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| Gazzetta n. 125 del 31 maggio 2006 (vai al sommario) |  |  |  | DECRETO LEGISLATIVO 11 aprile 2006, n. 198 |  | Codice   delle   pari   opportunita'   tra  uomo  e  donna,  a  norma  dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246. |  | 
 |  |  |  | IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 
 Visto l'articolo 87 della Costituzione;
 Visto  l'articolo  6  della legge 28 novembre 2005, n. 246, recante delega  al  Governo per l'emanazione di un decreto legislativo per il riassetto  delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunita' tra  uomo  e  donna, nel quale devono essere riunite e coordinate tra loro  le  disposizioni vigenti per la prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso, apportando, nei limiti di detto   coordinamento,  le  modifiche  necessarie  per  garantire  la coerenza  logica  e  sistematica  della  normativa,  anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;
 Vista  la  preliminare  deliberazione  del  Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dei 24 gennaio 2006;
 Udito  il  parere  del  Consiglio  di Stato, espresso dalla sezione consultiva  per  gli  atti  normativi  nella riunione del 27 febbraio 2006;
 Acquisito  il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
 Considerato che le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non hanno espresso nei termini di legge il prescritto parere;
 Vista  la  deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 aprile 2006;
 Sulla  proposta  del Ministro per le pari opportunita', di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e delle attivita' produttive;
 
 E m a n a
 il seguente decreto legislativo:
 
 Art. 1. Divieto di discriminazione tra  uomo e donna (legge 14 marzo 1985, n.
 132, articolo 1)
 
 1.  Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte  ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o  di  impedire  il  riconoscimento,  il  godimento o l'esercizio dei diritti  umani  e  delle  liberta'  fondamentali  in  campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.
 
 
 
 Avvertenza:
 
 Il  testo  delle  note  qui pubblicato e' stato redatto
 dall'amministrazione   competente  per  materia,  ai  sensi
 dell'art.   10,   commi 2   e  3,  del  testo  unico  delle
 disposizioni     sulla     promulgazione    delle    leggi,
 sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica
 e  sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana,
 approvato  con  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
 28 dicembre  1985,  n.  1092, al solo fine di facilitare la
 lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali
 e'  operato  il  rinvio.  Restano  invariati  il  valore  e
 l'efficacia degli atti legislativi qui strascritti.
 - Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di
 pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  delle  Comunita'
 europee (GUCE).
 
 Note alle premesse:
 
 - L'art. 87 della Costituzione conferisce, tra l'altro,
 al  Presidente  della Repubblica il potere di promulgare le
 leggi  e  di  emanare i decreti avente valore di legge ed i
 regolamenti.
 - L'art.  6 della legge 28 novembre 2005, n. 246, cosi'
 recita:
 «Art.   6  (Riassetto  normativo  in  materia  di  pari
 opportunita). - 1. Il Governo e delegato ad adottare, entro
 un  anno  dalla  data  di  entrata in vigore della presente
 legge,  uno  o  piu'  decreti  legislativi per il riassetto
 delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunita',
 secondo  i  principi, i criteri direttivi e le procedure di
 cui  all'art.  20  della  legge  15 marzo  1997,  n.  59, e
 successive modificazioni, nonche' nel rispetto dei seguenti
 principi e criteri direttivi:
 a) individuazione   di  strumenti  di  prevenzione  e
 rimozione  di ogni forma di discriminazione, in particolare
 per  cause direttamente o indirettamente fondate sul sesso,
 la  razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni
 personali,  gli handicap, l'eta' e l'orientamento sessuale,
 anche al fine di realizzare uno strumento coordinato per il
 raggiungimento   degli   obiettivi   di  pari  opportunita'
 previsti in sede di Unione europea e nel rispetto dell'art.
 117 della Costituzione;
 b) adeguamento   e   semplificazione  del  linguaggio
 normativo  anche attraverso la rimozione di sovrapposizioni
 e duplicazioni.».
 - Si   riporta   il   testo  dell'art.  8  del  decreto
 legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante «Definizione ed
 ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza  per  i
 rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
 Trento  e  Bolzano  ed  unificazione,  per  le materie ed i
 compiti di interesse comune delle regioni, delle province e
 dei  comuni,  con  la  Conferenza Stato-citta' ed autonomie
 locali»,  pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  30 agosto
 1997, n. 202.
 «Art.  8 (Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e
 Conferenza  unificata).  - 1. La Conferenza Stato-citta' ed
 autonomie  locali  e' unificata per le materie ed i compiti
 di  interesse  comune  delle  regioni,  delle province, dei
 comuni   e  delle  comunita'  montane,  con  la  Conferenza
 Stato-regioni.
 2.  La  Conferenza  Stato-citta' ed autonomie locali e'
 presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per
 sua  delega,  dal  Ministro dell'interno o dal Ministro per
 gli  affari  regionali; ne fanno parte altresi' il Ministro
 del tesoro e del bilancio e della programmazione economica,
 il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici,
 il  Ministro della sanita', il presidente dell'Associazione
 nazionale   dei  comuni  d'Italia  -  ANCI,  il  presidente
 dell'Unione  province  d'Italia  -  UPI  ed  il  presidente
 dell'Unione  nazionale  comuni, comunita' ed enti montani -
 UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati
 dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI.
 Dei   quattordici   sindaci   designati   dall'ANCI  cinque
 rappresentano  le  citta'  individuate  dall'art.  17 della
 legge  8 giugno  1990, n. 142. Alle riunioni possono essere
 invitati  altri  membri del Governo, nonche' rappresentanti
 di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici.
 3.  La  Conferenza  Stato-citta' ed autonomie locali e'
 convocata  almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi
 il  presidente ne ravvisi la necessita' o qualora ne faccia
 richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM.
 4.  La  Conferenza  unificata  di  cui  al  comma 1  e'
 convocata  dal  Presidente  del  Consiglio dei Ministri. Le
 sedute  sono  presiedute  dal  Presidente del Consiglio dei
 Ministri  o,  su  sua  delega,  dal Ministro per gli affari
 regionali  o,  se  tale  incarico  non  e'  conferito,  dal
 Ministro dell'interno.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 2. Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunita'
 
 (decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, articolo 5)
 
 1.  Spetta  al  Presidente  del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare   le   azioni   di   Governo   volte  ad  assicurare  pari opportunita',  a  prevenire e rimuovere le discriminazioni, nonche' a consentire  l'indirizzo,  il  coordinamento  e  il monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.
 |  |  |  | Art. 3 Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna
 (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 1)
 
 1.  La  Commissione  per  le  pari  opportunita'  fra uomo e donna, istituita  presso  il Dipartimento per le pari opportunita', fornisce al  Ministro  per le pari opportunita', che la presiede, consulenza e supporto   tecnico-scientifico  nell'elaborazione  e  nell'attuazione delle   politiche   di  pari  opportunita'  fra  uomo  e  donna,  sui provvedimenti  di  competenza  dello  Stato,  ad esclusione di quelli riferiti  alla  materia  della  parita'  fra  i sessi nell'accesso al lavoro e sul lavoro; in particolare la Commissione: a) formula  proposte  al  Ministro per l'elaborazione delle modifiche
 della  normativa statale necessarie a rimuovere qualsiasi forma di
 discriminazione,  sia  diretta  che indiretta, nei confronti delle
 donne ed a conformare l'ordinamento giuridico al principio di pari
 opportunita'  fra  uomo  e  donna,  fornendo elementi informativi,
 documentali,   tecnici   e   statistici,   utili   ai  fini  della
 predisposizione degli atti normativi; b) cura la raccolta, l'analisi e l'elaborazione di dati allo scopo di
 verificare   lo  stato  di  attuazione  delle  politiche  di  pari
 opportunita'  nei  vari  settori  della vita politica, economica e
 sociale e di segnalare le iniziative opportune; c) redige  un  rapporto  annuale  per  il  Ministro  sullo  stato  di
 attuazione delle politiche di pari opportunita'; d) fornisce   consulenza   tecnica   e  scientifica  in  relazione  a
 specifiche   problematiche   su   richiesta  del  Ministro  o  del
 Dipartimento per le pari opportunita'; e) svolge  attivita'  di  studio  e  di  ricerca  in  materia di pari
 opportunita' fra uomo e donna.
 |  |  |  | Art. 4 Durata e composizione della Commissione
 (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 2)
 
 1.  La  Commissione  e' nominata con decreto del Ministro e dura in carica due anni. Essa e' composta da venticinque componenti di cui: a) undici  prescelti  nell'ambito  delle associazioni e dei movimenti
 delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale; b) quattro  prescelti  nell'ambito delle organizzazioni sindacali dei
 lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale; c) quattro prescelti nell'ambito delle organizzazioni imprenditoriali
 e  della  cooperazione  femminile maggiormente rappresentative sul
 piano nazionale; d) tre  prescelti fra le donne che si siano particolarmente distinte,
 per riconoscimenti e titoli, in attivita' scientifiche, letterarie
 e sociali; e) tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente
 per  i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
 Trento e di Bolzano.
 2.   Almeno   due  volte  l'anno,  la  Commissione  si  riunisce  a composizione allargata, con la partecipazione di un rappresentante di pari  opportunita'  per  ogni  regione e provincia autonoma, anche al fine  di acquisire osservazioni, richieste e segnalazioni in merito a questioni  che  rientrano  nell'ambito  delle  competenze del sistema delle regioni e delle autonomie locali.
 |  |  |  | Art. 5 Ufficio di Presidenza della Commissione
 (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 3)
 
 1.  Con il decreto di cui all'articolo 4, comma 1, fra i componenti della   Commissione   vengono   designati  il  Vicepresidente  ed  il Segretario  che,  insieme al Ministro, che lo presiede, costituiscono l'ufficio di presidenza.
 2. Al Vicepresidente spetta la rappresentanza della Commissione, il coordinamento  dei  lavori  e  la  costante informazione del Ministro circa le iniziative in corso di svolgimento.
 |  |  |  | Art. 6 Esperti e consulenti
 (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 4)
 
 1.  La Commissione si avvale, su proposta del Ministro, di esperti, in  numero  massimo  di cinque, su problematiche attinenti la parita' fra   i  sessi,  e  di  propri  consulenti  secondo  quanto  previsto dall'articolo  29 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dall'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
 2.  I  consulenti  di cui al comma 1 sono scelti fra persone, anche estranee   alla   pubblica   amministrazione,   dotate   di   elevata professionalita'  nelle materie giuridiche, nonche' nei settori della lotta  alle  discriminazioni,  delle politiche sociali e dell'analisi delle politiche pubbliche.
 3.  Nel  decreto  di  conferimento  dell'incarico e' determinato il compenso degli esperti e dei consulenti.
 
 
 
 Note all'art. 6:
 - L'art.  29  della legge 23 agosto 1988, n. 400, cosi'
 recita:
 "Art. 29 (Consulenti e comitati di consulenza). - 1. Il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri puo' avvalersi di
 consulenti  e costituire comitati di consulenza, di ricerca
 o di studio su specifiche questioni.
 2. Per tali attivita' si provvede con incarichi a tempo
 determinato    da    conferire    a   magistrati,   docenti
 universitari,  avvocati  dello  Stato,  dirigenti  e  altri
 dipendenti  delle  amministrazioni  dello Stato, degli enti
 pubblici,  anche  economici,  delle  aziende  a  prevalente
 partecipazione   pubblica   o  anche  ad  esperti  estranei
 all'amministrazione dello Stato.".
 - L'art.  9  del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
 303, cosi' recita:
 "Art.   9   (Personale  della  Presidenza).  -  1.  Gli
 incarichi  dirigenziali presso la Presidenza sono conferiti
 secondo le disposizioni di cui agli articoli 14, comma 2, e
 19  del  decreto  legislativo  3 febbraio  1993,  n.  29, e
 successive   modificazioni   ed   integrazioni,   relativi,
 rispettivamente, alle strutture individuate come di diretta
 collaborazione  ed  alle  altre  strutture,  ferma restando
 l'applicabilita',   per   gli  incarichi  di  direzione  di
 dipartimento,  dell'art.  28 della legge 23 agosto 1988, n.
 400, come modificato dal presente decreto, e ferma altresi'
 restando l'applicabilita' degli articoli 18, comma 3, e 31,
 comma 4, della legge stessa.
 2. La Presidenza si avvale per le prestazioni di lavoro
 di livello non dirigenziale: di personale di ruolo, entro i
 limiti  di  cui  all'art.  11,  comma 4;  di  personale  di
 prestito,  proveniente  da altre amministrazioni pubbliche,
 ordini,   organi,  enti  o  istituzioni,  in  posizione  di
 comando,  fuori  ruolo,  o  altre  corrispondenti posizioni
 disciplinate   dai  rispettivi  ordinamenti;  di  personale
 proveniente dal settore privato, utilizzabile con contratti
 a tempo determinato per le esigenze delle strutture e delle
 funzioni  individuate  come  di  diretta collaborazione; di
 consulenti   o   esperti,   anche  estranei  alla  pubblica
 amministrazione,  nominati  per  speciali  esigenze secondo
 criteri e limiti fissati dal Presidente.
 3.  Salvo quanto previsto dall'art. 11, comma 4-bis, in
 materia   di   reclutamento  del  personale  di  ruolo,  il
 Presidente,  con proprio decreto, puo' istituire, in misura
 non superiore al venti per cento dei posti disponibili, una
 riserva  di  posti per l'inquadramento selettivo, a parita'
 di  qualifica,  del  personale  di altre amministrazioni in
 servizio  presso  la Presidenza ed in possesso di requisiti
 professionali adeguati e comprovati nel tempo.
 4.  Il  rapporto di lavoro del personale di ruolo della
 Presidenza  e' disciplinato dalla contrattazione collettiva
 e  dalle  leggi che regolano il rapporto di lavoro privato,
 in   conformita'   delle   norme  del  decreto  legislativo
 3 febbraio  1993,  n.  29,  e  successive  modificazioni  e
 integrazioni, anche per quanto attiene alla definizione del
 comparto  di  contrattazione per la Presidenza. Tale regime
 si   applica,   relativamente   al   trattamento  economico
 accessorio  e  fatta  eccezione  per gli estranei e per gli
 appartenenti  a  categorie  sottratte  alla  contrattazione
 collettiva,  al  personale che presso la Presidenza ricopre
 incarichi  dirigenziali  ed  al  personale  di  prestito in
 servizio presso la Presidenza stessa.
 5.  Il  Presidente,  con proprio decreto, stabilisce il
 contingente  del  personale di prestito, ai sensi dell'art.
 11, comma 4, il contingente dei consulenti ed esperti, e le
 corrispondenti   risorse   finanziarie   da   stanziare  in
 bilancio.   Appositi   contingenti  sono  previsti  per  il
 personale   delle   Forze   di  polizia,  per  le  esigenze
 temporanee  di  cui  all'art.  39,  comma 22,  della  legge
 27 dicembre  1997  n.  449,  nonche'  per  il  personale di
 prestito    utilizzabile   nelle   strutture   di   diretta
 collaborazione.  Il  Presidente  puo'  ripartire  per  aree
 funzionali,    in   relazione   alle   esigenze   ed   alle
 disponibilita'  finanziarie, i contingenti del personale di
 prestito,  dei  consulenti  ed esperti. Al giuramento di un
 nuovo  Governo,  cessano  di  avere  effetto  i  decreti di
 utilizzazione  del  personale  estraneo  e del personale di
 prestito  addetto ai gabinetti e segreterie delle autorita'
 politiche.  Il restante personale di prestito e' restituito
 entro  sei mesi alle amministrazioni di appartenenza, salva
 proroga  del  comando  o  conferma dei fuori ruolo disposte
 sulla  base di specifica e motivata richiesta dei dirigenti
 preposti alle strutture della Presidenza.
 5-bis.  Il  collocamento fuori ruolo, per gli incarichi
 disciplinati  dall'art.  18, comma 3, della legge 23 agosto
 1988,  n. 400, e' obbligatorio e viene disposto, secondo le
 procedure  degli  ordinamenti  di  appartenenza,  anche  in
 deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura
 eventualmente   previsti   dai   medesimi  ordinamenti.  Il
 servizio  prestato  in  posizione di comando, fuori ruolo o
 altra  analoga  posizione,  prevista  dagli  ordinamenti di
 appartenenza,  presso  la  Presidenza dal personale di ogni
 ordine,  grado e qualifica di cui agli articoli 1, comma 2,
 2  e  3  del  decreto  legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
 all'art.  7,  primo  comma, della legge 24 ottobre 1977, n.
 801,  e'  equiparato a tutti gli effetti, anche giuridici e
 di carriera, al servizio prestato presso le amministrazioni
 di  appartenenza.  Le  predette  posizioni in ogni caso non
 possono    determinare   alcun   pregiudizio,   anche   per
 l'avanzamento  e  il  relativo  posizionamento nei ruoli di
 appartenenza.  In  deroga  a quanto previsto dai rispettivi
 ordinamenti,  ivi  compreso  quanto  disposto  dall'art. 7,
 secondo  comma,  della  legge  24 ottobre  1977, n. 801, il
 conferimento  al  personale  di  cui  al  presente comma di
 qualifiche,  gradi  superiori o posizioni comunque diverse,
 da  parte  delle  competenti  amministrazioni, anche quando
 comportino l'attribuzione di specifici incarichi direttivi,
 dirigenziali  o  valutazioni  di  idoneita',  non  richiede
 l'effettivo  esercizio  delle  relative funzioni, ovvero la
 cessazione   dal  comando,  fuori  ruolo  o  altra  analoga
 posizione,  che  proseguono senza soluzione di continuita'.
 Il   predetto   personale   e'   collocato   in   posizione
 soprannumeraria  nella  qualifica,  grado o posizione a lui
 conferiti  nel  periodo  di  servizio  prestato  presso  la
 Presidenza, senza pregiudizio per l'ordine di ruolo.
 5-ter.  Il personale dipendente di ogni ordine, grado e
 qualifica   del  comparto  Ministeri  chiamato  a  prestare
 servizio in posizione di comando o di fuori ruolo presso la
 Presidenza,   ivi  incluse  le  strutture  di  supporto  ai
 Commissari  straordinari  dei  Governo  di  cui all'art. 11
 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonche' le strutture di
 missione   di   cui   all'art.   7,  comma 4,  mantiene  il
 trattamento economico fondamentale delle amministrazioni di
 appartenenza,  compresa l'indennita' di amministrazione, ed
 i  relativi  oneri  rimangono a carico delle stesse. Per il
 personale  appartenente  ad altre amministrazioni pubbliche
 di   cui  all'art.  1,  comma 2,  del  decreto  legislativo
 30 marzo  2001,  n.  165,  chiamato  a prestare servizio in
 analoga  posizione,  la  Presidenza  provvede, d'intesa con
 l'amministrazione  di  appartenenza  del  dipendente,  alla
 ripartizione  dei  relativi oneri, senza pregiudizio per il
 trattamento  economico fondamentale spettante al dipendente
 medesimo.
 5-quater.   Con   il   provvedimento  istitutivo  delle
 strutture  di  supporto o di missione di cui al comma 5-ter
 sono determinate le dotazioni finanziarie, strumentali e di
 personale,  anche dirigenziale, necessarie al funzionamento
 delle  medesime  strutture,  che  in ogni caso, per la loro
 intrinseca  temporaneita', non determinano variazioni nella
 consistenza    organica   del   personale   di   cui   agli
 articoli 9-bis  e  9-ter. Alla copertura dei relativi oneri
 si   provvede  attingendo  agli  stanziamenti  ordinari  di
 bilancio  della  Presidenza  e, previo accordo, delle altre
 amministrazioni  eventualmente  coinvolte  nelle  attivita'
 delle predette strutture.
 6.  Il  Presidente,  con proprio decreto, stabilisce il
 trattamento   economico   del  Segretario  generale  e  dei
 vicesegretari generali, nonche' i compensi da corrispondere
 ai  consulenti,  agli  esperti,  al personale estraneo alla
 pubblica amministrazione.
 7.  Ai  decreti di cui al presente articolo ed a quelli
 di  cui  agli  articoli 7  e  8  non  sono  applicabili  la
 disciplina  di  cui all'art. 17 della legge 23 agosto 1988,
 n.  400,  e quella di cui all'art. 3, commi 1, 2 e 3, della
 legge 14 gennaio 1994, n. 20. Il Presidente puo' richiedere
 il  parere  del  Consiglio di Stato e della Corte dei conti
 sui decreti di cui all'art. 8.".
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 7 Segreteria della Commissione
 (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 5)
 
