mantenimento della massima autonomia costituisce  l'obiettivo a cui tutti gli interventi di riabilitazione sono finalizzati.
 
 A  questo proposito, in favore dei disabili gravi, in sinergia con i  servizi  sociali,  e'  opportuno promuovere la realizzazione delle condizioni  che permettano una vita quanto piu' indipendente, che non deve  essere  necessariamente  legata  al  venir  meno  del  supporto familiare (il cosiddetto "dopo di noi"), ma puo' essere preparata con la partecipazione propositiva della famiglia. E' possibile ipotizzare soluzioni  abitative  in  residenze  di  piccole  dimensioni che, pur promuovendo  l'autonomia,  mantengano  il  paziente  in  un  contesto relazionale favorevole.
 5.4 La tutela della salute mentale.
 
 Nel  nostro Paese, le precedenti azioni programmatiche in terna di salute   mentale  hanno  portato  al  consolidamento  di  un  modello organizzativo  dipartimentale,  ed  alla individuazione di una prassi operativa   mirata  a  intervenire  attivamente  e  direttamente  nel territorio   (domicilio,   scuola,   luoghi   di   lavoro  ecc.),  in collaborazione  con  le associazioni dei familiari e di volontariato, con  i medici di medicina generale e con gli altri servizi sanitari e sociali.
 
 La  distribuzione quantitativa di tutti i servizi dei DSM soddisfa gli standard tendenziali nazionali, con valori superiori per i Centri di  salute  mentale,  i  Centri  Diurni  e  le Strutture residenziali (pubbliche   e   private   convenzionate),   mentre  disomogenea  sul territorio  appare  la dotazione di risorse umane messe in campo e la qualita'  degli  interventi  fra  le  varie  Regioni e all'interno di ciascuna regione.
 
 Per  quanto  attiene  alle attivita' dei Centri di salute mentale, responsabili  per  la  presa  in carico e la continuita' terapeutica, sono evidenziabili le seguenti criticita':
 
 a) scarsa conoscenza nella popolazione dell'esistenza dei servizi di  cura,  delle malattie mentali in generale e delle possibilita' di trattamento;
 b) forte rischio per molti servizi di non soddisfare le richieste di   cura,  sia  per  carenze  organizzative  sia  per  scarsita'  di personale;
 c)   difficolta'   nella   presa   in  carico  di  pazienti  "non consenzienti" e "non collaboranti";
 d)   interruzioni   non   concordate  del  programma  terapeutico riabilitativo;
 e) primo contatto tardivo di pazienti "gravi" che, in molti casi, arrivano  ai  servizi  gia'  con  una  storia  di  "cronicita'",  con consequenziale diminuzione delle potenzialita' di recupero.
 
 Un  altro punto critico riguarda le strutture residenziali, per le quali  non  tutte  le  Regioni  hanno  emanato  criteri  formali  per l'accreditamento e per le attivita' che in esse debbono svolgersi, in rapporto alla tipologia di pazienti.
 
 Altri punti di criticita' sono:
 
 - difforme  diffusione  nei  DSM  della cultura della valutazione della qualita';
 - carente attenzione ai problemi di salute mentale nelle carceri;
 - mancanza  di  un  Sistema  informativo  nazionale,  in grado di documentare  le  attivita'  e  le prestazioni fornite dai servizi, in rapporto   ai   bisogni  dei  pazienti.  Disporre  di  tali  dati  e' fondamentale   per   le   conoscenze   epidemiologiche   e   per   la programmazione degli interventi futuri.
 
 A  fronte  di  problematiche  tuttora aperte riguardanti l'accesso all'assistenza   a   favore   dei  pazienti  psichiatrici,  e'  stata recentemente   istituita,   presso  il  Ministero  della  salute,  la Commissione   nazionale   per   la   salute   mentale  che  opera  in coordinamento con la Consulta nazionale per la salute mentale.
 
 Nel  contempo  la  Commissione  igiene  e  sanita'  del Senato, ha avviato   un'indagine   conoscitiva   sullo   stato   dell'assistenza psichiatrica  in  Italia e sull'attuazione dei progetti-obiettivo per la tutela della salute mentale.
 
 Tale  indagine,  a  partire dalla legge 13 maggio 1978 n. 180, che perseguiva   gli  obiettivi  di  tutelare  i  diritti  del  paziente; favorirne  il  recupero sociale e promuovere un modello assistenziale allargato   sul   territorio,   si   colloca   in  un  mutato  quadro istituzionale  e  normativo,  che  affida  alle  Regioni  la gestione dell'assistenza per la salute mentale.
 Gli obiettivi da raggiungere:
 
 - implementare  la  qualita'  dei  CSM  e  la  loro  capacita' di rispondere  alla  domanda  di  trattamento  per i differenti disturbi mentali,  contrastando  la  stigmatizzazione  e riducendo le liste di attesa,  razionalizzando  le  modalita'  di  presa in carico, creando percorsi  differenziati per tipologie pazienti, adottando linee guida e procedure di consenso, basati su prove di efficacia;
 - migliorare  l'adesione  alle  cure  e  la capacita' di presa in carico dei pazienti "non collaboranti";
 - attivare  programmi  di  individuazione  precoce  delle psicosi schizofreniche;
 - migliorare  le capacita' di risposta alle richieste di cura per i  disturbi  dell'umore (con particolare riferimento alla depressione in  tutte  le fasce di eta) e i disturbi del comportamento alimentare (con particolare riferimento alla anoressia);
 - accreditare  le strutture residenziali, connotandone la valenza terapeutico-socioriabilitativa;
 - implementare  i  protocolli  di  collaborazione fra servizi per adulti  e  servizi per l'eta' evolutiva, per garantire la continuita' terapeutica  nel  trattamento  dei  disturbi  mentali dell'infanzia e dell'adolescenza;
 - attivare  e implementare interventi nelle carceri in favore dei detenuti  con  disturbi mentali. Garantire assistenza e reinserimento sociale ai pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG), con particolare riferimento ai dimessi;
 - implementare  i programmi di lotta allo stigma e al pregiudizio nei confronti delle patologie mentali;
 - realizzare  il  Sistema  Informativo  Nazionale  per  la Salute Mentale.
 5.5. Le dipendenze connesse a particolari stili di vita.
 
 Questa linea di azione e' finalizzata a contrastare le conseguenze di  stili  di  vita  fortemente  condizionati  da specifiche forme di dipendenza,  che  costituiscono  rilevanti  fattori di rischio per la salute.
 
 In  particolare si fa riferimento al fumo di tabacco, all'abuso di alcol e all'utilizzo di sostanze stupefacenti.
 Fumo di Tabacco.
 
 La  diffusione  dell'abitudine  al  fumo  e'  ancora  troppo alta, soprattutto  tra  i  giovanissimi, tra le donne, specie tra quelle in eta'  fertile ed in gravidanza, con conseguente rischio per la salute anche  del  nascituro.  Il  fumo in gravidanza e' causa di basso peso alla   nascita,   di  conseguenze  per  lo  sviluppo  della  funzione respiratoria  e di una quota significativa delle cosiddette "morti in culla".  Negli ultimi anni e' aumentato il numero delle donne affette da  patologie  fumo  correlate, quali il cancro polmonare o l'infarto del miocardio.
 
 Il  numero  dei  fumatori  che  smette  e'  ancora  troppo basso e riferito  a soggetti in eta' adulta che in molti casi gia' presentano delle patologie connesse al tabagismo.
 
 L'esposizione,   specie   nei  luoghi  di  lavoro  e  in  ambiente domestico,  al  fumo  passivo  oltre  ad  essere  corresponsabile  di patologie  respiratorie  dell'infanzia  (ad  es.  asma bronchiale) e' causa  di  aumentato  rischio  di  tumore  polmonare e di infarto del miocardio.
 Gli obiettivi da raggiungere:
 
 - prevenire   l'iniziazione   al   fumo   dei   giovani,  tramite l'attivazione  di  interventi  integrati  di  educazione  alla salute rivolti  ai  ragazzi  in eta' scolare (scuola media inferiore e primi anni della scuola media superiore);
 - favorire la disassuefazione dal fumo, tramite il contributo dei MMG,  i  Centri Antifumo gia' operanti, l'attivazione presso le ASL o le Aziende ospedaliere di funzioni dedicate;
 - favorire   la   sospensione  del  fumo  in  gravidanza  tramite interventi  di informazione, educazione, organizzazione di sistemi di assistenza  per  le donne che fumano in gravidanza e le donne in eta' fertile nell'ambito delle strutture operanti nel settore;
 - proteggere i non fumatori dall'esposizione al fumo passivo.
 
 Per  perseguire  quest'ultimo  obiettivo  dovranno essere promosse azioni  di sostegno e di monitoraggio all'applicazione della legge 16 gennaio   2003,   n.   3,   attraverso   una   costante   azione   di informazione-educazione  da  parte  delle  strutture competenti delle Aziende Sanitarie, quali i Dipartimenti di Prevenzione, accompagnate, specie  sui  luoghi  di  lavoro,  da  interventi educativi rivolti ai fumatori  per  favorire  l'adozione  di  comportamenti non nocivi nei confronti  dei  non  fumatori  e promuovere la disassuefazione, anche attraverso l'offerta privilegiata di supporto.
 L'abuso di alcol.
 
 In  questi  ultimi anni si sono consolidate le politiche sanitarie del  nostro  Paese  in  campo  alcologico,  come  e' rilevabile dalla Relazione  che il Ministro della Salute ha recentemente presentato al Parlamento - ai sensi dell'art. 8 della legge 30 marzo 2001, n. 125 - per  illustrare  gli  interventi  attivati,  a  livello  nazionale  e regionale,  nell'anno  2004.  In  Italia  gia'  nel  Piano  sanitario nazionale 2003-2005 la riduzione dei danni sanitari e sociali causati dall'alcol  e'  stata  riconosciuta  come  uno  dei  piu'  importanti obiettivi   di   salute   pubblica,  soprattutto  in  relazione  alla protezione della salute delle giovani generazioni.
 
 Il  Ministero della Salute ha elaborato nel Dicembre 2004 un Piano nazionale  Alcol  e  Salute,  inserito nel programma di attivita' del Centro  per  il  Controllo  delle Malattie (CCM), quale strumento per favorire  azioni  di  ampio  respiro  per la prevenzione dei problemi alcolcorrelati in tutto il territorio nazionale.
 
 Il  consolidamento  delle  politiche del nostro Paese riflette del resto  gli  orientamenti  delle politiche alcologiche della U.E., che hanno  avuto,  negli ultimi anni, un forte impulso con l'inserimento, nel nuovo Programma di azione comunitario di sanita' pubblica per gli anni  2003-2008,  delle  problematiche sanitarie connesse con l'uso e abuso di alcol.
 
 Anche  in  ambito  regionale appare evidente la maturazione di una nuova cultura istituzionale in campo alcologico, che ha indotto molte Regioni   a   rafforzare   il  sistema  di  misure  programmatiche  e organizzative,  con  particolare  attenzione  al  mondo  giovanile  e scolastico.  Le  attivita' di monitoraggio del Ministero della Salute consentono  di  affermare  che  in tutte le Regioni, si e' ampliato e qualificato   il   sistema   dei  servizi  territoriali  preposti  al trattamento  e  alla riabilitazione della dipendenza da alcol. Sempre piu'  capillare  appare  la  capacita' di collaborazione tra servizio pubblico  ed  enti e associazioni di volontariato e auto-mutuo aiuto, di cui si sta affermando un peculiare ruolo sia nella prevenzione che nella riabilitazione.
 
 Nonostante  i  progressi  rilevabili  nel  sistema  di  servizi  e interventi  del  SSN, permangono alcuni preoccupanti fenomeni nonche' difficolta'  e  carenze  in  relazione  ai  quali  appare  importante intervenire con strumenti di piano particolarmente mirati:
 
 - aumento   della   popolazione  complessiva  dei  consumatori  e conseguente  maggiore  esposizione  della  popolazione  al rischio di danni  sociali  e  sanitari correlati, in particolare dei consumatori appartenenti a categorie socio-demografiche particolarmente a rischio di danno alcolcorrelato quali le donne e i giovani;
 - aumento dei comportamenti di consumo a rischio, quali i consumi fuori  pasto,  consumi  eccedentari  e  ubriacature,  in  particolare nell'ambito  della  popolazione giovanile di entrambi i sessi e nella popolazione femminile;
 - difficolta'  di  garantire,  soprattutto  in  alcuni territori, percorsi  terapeutici adeguati ai bisogni dell'utenza con problemi di alcoldipendenza conclamata.
 Gli obiettivi da raggiungere:
 
 1.  Particolarmente  importante  sembra oggi per il nostro Paese, sopratutto  in relazione alla protezione sanitaria dei piu' giovani e delle  donne, l'adozione di politiche e azioni che intervengano sulla percezione culturale del bere, al fine di rendere evidenti le diverse implicazioni   di   rischio   connesse   ai   diversi  comportamenti, trasmettendo in proposito univoci e adeguati orientamenti.
 2.  Appare  inoltre  importante  accrescere  la  disponibilita' e l'accessibilita'  di  efficaci  trattamenti,  nei  servizi pubblici o accreditati,   per   i   soggetti  con  consumi  dannosi  e  per  gli alcoldipendenti   conclamati,   nonche'   sorvegliare  l'efficacia  e l'efficienza degli interventi.
 Le tossicodipendenze.
 