 1.  Per  l'espletamento  delle  proprie  attivita'  la  Commissione dispone di una propria segreteria nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunita'.
 |  |  |  | Art. 8. Costituzione e componenti
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 1, 2, 3, 4, e 7)
 
 1.  Il  Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parita' di  trattamento  ed  uguaglianza  di  opportunita'  tra  lavoratori e lavoratrici,  istituito  presso  il  Ministero  del  lavoro  e  delle politiche sociali, promuove, nell'ambito della competenza statale, la rimozione  dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo   che  limiti  di  fatto  l'uguaglianza  fra  uomo  e  donna nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera.
 2. Il Comitato e' composto da:
 a)  il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;
 b) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
 c) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori   di   lavoro  dei  diversi  settori  economici,  maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
 d)  un  componente  designato unitariamente dalle associazioni di rappresentanza,  assistenza  e  tutela del movimento cooperativo piu' rappresentative sul piano nazionale;
 e) undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili piu' rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parita' e delle pari opportunita' nel lavoro;
 f)  la  consigliera  o il consigliere nazionale di parita' di cui all'articolo 12, comma 2, del presente decreto.
 3.  Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:
 a)  sei esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro;
 b)   cinque   rappresentanti,   rispettivamente,   dei  Ministeri dell'istruzione,  dell'universita'  e della ricerca, della giustizia, degli affari esteri, delle attivita' produttive, del Dipartimento per la funzione pubblica;
 c)  cinque  dirigenti  dei Ministero del lavoro e delle politiche sociali  in  rappresentanza  delle Direzioni generali del mercato del lavoro,  della  tutela  delle  condizioni di lavoro, per le politiche previdenziali,  per le politiche per l'orientamento e la formazione e per l'innovazione tecnologica.
 4.  I  componenti  del  Comitato  durano  in carica tre anni e sono nominati  dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per ogni componente effettivo e' nominato un supplente.
 5.  Il  vicepresidente  del  Comitato e' designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito dei suoi componenti.
 |  |  |  | Art. 9. Convocazione e funzionamento
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 5 e 6)
 
 1.  Il  Comitato e' convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del  lavoro  e  delle politiche sociali, quando ne facciano richiesta meta' piu' uno dei suoi componenti.
 2.  Il  Comitato  delibera  in  ordine al proprio funzionamento e a quello  del  collegio  istruttorio  e della segreteria tecnica di cui all'articolo 11, nonche' in ordine alle relative spese.
 |  |  |  | Art. 10. Compiti del Comitato
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 6)
 
 1.  Il  Comitato  adotta  ogni  iniziativa utile, nell'ambito delle competenze  statali,  per  il  perseguimento  delle  finalita' di cui all'articolo 8, comma 1, ed in particolare:
 a)   formula   proposte   sulle   questioni   generali   relative all'attuazione   degli   obiettivi   della   parita'   e  delle  pari opportunita',  nonche'  per  lo  sviluppo  e il perfezionamento della legislazione  vigente  che  direttamente  incide  sulle condizioni di lavoro delle donne;
 b) informa e sensibilizza l'opinione pubblica sulla necessita' di promuovere le pari opportunita' per le donne nella formazione e nella vita lavorativa;
 c)   formula,   entro   il   31   maggio   di   ogni   anno,   un programma-obiettivo  nel  quale  vengono  indicate  le  tipologie  di progetti  di  azioni  positive  che  intende  promuovere,  i soggetti ammessi  per  le  singole  tipologie  ed i criteri di valutazione. Il programma  e'  diffuso  dal  Ministero  del  lavoro e delle politiche sociali mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
 d)  esprime, a maggioranza, parere sul finanziamento dei progetti di  azioni  positive  e  opera  il  controllo sui progetti in itinere verificandone la corretta attuazione e l'esito finale;
 e)  elabora  codici  di  comportamento  diretti  a specificare le regole  di  condotta  conformi  alla  parita'  e  ad  individuare  le manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;
 f)  verifica  lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di parita';
 g)   propone   soluzioni   alle  controversie  collettive,  anche indirizzando  gli  interessati  all'adozione  di  progetti  di azioni positive  per  la  rimozione  delle  discriminazioni  pregresse  o di situazioni  di  squilibrio  nella  posizione  di  uomini  e  donne in relazione  allo  stato  delle  assunzioni,  della  formazione e della promozione  professionale,  delle condizioni di lavoro e retributive, stabilendo  eventualmente,  su  proposta  del  collegio  istruttorio, l'entita'  del  cofinanziamento  di una quota dei costi connessi alla loro attuazione;
 h)  puo'  richiedere  alla  Direzione  provinciale  del lavoro di acquisire  presso  i  luoghi  di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale  maschile  e  femminile,  in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale;
 i)  promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici  nazionali  e  locali  competenti  in  materia  di  lavoro e formazione professionale.
 |  |  |  | Art. 11. Collegio istruttorio e segreteria tecnica
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 7)
 
 1.  Per l'istruzione degli atti relativi alla individuazione e alla rimozione  delle  discriminazioni  e  per  la redazione dei pareri al Comitato di cui all'articolo 8 e alle consigliere e ai consiglieri di parita', e' istituito un collegio istruttorio cosi' composto:
 a)  il  vicepresidente del Comitato di cui all'articolo 8, che lo presiede;
 b)  un  magistrato  designato  dal  Ministero della giustizia fra quelli addetti alle sezioni lavoro, di legittimita' o di merito;
 c)  un  dirigente  del  Ministero  del  lavoro  e delle politiche sociali;
 d) gli esperti di cui all'articolo 8, comma 3, let-tera a);
 e) la consigliera o il consigliere di parita' di cui all'articolo 12.
 2. Ove si renda necessario per le esigenze di ufficio, i componenti di cui alle lettere b) e c) del comma 1, su richiesta del Comitato di cui all'articolo 8, possono essere elevati a due.
 3.  Al  fine  di  provvedere  alla  gestione  amministrativa  ed al supporto tecnico del Comitato e del collegio istruttorio e' istituita la  segreteria  tecnica.  Essa  ha  compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed e' composta da personale proveniente dalle  varie  direzioni  generali  del  Ministero  del lavoro e delle politiche  sociali,  coordinato da un dirigente generale del medesimo Ministero.  La  composizione  della segreteria tecnica e' determinata con  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  delle politiche sociali, sentito il Comitato.
 4.  Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie  modalita'  di  organizzazione  e  di  funzionamento;  per lo svolgimento  dei  loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro.  Il  Comitato  puo'  deliberare  la  stipula  di convenzioni, nonche' avvalersi di collaborazioni esterne:
 a) per l'effettuazione di studi e ricerche;
 b)  per  attivita' funzionali all'esercizio dei propri compiti in materia  di  progetti  di  azioni positive previsti dall'articolo 10, comma 1, lettera d).
 |  |  |  | Art. 12. Nomina
 
 (decreto legislativo 23  maggio  2000,  n.  196, articolo 1, comma 1;
 articolo 2, commi 1, 3, 4)
 
 1.  A  livello nazionale, regionale e provinciale sono nominati una consigliera  o  un  consigliere  di  parita'.  Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresi' alla nomina di un supplente.
 2.  La consigliera o il consigliere nazionale di parita', effettivo e  supplente,  sono  nominati  con  decreto del Ministro del lavoro e delle  politiche  sociali,  di  concerto  con il Ministro per le pari opportunita'.
 3.   Le  consigliere  ed  i  consiglieri  di  parita'  regionali  e provinciali,  effettivi  e  supplenti, sono nominati, con decreto del Ministro  del  lavoro  e  delle politiche sociali, di concerto con il Ministro  per  le  pari opportunita', su designazione delle regioni e delle  province,  sentite  le commissioni rispettivamente regionali e provinciali  tripartite  di  cui  agli  articoli  4  e  6 del decreto legislativo  23 dicembre 1997, n. 469, ognuno per i reciproci livelli di competenza, sulla base dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1, e con le procedure previste dal presente articolo.
 4.  In  caso  di  mancata  designazione  dei consiglieri di parita' regionali  e  provinciali  entro  i  sessanta  giorni successivi alla scadenza  del  mandato,  o  di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall'articolo 13, comma 1, il Ministro del lavoro e  delle  politiche  sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita',  provvede  direttamente  alla  nomina nei trenta giorni successivi,  nel rispetto dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1.  A parita' di requisiti professionali si procede alla designazione e nomina di una consigliera di parita'.
 5.  I  decreti  di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum  professionale  della  persona  nominata,  sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
 
 
 
 Note all'art. 12:
 - L'art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.
 469, cosi' recita:
 «Art.  4  (Criteri  per  l'organizzazione  del  sistema
 regionale    per    l'impiego).   -   1.   L'organizzazione
 amministrativa e le modalita' di esercizio delle funzioni e
 dei  compiti  conferiti  ai sensi del presente decreto sono
 disciplinati,  anche  al  fine di assicurare l'integrazione
 tra i servizi per l'impiego, le politiche attive del lavoro
 e  le  politiche formative, con legge regionale da emanarsi
 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
 decreto, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
 a) ai  sensi  dell'art.  4,  comma 3,  lettere f), g)
 e h),  della  legge 15 marzo 1997, n. 59, attribuzione alle
 province  delle  funzioni  e dei compiti di cui all'art. 2,
 comma 1,  ai  fini della realizzazione dell'integrazione di
 cui al comma 1;
 b) costituzione    di   una   commissione   regionale
 permanente    tripartita   quale   sede   concertativa   di
 progettazione,  proposta,  valutazione  e  verfica rispetto
 alle  linee  programmatiche  e alle politiche del lavoro di
 competenza   regionale;  la  composizione  di  tale  organo
 collegiale  deve  prevedere  la presenza del rappresentante
 regionale  competente  per  materia di cui alla lettera c),
 delle  parti  sociali  sulla  base della rappresentativita'
 determinata  secondo  i  criteri previsti dall'ordinamento,
 rispettando  la  pariteticita'  delle posizioni delle parti
 sociali  stesse,  nonche' quella del consigliere di parita'
 nominato ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125;
 c) costituzione   di   un   organismo   istituzionale
 finalizzato    a   rendere   effettiva,   sul   territorio,
 l'integrazione  tra  i  servizi  all'impiego,  le politiche
 attive  del  lavoro  e  le politiche formative, composto da
 rappresentanti  istituzionali della regione, delle province
 e degli altri enti locali;
 d) affidamento delle funzioni di assistenza tecnica e
 monitoraggio  nelle  materie di cui all'art. 2, comma 2, ad
 apposita   struttura   regionale   dotata  di  personalita'
 giuridica, con autonomia patrimoniale e contabile avente il
 compito  di collaborare al raggiungimento dell'integrazione
 di  cui  al  comma 1 nel rispetto delle attribuzioni di cui
 alle   lettere a)   e b).   Tale  struttura  garantisce  il
 collegamento  con  il sistema informativo del lavoro di cui
 all'art. 11;
 e) gestione ed erogazione da parte delle province dei
 servizi  connessi  alle funzioni e ai compiti attribuiti ai
 sensi del comma 1, lettera a), tramite strutture denominate
 "centri per l'impiego";
 f)   distribuzione   territoriale   dei   centri  per
 l'impiego  sulla  base di bacini provinciali con utenza non
 inferiore a 100.000 abitanti, fatte salve motivate esigenze
 socio geografiche;
 g) possibilita'  di  attribuzione alle province della
 gestione  ed erogazione dei servizi, anche tramite i centri
 per  l'impiego,  connessi alle funzioni e compiti conferiti
 alla regione ai sensi dell'art. 2, comma 2;
 h) possibilita'  di  attribuzione  all'ente di cui al
 comma 1,   lettera d),   funzioni  ed  attivita'  ulteriori
 rispetto  a quelle conferite ai sensi del presente decreto,
 anche prevedendo che l'erogazione di tali ulteriori servizi
 sia  a  titolo  oneroso  per  i  privati  che  ne  facciano
 richiesta.
 2.   Le  province  individuano  adeguati  strumenti  di
 raccordo   con   gli   altri  enti  locali,  prevedendo  la
 partecipazione   degli  stessi  alla  individuazione  degli
 obiettivi  e  all'organizzazione  dei servizi connessi alle
 funzioni e ai compiti di cui all'art. 2, comma 1. L'art. 3,
 comma 1,  della  legge  28 febbraio 1987, n. 56, si applica
 anche    ai    Centri   per   l'impiego   istituiti   dalle
 amministrazioni provinciali.
 3.  I  servizi  per  l'impiego di cui al comma 1 devono
 essere organizzati entro il 31 dicembre 1998.».
 - L'art. 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.
 469, cosi' recita:
 «Art.  6  (Soppressione  di organi collegiali). - 1. La
 provincia,  entro  i  sei  mesi  successivi  dalla  data di
 entrata  in vigore della legge regionale di cui all'art. 4,
 comma 1,   istituisce   un'unica   commissione   a  livello
 provinciale  per  le  politiche  del  lavoro,  quale organo
 tripartito  permanente  di concertazione e di consultazione
 delle  parti  sociali  in  relazione  alle attivita' e alle
 funzioni  attribuite  alla  provincia ai sensi dell'art. 4,
 comma 1,  lettera a), nonche' in relazione alle attivita' e
 funzioni  gia' di competenza degli organi collegiali di cui
 al   comma 2  del  presente  articolo  secondo  i  seguenti
 principi e criteri:
 a) la composizione della commissione deve essere tale
 da  permettere la pariteticita' delle posizioni delle parti
 sociali;
 b) presidenza   della   commissione   al   presidente
 dell'amministrazione provinciale;
 c) inserimento del consigliere di parita';
 d) possibilita' di costituzione di sottocomitati, nel
 rispetto  dei  criteri  di  cui  alla  lettera a),  anche a
 carattere tematico.
 2.  Con  effetto  dalla  costituzione della commissione
 provinciale di cui al comma 1, i seguenti organi collegiali
 sono  soppressi  e  le  relative funzioni e competenze sono
 trasferite alla provincia:
 a) commissione provinciale per l'impiego;
 b) commissione circoscrizionale per l'impiego;
 c) commissione regionale per il lavoro a domicilio;
 d) commissione provinciale per il lavoro a domicilio;
 e) commissione comunale per il lavoro a domicilio;
 f) commissione provinciale per il lavoro domestico;
 g) commissione    provinciale   per   la   manodopera
 agricola;
 h) commissione  circoscrizionale  per  la  manodopera
 agricola;
 i) commissione   provinciale   per   il  collocamento
 obbligatorio.
 3.  La  provincia,  nell'attribuire  le  funzioni  e le
 competenze gia' svolte dalla commissione di cui al comma 2,
 lettera i),    garantisce    all'interno   del   competente
 organismo,  la  presenza  di rappresentanti designati dalle
 categorie  interessate,  di rappresentanti dei lavoratori e
 dei  datori  di  lavoro,  designati  rispettivamente  dalle
 organizzazioni      sindacali     comparativamente     piu'
 rappresentative  e  di  un  ispettore  medico  del  lavoro.
 Nell'ambito  di  tale  organismo  e'  previsto  un comitato
 tecnico  composto  da  funzionari  ed  esperti  del settore
 sociale e medico-legale e degli organismi individuati dalle
 regioni  ai  sensi  dell'art.  4  del presente decreto, con
 particolare  riferimento alla materia delle inabilita', con
 compiti  relativi  alla valutazione delle residue capacita'
 lavorative,   alla  definizione  degli  strumenti  e  delle
 prestazioni atti all'inserimento e alla predisposizione dei
 controlli  periodici  sulla  permanenza delle condizioni di
 inabilita'.  Agli  oneri  per il funzionamento del comitato
 tecnico   si  provvede  mediante  corrispondente  riduzione
 dell'autorizzazione  di  spesa  per  il funzionamento della
 commissione di cui al comma 1.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 13. Requisiti e attribuzioni
 
 (decreto  legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articoli 1, comma 2, 2,
 comma 2)
 
 1.  Le  consigliere  e  i  consiglieri  di parita' devono possedere requisiti  di  specifica  competenza  ed  esperienza  pluriennale  in materia  di  lavoro  femminile,  di  normative  sulla  parita' e pari opportunita'  nonche'  di  mercato  del  lavoro, comprovati da idonea documentazione.
 2.  Le  consigliere  ed  i  consiglieri  di  parita',  effettivi  e supplenti,   svolgono   funzioni   di   promozione   e  di  controllo dell'attuazione  dei principi di uguaglianza di opportunita' e di non discriminazione  tra  donne e uomini nel lavoro. Nell'esercizio delle funzioni  loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parita' sono   pubblici   ufficiali   ed   hanno  l'obbligo  di  segnalazione all'autorita'  giudiziaria  dei reati di cui vengono a conoscenza per ragione del loro ufficio.
 |  |  |  | Art. 14. Mandato
 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 2, comma 5)
 
 1.   Il   mandato  delle  consigliere  e  dei  consiglieri  di  cui all'articolo  12  ha  la durata di quattro anni ed e' rinnovabile una sola  volta.  La  procedura di rinnovo si svolge secondo le modalita' previste dall'articolo 12. Le consigliere ed i consiglieri di parita' continuano a svolgere le loro funzioni fino alle nuove nomine.
 |  |  |  | Art. 15. Compiti e funzioni
 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 3)
 
 1.  Le  consigliere  ed i consiglieri di parita' intraprendono ogni utile  iniziativa,  nell'ambito delle competenze dello Stato, ai fini del  rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di  pari  opportunita'  per  lavoratori  e  lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:
 a)  rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di  svolgere  le  funzioni  promozionali  e  di  garanzia  contro  le discriminazioni previste dal libro III, titolo I;
 b)  promozione  di  progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione   delle  risorse  comunitarie,  nazionali  e  locali finalizzate allo scopo;
 c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di   sviluppo   territoriale   rispetto  agli  indirizzi  comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunita';
 d)  sostegno  delle  politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunita';
 e)   promozione   dell'attuazione   delle   politiche   di   pari opportunita' da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
 f)  collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni  alla normativa in materia di parita', pari opportunita' e garanzia  contro  le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;
 g)  diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attivita'  di  informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunita' e sulle varie forme di discriminazioni;
 h)  verifica  dei  risultati  della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli articoli da 42 a 46;
 i)  collegamento  e  collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parita' degli enti locali.
 2.  Le consigliere ed i consiglieri di parita' nazionale, regionali e  provinciali,  effettivi  e  supplenti, sono componenti a tutti gli effetti,  rispettivamente,  della  commissione centrale per l'impiego ovvero  del  diverso organismo che ne venga a svolgere, in tutto o in parte,  le  funzioni  a  seguito  del decreto legislativo 23 dicembre 1997,  n. 469, e delle commissioni regionali e provinciali tripartite previste  dagli  articoli 4 e 6 del citato decreto legislativo n. 469 del  1997; essi partecipano altresi' ai tavoli di partenariato locale ed ai comitati di sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1260/99, del  Consiglio  del  21  giugno 1999. Le consigliere ed i consiglieri regionali  e provinciali sono inoltre componenti delle commissioni di parita'  del corrispondente livello territoriale, ovvero di organismi diversamente   denominati   che   svolgono   funzioni   analoghe.  La consigliera  o  il  consigliere  nazionale e' componente del Comitato nazionale e del Collegio istruttorio di cui agli articoli 8 e 11.
 3.  Le  strutture regionali di assistenza tecnica e di monitoraggio di  cui  all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 23   dicembre  1997,  n.  469,  forniscono  alle  consigliere  ed  ai consiglieri   di   parita'   il  supporto  tecnico  necessario:  alla rilevazione  di  situazioni di squilibrio di genere; all'elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla situazione del personale di cui all'articolo  46;  alla  promozione  e alla realizzazione di piani di formazione  e  riqualificazione  professionale;  alla  promozione  di progetti di azioni positive.
 4.  Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parita', le Direzioni   regionali   e  provinciali  del  lavoro  territorialmente competenti  acquisiscono  nei  luoghi  di  lavoro  informazioni sulla situazione  occupazionale  maschile  e  femminile,  in relazione allo stato  delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle  retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto  di  lavoro,  ed  ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta.
 5.  Entro  il  31  dicembre  di  ogni  anno  le  consigliere  ed  i consiglieri di parita' regionali e provinciali presentano un rapporto sull'attivita'   svolta   agli   organi  che  hanno  provveduto  alla designazione.  La  consigliera  o  il  consigliere di parita' che non abbia   provveduto   alla  presentazione  del  rapporto  o  vi  abbia provveduto  con  un  ritardo superiore a tre mesi decade dall'ufficio con  provvedimento  adottato,  su  segnalazione  dell'organo  che  ha provveduto  alla  designazione,  dal  Ministro  del  lavoro  e  delle politiche   sociali,   di  concerto  con  il  Ministro  per  le  pari opportunita'.
 
 
 
 Note all'art. 15:
 -  Per il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469,
 si vedano le note all'art. 12.
 -  Il  regolamento (CE) 1260/1999 recante «Disposizioni
 generali   sui   Fondi  strutturali»  e'  pubblicato  nella
 G.U.C.E. 26 giugno 1999, n. L 161.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 16. Sede e attrezzature
 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 5)
 
 1.  L'ufficio  delle  consigliere  e  dei  consiglieri  di  parita' regionali  e provinciali e' ubicato rispettivamente presso le regioni e  presso  le province. L'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale  di  parita'  e'  ubicato  presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'ufficio e' funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso cui l'ufficio e' ubicato, nell'ambito delle risorse trasferite ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.
 2.  Il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con  il  Ministro per le pari opportunita', nell'ambito delle proprie competenze, puo' predisporre con gli enti territoriali nel cui ambito operano le consigliere ed i consiglieri di parita' convenzioni quadro allo   scopo   di  definire  le  modalita'  di  organizzazione  e  di funzionamento  dell'ufficio  delle  consigliere  e dei consiglieri di parita',  nonche'  gli  indirizzi  generali  per  l'espletamento  dei compiti  di  cui  all'articolo 15, comma 1, lettere b), c), d) ed e), come  stipulato con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
 |  |  |  | Art. 17. Permessi
 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 6)
 
 1.  Le  consigliere  ed  i  consiglieri  di  parita',  nazionale  e regionali  hanno  diritto per l'esercizio delle loro funzioni, ove si tratti  di  lavoratori  dipendenti, ad assentarsi dal posto di lavoro per  un  massimo  di  cinquanta  ore  lavorative mensili medie. Nella medesima  ipotesi  le  consigliere  ed  i  consiglieri provinciali di parita'  hanno  diritto  ad  assentarsi  dal  posto  di lavoro per un massimo  di trenta ore lavorative mensili medie. I permessi di cui al presente comma sono retribuiti.
 2.  Le  consigliere  ed  i  consiglieri  regionali e provinciali di parita'   hanno   altresi'  diritto,  ove  si  tratti  di  lavoratori dipendenti,  ad  ulteriori  permessi non retribuiti per i quali viene corrisposta un'indennita'. La misura massima dei permessi e l'importo dell'indennita'   sono  stabiliti  annualmente  dal  decreto  di  cui all'articolo  18,  comma  2.  Ai  fini  dell'esercizio del diritto di assentarsi  dal  luogo  di  lavoro  di  cui al comma 1 ed al presente comma,  le  consigliere  ed  i  consiglieri  di  parita' devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro almeno un giorno prima.
 3.  L'onere  di  rimborsare le assenze dal lavoro di cui al comma 1 delle   consigliere   e   dei  consiglieri  di  parita'  regionali  e provinciali,  lavoratori  dipendenti  da privati o da amministrazioni pubbliche,   e'   a  carico  rispettivamente  dell'ente  regionale  e provinciale. A tal fine si impiegano risorse provenienti dal Fondo di cui all'articolo 18. L'ente regionale o provinciale, su richiesta, e' tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto corrisposto per le ore di effettiva assenza.
 4.  Le  consigliere  ed  i  consiglieri  regionali e provinciali di parita',  lavoratori  autonomi o liberi professionisti, hanno diritto per  l'esercizio  delle  loro funzioni ad un'indennita' rapportata al numero  complessivo delle ore di effettiva attivita', entro un limite massimo  determinato  annualmente dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
 5.  La  consigliera  o  il  consigliere  nazionale  di parita', ove lavoratore  dipendente,  usufruisce  di un numero massimo di permessi non   retribuiti  determinato  annualmente  con  il  decreto  di  cui all'articolo  18,  comma  2,  nonche'  di un'indennita' fissata dallo stesso  decreto.  In  alternativa  puo' richiedere il collocamento in aspettativa  non  retribuita per la durata del mandato, percependo in tal  caso  un'indennita'  complessiva,  a  carico  del  Fondo  di cui all'articolo  18,  determinata tenendo conto dell'esigenza di ristoro della  retribuzione  perduta e di compenso dell'attivita' svolta. Ove l'ufficio  di  consigliera  o  consigliere  nazionale  di parita' sia ricoperto  da  un  lavoratore autonomo o da un libero professionista, spetta  al  medesimo  un'indennita'  nella  misura  complessiva annua determinata dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
 |  |  |  | Art. 18. Fondo per l'attivita' delle consigliere e dei consiglieri di parita' 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 9)
 
 1.  Il  Fondo  nazionale  per  le attivita' delle consigliere e dei consiglieri   di   parita'   e'   alimentato  dalle  risorse  di  cui all'articolo  47, comma 1, lettera d), della legge 17 maggio 1999, n. 144,  e  successive modificazioni. Il Fondo e' destinato a finanziare le  spese relative alle attivita' della consigliera o del consigliere nazionale  di parita' e delle consigliere o dei consiglieri regionali e  provinciali  di  parita',  i  compensi degli esperti eventualmente nominati  ai  sensi  dell'articolo  19,  comma  3,  nonche'  le spese relative  alle  azioni  in giudizio promosse o sostenute ai sensi del libro III, titolo I, capo III; finanzia altresi' le spese relative al pagamento  di  compensi  per indennita', rimborsi e remunerazione dei permessi  spettanti  alle  consigliere  ed ai consiglieri di parita', nonche'  quelle per il funzionamento e le attivita' della rete di cui all'articolo 19 e per gli eventuali oneri derivanti dalle convenzioni di  cui  all'articolo  16,  comma  2,  diversi  da quelli relativi al personale.
 2.  Con  decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di  concerto  con  il  Ministro  per le pari opportunita', sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  le  risorse  del  Fondo  vengono annualmente ripartite  tra  le  diverse  destinazioni,  sulla  base  dei seguenti criteri:
 a)  una  quota  pari al trenta per cento e' riservata all'ufficio della  consigliera  o  del  consigliere  nazionale  di  parita' ed e' destinata  a  finanziare, oltre alle spese relative alle attivita' ed ai  compensi  dello  stesso, le spese relative al funzionamento ed ai programmi di attivita' della rete delle consigliere e dei consiglieri di parita' di cui all'articolo 19;
 b)  la  restante  quota  del settanta per cento e' destinata alle regioni e viene suddivisa tra le stesse sulla base di una proposta di riparto elaborata dalla commissione interministeriale di cui al comma 4.
 3.  La  ripartizione delle risorse e' comunque effettuata in base a parametri oggettivi, che tengono conto del numero delle consigliere o dei  consiglieri  provinciali  e  di  indicatori  che  considerano  i differenziali demografici ed occupazionali, di genere e territoriali, nonche'  in  base  alla  capacita' di spesa dimostrata negli esercizi finanziari precedenti.
 4.  Presso  il Ministero del lavoro e delle politiche sociali opera la  commissione interministeriale per la gestione del Fondo di cui al comma   1.  La  commissione  e'  composta  dalla  consigliera  o  dal consigliere  nazionale di parita' o da un delegato scelto all'interno della  rete  di  cui all'articolo 19, dal vicepresidente del Comitato nazionale di cui all'articolo 8, da un rappresentante della Direzione generale   del   mercato   del  lavoro,  da  tre  rappresentanti  del Dipartimento  per le pari opportunita' della Presidenza del Consiglio dei  Ministri,  da  un  rappresentante  del Ministero dell'economia e delle  finanze,  da un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica  della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonche' da tre rappresentanti  della  Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto  legislativo  28  agosto  1997,  n.  281.  Essa provvede alla proposta  di  riparto tra le regioni della quota di risorse del Fondo ad  esse  assegnata,  nonche'  all'approvazione  dei  progetti  e dei programmi  della  rete  di  cui  all'articolo  19.  L'attivita' della commissione  non  comporta  oneri  aggiuntivi  a carico della finanza pubblica.
 5.  Per  la  gestione  del Fondo di cui al comma 1 si applicano, in quanto   compatibili,   le   norme  che  disciplinano  il  Fondo  per l'occupazione.
 
 
 
 Note all'art. 18:
 -  L'art.  47 della legge 17 maggio 1999, n. 144, cosi'
 recita:
 «Art.  47  (Delega  al  Governo in materia di revisione
 dell'art.  8  della  legge 10 aprile 1991, n. 125). - 1. Al
 fine   di  rafforzare  gli  strumenti  volti  a  promuovere
 l'occupazione  femminile,  a  prevenire  e  contrastare  le
 discriminazioni  di genere nei luoghi di lavoro, il Governo
 e'  delegato  ad  emanare,  entro dodici mesi dalla data di
 entrata  in vigore della presente legge, uno o piu' decreti
 legislativi  recanti norme intese a ridefinire e potenziare
 le funzioni, il regime giuridico e le dotazioni strumentali
 dei   consiglieri   di   parita',   nonche'   a  migliorare
 l'efficienza  delle  azioni  positive  di  cui  alla  legge
 10 aprile  1991,  n.  125,  secondo  i  seguenti principi e
 criteri direttivi:
 a) revisione  e  razionalizzazione delle funzioni dei
 consiglieri di parita', anche in relazione al nuovo assetto
 istituzionale  di  cui  al  decreto legislativo 23 dicembre
 1997, n. 469 e, in particolare, con:
 1) valorizzazione   del  ruolo  nell'ambito  ed  in
 relazione  con  organismi,  sedi  e  strumenti  di politica
 attiva  del  lavoro  e  di  promozione  delle  occasioni di
 impiego, con particolare rferimento alle aree di svantaggio
 occupazionale   e   ai   processi   di  riqualificazione  e
 formazione professionale;
 2)  rafforzamento delle funzioni intese al rispetto
 della  normativa  antidiscriminatoria nei luoghi di lavoro,
 nonche'   di   quelle   relative  al  contenzioso  in  sede
 conciliativa  e  giudiziale ed in sede di giudizio civile o
 amministrativo,  avente  ad  oggetto le discriminazioni per
 sesso;
 b) incremento   delle   dotazioni   per  un  efficace
 espletamento   delle   funzioni,   con,   in   particolare:
 previsione   di   permessi  retribuiti,  ridefinizione  dei
 compensi    e    dei   rimborsi   e   potenziamento   delle
 strumentazioni operative;
 c) ridefinizione  dei  criteri  e del procedimento di
 nomina dei consiglieri di parita', con valorizzazione delle
 competenze ed esperienze acquisite;
 d) istituzione,  presso  il  Ministero  del  lavoro e
 della  previdenza sociale, di un fondo per le attivita' dei
 consiglieri di parita', finanziato dal Ministero del lavoro
 e   della   previdenza   sociale,   con  risorse  assegnate
 annualmente  nell'ambito delle disponibilita' del fondo per
 l'occupazione,   nel   limite  massimo  annuo  di  lire  10
 miliardi,  nonche' dal Dipartimento delle pari opportunita'
 in  misura  di lire 10 miliardi annue a decorrere dal 1999,
 cui  si  provvede  mediante  corrispondente riduzione dello
 stanziamento  iscritto,  ai  fini  del  bilancio  triennale
 1999-2001,  nell'ambito dell'unita' previsionale di base di
 parte  corrente  «Fondo speciale» dello stato di previsione
 del   Ministero   del   tesoro,   del   bilancio   e  della
 programmazione    economica,    allo    scopo   utilizzando
 l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei
 Ministri,  con  definizione  dei  criteri di assegnazione e
 ripartizione      delle      risorse      e      previsione
 dell'utilizzabilita' delle stesse anche per spese e onorari
 relativi  alle  azioni in giudizio promosse dai consiglieri
 di parita';
 e) previsione    di   meccanismi   e   strumenti   di
 monitoraggio  e  valutazione  dei  risultati conseguiti per
 effetto  della  ridefinizione  degli  strumenti  di  cui al
 presente articolo;
 f) revisione della disciplina del finanziamento delle
 azioni   positive,   anche   con  riferimento  ai  soggetti
 promotori,  ai criteri e alle procedure di finanziamento di
 cui  all'art. 2 della citata legge n. 125 del 1991, nonche'
 previsione  di  strumenti  e  di misure volti a favorire il
 rispetto  e  l'adeguamento  alle  normative  in  materia di
 parita'   e   di   non  discriminazione  tra  i  sessi,  in
 particolare  attraverso  il  ricorso  a misure di carattere
 premiale.
 2.  Gli  schemi  dei  decreti  legislativi  di  cui  al
 comma 1,  deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati
 da  una  apposita relazione, sono trasmessi alle Camere per
 l'espressione   del   parere   da  parte  delle  competenti
 Commissioni  parlamentari  permanenti entro il sessantesimo
 giorno  antecedente  la  scadenza  del termine previsto per
 l'esercizio  della  relativa  delega.  In  caso  di mancato
 rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade
 dall'esercizio  della  delega.  Le  competenti  Commissioni
 parlamentari  esprimono il parere entro trenta giorni dalla
 data  di trasmissione. Qualora il termine per l'espressione
 del  parere  decorra  inutilmente,  i  decreti  legislativi
 possono essere comunque emanati.
 3.  Entro  ventiquattro  mesi  dalla data di entrata in
 vigore  dei  decreti  legislativi  di  cui  al  comma 1, il
 Governo  puo' emanare eventuali disposizioni modificative e
 correttive  con  le  medesime  modalita' di cui al comma 2,
 attenendosi  ai principi e ai criteri direttivi indicati al
 comma 1.
 4.   L'attuazione  della  delega  di  cui  al  presente
 articolo deve  essere  esercitata  nel limite delle risorse
 disponibili  nel  Fondo per le attivita' dei consiglieri di
 parita' di cui al comma 1, lettera d).».
 - Per il decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si
 veda le note alle premesse.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 19. Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parita'
 