 Il  Consiglio Europeo, nel dicembre 2004 ha approvato la strategia dell'UE  in  materia  di  droga (2005-2012), che fissa il quadro, gli obiettivi   e  le  priorita'  per  due  piani  d'azione  quadriennali consecutivi  che verranno proposti dalla Commissione. L'attivita' del Gruppo Orizzontale Droga (Bruxelles) si e' incentrata prevalentemente sulla   elaborazione   e   adozione   della  predetta  strategia.  La "strategia"   si   basa   essenzialmente  su  un  apporto  integrato, multidisciplinare  ed  equilibrato  tra  riduzione  della  domanda  e riduzione  dell'offerta di droga. Il piano d'azione 2005-2008 dell'UE in materia di lotta alla droga (Gazzetta Ufficiale dell'UE 8.7.2005 C 168/1)  mette  in evidenza anche una serie di temi trasversali, quali la  cooperazione  internazionale,  la  ricerca,  l'informazione  e la valutazione.
 
 Nel  nostro  Paese l'offerta dei servizi assistenziali attualmente disponibili nel settore delle tossicodipendenze consiste in:
 
 - Servizi pubblici per le tossicodipendenze (SerT): 541;
 - Strutture     socio-riabilitative     (dato    del    Ministero dell'Interno): 1.230.
 
 Le criticita' riscontrate sono principalmente legate a:
 
 - difficolta'   nel   garantire   la  continuita'  terapeutica  e riabilitativa;
 
 - mancanza  di  conoscenze  scientifiche  validate sui protocolli terapeutici relativi ai consumi di cannabis, cocaina e metamfetamine. Le  nuove  droghe  rappresentano  un  problema  aperto  in  quanto  i consumatori   non   si   ritengono  tossicodipendenti  nell'accezione classica del termine;
 - difficolta'   nell'affrontare   la  comorbilita'  psichiatrica, riguardante  soprattutto i pazienti "cronici" (generalmente assuntori di eroina);
 - limitatezza  delle  informazioni fornite dal flusso informativo nazionale, attualmente limitato all'attivita' dei servizi pubblici;
 difficolta'  nell'attuazione di processi diagnostico-terapeutici e riabilitativi efficaci nei tossicodipendenti detenuti.
 Gli obiettivi da raggiungere:
 
 1.  accrescere  le conoscenza professionali basate sull'evidenza, al  fine  di  adottare  risposte adeguate all'utenza (nuove strategie terapeutiche  e  protocolli  terapeutici  condivisi)  con particolare riferimento a nuovi consumi e comorbilita' psichiatrica;
 2.  attivare  ed  implementare strategie di prevenzione primaria, secondaria e terziaria;
 3.  attuare una revisione dei flussi informativi nazionali a fini epidemiologici e programmatici.
 
 Nel  raggiungimento  degli  obiettivi  occorrera' fare riferimento alle modifiche normative introdotte con la legge 1° febbraio 2006, n. 49,  con  la  quale  sono  state  introdotte  nuove  disposizioni per favorire  il  recupero dei tossicodipendenti recidivi, a modifica del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
 5.6. Il sostegno alle famiglie.
 
 La  tipologia  familiare prevalente e' stata fortemente modificata dalla  contrazione  della  natalita',  dall'allungamento  della  vita media,  dall'invecchiamento  della  popolazione,  dagli  orientamenti preferenziali   delle   nuove  generazioni  per  soluzioni  abitative distinte  da  quella dei genitori. In generale si e' ridotta la quota delle  famiglie  con bambini in favore di quelle con anziani ma senza bambini e di quelle senza anziani e bambini.
 
 Il  fenomeno  della  posticipazione dell'eta' del matrimonio e del momento  in  cui  si  decide di avere figli fa aumentare il numero di famiglie  in  cui sono presenti contemporaneamente bambini piccoli da accudire  e  grandi  anziani  non autosufficienti, nell'ambito di una coppia  in  cui  entrambi  lavorano.  Le esigenze di cura poste da un numero  calante  di  bambini  avevano permesso di riequilibrare negli anni  `90  il crescente carico gravante sulla eta' di mezzo a seguito dell'invecchiamento  della popolazione, ma oggi, e negli anni futuri, cio'  non  sara'  piu'  possibile,  in  quanto  non sono immaginabili ulteriori  contrazioni nelle nascite, ma semmai degli aumenti, mentre la tendenza all'invecchiamento si consolidera' sempre di piu'.
 
 Tutto  cio'  sta  generando  una  crescente  domanda di servizi di sostegno, sempre piu' rilevante negli anni che ci aspettano.
 
 Accanto  a  queste  tendenze  vanno  poi tenuti presenti ulteriori fattori legati a:
 
 - i fenomeni di instabilita' coniugale;
 - la  presenza  di  famiglie  a  basso  reddito in stato di grave disagio socio economico;
 - la crisi delle competenze genitoriali.
 
 In    questa    situazione   e'   necessario   attuare   politiche intersettoriali   di  sostegno  alla  famiglia  che  in  primo  luogo riconoscano  il  ruolo  attivo della famiglia stessa nell'analisi del bisogno,   nella   formulazione   di   proposte,   nella  valutazione partecipata dei servizi ad essa rivolti, riconoscendo e sostenendo il ruolo   dell'associazionismo   delle  famiglie  nelle  sedi  e  nelle occasioni  decisionali (ad es. Piano di Zona) in cui vengono definiti programmi e progetti in favore delle famiglie.
 
 Per   quanto   attiene   agli   interventi  piu'  specificatamente socio-sanitari  occorre che il Servizio sanitario nazionale si faccia promotore  in  primo  luogo di una cultura negli operatori sanitari e socio  sanitari  che  valorizzi  la  famiglia  e  le  associazioni di famiglie  come  partner  dei  servizi  e  di conseguenza consideri al momento  della  presa in carico del singolo paziente, il suo contesto familiare,   la   rete   informale   di  solidarieta'.  I  gruppi  di volontariato,  di  auto-aiuto,  di  buon  vicinato  possono  svolgere infatti un ruolo di primo piano nella gestione di bisogni complessi e il  contesto familiare e' una delle risorse principali dell'individuo che va adeguatamente promossa e supportata. Anche per questo scopo va prevista  l'offerta di servizi di temporaneo sollievo come le RSA e i centri  diurni  per  la  gestione  per  periodi  limitati di pazienti disabili, cronici ed anziani.
 
 In  favore  di  famiglie  in  situazione  di  poverta' il Servizio sanitario  nazionale,  in  collaborazione  con  le  altre istituzioni competenti  deve  partecipare  alla  costruzione  di  reti  integrate formate   da:   servizi  comunali,  servizi  delle  ASL,  Centri  per l'Impiego, terzo settore, altri soggetti, per l'analisi del bisogno e la  gestione  multiprofessionale degli interventi, in particolare, la sperimentazione    e   la   realizzazione   di   progetti   integrati sociosanitari  per le famiglie povere con problemi di salute mentale, disabilita' e tossicodipendenza.
 
 Il  consultorio, per il suo peculiare carattere multiprofessionale e  multidisciplinare collabora con gli altri enti alla elaborazione e alla  realizzazione  di  protocolli comuni tra le diverse istituzioni deputate al trattamento delle famiglie multiproblematiche e a formare piu' puntualmente gli operatori al riconoscimento delle situazioni di disagio  e alle modalita' con cui affrontarle; collabora inoltre alle iniziative  rivolte a promuovere e facilitare l'affidamento familiare e  le  adozioni e all'eventuale sostegno successivo alle famiglie. Il consultorio   familiare   e'  infatti  un  importante  strumento  per l'attuazione di interventi finalizzati alla tutela della salute della donna,  dell'eta' evolutiva, delle relazioni di coppia e familiari ed e'  fortemente orientato alla prevenzione, informazione ed educazione sanitaria.  In  questo  contesto  tra  le  attivita'  dei  consultori familiari  rivolte  alla salute riproduttiva vanno attivati programmi specifici   per   la  tutela  della  maternita',  per  la  promozione dell'allattamento  al  seno,  per la promozione di scelte genitoriali responsabili, anche informando sui metodi di controllo delle nascite, e per la prevenzione delle interruzioni volontarie di gravidanza.
 
 Un  altro  ambito  di  intervento  in  materia  di  informazione e prevenzione  e' quello finalizzato a promuovere la salute nelle fasce adolescenziali  tramite interventi mirati (ad es. nelle scuole) o con l'offerta  all'interno  dei consultori di spazi e sportelli a cui gli adolescenti  possono  rivolgersi per ricevere informazioni e risposte ai problemi e ai quesiti propri dell'eta'.
 
 Infine  la  presenza  sempre  maggiore  di  stranieri  sul  nostro territorio    rende    opportuno    formare    gli   operatori   alla multiculturalita'  e  predisporre programmi mirati alle problematiche peculiari   degli   utenti   stranieri   (ad  es.  prevenzione  delle mutilazioni  genitali  femminili,  informazione sulla possibilita' di partorire in anonimato).
 
 In  alcune  realta'  si  sono  attivati  con buoni risultati anche Consultori  per anziani finalizzati prioritariamente alla prevenzione delle patologie proprie dell'eta'.
 5.7.  Gli  interventi in materia di salute degli immigrati e delle fasce sociali marginali.
 
 Uno  dei  problemi  piu'  rilevanti che l'attuazione di un sistema universalistico  si  trova  oggi  dinanzi  e'  la  variabilita' della popolazione  di riferimento a seguito dei processi di mobilita' intra ed  extraeuropea che si vanno consolidando negli anni. E' noto che in alcune  aree  del  paese  la presenza straniera, regolarizzata e non, assume dimensioni di assoluto rilievo con un non indifferente apporto allo  sviluppo  economico ed assistenziale del paese. Nel triennio di vigenza  del  PSN si verifichera' l'effettiva assunzione a carico del sistema  degli  oneri  conseguenti  a questi processi, che non devono essere considerati con logiche residuali o marginali.
 
 La  crescita  quantitativa  della  popolazione  reca  con  se'  la conseguenza  dell'affermarsi della multiculturalita' e multietnicita' della  struttura  sociale.  Tale  fenomeno  modifica il modo di porsi della  medicina  nei  confronti  di culture diverse rispetto a quella nell'ambito della quale e' stata a lungo praticata.
 
 Al  tempo  stesso  la  multiculturalita'  della  domanda sanitaria induce oggi la necessita' nei presidi pubblici di adottare percorsi e pratiche   adattati   alle   caratteristiche   dell'utenza   ed  alla peculiarita'  di usi e costumi di parti di essa, senza che cio' trovi a  livello nazionale una definizione chiara in termini di obbligo del servizio  e  di  diritto  del cittadino. Il Piano sanitario nazionale analizza  questo  settore,  di  formulare  indirizzi  in materia e di definirne i principi di riferimento.
 
 Nonostante  il livello di tutela previsto dalla normativa vigente, ed  in  particolare dagli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 e successive modificazioni, e gli sforzi congiunti delle   istituzioni,  delle  associazioni  di  volontariato  e  delle organizzazioni  no  profit  riscontriamo negli immigrati irregolari e nelle  persone  appartenenti  a  fasce sociali cosiddette "marginali" varie  problematiche  di  natura sanitaria, tra le quali una maggiore incidenza   di   malattie   infettive  da  imputarsi  alle  difficili condizioni   di  vita  e  ad  una  scarsa  o  assente  cultura  della prevenzione. Occorre pertanto, in tale ambito:
 
 - potenziare  le attivita' di prevenzione per gli adolescenti e i giovani  adulti  stranieri  attraverso un approccio trans-culturale e multidisciplinare;
 - promuovere  studi  di  incidenza e prevalenza dell'infezione da HIV  e  delle  piu'  frequenti  MST in gruppi dell'intera popolazione "target";  sperimentare  sistemi di monitoraggio in grado di valutare l'andamento  delle  infezioni, il grado di conoscenza specifica della popolazione target;
 - valutare  e  promuovere capacita' professionali degli operatori sanitari  che  operano nelle aree geografiche a piu' alto afflusso di immigrati,  prendere  atto dei nodi critici che, all'interno del SSN, possono  causare  un  ridotto  accesso degli immigrati ai percorsi di prevenzione,  diagnosi  e  cura dell'infezione da HIV/AIDS e di altre MST.
 
 Per  quanto  attiene alla copertura vaccinale sono stati raggiunti importanti  obiettivi nelle popolazioni immigrate ed a quelle maggior rischio di esclusione sociale.
 
 Per   quanto   attiene   al   settore  materno  infantile  occorre contrastare  l'alto  numero  di interruzioni volontarie di gravidanza che  si  registrano  nelle donne immigrate ed in tal senso si rendono necessari interventi finalizzati alla promozione della genitorialita' responsabile,  attraverso  la  informazione  e formazione alle scelte procreative.  E'  opportuno  inoltre  che  gli operatori sanitari che operano   nel   settore  materno  infantile  attivino  interventi  di informazione  sulla  possibilita'  della  gestante  di  partorire  in anonimato  e  che anche le associazioni di immigrati, le associazioni di volontariato e del terzo settore attive in questo campo operino in tal   senso.  Vanno  inoltre  attivati  interventi  per  impedire  le mutilazioni  genitali femminili gli operatori devono essere preparati al  trattamento  delle  possibili  complicanze  di  natura  fisica  e psicologica   connesse   con   le   stesse.  Le  politiche  sanitarie finalizzate    al    raggiungimento    di   tali   obiettivi   devono necessariamente  considerare  l'eteroculturalita' e devono promuovere la  formazione  specifica in tale ambito degli operatori sanitari. In tale  ambito  ricordiamo  la  recente  legge  9  gennaio  2006,  n. 7 "Disposizioni  concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile" che detta le misure necessarie per prevenire,   contrastare  e  reprimere  le  pratiche  di  mutilazione genitale   femminile   quali   violazioni  dei  diritti  fondamentali all'integrita'  della  persona  e  alla  salute  delle  donne e delle bambine. In particolare sono previsti programmi diretti a predisporre campagne  informative,  promuovere  iniziative  di sensibilizzazione, organizzare corsi di informazione per le donne infibulate in stato di gravidanza,  promuovere  appositi  programmi di aggiornamento per gli insegnanti  delle scuole dell'obbligo, promuovere il monitoraggio dei casi  pregressi  gia'  noti,  formulare linee guida per gli operatori sanitari  e  per  le  altre  figure  professionali che operano con le comunita' di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate tali pratiche.
 