 (decreto  legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, commi 1, 2,
 3, 4 e 5)
 
 1.  La  rete  nazionale  delle  consigliere  e  dei  consiglieri di parita',  coordinata dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parita',  opera al fine di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei  consiglieri  di  parita',  di  accrescere l'efficacia della loro azione,  di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi.
 2.  La  rete  nazionale  si  riunisce  almeno  due  volte l'anno su convocazione   e   sotto   la  presidenza  della  consigliera  o  del consigliere  nazionale;  alle riunioni partecipano il vice presidente del  Comitato  nazionale  di  parita'  di  cui  all'articolo 8,  e un rappresentante designato dal Ministro per le pari opportunita'.
 3.  Per  l'espletamento  dei  propri compiti la rete nazionale puo' avvalersi, oltre che del Collegio istruttorio di cui all'articolo 11, anche   di  esperte  o  esperti,  nei  settori  di  competenza  delle consigliere e dei consiglieri di parita', di particolare e comprovata qualificazione  professionale.  L'incarico di esperta o esperto viene conferito   su   indicazione  della  consigliera  o  del  consigliere nazionale   di   parita'  dalla  competente  Direzione  generale  del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
 4.  L'entita'  delle risorse necessarie al funzionamento della rete nazionale e all'espletamento dei relativi compiti, e' determinata con il decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
 5.  Entro  il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale  di  parita'  elabora, anche sulla base dei rapporti di cui all'articolo 15,  comma 5, un rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche  sociali  e  al  Ministro  per  le  pari opportunita' sulla propria attivita' e su quella svolta dalla rete nazionale. Si applica quanto  previsto  nell'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 15 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.
 |  |  |  | Art. 20. Relazione al Parlamento
 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, comma 6)
 
 1.  Il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, anche sulla base  del  rapporto  di  cui  all'articolo 19, comma 5, nonche' delle indicazioni  fornite  dal  Comitato nazionale di parita', presenta in Parlamento,  almeno  ogni  due  anni, d'intesa con il Ministro per le pari   opportunita',   una   relazione  contenente  i  risultati  del monitoraggio  sull'applicazione  della  legislazione  in  materia  di parita'  e  pari  opportunita'  nel  lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto.
 |  |  |  | Art. 21 Comitato per l'imprenditoria femminile
 (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 1, 2, 3)
 
 1. Presso il Ministero delle attivita' produttive opera il Comitato per  l'imprenditoria  femminile composto dal Ministro delle attivita' produttive  o,  per  sua  delega, da un Sottosegretario di Stato, con funzioni  di  presidente,  dal  Ministro del lavoro e delle politiche sociali,  dal  Ministro  delle  politiche  agricole  e forestali, dal Ministro  dell'economia  e  delle finanze, o da loro delegati; da una rappresentante  degli  istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna  delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura, del turismo e dei servizi.
 2.  I  membri  del  Comitato sono nominati con decreto del Ministro delle  attivita'  produttive, su designazione delle organizzazioni di appartenenza, e restano in carica tre anni. Per ogni membro effettivo viene nominato un supplente.
 3.  Il Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti; per l'adempimento delle proprie funzioni esso si avvale dei personale e  delle strutture messe a disposizione dai Ministeri di cui al comma 1.
 |  |  |  | Art. 22 Attivita' del Comitato per l'imprenditoria femminile
 (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 4 e 5)
 
 1. Il Comitato ha compiti di indirizzo e di programmazione generale in ordine agli interventi previsti dal libro III, titolo II; promuove altresi'     lo     studio,     la     ricerca    e    l'informazione sull'imprenditorialita' femminile.
 2.  Per le finalita' di cui al presente capo il Comitato stabilisce gli  opportuni  collegamenti  con il Servizio centrale per la piccola industria  e  l'artigianato  di cui all'articolo 39, comma 1, lettera a),  della  legge  5 ottobre 1991, n. 317, e si avvale di consulenti, individuati tra persone aventi specifiche competenze professionali ed esperienze in materia di imprenditoria femminile.
 
 
 
 Nota all'art. 22:
 - L'art.  39  della legge 5 ottobre 1991, n. 317, cosi'
 recita:
 "Art.  39 (Riordinamento della Direzione generale della
 produzione industriale). - 1. Entro centoventi giorni dalla
 data di entrata in vigore della presente legge, con decreto
 del  Presidente  della  Repubblica, emanato su proposta del
 Ministro  dell'industria,  del commercio e dell'artigianato
 ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera d), legge 23 agosto
 1988, n. 400, si provvede alla riorganizzazione strutturale
 e  funzionale  della  Direzione  generale  della produzione
 industriale, tenuto conto della necessita' di provvedere:
 a) all'istituzione  di  un  Servizio  centrale per la
 piccola  industria  e  l'artigianato,  cui  e'  preposto un
 dirigente   superiore   con   funzioni  di  vice  direttore
 generale;
 b) al  riordinamento  degli  uffici le cui competenze
 risultino  direttamente o indirettamente collegate a quelle
 della Comunita' economica europea;
 c) al    riordinamento    dell'Ispettorato    tecnico
 dell'industria,   anche   in   relazione  agli  adempimenti
 connessi al controllo dell'attivita' di certificazione;
 d) al  riordino  degli  uffici competenti nei settori
 merceologici;
 e) all'istituzione  di  un  ufficio  per  lo sviluppo
 delle   tecnologie   informatiche  a  supporto  dell'azione
 amministrativa.
 2.   Con   decreto  del  Ministro  dell'industria,  del
 commercio  e dell'artigianato da emanare successivamente al
 decreto di cui al comma 1, si provvede alla ripartizione in
 divisioni  della  Direzione  generale  di  cui  allo stesso
 comma 1.
 3.  Per  le  finalita'  di  cui al presente articolo le
 dotazioni   organiche  del  Ministero  dell'industria,  del
 commercio e dell'artigianato sono aumentate entro il limite
 di ventisette unita' secondo la seguente articolazione:
 a) cinque posti di ottavo livello;
 b) cinque posti di settimo livello;
 c) sette posti di sesto livello;
 d) sei posti di quinto livello;
 e) tre posti di quarto livello;
 f) un posto di terzo livello.
 4.  Alla  copertura  dei  posti  di  cui al comma 3, si
 provvede   nel  triennio  1991-1993  con  le  procedure  di
 mobilita'  di  cui  al decreto del Presidente del Consiglio
 dei   Ministri   5 agosto   1988,   n.  325,  e  successive
 modificazioni,  e  alla  legge  29 dicembre 1988, n. 554, e
 successive modificazioni e integrazioni.".
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 23. Pari opportunita' nei rapporti fra coniugi
 
 1.  La  materia  delle  pari opportunita' nei rapporti familiari e' disciplinata dal codice civile.
 |  |  |  | Art. 24. Violenza nelle relazioni familiari
 
 1.  Per  il  contrasto  alla  violenza nelle relazioni familiari si applicano le disposizioni di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.
 
 
 
 Nota all'art. 24:
 -  La  legge 4 aprile 2001, n. 154, reca «Misure contro
 la  violenza  nelle  relazioni familiari», ed e' pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale 28 aprile 2001, n. 98.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 25. Discriminazione diretta e indiretta
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 1 e 2)
 
 1.  Costituisce  discriminazione  diretta,  ai  sensi  del presente titolo,  qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole  discriminando  le  lavoratrici  o  i  lavoratori  in ragione  del  loro  sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
 2.  Si  ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un  comportamento  apparentemente  neutri mettono o possono mettere i lavoratori  di  un  determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio   rispetto   a  lavoratori  dell'altro  sesso,  salvo  che riguardino   requisiti  essenziali  allo  svolgimento  dell'attivita' lavorativa, purche' l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
 |  |  |  | Art. 26. Molestie e molestie sessuali
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo   4,  commi  2-bis,  2-ter  e
 2-quater)
 
 1.  Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al  sesso,  aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignita' di una lavoratrice  o  di  un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
 2.  Sono,  altresi',  considerate  come discriminazioni le molestie sessuali,  ovvero  quei  comportamenti  indesiderati  a  connotazione sessuale,  espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo  o  l'effetto di violare la dignita' di una lavoratrice o di un lavoratore  e  di  creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
 3.  Gli  atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro  dei  lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di  cui  ai  commi  1  e  2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto   o  della  sottomissione  ai  comportamenti  medesimi.  Sono considerati,  altresi',  discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da  parte  del  datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo  o  ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parita' di trattamento tra uomini e donne.
 |  |  |  | Art. 27. Divieti di discriminazione nell'accesso al lavoro
 
 (legge 9 dicembre  1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge
 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 3)
 
 1.  E'  vietata  qualsiasi  discriminazione  fondata  sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in  qualsiasi  altra  forma,  indipendentemente  dalle  modalita'  di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attivita', a tutti i livelli della gerarchia professionale.
 2.  La  discriminazione  di  cui  al  comma  1  e' vietata anche se attuata:
 a)  attraverso  il  riferimento  allo  stato  matrimoniale  o  di famiglia o di gravidanza;
 b)  in  modo  indiretto,  attraverso  meccanismi  di preselezione ovvero  a  mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi   come   requisito  professionale  l'appartenenza  all'uno  o all'altro sesso.
 3.  Il  divieto  di  cui  ai  commi  1  e  2  si applica anche alle iniziative  in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento  professionale, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti,    nonche'    all'affiliazione    e    all'attivita'    in un'organizzazione  di  lavoratori  o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.
 4.  Eventuali  deroghe  alle  disposizioni  dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse  soltanto  per  mansioni  di  lavoro  particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.
 5.  Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a   mezzo   di  terzi,  da  datori  di  lavoro  privati  e  pubbliche amministrazioni  la  prestazione  richiesta  dev'essere  accompagnata dalle  parole  "dell'uno  o  dell'altro sesso", fatta eccezione per i casi  in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.
 6. Non costituisce discriminazione condizionare all'appartenenza ad un  determinato sesso l'assunzione in attivita' della moda, dell'arte e dello spettacolo, quando cio' sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.
 |  |  |  | Art. 28. Divieto di discriminazione retributiva
 
 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 2)
 
 1.   La   lavoratrice  ha  diritto  alla  stessa  retribuzione  del lavoratore  quando  le  prestazioni  richieste siano uguali o di pari valore.
 2.  I  sistemi  di  classificazione  professionale  ai  fini  della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.
 |  |  |  | Art. 29. Divieti di discriminazione nella   prestazione   lavorativa  e  nella carriera
 
 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 3)
 
 1.  E'  vietata  qualsiasi  discriminazione  fra uomini e donne per quanto  riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera.
 |  |  |  | Art. 30. Divieti di discriminazione nell'accesso        alle       prestazioni previdenziali
 
 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articoli 4, 9, 10, 11 e 12)
 
 1.  Le  lavoratrici,  anche  se  in possesso dei requisiti per aver diritto  alla  pensione  di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare  la  loro opera fino agli stessi limiti di eta' previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, previa  comunicazione  al  datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.
 2.  Nell'ipotesi di cui al comma 1 si applicano alle lavoratrici le disposizioni  della  legge  15  luglio  1966,  n.  604,  e successive modificazioni, in deroga all'articolo 11 della legge stessa.
 3.   Gli   assegni   familiari,   le  aggiunte  di  famiglia  e  le maggiorazioni  delle  pensioni  per familiari a carico possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse  condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o  pensionato.  Nel  caso  di  richiesta  di  entrambi i genitori gli assegni  familiari,  le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni  per  familiari  a  carico  debbono  essere  corrisposti  al genitore con il quale il figlio convive.
 4.   Le   prestazioni  ai  superstiti,  erogate  dall'assicurazione generale   obbligatoria,   per   l'invalidita',  la  vecchiaia  ed  i superstiti,  gestita  dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono   estese,   alle   stesse  condizioni  previste  per  la  moglie dell'assicurato  o  del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata.
 5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello   Stato  e  di  altri  enti  pubblici  nonche'  in  materia  di trattamenti      pensionistici     sostitutivi     ed     integrativi dell'assicurazione   generale   obbligatoria  per  l'invalidita',  la vecchiaia  ed  i  superstiti  e  di  trattamenti  a  carico di fondi, gestioni  ed  enti  istituiti  per lavoratori dipendenti da datori di lavoro esclusi od esonerati dall'obbligo dell'assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.
 6.  Le  prestazioni  ai  superstiti  previste dal testo unico delle disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria contro gli infortuni sul  lavoro  e  le  malattie professionali, approvato con decreto del Presidente  della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e della legge 5 maggio 1976, n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice.
 
 
 
 Nota all'art. 30:
 -  La  legge  15 luglio  1966,  n. 604, reca «Norme sui
 licenziamenti  individuali» ed e' pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale 6 agosto 1966, n. 195.
 - Il  decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno
 1965,  n.  1124,  reca  «Testo unico delle disposizioni per
 l'assicurazione   obbligatoria  contro  gli  infortuni  sul
 lavoro e le malattie professionali», ed e' pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale 13 ottobre 1965, n. 257, S.O.
 - La  legge 5 maggio 1976, n. 248, reca «Provvidenze in
 favore  delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul
 lavoro  deceduti  per  cause  estranee  all'infortunio  sul
 lavoro   o   alla  malattia  professionale  ed  adeguamento
 dell'assegno  di  incollocabilita'  di cui all'art. 180 del
 testo  unico  approvato  con  decreto  del Presidente della
 Repubblica  30 giugno 1965, n. 1124» ed e' pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale 17 maggio 1976, n. 129.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 30-bis (( (Divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche
 complementari collettive. Differenze di trattamento consentite).
 1. Nelle  forme  pensionistiche  complementari collettive di cui al decreto  legislativo   5   dicembre   2005,   n.  252,   e'   vietata qualsiasi   discriminazione   diretta  o  indiretta,   specificamente per  quanto riguarda:
 a) il campo d'applicazione di tali forme pensionistiche e relative condizioni d'accesso;
 b) l'obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi;
 c)  il  calcolo  delle  prestazioni,  comprese le maggiorazioni da corrispondere  per  il  coniuge e per le persone a carico, nonche' le condizioni  relative  alla  durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.
 2.  La  fissazione  di  livelli  differenti  per  le prestazioni e' consentita  soltanto  se  necessaria  per  tener conto di elementi di calcolo  attuariale  differenti  per  i  due  sessi nel caso di forme pensionistiche   a   contribuzione   definita.   Nel  caso  di  forme pensionistiche    a   prestazioni   definite,   finanziate   mediante capitalizzazione,   alcuni   elementi   possono   variare  sempreche' l'ineguaglianza  degli  importi  sia  da  attribuire alle conseguenze dell'utilizzazione  di  fattori  attuariali che variano a seconda del sesso all'atto dell'attuazione del finanziamento del regime.
 3.  I dati attuariali che giustificano trattamenti diversificati ai sensi del comma 2 devono essere affidabili, pertinenti ed accurati.
 4.  La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) esercita i  suoi  poteri  ed  effettua  le  attivita'  necessarie,  al fine di garantire  l'affidabilita',  la  pertinenza  e l'accuratezza dei dati attuariali  che  giustificano  trattamenti diversificati ai sensi del comma  2,  anche  allo scopo di evitare discriminazioni. Essa inoltre raccoglie, pubblica e aggiorna i dati relativi all'utilizzo del sesso quale    fattore   attuariale   determinante,   relazionando   almeno annualmente  al Comitato nazionale di parita' e pari opportunita' nel lavoro.  Tali attivita' sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.))
 |  |  |  | Art. 31. Divieti di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici
 
 (legge 9 febbraio 1963, n. 66, articolo 1, comma 1; legge 13 dicembre
 1986, n. 874, articoli 1 e 2)
 
 1.  La  donna  puo'  accedere  a  tutte  le cariche, professioni ed impieghi  pubblici,  nei  vari  ruoli,  carriere  e  categorie, senza limitazione  di  mansioni  e  di  svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
 2.    L'altezza   delle   persone   non   costituisce   motivo   di discriminazione   nell'accesso  a  cariche,  professioni  e  impieghi pubblici  ad  eccezione  dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali e' necessario definire un limite di altezza  e  la  misura  di  detto  limite,  indicate  con decreto del Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri,   sentiti  i  Ministri interessati,  le  organizzazioni  sindacali piu' rappresentative e la Commissione  per  la  parita'  tra  uomo  e  donna,  fatte  salve  le specifiche  disposizioni  relative  al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
 |  |  |  | Art. 32. Divieti di discriminazione nell'arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali
 
 (decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 1)
 
 1.  Le  Forze  armate  ed  il  Corpo  della  guardia  di finanza si avvalgono,  per  l'espletamento  dei  propri  compiti,  di  personale maschile e femminile.
 |  |  |  | Art. 33. Divieti di discriminazione  nel reclutamento nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza
 
 (decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 2)
 
 1.  Il  reclutamento  del  personale militare femminile delle Forze armate  e  del  Corpo  della guardia di finanza e' effettuato su base volontaria secondo le disposizioni vigenti per il personale maschile, salvo  quanto  previsto per l'accertamento dell'idoneita' al servizio militare  del  personale femminile dai decreti di cui all'articolo 1, comma  5,  della  legge  20 ottobre 1999, n. 380, e salve le aliquote d'ingresso eventualmente previste, in via eccezionale, con il decreto adottato ai sensi della legge medesima.
 2.  Il  personale  femminile  che  frequenta i corsi regolari delle accademie  e  delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi  di  formazione  iniziale  degli  istituti e delle scuole delle Forze  armate, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza,  nonche' il personale femminile volontario di truppa in fase di  addestramento  e  specializzazione  iniziale, e' posto in licenza straordinaria   per   maternita'   a  decorrere  dalla  presentazione all'amministrazione  della  certificazione  attestante  lo  stato  di gravidanza,  fino  all'inizio del periodo di congedo di maternita' di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Il periodo  di  assenza  del servizio trascorso in licenza straordinaria per  maternita'  non  e' computato nel limite massimo previsto per le licenze straordinarie.
 3.  Il  personale  femminile  che  frequenta i corsi regolari delle accademie  e  delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi  di  formazione  iniziale  degli  istituti e delle scuole delle Forze  armate, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza,  posto  in licenza straordinaria per maternita' ai sensi del comma  2,  puo'  chiedere  di  proseguire  il  periodo  formativo con esenzione  di qualsiasi attivita' fisica, fino all'inizio del periodo del  congedo  di  maternita'  di  cui  all'articolo  16  del  decreto legislativo  26  marzo  2001, n. 151. L'accoglimento della domanda e' disposto  dal  Comandante  di  corpo,  in  relazione  agli  obiettivi didattici  da  conseguire  e previo parere del dirigente del servizio sanitario dell'istituto di formazione.
 4.  La  licenza  straordinaria  per maternita' di cui al comma 3 e' assimilata  ai  casi di estensione del divieto di adibire le donne al lavoro  previsti  dall'articolo  17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo  26  marzo  2001,  n.  151.  Al  personale femminile, nel predetto  periodo  di assenza, e' attribuito il trattamento economico di cui all'articolo 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero,  qualora  piu' favorevole, quello stabilito dai provvedimenti previsti  dall'articolo  2,  commi  1 e 2, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195.
 5.  Il personale militare femminile appartenente alle Forze armate, all'Arma  dei  carabinieri  e  alla  Guardia di finanza che, ai sensi degli  articoli  16 e 17 del decreto legislativo n. 151 del 2001, non possa  frequentare  i  corsi  previsti  dalle  relative  normative di settore,  e'  rinviato  al primo corso utile successivo e, qualora lo superi  con  esito  favorevole, assume l'anzianita' relativa al corso originario di appartenenza.
 
 
 
 Note all'art. 33:
 -   Si   riporta  il  testo  dell'art.  1  della  legge
 20 ottobre   1999,   n.   380   (Delega   al   Governo  per
 l'istituzione  del servizio militare volontario femminile),
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  29 ottobre 1999, n.
 255:
 «Art.  1.  -  1.  Le cittadine italiane partecipano, su
 base  volontaria,  secondo  le  disposizioni  di  cui  alla
 presente   legge,   ai  concorsi  per  il  reclutamento  di
 ufficiali  e  sottufficiali  in  servizio  permanente  e di
 militari  di  truppa  in  servizio  volontario, e categorie
 equiparate,  nei ruoli delle Forze armate e del Corpo della
 guardia di finanza.
 2.  Il  Governo  e' delegato ad emanare, entro sei mesi
 dalla  data  di  entrata in vigore della presente legge, su
 proposta  del  Ministro  della  difesa,  di  concerto con i
 Ministri per le pari opportunita', del tesoro, del bilancio
 e   della  programmazione  economica,  delle  finanze,  dei
 trasporti  e  della navigazione e per la funzione pubblica,
 sentita  la  Commissione nazionale per la parita' e le pari
 opportunita'  tra uomo e donna, di cui alla legge 22 giugno
 1990,   n.   164,   uno  o  piu'  decreti  legislativi  per
 disciplinare   il   reclutamento,   lo  stato  giuridico  e
 l'avanzamento  del personale militare femminile, sulla base
 dei seguenti principi e criteri direttivi:
 a) assicurare  la  realizzazione  del principio delle
 pari   opportunita'   uomo-donna,   nel   reclutamento  del
 personale   militare,   nell'accesso   ai   diversi  gradi,
 qualifiche,  specializzazioni  ed  incarichi  del personale
 delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza;
 b) applicare   al   personale  militare  femminile  e
 maschile  la  normativa vigente per il personale dipendente
 delle  pubbliche amministrazioni in materia di maternita' e
 paternita' e di pari opportunita' uomo-donna, tenendo conto
 dello status del personale militare.
 3.  Con  decreto del Ministro della difesa, di concerto
 con il Ministro delle finanze e con il Ministro per le pari
 opportunita',  e' istituito, entro trenta giorni dalla data
 di  entrata in vigore della presente legge e per un periodo
 di   quattro   anni  rinnovabile,  un  Comitato  consultivo
 composto  da  undici  membri  nel  quale  e' assicurata una
 partecipazione  maggioritaria  di  personale  femminile  in
 possesso  di adeguate esperienze e competenze nelle materie
 attinenti  ai  settori  di  interesse  del  Ministero della
 difesa  e  del  Ministero  delle finanze, con il compito di
 assistere  il  Capo  di  stato  maggiore della difesa ed il
 Comandante  generale  del  Corpo  della  guardia di finanza
 nell'azione   di  indirizzo,  coordinamento  e  valutazione
 dell'inserimento   e   della   integrazione  del  personale
 femminile  nelle  strutture  delle Forze armate e del Corpo
 della   guardia   di   finanza.  Sei  membri  del  Comitato
 consultivo  sono  scelti  dal  Ministro  della  difesa  con
 proprio  decreto  e  un membro e' scelto dal Ministro delle
 finanze  con  proprio  decreto.  Il  Ministro  per  le pari
 opportunita'  designa  i  restanti  quattro membri, due dei
 quali  sono  indicati  dalla  Commissione  nazionale per la
 parita'  e  le  pari  opportunita' tra uomo e donna. Con il
 decreto  di istituzione del Comitato consultivo il Ministro
 della  difesa  provvede  anche all'indicazione di eventuali
 compensi  connessi  alla  effettiva  presenza ai lavori del
 Comitato  stesso.  Per  il  funzionamento  del  Comitato e'
 autorizzata  la  spesa  di lire 80 milioni per il 1999 e di
 lire  240  milioni  annue a decorrere dal 2000. Al relativo
 onere  si  provvede  mediante  riduzione dello stanziamento
 iscritto,   ai   fini  del  bilancio  triennale  1999-2001,
 nell'ambito  dell'unita'  previsionale  di  base  di  parte
 corrente  «Fondo  speciale»  dello  stato di previsione del
 Ministero  del  tesoro, del bilancio e della programmazione
 economica   per   l'anno   1999,   allo  scopo  utilizzando
 l'accantonamento  relativo  al  Ministero  della difesa. Il
 Ministro  del  tesoro,  del bilancio e della programmazione
 economica  e' autorizzato ad apportare, con propri decreti,
 le occorrenti variazioni di bilancio.
 4.  Il Governo trasmette alla Camera dei deputati ed al
 Senato  della Repubblica gli schemi dei decreti legislativi
 di  cui  al comma 2, al fine dell'espressione del parere da
 parte  delle  competenti Commissioni permanenti, da rendere
 entro sessanta giorni dalla data di trasmissione.
 5. Il Ministro della difesa e il Ministro delle finanze
 per  il personale del Corpo della guardia di finanza, entro
 trenta  giorni  dalla data di entrata in vigore dei decreti
 legislativi   di  cui  al  comma 2,  adottano,  con  propri
 decreti,  ai  sensi  dell'art.  17,  comma 3,  della  legge
 23 agosto  1988,  n.  400,  regolamenti  recanti  norme per
 l'accertamento dell'idoneita' al servizio militare sentiti,
 per quanto concerne il personale femminile, il Ministro per
 le  pari  opportunita',  la  Commissione  nazionale  per la
 parita'  e le pari opportunita' tra uomo e donna nonche' il
 Ministro dei trasporti e della navigazione per il personale
 del Corpo delle capitanerie di porto.
 6. Ferme restando le consistenze organiche complessive,
 il   Ministro   della  difesa  puo'  prevedere  limitazioni
 all'arruolamento  del personale militare femminile soltanto
 in    presenza   di   motivate   esigenze   connesse   alla
 funzionalita'   di   specifici   ruoli,  corpi,  categorie,
 specialita'  e  specializzazioni  di ciascuna Forza armata,
 qualora  in  ragione  della  natura  o delle condizioni per
 l'esercizio di specifiche attivita' il sesso rappresenti un
 requisito  essenziale.  Il  relativo decreto e' adottato su
 proposta del Capo di stato maggiore della difesa, acquisito
 il  parere  della  Commissione per le pari opportunita' tra
 uomo  e donna, d'intesa con i Ministri delle infrastrutture
 e dei trasporti e per le pari opportunita'.
 7. Agli adempimenti di cui al comma 6, per il personale
 femminile  da arruolare nel Corpo della guardia di finanza,
 provvede il Ministro delle finanze, sentito il Ministro per
 le  pari  opportunita'  il quale acquisisce il parere della
 Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita'
 tra  uomo  e donna, su proposta del Comandante generale del
 Corpo della guardia di finanza.
 8.  In  via  transitoria  per  i primi tre anni e salvo
 quanto  previsto  dai  commi 6  e 7, le prime immissioni di
 personale  femminile  nelle  Forze armate e nel Corpo della
 guardia  di  finanza  sono disposte, elevando di tre anni i
 limiti di eta' previsti dalla normativa per gli ufficiali o
 i   sottufficiali,  nonche'  limitatamente  ai  contingenti
 stabiliti  annualmente nell'ambito della pianificazione del
 reclutamento  del  personale  militare,  dal  Capo di stato
 maggiore  della  difesa e dal Comandante generale del Corpo
 della guardia di finanza, sentito il Comitato consultivo di
 cui al comma 3, mediante reclutamento con concorsi a nomina
 diretta  secondo  quanto  previsto  dal decreto legislativo
 30 dicembre  1997,  n.  490,  ovvero,  per  il  Corpo della
 guardia di finanza, secondo le modalita' di cui all'art. 8,
 commi da 2 a 4, della legge 28 marzo 1997, n. 85, in quanto
 applicabili.
 9.  In deroga alle previsioni del comma 1, le cittadine
 italiane  possono partecipare, su base volontaria, anche ai
 concorsi  per  ufficiali  piloti di complemento delle Forze
 armate.  Questi  ultimi  devono  essere  reclutati  con  le
 modalita'  e  le  procedure  di  cui all'art. 3 della legge
 19 maggio 1986, n. 224.».
 - L'art.  16  del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
 151, cosi' recita:
 «Art. 16 (Divieto di adibire al lavoro le donne) (Legge
 30 dicembre  1971,  n.  1204, art. 4, commi 1 e 4). - 1. E'
 vietato adibire al lavoro le donne:
 a) durante i due mesi precedenti la data presunta del
 parto, salvo quanto previsto all'art. 20;
 b) ove  il  parto  avvenga  oltre  tale  data, per il
 periodo  intercorrente  tra  la  data  presunta  e  la data
 effettiva del parto;
 c) durante  i  tre  mesi  dopo il parto, salvo quanto
 previsto all'art. 20;
 d) durante  gli ulteriori giorni non goduti prima del
 parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto
 a  quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di
 congedo di maternita' dopo il parto.».
 - L'art.  17  del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
 151, cosi' recita:
 «Art.  17  (Estensione  del divieto) (Legge 30 dicembre
 1971,  n.  1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6,
 7,  9 e 10). - 1. Il divieto e' anticipato a tre mesi dalla
 data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate
 in   lavori   che,   in  relazione  all'avanzato  stato  di
 gravidanza,  siano  da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
 Tali   lavori  sono  determinati  con  propri  decreti  dal
 Ministro  per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le
 organizzazioni     sindacali     nazionali     maggiormente
 rappresentative.  Fino  all'emanazione  del  primo  decreto
 ministeriale,  l'anticipazione  del  divieto  di  lavoro e'
 disposta  dal  servizio ispettivo del Ministero del lavoro,
 competente per territorio.
 2.  Il servizio ispettivo del Ministero del lavoro puo'
 disporre,  sulla  base  di accertamento medico, avvalendosi
 dei  competenti organi del Servizio sanitario nazionale, ai
 sensi   degli   articoli 2  e  7  del  decreto  legislativo
 30 dicembre  1992,  n. 502, l'interdizione dal lavoro delle
 lavoratrici  in  stato  di  gravidanza,  fino al periodo di
 astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'art. 16, o
 fino ai periodi di astensione di cui all'art. 7, comma 6, e
 all'art. 12, comma 2, per uno o piu' periodi, la cui durata
 sara'  determinata  dal  servizio  stesso,  per  i seguenti
 motivi:
 a) nel  caso  di gravi complicanze della gravidanza o
 di preesistenti forme morbose che si presume possano essere
 aggravate dallo stato di gravidanza;
 b) quando  le condizioni di lavoro o ambientali siano
 ritenute  pregiudizievoli  alla  salute  della  donna e del
 bambino;
 c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad
 altre  mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e
 12.
 3.  L'astensione  dal lavoro di cui alla lettera a) del
 comma 2  e'  disposta  dal servizio ispettivo del Ministero
 del  lavoro, secondo le risultanze dell'accertamento medico
 ivi  previsto.  In ogni caso il provvedimento dovra' essere
 emanato  entro  sette  giorni  dalla ricezione dell'istanza
 della lavoratrice.
 4.  L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c)
 del comma 2 puo' essere disposta dal servizio ispettivo del
 Ministero   del   lavoro,  d'ufficio  o  su  istanza  della
 lavoratrice,  qualora  nel corso della propria attivita' di
 vigilanza  constati  l'esistenza delle condizioni che danno
 luogo all'astensione medesima.
 5.  I  provvedimenti dei servizi ispettivi previsti dal
 presente articolo sono definitivi.».
 - L'art.  22  del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
 151, cosi' recita:
 «Art.  22  (Trattamento  economico  e normativo) (Legge
 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 6, 8 e 15, commi 1 e 5;
 legge   9 dicembre   1977,   n.   903,   art.  3,  comma 2;
 decreto-legge  20 maggio  1993,  n.  148,  convertito dalla
 legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, commi 4 e 5). - 1. Le
 lavoratrici hanno diritto ad un'indennita' giornaliera pari
 all'80  per  cento  della retribuzione per tutto il periodo
 del  congedo  di  maternita',  anche  in  attuazione  degli
 articoli 7, comma 6, e 12, comma 2.
 2.  L'indennita'  di  maternita',  comprensiva  di ogni
 altra indennita' spettante per malattia, e' corrisposta con
 le   modalita'   di   cui   all'art.  1  del  decreto-legge
 30 dicembre  1979,  n.  663, convertito, con modificazioni,
 dalla  legge  29  febbraio  1980,  n.  33, e con gli stessi
 criteri   previsti   per   l'erogazione  delle  prestazioni
 dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
 3.  I  periodi  di  congedo di maternita' devono essere
 computati  nell'anzianita' di servizio a tutti gli effetti,
 compresi quelli relativi alla tredicesima mensilita' o alla
 gratifica natalizia e alle ferie.
 4.  I  medesimi  periodi  non  si computano ai fini del
 raggiungimento  dei  limiti  di  permanenza  nelle liste di
 mobilita'  di cui all'art. 7 della legge 23 luglio 1991, n.
 223,   fermi  restando  i  limiti  temporali  di  fruizione
 dell'indennita'   di   mobilita'.  I  medesimi  periodi  si
 computano  ai  fini del raggiungimento del limite minimo di
 sei  mesi  di  lavoro  effettivamente  prestato  per  poter
 beneficiare dell'indennita' di mobilita'.
 5.  Gli  stessi periodi sono considerati, ai fini della
 progressione  nella  carriera,  come  attivita' lavorativa,
 quando  i  contratti collettivi non richiedano a tale scopo
 particolari requisiti.
 6.  Le  ferie e le assenze eventualmente spettanti alla
 lavoratrice    ad    altro    titolo   non   vanno   godute
 contemporaneamente ai periodi di congedo di maternita'.
 7.  Non  viene  cancellata  dalla lista di mobilita' ai
 sensi  dell'art.  9  della legge 23 luglio 1991, n. 223, la
 lavoratrice  che,  in  periodo  di  congedo  di maternita',
 rifiuta  l'offerta di lavoro, di impiego in opere o servizi
 di  pubblica  utilita',  ovvero  l'avviamento  a  corsi  di
 formazione professionale.».
 - Il  decreto  legislativo 12 maggio 1995, n. 195, reca
 «Attuazione  dell'art.  2 della legge 6 marzo 1992, n. 216,
 in  materia  di  procedure per disciplinare i contenuti del
 rapporto  di impiego del personale delle Forze di polizia e
 delle   Forze  armate»  ed  e'  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale 27 maggio 1995, n. 122, S.O.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 34. Divieto di discriminazione nelle carriere militari
 