 Per  quanto  riguarda  l'assistenza  ospedaliera  sebbene  non sia possibile  estrapolare dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) i dati   relativi   agli  infortuni  sul  lavoro,  si  puo'  certamente affermare,  che  l'ambito  occupazionale  rappresenta, specie per gli immigrati  maschi,  una  condizione  ad  alto rischio per la salute a causa  delle  condizioni  lavorative  pericolose e spesso scarsamente tutelate.  Quindi  e'  auspicabile  un'azione  di  prevenzione  degli infortuni  che  coinvolga  tutti  gli  attori  sociali,  sanitari  ed economici.
 
 Una   popolazione   che   presenta   problematiche   peculiari  e' rappresentata dai Rom. Tra i problemi specifici che riguardano questa popolazione  il  piu'  urgente  e'  certamente quello che riguarda le condizioni  socio-ambientali in cui vive un numero ancora troppo alto di  Rom.  Le  condizioni igienico-abitative sono state universalmente riconosciute  come tra i principali determinanti di salute ed il loro miglioramento   non   puo'   quindi   che   essere  considerato  come assolutamente  prioritario.  Il numero di Rom tossicodipendenti e' in continuo  aumento  e  questa  realta',  gia'  di  per se' gravissima, diviene  drammatica  se  si  pensa  alla  giovane  eta'  dei soggetti coinvolti  ed  al  fatto  che  prima del 1990 tale fenomeno quasi non esisteva.  Sempre  maggiore  attenzione dovra' quindi essere posta su questo  problema, soprattutto considerando la scarsa conoscenza reale di tale fenomeno in termini statistico-epidemiologici.
 
 Permane la difficolta' dei nomadi nell'acceso ai servizi sanitari; molti  di  essi  infatti,  pur  essendo  in  regola  con le norme sul permesso  di  soggiorno, non hanno effettuato la scelta del medico di base.
 
 In questo settore occorre lavorare in sinergia con le associazioni del  privato  sociale  per  rimuovere  le  barriere  culturali  e gli ostacoli  organizzativi  per  l'accesso  all'assistenza  sanitaria  e svolgere  una intensa opera di educazione sanitaria in collaborazione con mediatori linguistico-culturali appartenenti alle loro comunita'.
 
 La  varieta' e multidimensionalita' delle relazioni fra poverta' e stato  di  salute  e'  messa  bene in evidenza dal caso estremo delle persone  senza  fissa  dimora.  Esso  rivela l'ampiezza crescente del rischio  di grave emarginazione sociale presente nelle nostre citta', che  spesso  e'  in  diretto  collegamento  con la presenza di flussi migratori.  La  condizione  di  senza  fissa dimora nella letteratura internazionale si associa spesso a:
 
 - un'alta esposizione a fattori di rischio nocivi per la salute;
 - un'alta esposizione a traumi, incidenti e violenze;
 - un'alta prevalenza di malattie;
 - un insufficiente accesso all'assistenza sanitaria;
 - un'alta mortalita'.
 
 Le  variabili  socioeconomiche  (istruzione, occupazione, reddito) sembrano  molto  importanti nel determinismo della condizione di SFD: sono  i  soggetti  piu'  deprivati  ad  incontrare piu' spesso questo destino.   Lo   stato   di  severa  deprivazione  materiale  (dimora, esposizione  agli  agenti  atmosferici,  nutrizione)  si  somma  alla scarsita'  della  rete  relazionale  (la  ricchezza e il supporto dei rapporti familiari e sociali) e ai comportamenti nocivi per la salute (alcool,  fumo e droghe) comportando un alto rischio di malattia e di morte  prematura, che rendono urgente il potenziamento dell'attivita' di  inclusione sia attraverso le strutture di accoglienza (dormitori, mense)   che   degli  interventi  di  supporto  e  di  riabilitazione psico-sociale.  Tali  interventi  di contrasto della poverta' estrema vanno  promossi  soprattutto  tenendo nei confronti delle persone che sono  divenute senza fissa dimora da poco tempo, ovvero vivono in una condizione   non   ancora   cronicizzata:   poiche'  l'intervento  di inclusione si rivela piu' efficace.
 
 L'assistenza  rivolta  alle popolazioni immigrate ha rappresentato per  il  SSN  un'occasione  di crescita organizzativa e culturale. La presenza  strutturale  di  intere  famiglie  immigrate ha permesso di modificare  il  modello  di  assistenza sanitaria proposto dal nostro SSN, rimodellando una offerta di servizi socio-sanitari diversificati e  soprattutto  a  misura  umana  nei  confronti di tutte le fasce di persone  a  rischio  di emarginazione, anche grazie all'attivita' dei mediatori   linguistico-culturali   culturali   formati  ad  hoc  e/o appartenenti alle loro comunita'. Si sta, pertanto portando avanti un processo  di  attuazione  di servizi socio-sanitari piu' attenti alle complesse  problematiche  delle persone con il rispetto delle diverse dignita'  e  culture, non solo straniere, ma anche dei diversi strati sociali degli italiani.
 5.8.  Il  controllo  delle  malattie  diffusive  e la sorveglianza sindromica.
 
 Per  essere  pronti  ad  affrontare  rapidamente  eventi acuti che possano   configurare   un'emergenza   di   salute  pubblica  occorre implementare  i  sistemi  di  sorveglianza  sindromica,  integrando i diversi  sistemi  di  sorveglianza  esistenti.  E' inoltre necessario mantenere  e  migliorare il controllo sulle malattie diffusive, anche attuando quanto gia' previsto dal Piano Nazionale Vaccini 2005-2007.
 Il controllo delle malattie infettive.
 
 Le   piu'   rilevanti  criticita'  che  emergono  nell'ambito  del controllo delle malattie infettive sono:
 
 - una cultura che tende a sottovalutare il rischio legato ad esse ed alle loro conseguenze;
 - le  malattie  infettive,  in  particolare quelle prevenibili da vaccino,  chiedono un approccio globale e non localistico per la loro prevenzione ed il loro controllo;
 - le  maggiori facilita' e frequenza degli spostamenti di persone e  merci  da/per  aree  geografiche  a  rischio  favorisce  la rapida diffusione di patologie emergenti e riemergenti;
 - una  elevata  difformita'  di  copertura per le vaccinazioni di piu'   recente   introduzione   nelle   Regioni   ed  una  disequita' nell'accesso  alla prevenzione vaccinale che solleva la necessita' di una  appropriata  offerta  delle  vaccinazioni,  sia obbligatorie che raccomandate,  a  tutte  le  fasce  di popolazione previste dal Piano nazionale vaccini, indipendentemente dallo status socioeconomico, con lo  specifico  problema  delle  coperture  vaccinali,  anche  per  le vaccinazioni   obbligatorie  nelle  popolazioni  immigrate  da  paesi extracomunitari e nelle popolazioni Rom;
 - difficolta'  e  disomogeneita'  nella  gestione  dei  casi,  in crescita,  di  rifiuto  della pratica vaccinale, con necessita' di un approccio  comunicativo  verso  i  cittadini che tenda al consenso ed alla  consapevolezza,  piuttosto  che  allo  storico  concetto  della obbligatorieta'.
 Gli obiettivi da raggiungere.
 
 Vengono  riconfermati  gli  obiettivi di salute previsti dal Piano Nazionale  Vaccini 2005-2007 (Accordo in Conferenza Stato-Regioni del 3  marzo 2005, G.U. - serie generale - n. 86 del 14 aprile 2005) e la promozione delle pratiche vaccinali e' una delle tematiche affrontate dal  Piano  Nazionale  della Prevenzione gia' ricordato nel paragrafo 3.4. Si rimanda pertanto a tali accordi relativamente agli obbiettivi complementari   indicati   nei  due  atti.  Ulteriori  obiettivi,  da perseguire nel triennio sono:
 
 - la  valutazione  epidemiologica  dei soggetti appartenenti alle categorie  a  rischio  per patologia, cui offrire prioritariamente le vaccinazioni;
 - la  rilevazione  tempestiva  dei  casi  di infezioni emergenti, riemergenti e da importazione;
 - la  sorveglianza  ed  il  controllo delle complicanze infettive legate all'assistenza sanitaria;
 - la partecipazione ai sistemi di sorveglianza internazionali per la rilevazione di eventi epidemici a rischio di diffusione nel nostro Paese.  A  questo  proposito  particolare  rilevanza assume l'Accordo Stato-Regioni  del  9  febbraio  2006  con  cui e' stato approvato il "Piano   nazionale   di  preparazione  e  risposta  ad  una  pandemia influenzale"  predisposto  dal  C.C.M.  Il  Piano, stilato secondo le indicazioni   dell'OMS   del  2005  che  aggiorna  e  sostituisce  il precedente  Piano  del  2002, rappresenta il riferimento nazionale in base   al   quale  saranno  adottati  i  Piani  operativi  regionali. L'obiettivo  del  piano e' rafforzare la preparazione alla pandemia a livello  nazionale  e locale, allo scopo di minimizzare il rischio di trasmissione,  ridurne l'impatto, garantire informazioni aggiornate e tempestive attraverso alcune azioni chiave;
 - il miglioramento della diagnostica etiologica;
 - il monitoraggio della efficacia dei nuovi vaccini.
 
 Una  particolare attenzione va infine posta sulla importanza della completezza e della gestione informatizzata delle anagrafi vaccinali, cosi'  da  poter  valutare la necessita' e gli effetti delle campagne vaccinali,  in  atto  e da implementare, e condividere criteri per la scelta dei nuovi vaccini fondati sull'EBP e su scelte che ne graduino la  priorita', definire l'offerta essenziale del calendario vaccinale e  dei  vaccini  per le categorie particolari, lasciando alle Regioni l'opzione  e  l'introduzione  di  altri  preparati,  in  relazione  a particolari condizioni epidemiologiche.
 La sorveglianza sindromica.
 
 Allo  stato  attuale,  la  capacita'  di rilevazione tempestiva di eventi  acuti  singoli o epidemici, correlabili a emergenze di salute pubblica   da  determinanti  naturali  o  dolosi,  sembra  inadeguata rispetto  alla  necessita'  che  tale  funzione  sia sufficientemente diffusa ed organizzata in tutto il territorio nazionale.
 
 Uno  degli  interventi per migliorare la capacita' di identificare le  emergenze  di  salute  pubblica  e'  l'attivazione  di sistemi di sorveglianza  sindromica  che  utilizzino dati prediagnostici tali da indicare gli stadi precoci di situazioni emergenziali. Questo tipo di sorveglianza  integra,  ma  non  sostituisce,  il complesso dei molti sistemi di sorveglianza esistenti.
 
 La   sorveglianza  sindromica  va  attivata  prioritariamente  nei servizi  assistenziali  dell'emergenza,  come  ad  esempio  i  Pronto Soccorso  e  i  Centri  Antiveleni.  Tra  gli obiettivi prioritari si segnalano:
 
 - la  sperimentazione  di  un sistema informativo che permetta in tempo  reale  lo  scambio  delle  informazioni  tra  i  centri  e  la elaborazione dei segni prediagnostici (segni e sintomi) raccolti;
 - la  confrontabilita'  dei  dati  prediagnostici gia' esistenti, raccolti nei diversi servizi;
 - la  rilevazione tempestivamente dei quadri sindromici a partire dai dati prediagnostici;
 - l'integrazione  delle  informazioni  sui  quadri sindromici con quelle provenienti da sistemi di sorveglianza gia' in uso.
 
 5.9 La sicurezza alimentare e la nutrizione
 La nutrizione come prevenzione
 
 Negli  anni  si  sono  susseguite  sempre  piu'  numerose evidenze scientifiche    sulla   responsabilita'   di   diete   non   corrette nell'incremento   cospicuo  dell'incidenza  delle  malattie  croniche registrato  in  questi decenni, e sulla efficacia della riduzione dei fattori  di  rischi  nel prevenire patologie legate all'alimentazione anche in eta' anziana o nel diminuire la possibilita' di recidive, in particolare delle malattie cardiovascolari.
 
 Si ricordano in particolare:
 
 - l'importanza   fondamentale   dell'uso   di   acido  folico  in gravidanza per la prevenzione di patologie congenite del tubo neurale ed il successivo allattamento seno;
 - il  consumo di frutta, verdura, proteine vegetali ed alimenti a base  di amidi preferibilmente non manipolati, grassi vegetali, ed il controllo  del consumo totale e del peso corporeo, per la prevenzione delle patologie neoplastiche e cardiovascolari;
 - l'importanza  della dieta nella prevenzione di alcune patologie (come  nel  caso  del  gozzo endemico e di altre patologie da carenza iodica)  o  nella  limitazione  dei  danni alla salute (come nel caso della protezione dei soggetti malati di celiachia).
 