 (decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articoli 3, 4 e 5)
 
 1.   Lo   stato  giuridico  del  personale  militare  femminile  e' disciplinato  dalle  disposizioni  vigenti  per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
 2.  L'avanzamento  del personale militare femminile e' disciplinato dalle  disposizioni  vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
 3.   Le  amministrazioni  interessate  disciplinano  gli  specifici ordinamenti  dei  corsi presso le accademie, gli istituti e le scuole di  formazione  in  relazione  all'ammissione  ai  corsi  stessi  del personale femminile.
 |  |  |  | Art. 35. Divieto di licenziamento per causa di matrimonio
 
 (legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)
 
 1.  Le  clausole  di  qualsiasi  genere,  contenute  nei  contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione  del  rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.
 2.  Del  pari  nulli  sono  i  licenziamenti  attuati  a  causa  di matrimonio.
 3.   Salvo   quanto   previsto  dal  comma 5,  si  presume  che  il licenziamento  della  dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione,  a  un  anno  dopo  la  celebrazione  stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
 4.  Sono  nulle  le  dimissioni  presentate  dalla  lavoratrice nel periodo  di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.
 5.  Al  datore  di  lavoro  e'  data  facolta'  di  provare  che il licenziamento  della  lavoratrice,  avvenuto  nel  periodo  di cui al comma 3,  e'  stato  effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
 a) colpa  grave  da  parte  della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
 b) cessazione dell'attivita' dell'azienda cui essa e' addetta;
 c) ultimazione  della  prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
 6.  Con il provvedimento che dichiara la nullita' dei licenziamenti di  cui  ai commi 1, 2, 3 e 4 e' disposta la corresponsione, a favore della  lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.
 7.  La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere  dal  contratto,  ha  diritto al trattamento previsto per le dimissioni  per  giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
 8.  A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell'invito.
 9.  Le  disposizioni  precedenti  si applicano sia alle lavoratrici dipendenti  da  imprese  private  di qualsiasi genere, escluse quelle addette  ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti  pubblici,  salve  le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.
 |  |  |  | Art. 36. Legittimazione processuale
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 4 e 5)
 
 1.  Chi  intende  agire  in  giudizio  per  la  dichiarazione delle discriminazioni  ai sensi dell'articolo 25 e non ritiene di avvalersi delle  procedure  di conciliazione previste dai contratti collettivi, puo'  promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410  del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo 66  del  decreto  legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera  o  il  consigliere  di  parita'  provinciale o regionale territorialmente competente.
 2.  Ferme  restando  le  azioni in giudizio di cui all'articolo 37, commi  2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parita' provinciali e regionali  competenti  per  territorio  hanno  facolta'  di ricorrere innanzi  al  tribunale  in  funzione  di  giudice del lavoro o, per i rapporti    sottoposti   alla   sua   giurisdizione,   al   tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona  che  vi  ha  interesse,  ovvero  di  intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.
 
 
 
 Note all'art. 36:
 - L'art.  410  del  codice  di  procedura  civile cosi'
 recita:
 «Art.  410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). -
 Chi  intende  proporre  in giudizio una domanda relativa ai
 rapporti  previsti dall'art. 409 e non ritiene di avvalersi
 delle  procedure  di conciliazione previste dai contratti e
 accordi   collettivi   deve   promuovere,   anche   tramite
 l'associazione  sindacale  alla quale aderisce o conferisca
 mandato,   il   tentativo   di   conciliazione   presso  la
 commissione  di conciliazione individuata secondo i criteri
 di cui all'art. 413.
 La  comunicazione  della  richiesta di espletamento del
 tentativo  di  conciliazione  interrompe  la prescrizione e
 sospende,  per  la  durata del tentativo di conciliazione e
 per  i  venti  giorni  successivi  alla sua conclusione, il
 decorso di ogni termine di decadenza.
 La   commissione,   ricevuta   la  richiesta  tenta  la
 conciliazione  della controversia, convocando le parti, per
 una   riunione  da  tenersi  non  oltre  dieci  giorni  dal
 ricevimento della richiesta.
 Con    provvedimento    del    direttore   dell'ufficio
 provinciale  del  lavoro  e  della  massima  occupazione e'
 istituita  in  ogni  provincia presso l'ufficio provinciale
 del  lavoro  e  della  massima occupazione, una commissione
 provinciale   di   conciliazione   composta  dal  direttore
 dell'ufficio  stesso,  o da un suo delegato, in qualita' di
 presidente,   da  quattro  rappresentanti  effettivi  e  da
 quattro  supplenti  dei  datori  di  lavoro  e  da  quattro
 rappresentanti   effettivi   e  da  quattro  supplenti  dei
 lavoratori,   designati   dalle  rispettive  organizzazioni
 sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
 Commissioni  di conciliazione possono essere istituite,
 con  le  stesse modalita' e con la medesima composizione di
 cui  al  precedente  comma,  anche presso le sezioni zonali
 degli   uffici  provinciali  del  lavoro  e  della  massima
 occupazione.
 Le  commissioni,  quando  se  ne ravvisi la necessita',
 affidano   il   tentativo   di   conciliazione   a  proprie
 sottocommissioni,  presiedute  dal  direttore  dell'ufficio
 provinciale  del lavoro e della massima occupazione o da un
 suo  delegato  che rispecchino la composizione prevista dal
 precedente terzo comma.
 In  ogni  caso  per  la  validita'  della  riunione  e'
 necessaria  la  presenza  del  presidente  e  di  almeno un
 rappresentante   dei   datori   di  lavoro  e  di  uno  dei
 lavoratori.
 Ove la riunione della commissione non sia possibile per
 la  mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al
 precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale dei
 lavoro certifica l'impossibilita' di procedere al tentativo
 di conciliazione.».
 - L'art.  66  del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
 165, cosi' recita:
 «Art.  66  (Collegio di conciliazione) (Art. 69-bis del
 decreto  legislativo  n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 32
 del  decreto  legislativo  n. 80 del 1998 e successivamente
 modificato  dall'art.  19, comma 7, del decreto legislativo
 n.  387  del  1998).  -  1. Ferma  restando la facolta' del
 lavoratore  di  avvalersi  delle procedure di conciliazione
 previste    dai    contratti   collettivi,   il   tentativo
 obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 65 si svolge,
 con  le  procedure  di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un
 collegio  di  conciliazione  istituito  presso la Direzione
 provinciale  del  lavoro  nella cui circoscrizione si trova
 l'ufficio  cui il lavoratore e' addetto, ovvero era addetto
 al  momento  della  cessazione  del  rapporto.  Le medesime
 procedure  si  applicano,  in  quanto  compatibili,  se  il
 tentativo  di  conciliazione  e'  promosso  dalla  pubblica
 amministrazione.  Il  collegio di conciliazione e' composto
 dal  direttore della Direzione o da un suo delegato, che lo
 presiede,  da  un  rappresentante  del  lavoratore  e da un
 rappresentante dell'amministrazione.
 2.   La   richiesta  del  tentativo  di  conciliazione,
 sottoscritta  dal  lavoratore, e' consegnata alla Direzione
 presso  la  quale e' istituito il collegio di conciliazione
 competente  o  spedita  mediante raccomandata con avviso di
 ricevimento. Copia della richiesta deve essere consegnata o
 spedita  a cura dello stesso lavoratore all'amministrazione
 di appartenenza.
 3. La richiesta deve precisare:
 a) l'amministrazione  di  appartenenza e la sede alla
 quale il lavoratore e' addetto;
 b) il   luogo   dove   gli  devono  essere  fatte  le
 comunicazioni inerenti alla procedura;
 c) l'esposizione  sommaria  dei fatti e delle ragioni
 poste a fondamento della pretesa;
 d) la  nomina del proprio rappresentante nel collegio
 di  conciliazione  o  la  delega  per la nomina medesima ad
 un'organizzazione sindacale.
 4.  Entro  trenta  giorni  dal  ricevimento della copia
 della  richiesta, l'amministrazione, qualora non accolga la
 pretesa   del  lavoratore,  deposita  presso  la  Direzione
 osservazioni  scritte.  Nello stesso atto nomina il proprio
 rappresentante  in seno al collegio di conciliazione. Entro
 i  dieci giorni successivi al deposito, il Presidente fissa
 la   comparizione   delle   parti   per   il  tentativo  di
 conciliazione.  Dinanzi  al  collegio  di conciliazione, il
 lavoratore  puo'  farsi  rappresentare o assistere anche da
 un'organizzazione  cui  aderisce  o conferisce mandato. Per
 l'amministrazione  deve  comparire  un  soggetto munito del
 potere di conciliare.
 5.  Se  la conciliazione riesce, anche limitatamente ad
 una  parte  della  pretesa  avanzata  dal lavoratore, viene
 redatto  separato processo verbale sottoscritto dalle parti
 e  dai componenti del collegio di conciliazione. Il verbale
 costituisce  titolo  esecutivo.  Alla  conciliazione non si
 applicano  le  disposizioni  dell'art.  2113,  commi primo,
 secondo e terzo del codice civile.
 6.  Se  non  si  raggiunge  l'accordo  tra le parti, il
 collegio  di  conciliazione deve formulare una proposta per
 la  bonaria  definizione della controversia. Se la proposta
 non  e'  accettata,  i  termini  di essa sono riassunti nel
 verbale  con  indicazione  delle valutazioni espresse dalle
 parti.
 7.  Nel  successivo  giudizio  sono acquisiti, anche di
 ufficio,    i   verbali   concernenti   il   tentativo   di
 conciliazione   non   riuscito.   Il   giudice   valuta  il
 comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai
 fini del regolamento delle spese.
 8.   La  conciliazione  della  lite  da  parte  di  chi
 rappresenta  la  pubblica amministrazione, in adesione alla
 proposta  formulata  dal collegio di cui al comma 1, ovvero
 in  sede  giudiziale  ai  sensi dell'art. 420, commi primo,
 secondo  e  terzo, del codice di procedura civile, non puo'
 dar luogo a responsabilita' amministrativa.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 37. Legittimazione processuale a tutela di piu' soggetti
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 7, 8, 9, 10 e 11)
 
 1.  Qualora  le consigliere o i consiglieri di parita' regionali e, nei  casi  di  rilevanza  nazionale,  la consigliera o il consigliere nazionale   rilevino  l'esistenza  di  atti,  patti  o  comportamenti discriminatori  diretti  o  indiretti  di carattere collettivo, anche quando  non  siano  individuabili  in  modo  immediato  e  diretto le lavoratrici  o  i  lavoratori  lesi  dalle  discriminazioni, prima di promuovere  l'azione  in  giudizio  ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere  all'autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione  delle  discriminazioni  accertate  entro  un  termine  non superiore  a  centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta  in  essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali  ovvero,  in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle  organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.  Se  il  piano  e' considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni,  la consigliera o il consigliere di parita' promuove il  tentativo  di  conciliazione  ed  il  relativo  verbale, in copia autenticata,  acquista  forza  di  titolo  esecutivo  con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro.
 2. Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al  comma  1,  le consigliere o i consiglieri di parita', qualora non ritengano  di  avvalersi  della  procedura di conciliazione di cui al medesimo  comma  o  in  caso  di esito negativo della stessa, possono proporre  ricorso  davanti  al  tribunale  in funzione di giudice del lavoro  o  al  tribunale  amministrativo  regionale  territorialmente competenti.
 3.  Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a provvedere, se  richiesto,  al  risarcimento  del  danno  anche non patrimoniale, ordina  all'autore  della  discriminazione  di  definire  un piano di rimozione  delle  discriminazioni  accertate,  sentite,  nel  caso si tratti  di  datore  di  lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero,   in  loro  mancanza,  gli  organismi  locali  aderenti  alle organizzazioni  sindacali  di  categoria maggiormente rappresentative sul  piano  nazionale,  nonche'  la  consigliera  o il consigliere di parita'  regionale  competente  per  territorio o la consigliera o il consigliere  nazionale.  Nella  sentenza  il giudice fissa i criteri, anche   temporali,   da  osservarsi  ai  fini  della  definizione  ed attuazione del piano.
 4.  Ferma  restando l'azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parita' possono proporre ricorso in  via  d'urgenza  davanti  al  tribunale in funzione di giudice del lavoro  o  al  tribunale  amministrativo  regionale  territorialmente competenti. Il giudice adito, nei due giorni successivi, convocate le parti  e  assunte  sommarie  informazioni, ove ritenga sussistente la violazione  di  cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche  non  patrimoniale,  nei  limiti  della  prova  fornita, ordina all'autore  della  discriminazione  la  cessazione  del comportamento pregiudizievole  e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione  ed  attuazione  da parte del responsabile di un piano di rimozione  delle  medesime.  Si applicano in tal caso le disposizioni del  comma  3.  Contro  il  decreto e' ammessa, entro quindici giorni dalla  comunicazione  alle  parti,  opposizione  avanti alla medesima autorita'  giudiziaria  territorialmente  competente,  che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
 5.  L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3, al decreto di cui  al  comma 4 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio di opposizione  e' punita con le pene di cui all'artico1o 650 del codice penale  e  comporta altresi' il pagamento di una somma di 51 euro per ogni  giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento da versarsi al  Fondo  di  cui  all'articolo  18  e la revoca dei benefici di cui all'articolo 41, comma 1.
 
 
 
 Nota all'art. 37:
 - L'art. 650 del codice penale cosi' recita:
 «Art.      650 (Inosservanza      dei     provvedimenti
 dell'autorita).  -  Chiunque  non  osserva un provvedimento
 legalmente  dato  dall'autorita' per ragione di giustizia o
 di  sicurezza  pubblica  o d'ordine pubblico o d'igiene, e'
 punito,  se  il  fatto non costituisce un piu' grave reato,
 con  l'arresto  fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire
 quattrocentomila.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 38. Provvedimento avverso le discriminazioni
 
 (legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 15; legge 10 aprile 1991, n.
 125, articolo 4, comma 13)
 
 1.  Qualora vengano posti in essere comportamenti diretti a violare le  disposizioni  di cui all'articolo 27, commi 1, 2, 3 e 4, e di cui all'articolo  5  della  legge 9 dicembre 1977, n. 903, su ricorso del lavoratore  o  per  sua delega delle organizzazioni sindacali o della consigliera  o  del  consigliere  di  parita' provinciale o regionale territorialmente  competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove e' avvenuto il comportamento denunziato, nei due giorni   successivi,   convocate   le   parti   e   assunte  sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale,  nei  limiti della prova fornita, ordina all'autore del comportamento  denunciato,  con  decreto  motivato  ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
 2.  L'efficacia esecutiva del decreto non puo' essere revocata fino alla  sentenza  con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma seguente.
 3.  Contro  il  decreto  e'  ammessa  entro  quindici  giorni dalla comunicazione  alle  parti  opposizione davanti al giudice che decide con  sentenza  immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
 4.  L'inottemperanza  al  decreto  di  cui  al  primo  comma o alla sentenza  pronunciata  nel giudizio di opposizione e' punita ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.
 5.  Ove  le  violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici  si  applicano  le  norme previste in materia di sospensione dell'atto  dall'articolo  21,  ultimo  comma,  della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
 6.  Ferma  restando  l'azione  ordinaria, le disposizioni di cui ai commi  da 1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione individuale in giudizio  promossa  dalla  persona  che  vi  abbia interesse o su sua delega  da  un'organizzazione  sindacale  o  dalla  consigliera o dal consigliere provinciale o regionale di parita'.
 