 La  prevenzione della obesita' e' prevista tra le azioni del piano della  prevenzione  nazionale,  al quale si rimanda ed in aggiunta si indicano  come  rilevanti,  accanto  alle  azioni  di  promozione dei corretti stili di vita:
 
 - l'attuazione di politiche intersettoriali atte a riorientare la produzione  alimentare  tramite  gli  incentivi  alla produzione e le sovvenzioni,  regolamentare  in  modo  piu'  puntuale le informazioni contenute   nelle   pubblicita',   e  nelle  etichette  dei  prodotti alimentari,  agire  sui  prezzi  e  formulare standard per il consumo degli alimenti;
 - coinvolgere maggiormente gli operatori sanitari (in particolare i  medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta, per la peculiarita'  del  loro  ruolo)  perche' svolgano azioni concrete nel campo della corretta informazione e dell'educazione sanitaria.
 
 Per  quanto  riguarda  particolari  patologie  legate a deficit di elementi nutrizionali o a patologie anche di origine genetica, il cui estrinsecarsi e' fortemente condizionato da fattori alimentari, vanno promossi interventi a vari livelli istituzionali per la messa in atto delle  necessarie  azioni  finalizzate  alla loro prevenzione. In tal senso   ricordiamo   per  la  loro  importanza  le  due  recentissime disposizioni  legislative  finalizzate  alla  prevenzione  del  gozzo endemico  e  di  altre  patologie  da carenza iodica - legge 21 marzo 2005,  n.  55  e  alla  protezione dei soggetti malati di celiachia - legge 4 luglio 2005, n. 123.
 La sicurezza alimentare.
 
 In  questi ultimi anni il settore alimentare e' stato coinvolto in diverse  crisi  a  partire dalla BSE, fino ai casi piu' recenti della contaminazione   di   prodotti  per  la  prima  infanzia,  che  hanno evidenziato  la necessita' in primo luogo di rafforzare il sistema di monitoraggio  e  di  controlli  sulle  diverse filiere produttive, ma soprattutto  di poter disporre di informazioni e dati provenienti dal territorio  secondo  un sistema di raccolta omogeneo che consenta una corretta  valutazione  del  rischio.  La valutazione dei rischi nella catena  alimentare,  anche  alla  luce delle espressioni di Organismi internazionali (EFSA, OMS, etc.) dovra' essere alla base di qualsiasi scelta   gestionale   per  l'adozione  di  interventi  a  tutela  dei consumatori  e  cio'  non  puo'  non  avvenire  se non attraverso una maggiore  valorizzazione  del  Comitato  Nazionale  per  la Sicurezza alimentare (CNSA) da un lato e dall'altro attraverso il potenziamento delle  strutture  di  gestione del rischio sia a livello centrale che delle Regioni e Province autonome. Tale Comitato dovra':
 
 - garantire  i  rapporti con l'Autorita' Europea per la Sicurezza Alimentare;
 - promuovere  e  coordinare  la definizione di metodi uniformi di valutazione   del   rischio   alimentare,   proporre  metodi  per  la pianificazione dei programmi di sorveglianza;
 - monitorare  le  attivita'  di  sorveglianza  nel  settore della sicurezza alimentare.
 
 Dal  1°  gennaio  2006,  con  l'entrata  in piena applicazione dei Regolamenti  Comunitari  che  costituiscono  il cosiddetto "Pacchetto igiene",  lo  scenario  della legislazione in materia di produzione e commercializzazione degli alimenti e delle bevande ha subito notevoli cambiamenti. Infatti, finalmente, a livello comunitario, e quindi con ripercussione  anche  sul  mercato  nazionale,  si  avra' la completa armonizzazione della disciplina in materia di commercializzazione dei prodotti  alimentari  con  un aumento della sicurezza "dal campo alla tavola"  in  quanto  verra'  coinvolta  la  produzione  primaria  dei prodotti.  Inoltre  a  livello nazionale l'Amministrazione sanitaria, anche  a seguito della riorganizzazione di cui alla legge 30 novembre 2005,  n.  244, ha iniziato a promuovere anche mediante l'adozione di specifiche  linee guida comportamenti uniformi a livello territoriale per  la  gestione  e  l'armonizzazione  dei  controlli  su  aziende e prodotti alimentari per rispondere a specifiche richieste dell'Unione Europea  e dei Paesi Terzi verso i quali vengono esportati i prodotti italiani.
 
 La  protezione  del  consumatore nei confronti di numerose zoonosi alimentari  ("dalla  stalla alla tavola" con controlli lungo l'intera filiera  produttiva, dall'animale vivo al prodotto alimentare venduto al  dettaglio)  ha reso necessario un nuovo approccio alla materia. I Regolamenti, a differenza della precedente normativa, privilegiano il sistema dell'autocontrollo basato sui 7 principi dell'HACCP del Codex alimentarius,  prevedendo,  quindi, una maggiore responsabilizzazione degli  operatori  del  settore  alimentare  e  mangimistico, i quali, tuttavia,  saranno  facilitati  nel  loro compito da una legislazione alimentare   piu'  semplice  ed  armonizzata  per  tutti  i  prodotti alimentari  sia  di  origine animale che vegetale, venendo a decadere tutta  la  normativa  verticale  attualmente in vigore, il piu' delle volte di non facile interpretazione.
 
 Con  particolare riferimento alla efficienza ed appropriatezza dei sistemi  sanitari  regionali  di  prevenzione  primaria  per la parte relativa   alla  sanita'  pubblica  veterinaria  e  all'igiene  degli alimenti,  e'  necessario  realizzare un potenziamento del sistema di auditing   allo   scopo   di   garantire   al   meglio  l'uniformita' nell'applicazione della normativa vigente, di favorire la trasparenza e   la  collaborazione  tra  pubbliche  amministrazioni,  nonche'  di promuovere  una  maggiore  attenzione  da parte del governo sanitario regionale  ed  accrescere  la  consapevolezza  sociale  sulle realta' sanitarie   in   questa   materia.   Risulta,  altresi',  prioritaria l'implementazione  di  un puntuale ed efficace flusso informativo dei dati  epidemiologici  scaturiti  in  ambito regionale, al fine di una corretta  analisi  del rischio, da effettuarsi in coordinamento con i Centri di referenza nazionali interessati.
 Sistema  nazionale  di controllo ufficiale dei prodotti alimentari di origine animale e vegetale.
 
 Sulla  base  dei  nuovi  orientamenti  comunitari  e  al  fine  di assicurare  un sempre piu' elevato livello di protezione della salute pubblica,  l'attuale  sistema  nazionale  di  controllo ufficiale dei prodotti alimentari deve essere ridefinito rendendolo piu' efficace e piu'   adeguato  agli  standard  europei,  attraverso  gli  opportuni interventi  relativi  ai  principali  aspetti  dell'operativita', del coordinamento, del personale e dell'accreditamento laboratori.
 
 Nella  programmazione  del controllo ufficiale assume carattere di priorita'  l'attuazione  dei piani di controllo nazionali pluriennali in   conformita'  agli  orientamenti  generali  elaborati  a  livello comunitario,  al  fine di realizzare un approccio uniforme globale in materia   di   controlli   ufficiali   sui  prodotti  alimentari.  In considerazione  del  sistema  nazionale  di  controllo  ufficiale dei prodotti  alimentari, che vede coinvolte numerose autorita' sanitarie sia  a livello centrale che territoriale, e' necessario potenziare le funzioni  di  coordinamento  del Ministero della salute e dei nodi di sistema   per  poter  assicurare  interventi  uniformi  su  tutto  il territorio  nazionale  da  parte  delle  diverse  strutture sanitarie deputate  all'attivita'  di  controllo  ufficiale, nonche' interventi immediati a seguito di attivazione del sistema di allerta.
 
 Il   rafforzamento  di  tale  coordinamento  si  rende,  altresi', opportuno  per  poter  migliorare  la  cooperazione tra gli organismi centrali  e territoriali, al fine di soddisfare gli impegni derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Comunita' Europea, con riguardo in particolare  ai  programmi  annuali coordinati comunitari sia di tipo generale che specifico in materia di controllo ufficiale.
 
 Per  svolgere  in  maniera soddisfacente le attivita' di controllo ufficiale  e'  necessario  poter disporre di un numero sufficiente di personale  adeguatamente qualificato ed esperto, nonche' di strutture ed attrezzature idonee, definendo gli standard minimi di operativita' per garantire livelli adeguati ed omogenei di sicurezza alimentare su tutto il territorio nazionale.
 
 Allo  scopo  di  garantire  la  libera  circolazione delle derrate alimentari  e  per  rendere  affidabili  i  risultati  analitici  del controllo   ufficiale,  compresi  quelli  relativi  alle  analisi  di revisione,  si  rende  necessario  che  i  laboratori preposti a tali attivita',  risultino  accreditati  uniformemente  alla norma europea EN/ISO/IEC 17025 su "Criteri Generali sulla competenza dei laboratori di  prova  e di taratura". Ai fini dell'ottimizzazione delle risorse, particolare  attenzione  dovra'  essere rivolta all'individuazione di laboratori   specializzati   e   accreditati  da  utilizzare  per  lo svolgimento    di    controlli    analitici   ufficiali   di   natura particolarmente complessa e costosi.
 Igiene dei prodotti di origine animale.
 
 Anche  per  quanto  riguarda  il settore degli alimenti di origine animale, l'entrata in applicazione del "pacchetto"igiene" comportera' nuovi  obblighi per gli operatori dei settori specifici e un notevole impegno per le Autorita' sanitarie, sia nazionali che delle Regioni e Province  autonome  e  delle  ASL,  in  ordine  alla  verifica  della corrispondenza dei requisiti strutturali degli impianti e delle nuove procedure basate sull'HACCP.
 
 Le  azioni,  che  dovranno  essere  svolte nel triennio 2006-2008, saranno indirizzate:
 
 - alla predisposizione di linee guida relative all'attuazione del Regolamento  n.  853/2004/CE  sull'igiene  dei prodotti alimentari di origine animale rivolte agli operatori del settore alimentare ed agli Organi  di  controllo  del  S.S.N.  (un  utile strumento operativo in considerazione  anche  della  possibilita',  concessa dal Regolamento stesso,  di  mantenere o adottare, nel rispetto dei principi generali di  sicurezza  alimentare, disposizioni particolari per adattare alle singole  realta'  nazionali  gli  obblighi imposti dalla legislazione comunitaria  attraverso la concessioni di deroghe per alcuni prodotti tradizionali);
 - ad  incoraggiare  e  valutare  la  predisposizione di "Guide di buona  pratica"  sviluppate  dalle  Associazioni  dei  produttori  di settore in consultazione con le Autorita' Competenti.
 Sicurezza degli alimenti di origine vegetale.
 
 Gli  alimenti  di  origine  vegetale  devono  essere sicuri sia da contaminazioni  chimiche  (pesticidi,  metalli  pesanti, micotossine, etc.),  che  per  gli  aspetti  microbiologici.  L'ottenimento  di un prodotto  sicuro  e'  determinato  dall'attenzione e dalla cura poste nell'intero   processo   relativo   all'alimento,   partendo  da  una produzione  secondo  "Buone  Pratiche  Agricole",  una conservazione, trasformazione  e  distribuzione  in  condizioni  igienico  sanitarie ottimali.
 
 Spetta  all'Operatore  alimentare,  secondo  il  Regolamento  (CE) 852/2004  del  Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, la   responsabilita'   di  applicare  tutte  le  adeguate  misure  di autocontrollo, previste ora anche nella produzione primaria in campo; e'   questa   la   novita'  principale  alla  quale  dovranno  essere sensibilizzati   tutti   i   soggetti   coinvolti.   Rimane   compito dell'Autorita'  sanitaria verificare le misure di autocontrollo messe in atto, nonche' esercitare direttamente il controllo ufficiale sugli alimenti, sia di produzione comunitaria, che importati.
 
 In  considerazione  dell'esistenza di un mercato unico dell'Unione europea, oggi estesa a 25 Paesi e dei crescenti scambi internazionali si   vuole   rafforzare   il   controllo  ufficiale  all'importazione attraverso gli Uffici di sanita' marittima ed aerea e di frontiera di questo Ministero (USMAF).
 
 Parallelamente  a  quanto programmato per il territorio nazionale, devono,  infatti, essere stabiliti Piani di controllo pluriennali per realizzare  le  attivita'  di controllo ufficiale all'importazione da Paesi Terzi, in conformita' agli orientamenti generali comunitari che prevedono  l'identificazione delle priorita' di intervento in base ad un'analisi  dei  rischi.  Per  la  realizzazione  dei piani stessi e' necessario   operare   attraverso   un'attenta  programmazione  degli interventi,  una  piu'  stretta  collaborazione  tra  gli  organi  di controllo   e   rendere  disponibili  procedure  uniformi,  personale adeguatamente formato e laboratori accreditati.
 
 5.10. La sanita' veterinaria.
 Sorveglianza epidemiologica sulle popolazioni animali e profilassi delle malattie infettive.
 
 Per  potenziare  e  razionalizzare  gli strumenti di prevenzione e lotta   alle   emergenza   zoo-sanitarie,  alle  malattie  animali  e all'influenza  aviaria,  con il decreto-legge 1° ottobre 2005, n. 202 recante  misure  urgenti  per  la prevenzione dell'influenza aviaria, convertito  in  legge, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 30  novembre  2005, n. 244, l'Italia ha istituito il Centro nazionale di  lotta  ed  emergenza  contro  le  malattie  animali  e  un  nuovo Dipartimento  per la Sanita' Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza   degli  Alimenti,  inoltre  ai  fini  della  lotta  contro l'influenza  aviaria  si  e'  provveduto al potenziamento di tutte le iniziative,   gia'   peraltro   avviate,  di  allerta  attraverso  la rete-sentinella per prevenire i rischi per la salute umana in caso di sviluppo di una pandemia influe nzale.
 
 La  attivita'  di sorveglianza, svolta anche nell'ambito dei piani di   eradicazione,   che  ha  riguardato  patologie  importanti  come salmonellosi,  West Nile Desease, BSE, Blue tongue, influenza aviaria e  scrapie,  ha permesso di valutare l'andamento epidemiologico delle singole  malattie  e,  quindi,  di  analizzare  e valutare il rischio sanitario  sull'intero  territorio  nazionale  soddisfacendo  anche i crediti  informativi  nei  confronti  degli  organismi internazionali (OIE, EU, EFSA).
 
 Azioni fondamentali per il prossimo triennio saranno:
 
 - lo  sviluppo  di  siti  WEB  di informazione e notifica e di un sistema  informativo  per  le malattie degli animali, che consenta la redazione di report nazionali periodici sulla situazione in Italia;
 - la razionalizzazione delle attivita' di monitoraggio, controllo ed  eradicazione sia per gli animali da affezione che per gli animali da reddito.
 Tutela del benessere animale.
 
 La  tutela  del  benessere  degli  animali  da reddito costituisce un'esigenza  di carattere etico sociale, in quanto a livello mondiale si  e'  consolidato  negli ultimi quaranta anni il concetto che anche gli   animali   utilizzati   dall'uomo,   per   le  proprie  esigenze nutrizionali,  sono  esseri  senzienti  e  non "cose" e pertanto sono individui portatori di diritti.
 
 Uno  degli  obiettivi prioritari da realizzare sara' quello mirato alla   "formazione"   degli   operatori  (allevatori,  trasportatori, macellatori),  affinche' tutti gli addetti del settore vengano edotti sulla  nuova  normativa  e  sull'applicazione  di  buone  tecniche di allevamento,   trasporto  e  macellazione  che,  istaurando  un  buon rapporto  uomo-animale  non  sono  in contrasto con le esigenze della produzione, ma coincidenti con queste.
 5.11. La tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
 
 A  fronte  degli  importanti cambiamenti registrati nel sistema di sicurezza,  e  a poco piu' di 10 anni di distanza dall'emanazione del decreto  legislativo  19 settembre 1994 n. 626 e successive modifiche ed  integrazioni,  l'implementazione della normativa prevenzionistica nel  tessuto  produttivo  non  appare, tuttavia, ancora adeguatamente compiuta:  risulta  ancora  circoscritto  ad  un  numero  limitato di aziende   l'integrazione   tra   "processo"  produttivo  e  "processo prevenzionistico  aziendale";  la  gestione  della  prevenzione tende ancora ad essere concepita diffusamente come collaterale o aggiuntiva alla gestione aziendale.
 
 La   frammentazione   produttiva   sempre   piu'   frequente   (le microimprese,  ossia imprese fino a 9 addetti, rappresentano piu' del 90%  del tessuto produttivo nazionale), il progressivo instaurarsi di forme  di  lavoro  flessibile,  che ovviamente comportano una maggior difficolta' di processi di formazione ad aggiornamento professionale, la  sempre  maggiore  numerosita'  di lavoratori stranieri nonche' la persistenza  di  elevata  quantita'  di  fasce  di lavoro sommerso ed irregolare  sono  fattori che attualmente contribuiscono ad aumentare la difficolta' delle iniziative di prevenzione e tutela.
 
 Il   quadro   infortunistico   pur   registrando   un  progressivo miglioramento  negli  ultimi  anni resta tuttavia grave per l'elevato numero  di  infortuni  mortali, parte rilevante dei quali sono legati alla  strada  ed  ai  mezzi  di  trasporto  o  avvengono nel percorso casa-lavoro  e  viceversa  (infortuni  in itinere).Tuttora permangono come  settori  lavorativi  a maggior rischio quello delle Costruzioni seguito  dai  Trasporti  e  da  varie  attivita'  dell'industria  dei metalli.    Va    inoltre    rimarcata   la   particolare   incidenza infortunistica,  specie per la quota con conseguenze gravi e mortali, nelle micro e piccole imprese.
 
 Riguardo  alle  malattie  professionali,  il  numero di denunce di malattie legate al lavoro negli ultimi anni ha subito una progressiva contrazione  ma,  in  controtendenza,  sono  in  aumento le neoplasie professionali,   nonostante   l'ovvia   difficolta'  di  attribuzione causale.  La  letteratura  scientifica  segnala, inoltre, la crescita delle   patologie   cronico-degenerative   ad  eziopatogenesi  spesso multifattoriale,  le  patologie  derivanti  dai  rischi psico-sociali connessi  all'organizzazione  del  lavoro (stress, burn out, mobbing, etc.),  quelle,  infine,  relativi  alle differenze di genere. I dati nazionali  sono  sottostimati  e  non  riflettono  la  situazione  di effettiva  incidenza  nel  nostro Paese delle malattie professionali, senza  dimenticare  che  infortuni  e  malattie  conclamate  non sono l'unico  aspetto,  per  quanto rilevante, delle possibili conseguenze del lavoro sul benessere psico-fisico e morale delle persone.
 
 L'attivita' di prevenzione deve basarsi su due principali cardini: il  sistema  informativo  finalizzato  all'individuazione dei bisogni anche  sulla  base  di evidenze epidemiologiche e la programmazione e pianificazione degli interventi.
 
 Deve   inoltre  essere  il  piu'  possibile  attuata  la  verifica dell'efficacia  degli  interventi attraverso l'utilizzo di indicatori non  soltanto di attivita', ma anche di processo e, ove possibile, di risultato. Fondamentale e' infine la sinergia e la collaborazione tra i numerosi soggetti istituzionali che concorrono alla prevenzione dei rischi   e   dei   danni   da  lavoro,  evitando  la  duplicazione  e sovrapposizione  di  competenze  e, al contrario, attivando azioni il piu'  possibile congiunte ed integrate non solo tra le istituzioni ma anche in accordo le parti sociali.
 
 Obiettivi da raggiungere:
 
 - migliorare  l'efficacia  degli  strumenti  di  integrazione tra pubbliche  amministrazioni  a  partire dagli strumenti previsti dalle attuali  normative (Commissione Consultiva Nazionale istituita presso il  Ministero  del  Lavoro  ex  art.  26  d.lgs. 626/94 e Comitati di Coordinamento previsti presso le Regioni ex art. 27 d.lgs. 626/94);
 - riordinare,  coordinare  e  semplificare  le  norme  vigenti in materia  di  igiene  e  sicurezza del lavoro e definire un sistema di criteri  per la verifica del raggiungimento dei Livelli Essenziali di Assistenza nel settore della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro;
 - consolidare  il processo in corso, nell'ambito delle intese tra i  principali  soggetti  istituzionali, di costruzione di un adeguato Sistema informativo integrato;
 
 Per  quanto  si  riferisce  agli  infortuni,  si  rimanda al Piano Nazionale della Prevenzione 2005-2007 ed alle successive linee guida.
 
 Relativamente  alle malattie professionali, in coerenza con quanto indicato  dalla  raccomandazione  della  Commissione  2003/670/CE, le strategie  da  adottare  per  facilitare  l'emersione delle "malattie professionali perdute" e migliorare le conoscenze ai fini di una piu' efficace   prevenzione   devono   essere  basate  sull'impegno  e  la qualificazione  dei  sanitari coinvolti. Anche in questo campo appare necessario  un  intervento  di  semplificazione  delle  norme e delle procedure.
 
 
 |  |  |  | Relativamente  alle  azioni  di prevenzione, in linea anche con le indicazioni  europee, ed all'interno di un'azione di sistema che deve coinvolgere tutti i soggetti e le strutture a vario titolo competenti ed interessate occorre: 
 - privilegiare  l'attuazione  di piani di prevenzione nazionali e regionali  relativi  ai rischi piu' gravi per la salute individuati e sviluppare  azioni coordinate interistituzionali per la riduzione del lavoro  irregolare,  fattore di amplificazione importante del rischio infortunistico;
 - elaborare   linee-guida   di  settore  secondo  criteri  basati sull'evidenza  scientifica  e  definire  un sistema di raccolta delle buone prassi nel settore;
 - sviluppare  azioni  per  la  promozione  della  responsabilita' sociale  delle  imprese  e per favorire l'integrazione della salute e sicurezza del lavoro nei processi di gestione aziendale;
 - sviluppare  azioni  coordinate  per  la formazione delle figure della prevenzione, dei datori di lavoro e dei lavoratori;
 - sviluppare  un  sistema  di  comunicazione efficace riguardo ai problemi  individuati  ed  alle  soluzioni adottate nell'ambito della tutela  e promozione della salute nei luoghi di lavoro cosi' come per la  promozione  di  stili  di  vita sani negli ambienti di lavoro nei riguardi  di  fumo,  alcol  e  droghe quali possibili cofattori nella genesi degli infortuni;
 - migliorare  le  condizioni  di organizzazione e prestazione del lavoro  anche  tramite  il potenziamento delle consapevolezze e delle capacita/possibilita'  dei  lavoratori  di  operare  attivamente  per evitare  rischi per la sicurezza (con sviluppo e consolidamento delle iniziative  di tipo informativo e formativo tese alla sempre maggiore diffusione della "cultura della sicurezza").
 5.12. Ambiente e salute.
 
 In  linea con gli obiettivi dell'OMS e dello sviluppo sostenibile, la  strategia  europea  per  l'ambiente  e  la  salute rappresenta un ulteriore  scenario  per  le  politiche  in detto ambito. Avviata con l'iniziativa  SCALE  (Science, Children, Awareness, Legal instrument, Evaluation), tale strategia incentra l'attenzione sulla necessita' di proteggere  i  gruppi  piu'  vulnerabili  della societa' (i bambini), approfondendo i collegamenti fra problemi ambientali e la salute, per ridurre gli effetti avversi collegati a fattori ambientali.
 
 Il  Piano  di  azione  europeo ambiente e la salute per il periodo 2004-2010,  che  ha  costituito  un  importante  contributo  alla  IV Conferenza  intergovernativa  Ambiente e Salute "Il futuro dei nostri bambini  (Budapest  giugno  2004)",  organizzata  dall'  OMS  Regione Europa,  si  pone,  attraverso  13  azioni  specifiche, tre obiettivi principali:
 
 - migliorare   la  catena  dell'informazione  per  comprendere  i collegamenti  tra le fonti di inquinamento e gli effetti sulla salute (es. sviluppare indicatori e monitoraggio integrati dell'ambiente);
 - integrare  le  attuali  conoscenze  rafforzando  la  ricerca ed esaminando  le tematiche emergenti relative ad ambiente e salute (es. concentrare la ricerca su malattie ed esposizione);
 - riesaminare  le  politiche  e  migliorare la comunicazione (es. sviluppare  reti  dedicate  ai determinanti ambientali, migliorare la qualita' degli ambienti confinati, ecc).
 
 In  linea con gli indirizzi europei ed internazionali, la politica sanitaria  italiana  dovra'  fissare alcuni obiettivi di grande scala sui temi ambiente e salute che devono trovare continuita' nel sistema delle  Regioni  e  degli  enti  locali  alla  luce  del  principio di sussidiarieta'.  A  tal fine occorre sviluppare un approccio politico meno  settoriale,  che  coordini  le  diverse  politiche ambientali e sanitarie   con   un   orientamento  di  tipo  integrato,  prevedendo l'inserimento  delle  diverse  priorita' di "ambiente e salute" nelle politiche e norme settoriali su aria, acqua, rifiuti e suolo e in una nuova  politica  integrata  dei  prodotti  al  fine  di  eliminare le emissioni  o  l'uso  delle  sostanze  pericolose  nei  prodotti e nei processi  di  produzione.  La  salute delle fasce di popolazione piu' vulnerabili   (minori,   anziani)   deve   costituire   un  obiettivo privilegiato  su  cui fondare le azioni in tale ambito. Oggi e' ormai consolidato  il  concetto della necessita' della prevenzione primaria in  campo  ambientale,  che, nel corso degli ultimi anni, ha prodotto numerosi  risultati  positivi,  sia nel campo ambientale propriamente detto,  sia  nel  campo della salute umana. Gli interventi preventivi possono   essere   diretti   verso   l'esposizione  (ossia  verso  la collettivita),  riducendo  o  eliminando  gli inquinanti interessati, oppure   verso   gli  effetti  sulla  salute  con  la  prevenzione  o l'individuazione tempestiva degli effetti patologici; gli interventi, infine,  possono  essere  rivolti ai singoli individui, aumentando la consapevolezza  del  rischio e incoraggiando comportamenti e stili di vita che contribuiscano a diminuire il livello di esposizione.
 Inquinamento atmosferico e qualita' dell'aria.
 
 Sulla   base   degli   studi  epidemiologici  condotti  in  ambito internazionale  ed  italiano, si puo' affermare con assoluta certezza che  all'inquinamento  atmosferico  e'  attribuibile  oggi  una quota rilevante  di  morbosita'  acuta  e  cronica,  la  diminuzione  della speranza  di  vita  dei  cittadini  che vivono in aree con livelli di inquinamento elevato, e che non sembra esserci una soglia al di sotto della quale non si osservano danni.
 
 I  gruppi di popolazione piu' colpiti dall'inquinamento ambientale sono  soprattutto  gli  anziani  e le persone in condizione di salute piu' compromessa come i malati di patologie cardiache e respiratorie. Per queste persone, l'esposizione ad inquinamento ambientale peggiora la  prognosi  e  aumenta  la  probabilita'  di  morte. I bambini sono particolarmente  vulnerabili agli effetti dell'inquinamento e tendono ad  ammalarsi  per  cause  respiratorie,  in particolare bronchite ed asma.
 