 
 
 Note all'art. 38:
 - Le   disposizioni   di   cui   all'art.  5,  comma 2,
 lettera a)  e b)  della  legge 9 dicembre 1977, n. 903 sono
 ora  contenute  nell'art.  53 del testo unico approvato con
 decreto  legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il cui testo si
 riporta:
 "Art.  53  (Lavoro notturno) (Legge 9 dicembre 1977, n.
 903, commi 1 e 2, lettere a) e b)). - 1. E' vietato adibire
 le   donne   al   lavoro,   dalle   ore   24  alle  ore  6,
 dall'accertamento   dello   stato  di  gravidanza  fino  al
 compimento di un anno di eta' del bambino.
 2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
 a) la   lavoratrice   madre  di  un  figlio  di  eta'
 inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre
 convivente con la stessa;
 b) la  lavoratrice  o  il  lavoratore che sia l'unico
 genitore  affidatario  di  un  figlio  convivente  di  eta'
 inferiore a dodici anni.
 3.  Ai  sensi  dell'art.  5, comma 2, lettera c), della
 legge  9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresi' obbligati
 a  prestare  lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore
 che  abbia  a  proprio carico un soggetto disabile ai sensi
 della   legge   5  febbraio  1992,  n.  104,  e  successive
 modificazioni.".
 -  L'art.  413  del  codice  di  procedura civile e' di
 seguito riportato:
 "Art.  413  (Giudice  competente).  - Le controversie
 previste  dall'art.  409  sono in primo grado di competenza
 del tribunale in funzione di giudice del lavoro.
 Competente  per  territorio  e'  il  giudice  nella cui
 circoscrizione   e'  sorto  il  rapporto  ovvero  si  trova
 l'azienda  o  una  sua  dipendenza alla quale e' addetto il
 lavoratore  o presso la quale egli prestava la sua opera al
 momento della fine del rapporto.
 Tale   competenza   permane   dopo   il   trasferimento
 dell'azienda   o   la   cessazione  di  essa  o  della  sua
 dipendenza,  purche' la domanda sia proposta entro sei mesi
 dal trasferimento o dalla cessazione.
 Competente  per territorio per le controversie previste
 dal  numero  3)  dell'art.  409  e'  il  giudice  nella cui
 circoscrizione  si  trova  il  domicilio  dell'agente,  del
 rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri
 rapporti  di  collaborazione  di  cui al predetto numero 3)
 dell'art. 409.
 Competente  per territorio per le controversie relative
 ai  rapporti  di  lavoro  alle  dipendenze  delle pubbliche
 amministrazioni  e'  il giudice nella cui circoscrizione ha
 sede  l'ufficio  al  quale  il  dipendente e' addetto o era
 addetto al momento della cessazione del rapporto.
 Nelle   controversie   nelle   quali   e'   parte   una
 Amministrazione   dello   Stato   non   si   applicano   le
 disposizioni dell'art. 6 del regio decreto 30 ottobre 1933,
 n. 1611.
 Qualora  non  trovino  applicazione le disposizioni dei
 commi precedenti, si applicano quelle dell'art. 18.
 Sono  nulle le clausole derogative della competenza per
 territorio.".
 - Per  l'art.  650  del  codice penale, si veda la nota
 all'art. 37.
 - La  legge 6 dicembre 1971, n. 1034, reca "Istituzione
 del  tribunali  amministrativi  regionali" ed e' pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale 13 dicembre 1971, n. 314.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 39. Ricorso in via d'urgenza
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 14)
 
 1.  Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall'articolo 410  del  codice  di  procedura  civile non preclude la concessione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.
 
 
 
 Nota all'art. 39:
 -  Per  l'art.  410  del codice di procedura civile, si
 veda la nota all'art. 36.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 40. Onere della prova
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 6)
 
 1.  Quando  il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da  dati  di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi,   all'assegnazione   di   mansioni   e   qualifiche,  ai trasferimenti,  alla  progressione  in  carriera ed ai licenziamenti, idonei  a  fondare,  in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza  di  atti,  patti  o  comportamenti  discriminatori in ragione   del   sesso,   spetta  al  convenuto  l'onere  della  prova sull'insussistenza della discriminazione.
 |  |  |  | Art. 41. Adempimenti amministrativi e sanzioni
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 12; legge 9 dicembre
 1977, n. 903, articolo 16, comma 1)
 
 1.  Ogni accertamento di atti, patti o comportamenti discriminatori ai sensi degli articoli 25 e 26, posti in essere da soggetti ai quali siano  stati  accordati  benefici  ai sensi delle vigenti leggi dello Stato,  ovvero  che  abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione  di  opere  pubbliche,  di  servizi o forniture, viene comunicato  immediatamente  dalla  direzione  provinciale  del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata  disposta  la  concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca  del  beneficio e, nei casi piu' gravi o nel caso di recidiva, possono  decidere  l'esclusione  del  responsabile  per un periodo di tempo   fino  a  due  anni  da  qualsiasi  ulteriore  concessione  di agevolazioni  finanziarie  o  creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale  disposizione  si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione  accertata per l'adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni  del  presente  comma  non  si  applicano  nel  caso sia raggiunta  una  conciliazione  ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1.
 2.  L'inosservanza  delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi  1,  2  e  3,  28,  29,  30,  commi  1, 2, 3 e 4, e' punita con l'ammenda da 103 euro a 516 euro.
 |  |  |  | Art. 41-bis (Vittimizzazione).
 
 ((1.  La  tutela  giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresi', avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei  confronti  della  persona  lesa  da  una  discriminazione  o  di qualunque  altra  persona,  quale reazione ad una qualsiasi attivita' diretta   ad  ottenere  il  rispetto  del  principio  di  parita'  di trattamento tra uomini e donne.))
 |  |  |  | Art. 42. Adozione e finalita' delle azioni positive
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2)
 
 1.  Le  azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli  ostacoli  che  di  fatto  impediscono la realizzazione di pari opportunita',  nell'ambito  della  competenza statale, sono dirette a favorire   l'occupazione   femminile   e   realizzate   l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
 2.  Le  azioni  positive  di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
 a)   eliminare   le  disparita'  nella  formazione  scolastica  e professionale,   nell'accesso   al   lavoro,  nella  progressione  di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilita';
 b)  favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne   in   particolare   attraverso   l'orientamento  scolastico  e professionale e gli strumenti della formazione;
 c)  favorire  l'accesso  al  lavoro  autonomo  e  alla formazione imprenditoriale  e  la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
 d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti   con   pregiudizio   nella  formazione,  nell'avanzamento professionale  e  di  carriera  ovvero  nel  trattamento  economico e retributivo;
 e)  promuovere  l'inserimento  delle  donne  nelle attivita', nei settori   professionali   e   nei   livelli   nei   quali  esse  sono sottorappresentate  e  in  particolare  nei  settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilita';
 f)  favorire,  anche  mediante  una  diversa organizzazione del lavoro,  delle  condizioni  e  del  tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilita' familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilita' tra i due sessi.
 |  |  |  | Art. 43. Promozione delle azioni positive
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, comma 3)
 
 1.  Le  azioni  positive  di  cui  all'articolo 42  possono  essere promosse dal Comitato di cui all'articolo 8 e dalle consigliere e dai consiglieri  di  parita'  di  cui  all'articolo 12, dai centri per la parita'  e  le  pari  opportunita'  a  livello  nazionale,  locale  e aziendale,  comunque  denominati,  dai  datori  di  lavoro pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, delle organizzazioni sindacali   nazionali   e   territoriali,  anche  su  proposta  delle rappresentanze  sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi del personale di cui all'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
 
 
 
 Nota all'art. 43:
 - L'art.  42  del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
 165, cosi' reca:
 «Art. 42 (Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di
 lavoro) (Art. 47 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito
 dall'art.  6  dei  D.Lgs.  n.  396  del  1997).  - 1. Nelle
 pubbliche   amministrazioni   la   liberta'  e  l'attivita'
 sindacale   sono   tutelate   nelle  forme  previste  dalle
 disposizioni   della   legge  20 maggio  1970,  n.  300,  e
 successive modificazioni ed integrazioni. Fino a quando non
 vengano   emanate   norme   di   carattere  generale  sulla
 rappresentativita'    sindacale    che    sostituiscano   o
 modifichino     tali     disposizioni,     le     pubbliche
 amministrazioni,  in attuazione dei criteri di cui all'art.
 2,  comma 1,  lettera b),  della  legge 23 ottobre 1992, n.
 421,  osservano  le  disposizioni  seguenti  in  materia di
 rappresentativita'  delle  organizzazioni sindacali ai fini
 dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali
 nei  luoghi di lavoro e dell'esercizio della contrattazione
 collettiva.
 2.   In  ciascuna  amministrazione,  ente  o  struttura
 amministrativa   di   cui  al  comma 8,  le  organizzazioni
 sindacali  che,  in  base  ai  criteri  dell'art. 43, siano
 ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti
 collettivi,  possono  costituire  rappresentanze  sindacali
 aziendali  ai  sensi  dell'art.  19  e seguenti della legge
 20 maggio  1970,  n.  300,  e  successive  modificazioni ed
 integrazioni.   Ad   esse  spettano,  in  proporzione  alla
 rappresentativita', le garanzie previste dagli articoli 23,
 24 e 30 della medesima legge n. 300 del 1970, e le migliori
 condizioni derivanti dai contratti collettivi.
 3.   In  ciascuna  amministrazione,  ente  o  struttura
 amministrativa  di  cui  al  comma 8,  ad  iniziativa anche
 disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2,
 viene  altresi'  costituito,  con  le  modalita'  di cui ai
 commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del
 personale  mediante  elezioni  alle  quali  e' garantita la
 partecipazione di tutti i lavoratori.
 4.   Con   appositi   accordi  o  contratti  collettivi
 nazionali,  tra 1'ARAN e le confederazioni o organizzazioni
 sindacali  rappresentative  ai  sensi  dell'art.  43,  sono
 definite  la  composizione dell'organismo di rappresentanza
 unitaria  del  personale  e  le  specifiche modalita' delle
 elezioni,  prevedendo  in  ogni  caso  il  voto segreto, il
 metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione
 della  prorogabilita'. Deve essere garantita la facolta' di
 presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai
 criteri  dell'art. 43, siano ammesse alle trattative per la
 sottoscrizione  dei  contratti  collettivi,  anche ad altre
 organizzazioni   sindacali,  purche'  siano  costituite  in
 associazione  con  un  proprio  statuto  e  purche' abbiano
 aderito   agli   accordi   o   contratti   collettivi   che
 disciplinano  l'elezione e il funzionamento dell'organismo.
 Per  la  presentazione delle liste, puo' essere richiesto a
 tutte  le  organizzazioni sindacali promotrici un numero di
 firme  di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3
 per  cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni,
 enti  o strutture amministrative fino a duemila dipendenti,
 e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori.
 5.  I  medesimi  accordi o contratti collettivi possono
 prevedere  che,  alle  condizioni  di cui al comma 8, siano
 costituite  rappresentanze  unitarie del personale comuni a
 piu'  amministrazioni  o enti di modeste dimensioni ubicati
 nel  medesimo  territorio.  Essi possono altresi' prevedere
 che  siano  costituiti  organismi  di  coordinamento tra le
 rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni
 e  enti  con  pluralita'  di  sedi  o  strutture  di cui al
 comma 8.
 6.  I  componenti  della  rappresentanza  unitaria  del
 personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze
 sindacali  aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970, n.
 300,  e  successive  modificazioni  ed  integrazioni, e del
 presente  decreto.  Gli  accordi o contratti collettivi che
 regolano  l'elezione  e  il  funzionamento  dell'organismo,
 stabiliscono   i  criteri  e  le  modalita'  con  cui  sono
 trasferite   ai   componenti  eletti  della  rappresentanza
 unitaria   del   personale   le   garanzie  spettanti  alle
 rappresentanze  sindacali  aziendali  delle  organizzazioni
 sindacali  di  cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o
 vi aderiscano.
 7. I medesimi accordi possono disciplinare le modalita'
 con  le  quali  la  rappresentanza  unitaria  del personale
 esercita  in  via  esclusiva i diritti di informazione e di
 partecipazione  riconosciuti  alle rappresentanze sindacali
 aziendali dall'art. 9 o da altre disposizioni della legge e
 della  contrattazione  collettiva.  Essi  possono  altresi'
 prevedere  che, ai fini dell'esercizio della contrattazione
 collettiva  integrativa,  la  rappresentanza  unitaria  del
 personale    sia    integrata   da   rappresentanti   delle
 organizzazioni   sindacali   firmatari   e   del  contratto
 collettivo nazionale del comparto.
 8.  Salvo  che i contratti collettivi non prevedano, in
 relazione   alle   caratteristiche  del  comparto,  diversi
 criteri  dimensionali,  gli organismi di cui ai commi 2 e 3
 del   presente  articolo possono  essere  costituiti,  alle
 condizioni   previste  dai  commi precedenti,  in  ciascuna
 amministrazione   o   ente   che   occupi   oltre  quindici
 dipendenti.   Nel   caso  di  amministrazioni  o  enti  con
 pluralita'  di sedi o strutture periferiche, possono essere
 costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che
 siano  considerate  livelli  decentrati  di  contrattazione
 collettiva dai contratti collettivi nazionali.
 9.  Fermo  restando quanto previsto dal comma 2, per la
 costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi
 dell'art.   19  della  legge  20 maggio  1970,  n.  300,  e
 successive modificazioni ed integrazioni, la rappresentanza
 dei  dirigenti  nelle  amministrazioni,  enti  o  strutture
 amministrative  e'  disciplinata, in coerenza con la natura
 delle  loro  funzioni,  agli accordi o contratti collettivi
 riguardanti la relativa area contrattuale.
 10.   Alle   figure  professionali  per  le  quali  nel
 contratto   collettivo   del   comparto  sia  prevista  una
 disciplina  distinta  ai  sensi dell'art. 40, comma 2, deve
 essere  garantita  una adeguata presenza negli organismi di
 rappresentanza   unitaria  del  personale,  anche  mediante
 l'istituzione,    tenuto   conto   della   loro   incidenza
 quantitativa e del numero dei componenti dell'organismo, di
 specifici collegi elettorali.
 11.  Per  quanto  riguarda  i  diritti e le prerogative
 sindacali  delle  organizzazioni  sindacali delle minoranze
 linguistiche,  nell'ambito  della  provincia  di  Bolzano e
 della  regione  Valle  d'Aosta,  si applica quanto previsto
 dall'art.  9  del  decreto  del Presidente della Repubblica
 6 gennaio   1978,   n.   58,   e  dal  decreto  legislativo
 28 dicembre 1989, n. 430.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 44. Finanziamento
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 2, commi 1, 2, 4 e 5)
 
 1. A partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i datori   di  lavoro  pubblici  e  privati,  i  centri  di  formazione professionale   accreditati,   le   associazioni,  le  organizzazioni sindacali  nazionali  e  territoriali possono richiedere al Ministero del  lavoro  e  delle politiche sociali di essere ammessi al rimborso totale  o  parziale  di  oneri  finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al programma-obiettivo di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c).
 2.  Il  Ministro  del  lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato di cui all'articolo 8, ammette i progetti di azioni positive al  beneficio  di  cui  al  comma 1  e,  con lo stesso provvedimento, autorizza  le  relative  spese.  L'attuazione  dei progetti di cui al comma 1,  deve  comunque  avere  inizio  entro  due mesi dal rilascio dell'autorizzazione.
 3.  I  progetti  di  azioni  concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni   sindacali  maggiormente  rappresentative  sul  piano nazionale  hanno  precedenza  nell'accesso  al  beneficio  di  cui al comma 1.
 4.  L'accesso  ai  fondi comunitari destinati alla realizzazione di programmi  o  progetti  di azioni positive, ad eccezione di quelli di cui  all'articolo 45,  e'  subordinato  al parere del Comitato di cui all'articolo 8.
 |  |  |  | Art. 45. Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 3)
 
 1.  Al  finanziamento  dei  progetti  di  formazione finalizzati al perseguimento   dell'obiettivo   di   cui  all'articolo 42,  comma 1, autorizzati  secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della  legge 21 dicembre 1978, n. 845, ed approvati dal Fondo sociale europeo,  e'  destinata  una  quota  del Fondo di rotazione istituito dall'articolo 25  della  stessa  legge,  determinata  annualmente con deliberazione  del  Comitato  interministeriale per la programmazione economica.
 2.  La  finalizzazione  dei progetti di formazione al perseguimento dell'obiettivo  di  cui  all'articolo 42,  comma 1,  viene accertata, entro  il 31 marzo dell'anno in cui l'iniziativa deve essere attuata, dalla  commissione  regionale  per  l'impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all'articolo 8.
 3.  La  quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 e' ripartita tra  le  regioni in misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati.
 