 In  generale gli effetti sulla salute degli inquinanti atmosferici sono  innanzitutto  acuti  (di breve termine: aggravamento di sintomi respiratori  e  cardiaci  in  soggetti malati, infezioni respiratorie acute,  crisi  di asma bronchiale, disturbi circolatori ed ischemici, morte).
 
 Sulla   base   delle   stime  di  impatto,  l'inquinamento  urbano rappresenta  oggi  il  problema  principale  sia  dal  punto di vista ambientale   che   sanitario,   considerato  che  circa  1'80%  della popolazione  vive nelle aree urbane ed in esse si concentrano la gran parte delle attivita' antropiche potenzialmente inquinanti.
 
 La  gravita'  degli  effetti sulla salute umana, sia a breve che a lungo  periodo,  di  questi  inquinanti e' direttamente proporzionale alla  concentrazione  degli  inquinanti,  al  tempo  e/o modalita' di esposizione  e  la  associazione  con  altri  fattori di rischio puo' rafforzare considerevolmente l'entita' dei singoli rischi.
 
 Si  rende,  pertanto, necessario sviluppare opportuni programmi di sorveglianza epidemiologica degli effetti del PM10, del PM2. 5, delle polveri  ultrafini,  e  delle componenti del particolato nelle citta' italiane.
 Gli obiettivi da raggiungere:
 
 - garantire  il miglioramento della qualita' dell'aria nei centri urbani,  come  fattore  determinante  per  la  prevenzione  attiva di patologie  cardio-respiratorie, allergiche, asma, tumori, mettendo in atto   tutte   le  misure  disponibili  nel  settore  dei  trasporti, dell'industria  e  dell'energia,  per far rispettare gli obiettivi di qualita'  fissati  nelle  direttive  comunitarie recepite dalle norme nazionali  vigenti,; le misure devono riguardare tra le altre cose, i trasporti sostenibili;
 - garantire   il   miglioramento   della  qualita'  dell'aria  in prossimita'  di  scuole  e  di luoghi pubblici frequentati da bambini limitando  la circolazione di mezzi pesanti e alimentati a diesel, la realizzazione  di  distributori  di carburanti, grandi garage e altre fonti di inquinamento ambientali;
 - garantire  la  riduzione  dei  costi sociosanitari ed economici legati all'inquinamento dell' aria;
 - garantire   per   tutti   i   cittadini  un  facile  accesso  a informazioni    chiare    e    comprensibili    riguardo    l'impatto dell'inquinamento  atmosferico  sulla  salute  per  poter  fare delle scelte sui propri comportamenti;
 - promuovere  un  coordinamento  adeguato  tra  i  gestori  delle informazioni sulle concentrazioni degli inquinanti ambientali, chi si occupa  di salute pubblica, chi si occupa di ricerca epidemiologica e tossicologica,  chi  deve  prendere  decisioni  a livello nazionale e locale.
 Eventi climatici estremi.
 
 Gli  effetti degli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, di picchi di freddo, siccita', inondazioni e tempeste) possono essere particolarmente devastanti quando colpiscono gruppi di popolazioni di per se' gia' vulnerabili come bambini, anziani, disabili e indigenti, che,  a  causa  delle  loro  ristrettezze  sociali  ed economiche, si trovano  ad avere particolari esigenze sanitarie. Per contrastare gli effetti  sanitari  degli eventi climatici estremi, occorre sviluppare opportuni   sistemi  di  sorveglianza  epidemiologica,  in  grado  di evidenziare  tempestivamente l'andamento della mortalita' giornaliera e della morbosita', promuovere la creazione di una rete organizzativa e   di   un  protocollo  operativo  per  fronteggiare  l'emergenza  e soprattutto  di  un  sistema  di  allarme-allerta  collegato  con  la protezione civile. Occorre, inoltre:
 
 - realizzare  modelli  in  grado di stimare l'impatto complessivo (effetti  diretti  e  indiretti)  dei  cambiamenti  previsti  per  il prossimo   futuro,  tenuto  conto  della  realta'  economico-sociale; sviluppare l'informazione sui rischi sulla salute di eventi climatici estremi o inusuali;
 - valorizzare  gli  interventi  integrati  e sviluppare misure di prevenzione  orientate  a  diffondere  le conoscenze sulla situazione delle persone fragili (anziani) in condizioni di maggiore rischio.
 
 Tutto  cio'  richiede  il  coinvolgimento  di tutti i soggetti che possono   contribuire   alla  creazione  di  una  rete  integrata  di intervento  e possono fungere anche da segnalatori: volontari, medici di  famiglia,  negozianti,  vicini  di  casa, assistenti sociali e lo sviluppo  ed il potenziamento dei servizi distrettuali delle AUSL con il  coordinamento  degli  operatori delle strutture socio-sanitarie e assistenziali  e  dei  MMG.  Occorre  sviluppare  tutte le iniziative necessarie  alla  realizzazione  degli  impegni assunti dall'Italia a livello  europeo  derivanti  dalla  ratifica ed entrata in vigore del Protocollo di Kyoto.
 Sostanze chimiche.
 
 Al  fine di proteggere la salute umana, in modo particolare quella dei  bambini,  e  l'ambiente  dalle  emissioni  di  sostanze chimiche pericolose in tutte le matrici ambientali occorre:
 
 - disciplinare l'uso di pesticidi, sostanze chimiche industriali, metalli  pesanti  adeguando  gli  strumenti legislativi sulla base di nuove  acquisizioni  scientifiche,  tenendo  conto  della particolare vulnerabilita'  dell'organismo  umano in fase di sviluppo, servendosi per le future revisioni, anche degli strumenti legislativi comunitari (come  la  direttiva  sulle  acque  destinate  al  consumo umano e la direttiva  quadro  sulle  acque). Occorre identificare prontamente ed eliminare  o  ridurre  (anche  in via precauzionale), le cause per le quali e' dimostrato e/o si puo' ragionevolmente supporre l'effetto di alterazioni   dell'organismo   umano,  specialmente  se  in  fase  di sviluppo, a partire dal prodotto del concepimento;
 - sviluppare il monitoraggio delle sostanze chimiche responsabili di  impatto  sulla salute dei bambini e degli adulti in eta' fertile, promovendo lo sviluppo tecnologico e scientifico per l'individuazione di nuove sostanze meno pericolose;
 - responsabilizzare   i   fabbricanti,   gli  importatori  e  gli utilizzatori  sullo  sviluppo  delle  conoscenze di tutte le sostanze chimiche  (dovere  di  diligenza)  e  sulla  valutazione  dei  rischi inerenti  al loro impiego, anche in relazione ai prodotti, nonche' al recupero ed allo smaltimento;
 - sviluppare  un  nuovo  sistema  di  valutazione  e gestione del rischio  delle  sostanze chimiche nuove ed esistenti, che tenga conto anche  delle  peculiarita'  del sistema riproduttivo e dell'organismo umano in fase di sviluppo;
 - completa   attuazione   e   recepimento  del  quadro  normativo comunitario,   in   particolare   della   direttiva  91/414  relativa all'immissione  in commercio dei prodotti fitosanitari per migliorare il  meccanismo  generale di autorizzazione, prevedendo in particolare la valutazione comparata;
 - promuovere  progetti  per  la  sensibilizzazione e informazione degli  utilizzatori  dei  pesticidi  e  per  l'adozione  di  tecniche agricole ad impiego basso o nullo di anticrittogamici;
 - implementare  gli  interventi  volti a garantire che i prodotti destinati  all'infanzia  ed  i  giocattoli  non  contengano  prodotti tossici e non rappresentino un pericolo per la salute dei bambini.
 Radiazioni
 
 In  questo campo occorre implementare le politiche per lo sviluppo di   iniziative   volte  ad  ridurre  l'esposizione  alle  radiazioni ionizzanti   (radon)   e   non   ionizzanti  (inclusa  la  radiazione ultravioletta  di  origine  solare  e  artificiale)  e  accrescere la consapevolezza   su   come  prevenire  tali  rischi,  proteggendo  in particolare  la  popolazione,  in  via precauzionale, dagli eventuali effetti a lungo termine generati dall'esposizione cronica alle sempre piu'  numerose  sorgenti  di radiazioni non ionizzanti sul territorio nazionale (campi elettromagnetici generati da elettrodotti e impianti di telecomunicazioni), tenendo comunque conto che, allo stato attuale delle  conoscenze,  non vi sono dati univoci e certi su tali effetti, rivolgendo  un'attenzione particolare alla salute dei bambini e degli adolescenti;
 Acque di balneazione
 
 L'attuale  sistema  di  controllo  delle acque di balneazione, che dispone  che il giudizio di idoneita' alla balneazione venga espresso in  base  alla conformita' ai valori-limite di una serie di parametri microbiologici  e  chimico-fisici  risultanti  dal monitoraggio, puo' fornire  indicazioni  incomplete  per  la  valutazione  dei rischi di esposizione,  a  causa della molteplicita' e variabilita' dei fattori propri dell'ambiente acquatico.
 
 La  Commissione  europea,  alla  luce di quanto sopra ha deciso la revisione   dell'attuale   direttiva   sulle  acque  di  balneazione, presentando  una  proposta  di Direttiva, approvata a giugno 2004 dal Consiglio   Ambiente  dell'UE  ed  ora  in  via  di  approvazione  al Parlamento, basata sui seguenti principi:
 
 - coerenza  con la strategia per lo sviluppo sostenibile, secondo il Sesto Programma di azione in materia di ambiente;
 - garantire  uniformita'  con le altre direttive UE in materia di acque  adottate  dal  1976  in  poi  (Direttiva  quadro  sulle  acque 2000/60/CE,  Direttiva  91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane, Direttiva 91/676/CEE sull'inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole);
 - semplificazione   del  monitoraggio  e  suo  utilizzo  per  una gestione integrata della qualita';
 - garanzia  di  una  migliore  e  piu' tempestiva informazione ai cittadini e potenziamento dei processi di partecipazione.
 Obiettivi da raggiungere:
 
 - promuovere  una  gestione integrata della qualita' delle acque, tale  da  permettere  azioni  volte  a  prevenire  l'esposizione  dei bagnanti  a  rischi  sanitari  inaccettabili,  non solo attraverso il monitoraggio,  ma  soprattutto  attraverso  misure  di  gestione  che includano:  il  riconoscimento,  la  valutazione  e  la  riduzione  o eliminazione   delle   possibili   cause   della  contaminazione,  la previsione dell'inquinamento e quindi del rischio sanitario associato alla balneazione;
 - dare  un'informazione piu' completa e aggiornata in tempo reale alla  popolazione  sulle  condizioni delle spiagge, sulle pratiche di gestione  e  sulla qualita' delle acque di balneazione, potenziando e sviluppando i processi di partecipazione dei cittadini.
 Risorse Idriche.
 
 L'obiettivo  da realizzare e' garantire che il tasso di estrazione delle  risorse  idriche  risulti  sostenibile  su lungo periodo e sia garantita la disponibilita' e la protezione della qualita' dell'acqua per   consumo   umano  assicurando  adeguate  misure  per  migliorare l'accesso,  la  sicurezza  e la potabilita' dell'acqua, coerentemente agli  obiettivi  contenuti  nel  documento  "Millennium  Development" attraverso  l'implementazione  delle  politiche  per  lo  sviluppo di iniziative  volte  a  perseguire  l'obiettivo  dell'UE,  che  mira  a garantire  standard  di  sicurezza  elevati  per  l'acqua  potabile e ridurre  gli  effetti ambientali negativi di alcune pratiche agricole ed  industriali  e  il  totale  e  adeguato  recepimento  del decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 e della Direttiva Quadro 2000/60/CE in materia di acque.
 Inquinamento acustico.
 
 L'obiettivo  da  realizzare e' la prevenzione o la riduzione degli effetti  nocivi  dell'inquinamento  acustico sull'organo dell'udito e sull'intero  organismo,  garantendo l'individuazione ed il controllo, se  non  la  rimozione di questo fattore di rischio negli ambienti di vita  e  di  lavoro  promuovendo  il rispetto dei limiti di emissione imposti  dalla  normativa  vigente ed implementando le iniziative per ridurre  l'esposizione  all'inquinamento  acustico,  in  linea con la normativa comunitaria.
 Rifiuti.
 
 In  linea  con  gli  obiettivi  del  VI programma ambientale (anni 2001-2010)  "Ambiente  2010"  dell'Unione  Europea,  i  provvedimenti normativi  vigenti,  di recepimento di direttive europee (CE 1999/31, 2000/53,  2000/59  e  2000/76)  nell'ambito  dell'area  gestione  dei rifiuti  prevedono l'obiettivo di una sensibile riduzione complessiva della  quantita'  di  rifiuti  prodotti e, per quelli che ancora sono prodotti, di raggiungere una situazione in cui:
 
 - i  rifiuti non siano piu' pericolosi o che perlomeno presentino rischi molto limitati per l'ambiente e per la salute umana;
 - la   maggior  parte  dei  rifiuti  venga  reimmessa  nel  ciclo economico,   soprattutto  attraverso  il  riciclaggio,  o  restituita all'ambiente in forma utile o perlomeno non nociva,
 - le quantita' di rifiuti destinate allo smaltimento finale siano ridotte  al  minimo  assoluto e siano distrutte o smaltite in maniera sicura e trattati in siti piu' vicini al luogo di produzione.
 
 Nelle  varie  fasi  della  gestione dei sistemi di smaltimento dei rifiuti  possono  verificarsi  fenomeni  di  rilascio  ambientale  di sostanze  chimiche  in  aria,  nel  suolo, e nell'acqua, oltre che di contaminazione   microbiologica  e  ad  oggi  e'  difficile  valutare l'impatto sulla salute umana.
 
 Gli studi epidemiologici sinora condotti non permettono di stimare i "rischi" tra le popolazioni residenti in prossimita' di impianti di trattamento/smaltimento  dei rifiuti (discariche o inceneritori) e la valutazione  dell'impatto  sulla salute deve anche includere elementi quali  disagio  psicologico,  sociale  ed estetico di cui si dovrebbe tenere  maggiormente conto negli studi epidemiologici da programmare. Inoltre  non e' possibile ad oggi quantificare puntualmente il "peso" che   il  trattamento/smaltimento  dei  rifiuti  ha  sullo  stato  di contaminazione   dei   comparti  ambientali,  e  conseguentemente  il relativo  impatto  sulla  componente  salute umana, poiche' i rifiuti sono  il piu' delle volte delle miscele di sostanze, di cui spesso la gran parte sconosciuta.
 
 In  questo  settore  occorre  promuovere  il  consolidamento ed il miglioramento  del  sistema  di  raccolta  e  trattamento dei rifiuti solidi  urbani e dei rifiuti speciali pericolosi e non, che minimizzi i rischi per la salute umana ed i danni ambientali e promuovere studi epidemiologici  per  la valutazione del possibile aumento del rischio di   neoplasie   infantili  di  altre  patologie  infantili  e  delle malformazioni  congenite  nelle  aree situate in prossimita' dei siti sospetti.
 Gli ambienti confinati.
 
 Gli  ambienti confinati, le abitazioni in particolare, influiscono in  maniera  significativa  sul  benessere  psicofisico e la qualita' della  vita  della popolazione. Al fine di garantire alla popolazione di  vivere in ambienti confinati salutari dal punto di vista fisico e sociale,  a  casa  a  scuola,  sul  luogo di lavoro e nella comunita' locale occorre sviluppare interventi mirati a:
 
 - ridurre  l'incidenza  delle  malattie  correlate  alla qualita' dell'aria  degli ambienti confinati, in modo particolare le patologie allergiche,  l'asma e le malattie respiratorie (BPCO) ed alcune forme di  tumore,  riservando una particolare attenzione ai bambini ed agli altri gruppi vulnerabili della popolazione;
 - promuovere  il  benessere  e la produttivita' negli ambienti di lavoro  indoor  (es.  uffici), riducendo l'incidenza di effetti sulla salute dei lavoratori compresa la sindrome dell'edificio malato (Sick Building Syndrome);
 - ridurre   l'incidenza   di  lesioni  o  invalidita'  dovute  ad incidenti domestici;
 - tutelare  il  consumatore  ed incentivare alla produzione ed al consumo di materiali/prodotti sani per la salute e l'ambiente;
 - promuovere  la salute, migliorando le conoscenze sui fattori di rischio  indoor  e sulle misure efficaci di prevenzione ed informando la popolazione sui comportamenti e stili di vita corretti;
 - sviluppare  interventi di sostegno nei confronti delle famiglie piu'  povere  e  disagiate, per garantire l'opportunita' di vivere in ambienti salutari dal punto di vista fisico e sociale;
 - implementare  le  iniziative volte a migliorare le opportunita' per  le persone disabili nei riguardi della salute e delle condizioni di  vita a casa, nei luoghi di lavoro ed in quelli pubblici, in linea con le norme in tema di pari opportunita' per le persone disabili.
 
 Per    realizzare    tale    strategia   si   potranno   prevedere raccomandazioni,   linee   guida   o   misure   impositive  (leggi  e regolamenti).   Queste  ultime  possono  essere  necessarie  per  gli ambienti  pubblici  e  di lavoro, mentre per le abitazioni, almeno in prima  istanza  possono  essere emanate delle raccomandazioni o linee guida,   che   possono   essere   messe   in   atto   al  momento  di ristrutturazioni di vecchi edifici o rese obbligatorie all'atto della costruzione  di  nuovi  edifici.  Per  gli  edifici ad uso pubblico o aperti  al  pubblico,  i vigenti regolamenti locali di igiene possono essere  integrati con standard minimi di qualita' dell'aria e livelli di  azione  e  prevedere  standard  di  ventilazione in rapporto alle diverse   tipologie   funzionali.  Per  gli  ambienti  di  lavoro  e' necessario che la normativa si accordi alle disposizioni previste dal d.lgs.  626/94  e  vengano  indicati  standard  minimi  di qualita' e livelli di azione.
 
 Occorre  programmare azioni specifiche per le condizioni igieniche e  strutturali  delle  scuole  e  degli  ospedali  e  per  i mezzi di trasporto  sia mediante la definizione di standard minimi di qualita' dell'aria  interna ed i livelli di azione e standard di ventilazione. Un'altra  importante  misura  e' la definizione di procedure tecniche standard  di saggio delle emissioni, classificazione dei materiali da costruzione per le proprieta' igieniche e ambientali, etichettatura e marchi di qualita' dei prodotti per l'orientamento dei professionisti del settore e dei consumatori, tenendo conto anche di quanto previsto dalla  Direttiva 89/106/CEE, concernente i materiali da costruzione e dalla   normativa  concernente  la  limitazione  dell'immissione  sul mercato e dell'uso di talune sostanze e preparati pericolosi.
 
 In  analogia  ad  altri  paesi  europei,  e' necessario attuare un programma d'interventi a scala nazionale per ridurre l'esposizione al radon  negli  ambienti  confinati,  che preveda, tra l'altro, a scopo preventivo  norme  costruttive  specifiche  anti-radon  per  le nuove costruzioni,  piu'  stringenti  nelle  zone  con maggiore presenza di radon,  nonche'  norme  per la limitazione dell'emissione di radon (e radiazione gamma) dai materiali da costruzione.
 
 E'  necessario  promuovere  azioni  specifiche  mirate ai soggetti atopici  o  ai  malati  di  asma,  allergia  o BPCO, per la riduzione dell'esposizione  agli  allergeni  ed  agli inquinanti presenti negli ambienti  indoor  (specialmente  al  fumo  passivo),  con particolare attenzione  alle abitazioni e alle scuole. Le azioni devono essere di ordine  conoscitivo,  di divulgazione, di educazione o in alcuni casi di tipo normativo.
 
 Occorre  incentivare  le misure di sicurezza domestica strutturale ed  impiantistica  e  dei  requisiti  di  sicurezza dei componenti di arredo.  Infine,  e'  importante  definire i criteri per una adeguata progettazione,  installazione, collaudo e manutenzione degli impianti di   ventilazione/condizionamento  e  la  definizione  dei  requisiti microclimatici  dell'aria,  specialmente  per  gli  ambienti  in  cui soggiornano  persone  vulnerabili,  come  gli  anziani  ed  i malati. Occorre, infine, promuovere un programma nazionale di ricerca a medio termine   su   alcuni   temi   della  qualita'  dell'aria  indoor  in particolare:  valutazione  dell'esposizione della popolazione, metodi di misura e di studio delle sorgenti e degli inquinanti, tecniche per il   miglioramento   della   qualita'  dell'aria  interna  e  per  la conseguente riduzione del rischio per la salute.
 
 Le  diverse  iniziative  devono  essere  modulate  sulla peculiare situazione  italiana  e  mirate  a  risultati nel breve, medio, lungo termine,  attribuendo grande rilievo alle azioni di informazione e di educazione   sanitaria  rivolte  agli  studenti,  alle  famiglie,  al personale  scolastico  e  sanitario,  alle istituzioni, alle societa' scientifiche  e  all'opinione  pubblica;  un particolare impulso deve essere dato, infine, alle iniziative volte a sensibilizzare e formare i     professionisti    che    operano    nel    settore    edilizio, tecnologico-impiantistico  e  nei servizi di prevenzione del SSN. Gli interventi  volti  alla  tutela  e alla promozione della salute negli ambienti confinati sono necessariamente a carattere intersettoriale e coinvolgono  numerose  istituzioni  ed  una  pluralita' di soggetti e devono  fondare  sul  presupposto  che  i  risultati  di  salute e di miglioramento  delle  condizioni  ambientali  dipendono in gran parte dalla  responsabilizzazione  dei  soggetti  coinvolti, in particolare degli occupanti degli edifici, e dalla loro capacita' di collaborare.
 
 Nelle mura domestiche oltre quattromilioni di "potenziali fumatori passivi"  sono  bambini,  fra questi un milione e 552 mila ha meno di sei  anni  e  due  milioni  e 405 mila hanno da 6 a 13 anni. Circa la meta'  dei  bambini  da  0  a 13 anni convive con almeno un fumatore. Questi  dati  evidenziano  la  necessita' e l'urgenza di implementare tutte  le iniziative (legislative e non) mirate a prevenire e ridurre l'abitudine  al fumo, ed in via prioritaria, sviluppare ulteriormente le   campagne   di  informazione,  sensibilizzazione  e  l'educazione sanitaria rivolte alle famiglie ed ai ragazzi nelle scuole.
 
 6. LA VALUTAZIONE DEL S.S.N. E IL MONITORAGGIO DEL PSN
 6.1.  Il  ruolo  del  Nuovo  Sistema  Informativo  Sanitario nella valutazione del S.S.N.
 
 Il   Nuovo   Sistema   Informativo   Sanitario   nazionale  (NSIS) rappresenta  la  grande  base  dati  condivisa  a partire dalla quale sviluppare  le  attivita' di valutazione del S.S.N., contemperando le esigenze   informative  sia  del  livello  aziendale  che  di  quello regionale  e  nazionale.  In  questo senso si muove la progettualita' portata  avanti  dalla  Cabina  di  Regia, istituita dalla Conferenza Stato-Regioni  nel  2001  quale organo di governo dell'attuazione del NSIS,  e  a cui e' indispensabile garantire continuita' di azione per consentire  il progressivo ampliamento della base dati e quindi della capacita' di elaborare misure sui diversi livelli di assistenza.
 Aspetti generali
 
 Il  NSIS  prevede  un modello in cui sia possibile intercettare il percorso  seguito da un paziente a fronte di un suo bisogno sanitario che  attraversa diverse strutture e setting assistenziali. La lettura del   percorso   rende   disponibili  gli  strumenti  per  analizzare l'interazione   fra   medico   e   paziente,  che  e'  universalmente riconosciuta  come  l'origine  di  costi  e  qualita'  in sanita'. La realizzazione  del  NSIS s'inserisce quindi in una cornice strategica unitaria    complessivamente    finalizzata   al   monitoraggio   del bilanciamento costi/qualita' del servizio sanitario.
 
 Tale  nuovo  orientamento  porta  a  dover  progettare  un sistema informativo che possa affrontare due assi di analisi:
 
 - il bisogno sanitario, misurato attraverso il monitoraggio delle prescrizioni  (l'evento  che  scaturisce  dall'incontro  fra medico e paziente),  sia  pure rilevate attraverso le strutture che erogano le prestazioni prescritte.
 
 - la  capacita' di risposta del SSN attraverso la propria rete di strutture assistenziale ospedaliere e territoriali.
 
 Al  primo  asse di analisi corrisponde il principale obiettivo del NSIS,   denominato   "sistema   di  integrazione  delle  informazioni sanitarie   individuali",   che   prevede,   per  ogni  tipologia  di prestazione   sanitaria  (il  ricovero  ospedaliero,  le  prestazioni ambulatoriali,  farmaceutiche,  residenziali, riabilitative, sociali) un   flusso   di   dati   che   permetta  -  pur  nella  salvaguardia dell'anonimato  - di ricondurre di tutte le prestazioni all'individuo beneficiario, identificando il prescrittore, la struttura erogatrice, il tempo di Attesa della prestazione erogata.
 
 Il  secondo  asse  riguarda  invece  il censimento, la rilevazione delle attivita', delle risorse disponibili e dei costi generati dalle strutture  che  costituiscono  la  rete  di  assistenza  ed  e' stato denominato  "monitoraggio  della rete di assistenza". Anche in questo caso  l'evoluzione  rispetto  al  NSIS,  e'  significativa:  si vuole infatti estendere la capacita' di analisi dalle strutture ospedaliere alle strutture territoriali.
 
 L'incontro  fra  queste  due assi permettera' di popolare una base dai  dati  informativa  capace di essere letta, secondo le necessita' per  operare  le  funzioni  di monitoraggio dei Livelli Essenziali di Assistenza  e  dell'appropriatezza  delle  prestazioni  erogate,  dei costi,  delle  liste di attesa, del ciclo di vita e dell'utilizzo dei farmaci  e  la  farmacovigilanza,  della tutela della salute mentale, degli investimenti pubblici in sanita'. La condivisione di indicatori tramite  sistemi  "cruscotti"  accessibili  a  tutte  le  istituzioni interessate  permettera' di realizzare operazioni di Benchmarking fra le diverse realta' regionali.
 
 Implementare  un sistema organico di misure del Servizio sanitario nazionale.
 
 L'attuazione   pratica   della   funzione   di   tutela   rispetto all'effettiva   erogazione   dei  livelli  essenziali  di  assistenza richiede  che i livelli di assistenza stessi possano essere misurati. Occorre  inoltre  verificare  l'effettiva  attuazione  sul territorio nazionale  delle  linee  strategiche identificate dal Piano sanitario nazionale.  Si  ritiene infatti necessario che la realizzazione degli obiettivi  strategici  sia  accompagnata  dal  parallelo  sviluppo di strumenti atti a misurare l'avanzamento di tale realizzazione.
 
 Si  tratta  di  costruire  un  sistema  organico  di misure per il Servizio  sanitario  nazionale.  Tale  sistema si sviluppera' in modo incrementale    anche    in   funzione   della   progressione   nella disponibilita'   dei   dati  necessari,  salvaguardando  comunque  il requisito di organicita' della visione del Servizio Sanitario.
 
 Questo richiede la disponibilita' di:
 
 - dati  specifici  relativi  alla quantita', qualita' e costi dei livelli di assistenza erogati;
 - modalita'    omogenee    di   generazione   dei   dati   stessi (classificazioni e codifiche);
 - metodologie di analisi dei dati;
 - processi sistematici di valutazione dei risultati;
 - continuita' di azione per consentire il progressivo ampliamento della  base  dati  e  quindi  della capacita' di elaborare misure sui diversi livelli di assistenza;
 - progressivo  miglioramento  delle  metodologie di analisi, e di progressiva  integrazione  delle singole misure in un quadro organico di comprensione.
 
 La  definizione di modalita' omogenee di generazione dei dati e di una  parte  rilevante  delle  metodologie di analisi e' obiettivo del "Progetto Mattoni del SSN". Si tratta di una progettualita' parallela e  complementare  a  quella del NSIS finalizzata alla costruzione dei "mattoni"  del  SSN,  omogenei  a  livello  nazionale,  da  collocare all'interno della base dati comune.
 
 E'  necessario,  inoltre,  che  i dati e le metodologie di analisi trovino   una   concreta   attuazione  in  un  processo,  continuo  e sistematico,  di analisi dei risultati che emergono dall'applicazione delle metodologie ai dati reali. L'obiettivo e' duplice. Da una parte occorre  capire  i  fenomeni reali che si celano dietro ai numeri. In altre parole e' necessario poter verificare "sul campo" perche' certi parametri   assumono   valori   "fuori   soglia"   in  certe  realta' territoriali.  Dall'altra,  occorre  innescare un circolo virtuoso di affinamento  delle  metodologie  di  analisi nonche' procedere ad una progressiva  integrazione  delle  singole  misure in un quadro sempre piu'  organico di comprensione della capacita' di garantire i livelli essenziali  di assistenza su tutto il territorio nazionale. In questo senso,  concezione  del  sistema  informativo sanitario, sviluppo dei mattoni, elaborazione dei dati ed analisi concreta dei risultati sono in  realta' fasi di un unico processo circolare, in cui sempre piu' i requisiti  per la raccolta di nuovi dati deriveranno dalle necessita' di  approfondimento  della  conoscenza  evidenziate  dall'analisi dei risultati.
 La   centralita'   del  monitoraggio  dei  livelli  essenziali  di assistenza.
 
 Con l'articolo 9 del decreto legislativo 18 febbraio 2000 n. 56 e' stato   istituito   il   sistema  di  garanzie  per  il  monitoraggio dell'assistenza  sanitaria,  teso alla verifica del raggiungimento in ciascuna  regione  degli  obiettivi di tutela della salute perseguiti dal Servizio sanitario nazionale, che comprende:
 
 - un  insieme  minimo  di  indicatori e parametri di riferimento, relativi  ad  elementi rilevanti per il monitoraggio del rispetto dei livelli essenziali di assistenza, nonche' dei vincoli di bilancio;
 - le  regole  per la rilevazione, la validazione e l'elaborazione delle informazioni per l'applicazione del sistema;
 - le  procedure  per  la pubblicizzazione periodica dei risultati dell'attivita' di monitoraggio.
 
 Il  monitoraggio  dei  LEA,  dovra' tener conto di quanto previsto dall'articolo  87  della legge 23 dicembre 2000, n. 388, con il quale e'  stato  istituito  il  sistema  di monitoraggio delle prescrizioni mediche,  farmaceutiche,  specialistiche  ed  ospedaliere,  integrato dall'articolo 50 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge  24  novembre  2003,  n.  326 che trova attuazione nel Progetto Tessera  Sanitaria,  le  cui risultanze possono utilmente contribuire agli obiettivi di misurazione del bisogno sanitario, e degli standard previsti  dall'articolo 1, comma 169 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
 
 Il  monitoraggio  dei  LEA dovra' superare l'attuale concezione di verifica  dell'entita'  delle  prestazioni  erogate nei confronti dei cittadini e convergere verso:
 
 - una  valutazione  dell'integrazione tra i livelli di assistenza (ospedale - territorio - domicilio);
 - una  verifica della qualita' dell'assistenza erogata: passaggio dai livelli essenziali ai livelli di qualita' essenziale;
 - un   approfondimento   dell'appropriatezza   nella   erogazione dell'assistenza  sanitaria  quale corretto utilizzo delle risorse nel binomio qualita' - costi. un esame delle condizioni di accessibilita' dei cittadini alle prestazioni: erogazione delle prestazioni nei modi e  nei  tempi  considerati  appropriati  alle  esigenze  di  cura dei pazienti.
 
 Obiettivi specifici diventano pertanto:
 
 - implementare  e  consolidare un nuovo sistema di indicatori per il  monitoraggio  dei LEA, che risponda ai requisiti prima indicati e centri  la  sua  logica  sui  4  principali  elementi  (integrazione, qualita',   appropriatezza  e  accessibilita).  Il  sistema  dovrebbe prevedere  automaticamente  un  aggiornamento periodico coerentemente con  le  azioni  di  definizione  delle prestazioni erogabili e delle relative condizioni di erogabilita';
 - costruire  appositi  indicatori  di appropriatezza centrati sui pazienti,  nel  duplice  aspetto  di corretto setting assistenziale e idoneo percorso clinico-terapeutico;
 - rendere  pubblici i dati degli indicatori di monitoraggio. Solo la  diffusione  periodica e tempestiva dei risultati del monitoraggio risponde  al  contempo  ai  criteri  di  garanzia  e  all'efficace  e efficiente gestione delle risorse messe a disposizione;
 - promuovere  la  costruzione  di  idonei sistemi informativi per monitorare le prestazioni erogate nell'ottica "paziente" (continuita' assistenziale, presa in carico, percorsi clinico-terapeutici).
 6.2 Il monitoraggio del PSN.
 
 Il  Piano  sanitario  nazionale rappresenta un modello organico di programmazione  che,  nel contesto dell'attuale assetto normativo del Sistema sanitario nazionale, assume il ruolo di concreto strumento di governo.  Infatti,  nell'attuale contesto caratterizzato da una vasta autonomia  e  responsabilizzazione  dei  vari livelli del sistema, la coesione  operativa  e  funzionale delle varie componenti del sistema stesso  viene  generata  non  piu'  mediante la definizione di rigidi modelli  organizzativi  ma  mediante  la definizione di obiettivi che occorre conseguire e sui quali occorre convogliare l'attenzione degli operatori.
 
 Si  realizza, quindi, una articolazione del S.S.N. che non si basa su  un  modello  rigidamente  predeterminato ma che tende a coagulare l'insieme  delle  strutture  e delle competenze, in possesso ormai di autonomia e idonei strumenti operativi, ad una interazione funzionale nella gestione del servizio stesso.
 
 Il  pluralismo  di  responsabilita', di modelli organizzativi e la valorizzazione  dei  poteri  intermedi  portano ad avere una serie di attori direttamente responsabili della gestione della sanita': Stato, Regioni,     Aziende     sanitarie     e     Aziende     Ospedaliere, Dipartimenti/Distretti   e  ad  ognuno  di  essi  competono,  dunque, autonomia e responsabilita' gestionali.
 
 In  assenza  di modelli organizzativi e autorizzativi centrali, il livello   si   sposta   alla   periferia   del   sistema  che  rimane operativamente  unito  nella  necessita' di raggiungere gli obiettivi che occorre conseguire.
 
 In   tal   senso  il  Piano  Sanitario  stabilisce  a  livello  di macrosistema le attivita' da porre in essere ed i relativi vincoli di finanziamento   quale   assegnazione   "budgetaria"  che  il  livello periferico  e'  tenuto  a  rispettare. In altri termini vengono cosi' identificati    obiettivi,    azioni    e    risorse   che   passando progressivamente  dal  macrolivello  centrale  a  quello  periferico, vengono  adattate  alla  specifica  realta' locale secondo un modello esemplificato dal seguente schema:
 
 ---->   VEDERE SCHEMA A PAG. 102 DELLA G.U.  <----
 
 Il  Piano  sanitario  nazionale  contiene gia' nella sua struttura precise   esigenze   di  riscontro,  che  devono  essere  soddisfatte attraverso  una  serie  di  strumenti  ed iniziative di monitoraggio. Infatti,  la  presenza nel Piano di obiettivi strategici ed operativi specifici    implica   l'esistenza   dei   corrispondenti   strumenti informativi per misurarne il conseguimento, strumenti che in aggiunta a  quelli  gia'  esistenti,  possono  anche essere surrogati da altre fonti, necessariamente di carattere piu' generale, ed in alcuni casi, generico.
 
 Le   attivita'  di  valutazione  e  monitoraggio  delle  politiche pubbliche  assumono  un  ruolo crescente negli interventi pubblici. I risultati  devono essere individuati, anche se con differenziazioni e difficolta',  in  un  linguaggio  comune  che  con  difficolta' viene progressivamente  introdotto  nella  cultura  gestionale pubblica. Il monitoraggio e' un'attivita' di presidio e di controllo dei risultati relativi agli obiettivi del sistema.
 
 Monitorare  le  performance  significa  misurare  le  prestazioni, apprezzare i comportamenti agiti e fornire un feedback, al fine di:
 
 - verificare  il  grado di raggiungimento dei risultati intermedi ed  il  livello  raggiunto  nel consolidamento e nello sviluppo delle competenze organizzative;
 - individuare   eventuali  azioni  correttive  che  si  dovessero rendere   necessarie;   consentire  l'eventuale  ridefinizione  degli obiettivi.
 
 Sul  piano  operativo  il monitoraggio del PSN sara' assicurato in coerenza  con  le iniziative gia' assunte dal Ministero della salute, con  specifiche  scelte programmatiche e legislative, con l'obiettivo di  avvicinare  il  Servizio  sanitario  nazionale  ai  titolari  del servizio,  sia  trovando  nuove forme di cooperazione con la societa' civile,   sia   rendendo   gli   utenti  consapevoli  delle  pratiche terapeutiche  e  favorendo  una  maggiore partecipazione nella scelta delle  opzioni  terapeutiche.  Cio'  significa  non solo comunicare i risultati  delle rilevazioni, ma motivare al cambiamento, in modo che i    referenti    diventino   soggetti   di   collaborazione   attiva nell'attuazione progettuale.
 
 Per  quanto  attiene  agli  strumenti  con  cui sara' garantita la valutazione  del  PSN,  occorre  ricordare  che  il  d. lgs. 502/92 e successive modificazioni, all' articolo 1, dopo aver definito compiti e  funzioni  del  Piano  sanitario  nazionale definisce, al comma 12, quale  strumento  di  valutazione  del processo attuativo del PSN, la Relazione sullo stato sanitario del Paese.
 
 La   Relazione   sullo  stato  sanitario  del  Paese,  predisposta annualmente dal Ministro della salute:
 
 - illustra le condizioni di salute della popolazione presente sul territorio nazionale;
 - descrive le risorse impiegate e le attivita' svolte dal SSN;
 - espone  i  risultati conseguiti rispetto agli obiettivi fissati dal PSN;
 - riferisce sui risultati conseguiti dalle Regioni in riferimento all'attuazione dei piani sanitari regionali;
 - fornisce   indicazioni   per   l'elaborazione  delle  politiche sanitarie e la programmazione degli interventi.
 
 Un  particolare  attenzione va posta sul fatto che il Piano ha uno sviluppo  triennale,  mentre  la  Relazione  deve essere prodotta con cadenza.  annuale e che nella individuazione degli indicatori occorre specificamente  individuare  quelli  in grado di cogliere lo sviluppo attuativo   degli   interventi   e   delle   azioni   finalizzate  al raggiungimento   degli  obiettivi  del  Piano.  Ne  consegue  che  la redazione  della  Relazione  costituisce  una  condizione  dinamica e continua  sotto  il  profilo  sia  della struttura che dei contenuti; sarebbe,   quindi,   utile  considerare  la  Relazione  annuale  come costituita  da  un  sistema  di  reporting piu' articolato, un vero e proprio "Sistema della Relazione" rappresentato dalla produzione di:
 
 - una  Relazione  (congiunturale) prodotta annualmente e in grado di  soddisfare  l'adempimento  normativo,  costituita da documenti di sintesi,  di prevalente taglio politico istituzionale, e documenti di analisi tecnico economica;
 - una   Relazione   triennale,  prodotta  in  concomitanza  della scadenza  del  Piano  Sanitario  in  grado di evidenziare il grado di raggiungimento  degli  obiettivi  del  Piano;  riportando i dati, per quanto possibile, alle varie Regioni per tentare di costruire profili regionali   da   porre   a   confronto  e  tentare  di  far  emergere comportamenti tipici di gruppi di Regioni da commentare ed utilizzare per futuri approfondimenti;
 - documenti  monotematici su tematiche individuate anno per anno, che    rappresenteranno    approfondimenti    monografici    per   la valorizzazione   di  esperienze  territoriali  e  per  focalizzare  i problemi  emergenti,  ad  essi  almeno si dovrebbero aggiungere uno o piu'   documenti   di   Analisi,   prevalentemente   focalizzati   su problematiche   di   rilievo  e  impostati  con  un  taglio  politico sociologico.
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