 
 
 Nota all'art. 45:
 - Gli  articoli 25,  26  e  27  della legge 21 dicembre
 1978,   n.   845,  recante:  «Legge-quadro  in  materia  di
 formazione professionale», sono di seguito riportati:
 «Art.  25 (Istituzione di un Fondo di rotazione). - Per
 favorire  l'accesso  al  Fondo  sociale  europeo e al Fondo
 regionale  europeo  dei progetti realizzati dagli organismi
 di  cui  all'articolo  precedente,  e' istituito, presso il
 Ministero  del  lavoro  e  della  previdenza  sociale,  con
 l'amministrazione  autonoma  e  gestione fuori bilancio, ai
 sensi dell'art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041, un
 Fondo di rotazione.
 Per  la  costituzione  del  Fondo  di rotazione, la cui
 dotazione  e'  fissata  in lire 100 miliardi, si provvede a
 carico  del  bilancio  dello  Stato con l'istituzione di un
 apposito  capitolo  di  spesa nello stato di previsione del
 Ministero  del lavoro e della previdenza sociale per l'anno
 1979.
 A  decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio
 1979,  le aliquote contributive di cui ai numeri da 1) a 5)
 dell'art.   20  del  decreto-legge  2 marzo  1974,  n.  30,
 convertito,  con modificazioni, nella legge 16 aprile 1974,
 n.  114,  e  modificato  dall'art.  11 della legge 3 giugno
 1975, n. 160, sono ridotte:
 1) dal 4,45 al 4,15 per cento;
 2) dal 4,45 al 4,15 per cento;
 3) dai 3,05 al 2,75 per cento;
 4) dal 4,30 al 4 per cento;
 5) dal 6,50 al 6,20 per cento.
 Con  la  stessa  decorrenza  l'aliquota  del contributo
 integrativo  dovuto per l'assicurazione obbligatoria contro
 la  disoccupazione involontaria ai sensi dell'art. 12 della
 legge  3 giugno  1975,  n. 160, e' aumentata in misura pari
 allo 0,30 per cento delle retribuzioni soggette all'obbligo
 contributivo.
 I   due   terzi   delle   maggiori   entrate  derivanti
 dall'aumento    contributivo    di    cui   al   precedente
 comma affluiscono  al  Fondo  di  rotazione.  Il versamento
 delle  somme  dovute  al  Fondo e' effettuato dall'Istituto
 nazionale   della   previdenza   sociale  con  periodicita'
 trimestrale.
 La  parte  di disponibilita' del Fondo di rotazione non
 utilizzata  al termine di ogni biennio, a partire da quello
 successivo  alla  data  di entrata in vigore della presente
 legge,  rimane  acquisita alla gestione per l'assicurazione
 obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.
 Alla   copertura   dell'onere  di  lire  100  miliardi,
 derivante    dall'applicazione    della    presente   legge
 nell'esercizio  finanziario  1979, si fara' fronte mediante
 corrispondente  riduzione  dello  stanziamento del capitolo
 9001  dello  stato  di previsione della spesa del Ministero
 del tesoro per l'anno finanziario anzidetto.
 Il Ministro del tesoro e' autorizzato ad apportare, con
 propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
 Le  somme  di  cui  ai  commi precedenti affluiscono in
 apposito  conto  corrente  infruttifero  aperto  presso  la
 tesoreria  centrale  e  denominato  «Ministero del lavoro e
 della  previdenza  sociale  -  somme destinate a promuovere
 l'accesso  al Fondo sociale europeo dei progetti realizzati
 dagli  organismi  di  cui  all'art.  8  della decisione del
 consiglio  delle  Comunita' europee numero 71/66/CEE del 1°
 febbraio 1971, modificata dalla decisione n. 77/801/CEE del
 20 dicembre 1977.».
 «Art.   26   (Finanziamento  integrativo  dei  progetti
 speciali).  -  Un  terzo  delle  maggiori entrate derivanti
 dall'aumento     contributivo     di    cui    al    quarto
 comma dell'articolo precedente   e'  versato  dall'Istituto
 nazionale   della   previdenza  sociale,  con  periodicita'
 trimestrale,   in   un  conto  corrente  aperto  presso  la
 tesoreria   centrale   dello   Stato,   per  la  successiva
 acquisizione    all'entrata    del   bilancio   statale   e
 contemporanea  iscrizione  ad  apposito  capitolo  di spesa
 dello  stato di previsione del Ministero del lavoro e della
 previdenza  sociale,  al fine di integrare il finanziamento
 dei  progetti  speciali  di cui all'art. 36 del decreto del
 Presidente   della   Repubblica  24 luglio  1977,  n.  616,
 eseguiti dalle regioni, per ipotesi di rilevante squilibrio
 locale  tra  domanda ed offerta di lavoro, nei territori di
 cui  all'art.  1  del testo unico approvato con decreto del
 Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218.
 La  dotazione di cui al comma precedente e' gestita con
 amministrazione  autonoma fuori bilancio ai sensi dell'art.
 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041.
 Il Ministro del tesoro e' autorizzato ad apportare, con
 propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.».
 «Art.  27  (Erogazione  dei finanziamenti). - A seguito
 dell'approvazione  da  parte  del Fondo sociale europeo dei
 singoli  progetti,  con  decreto  del Ministro del lavoro e
 della  previdenza  sociale, di concerto con il Ministro del
 tesoro,  e'  stabilito,  anche  sotto  forma di acconti, il
 contributo  a  carico  del  Fondo  di  rotazione  di cui al
 precedente art. 25 a favore degli organismi di cui all'art.
 24, primo comma.
 Con  decreto del Ministro del lavoro e della previdenza
 sociale,  di  concerto  con  il  Ministro  del  tesoro,  e'
 disposta  l'erogazione, a favore delle regioni interessate,
 dei contributi di cui al primo comma dell'art. 26.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 46. Rapporto sulla situazione del personale
 
 (legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4)
 
 1.  Le  aziende  pubbliche  e  private  che  occupano  oltre  cento dipendenti  sono  tenute  a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla  situazione  del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni   ed   in  relazione  allo  stato  di  assunzioni,  della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di  categoria  o  di  qualifica,  di  altri  fenomeni  di  mobilita', dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei    prepensionamenti    e    pensionamenti,   della   retribuzione effettivamente corrisposta.
 2.  Il  rapporto di cui al comma 1 e' trasmesso alle rappresentanze sindacali  aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parita'.
 3.  Il rapporto e' redatto in conformita' alle indicazioni definite nell'ambito  delle  specificazioni di cui al comma 1 dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto.
 4.  Qualora,  nei  termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non  trasmettano  il  rapporto,  la  Direzione  regionale del lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse  a provvedere entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza si  applicano  le  sanzioni  di  cui  all'articolo 11 del decreto del Presidente  della  Repubblica  19  marzo  1955, n. 520. Nei casi piu' gravi  puo'  essere  disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall'azienda.
 
 
 
 Nota all'art. 46:
 - L'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica
 19 marzo 1955, n. 520, e' di seguito riportato:
 «Art.  11.  -  1.  Le  inosservanze  delle disposizioni
 legittimamente  impartite  dagli  ispettori  nell'esercizio
 delle   loro   funzioni   sono   punite   con  la  sanzione
 amministrativa  da  lire  duecentomila  a  lire  un milione
 quando  per  tali  inosservanze non siano previste sanzioni
 diverse da altre leggi.
 2.  Si  applica  la  pena dell'arresto fino a un mese o
 dell'ammenda  fino  a  lire ottocentomila se l'inosservanza
 riguarda  disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro
 in materia di sicurezza o igiene del lavoro.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 47. Richieste  di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive
 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 10, comma 1)
 
 1.  Il  Ministro  del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con   i   Ministri   dell'economia  e  delle  finanze  e  delle  pari opportunita'  e  su  indicazione  del Comitato di cui all'articolo 8, determina,  con apposito decreto, eventuali modifiche nelle modalita' di  presentazione  delle  richieste  di cui all'articolo 45, comma 1, nelle  procedure  di valutazione di verifica e di erogazione, nonche' nei  requisiti  di  onorabilita'  che  i  soggetti richiedenti devono possedere.
 2.  La  mancata  attuazione  del progetto comporta la decadenza dal beneficio  e la restituzione delle somme eventualmente gia' riscosse. In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte  non  attuata,  la  cui  valutazione  e'  effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al comma 1.
 |  |  |  | Art. 48. Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni
 
 (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 7, comma 5)
 
 1.  Ai  sensi  degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57,  comma 1,  del  decreto  legislativo  30 marzo  2001,  n. 165, le amministrazioni  dello  Stato,  anche  ad  ordinamento  autonomo,  le province,  i  comuni e gli altri enti pubblici non economici, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall'articolo 42 del decreto legislativo   30 marzo   2001,   n.   165  ovvero,  in  mancanza,  le organizzazioni  rappresentative  nell'ambito del comparto e dell'area di  interesse,  sentito  inoltre,  in  relazione alla sfera operativa della  rispettiva attivita', il Comitato di cui all'articolo 10, e la consigliera o il consigliere nazionale di parita', ovvero il Comitato per   le  pari  opportunita'  eventualmente  previsto  dal  contratto collettivo   e   la   consigliera   o   il   consigliere  di  parita' territorialmente  competente,  predispongono piani di azioni positive tendenti  ad  assicurare,  nel  loro  ambito rispettivo, la rimozione degli  ostacoli  che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari  opportunita'  di  lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani,  fra  l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei   settori  e  nei  livelli  professionali  nei  quali  esse  sono sottorappresentate,  ai  sensi dell'articolo 42, comma 2, lettera d), favoriscono  il riequilibrio della presenza femminile nelle attivita' e  nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi.
 A   tale   scopo,  in  occasione  tanto  di  assunzioni  quanto  di promozioni,   a  fronte  di  analoga  qualificazione  e  preparazione professionale  tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato  di  sesso  maschile  e'  accompagnata  da  un'esplicita ed adeguata  motivazione.  I  piani  di  cui  al presente articolo hanno durata   triennale.   In  caso  di  mancato  adempimento  si  applica l'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
 2.   Resta   fermo   quanto   disposto   dall'articolo 57,  decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
 
 
 
 Nota all'art. 48:
 - Il  decreto  legislativo  30 marzo 2001, n. 165, reca
 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze
 delle  amministrazioni  pubbliche»  ed  e' pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale 9 maggio 2001, n. 106, S.O.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 49. Azioni positive nel settore radiotelevisivo
 
 (legge 6 agosto 1990, n. 223, articolo 11)
 
 1.  La  concessionaria  pubblica  e  i concessionari privati per la radiodiffusione  sonora  o televisiva in ambito nazionale, promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparita' tra i due sessi  in  sede  di  assunzioni,  organizzazione  e distribuzione del lavoro, nonche' di assegnazione di posti di responsabilita'.
 2.  I  concessionari  di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto  sulla  situazione  del  personale  maschile  e femminile in relazione  allo  stato  delle  assunzioni,  della  formazione,  della promozione professionale, dei livelli e della remunerazione effettiva da  trasmettere  alla Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II, capo II.
 |  |  |  | Art. 50. Misure a sostegno della flessibilita' di orario
 
 1.  Le misure a sostegno della flessibilita' di orario, finalizzate a  promuovere  e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa  volte  a  conciliare  tempo  di  vita  e  di lavoro, sono disciplinate dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.
 
 
 
 Nota all'art. 50:
 - Si  riporta  di  seguito  il  testo dell'art. 9 della
 legge  8 marzo  2000,  n.  53, recante «Disposizioni per il
 sostegno  della  maternita'  e  della  paternita',  per  il
 diritto  alla cura e alla formazione e per il coordinamento
 dei tempi delle citta»:
 «Art.  9  (Misure  a  sostegno  della  flessibilita' di
 orario).  - 1. Al fine di promuovere e incentivare forme di
 articolazione   della   prestazione   lavorativa   volte  a
 conciliare tempo di vita e di lavoro, nell'ambito del Fondo
 per   l'occupazione   di   cui  all'art.  1,  comma 7,  del
 decreto-legge  20 maggio  1993,  n.  148,  convertito,  con
 modificazioni,  dalla  legge  19 luglio  1993,  n.  236, e'
 destinata  una  quota  fino  a  lire  40  miliardi  annue a
 decorrere dall'anno 2000, al fine di erogare contributi, di
 cui  almeno  il  50  per  cento destinato ad imprese fino a
 cinquanta  dipendenti,  in favore di aziende che applichino
 accordi  contrattuali  che prevedono azioni positive per la
 flessibilita', ed in particolare:
 a) progetti    articolati    per    consentire   alla
 lavoratrice  madre  o al lavoratore padre, anche quando uno
 dei  due  sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in
 affidamento  o  in  adozione  un  minore,  di  usufruire di
 particolari   forme   di   flessibilita'   degli   orari  e
 dell'organizzazione   del   lavoro,   tra   cui   part-time
 reversibile,   telelavoro  e  lavoro  a  domicilio,  orario
 flessibile  in  entrata  o  in  uscita,  banca  delle  ore,
 flessibilita'  sui turni, orario concentrato, con priorita'
 per  i  genitori  che  abbiano bambini fino ad otto anni di
 eta'  o  fino  a  dodici  anni, in caso di affidamento o di
 adozione;
 b) programmi  di  formazione per il reinserimento dei
 lavoratori dopo il periodo di congedo;
 e) progetti   che   consentano  la  sostituzione  del
 titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici
 del  periodo  di  astensione  obbligatoria  o  dei  congedi
 parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo.
 2.   Con  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  della
 previdenza  sociale,  di  concerto  con  i  Ministri per la
 solidarieta'  sociale  e  per  le  pari  opportunita', sono
 definiti  i  criteri  e le modalita' per la concessione dei
 contributi di cui al comma 1.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 50-bis 
 (( (Prevenzione delle discriminazioni).
 1.  I contratti collettivi possono prevedere misure specifiche, ivi compresi  codici  di  condotta,  linee  guida  e  buone  prassi,  per prevenire   tutte   le   forme  di  discriminazione  sessuale  e,  in particolare, le molestie e le molestie sessuali nel luogo del lavoro, nelle  condizioni  di  lavoro,  nonche'  nella  formazione e crescita professionale.))
 |  |  |  | Art. 51. Tutela e sostegno della maternita' e paternita'
 
 1.  La  tutela  ed  il  sostegno  della  maternita' e paternita' e' disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
 
 
 
 Nota all'art. 51:
 - Il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante
 «Testo  unico  delle disposizioni legislative in materia di
 tutela  e  sostegno  della maternita' e della paternita', a
 norma  dell'art.  15  della  legge 8 marzo 2000, n. 53», e'
 pubblicato  nella Gazzetta Ufficiale 26 aprile 2001, n. 96,
 S.O.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 52. Principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile 
 (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 1, commi 1 e 2)
 
 1.  Il  presente capo indica i principi generali volti a promuovere l'uguaglianza  sostanziale  e le pari opportunita' tra uomini e donne nell'attivita'  economica  e  imprenditoriale,  e,  in particolare, i principi diretti a:
 a) favorire   la   creazione  e  lo  sviluppo  dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;
 b) promuovere  la  formazione  imprenditoriale  e  qualificare la professionalita' delle donne imprenditrici;
 c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;
 d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;
 e) promuovere   la  presenza  delle  imprese  a  conduzione  o  a prevalente  partecipazione femminile nei comparti piu' innovativi dei diversi settori produttivi.
 |  |  |  | Art. 53. Principi in materia di beneficiari delle azioni positive
 
 (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 2, comma 1)
 
 1.  I  principi  in  materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile si rivolgono ai seguenti soggetti:
 a) le  societa'  cooperative e le societa' di persone, costituite in  misura  non  inferiore  al  60 per cento da donne, le societa' di capitali  le  cui  quote  di  partecipazione  spettino  in misura non inferiore  ai  due  terzi  a  donne e i cui organi di amministrazione siano  costituiti per almeno i due terzi da donne, nonche' le imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori dell'industria, dell'artigianato,  dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi;
 b) le  imprese,  o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le societa'   di  promozione  imprenditoriale  anche  a  capitale  misto pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che  promuovono  corsi  di  formazione  imprenditoriale  o servizi di consulenza  e  di  assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a donne.
 |  |  |  | Art. 54. Fondo nazionale per l'imprenditoria femminile
 
 (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 3, comma 1)
 
 1.   A   valere  sulle  disponibilita'  del  Fondo,  istituito  con l'articolo  3,  comma  1,  della  legge 25 febbraio 1992, n. 215, con apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero delle  attivita'  produttive,  possono  essere  concesse  ai soggetti indicati  all'articolo  53,  comma  1,  lettera  a), nel rispetto dei principi   fondamentali   dell'ordinamento   anche   comunitario,  le agevolazioni previste dalla disciplina vigente:
 a)  per  impianti  ed  attrezzature  sostenute  per l'avvio o per l'acquisto  di  attivita' commerciali e turistiche o di attivita' nel settore   dell'industria,   dell'artigianato,  del  commercio  o  dei servizi,  nonche'  per i progetti aziendali connessi all'introduzione di  qualificazione  e  di  innovazione  di  prodotto,  tecnologica od organizzativa;
 b)  per  l'acquisizione  di  servizi  destinati all'aumento della produttivita',  all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie,  alla  ricerca  di  nuovi mercati per il collocamento dei prodotti,  all'acquisizione  di  nuove  tecniche  di  produzione,  di gestione e di commercializzazione, nonche' per lo sviluppo di sistemi di qualita'.
 2. Ai soggetti di cui all'articolo 53, comma 1, lettera b), possono essere  concesse agevolazioni per le spese sostenute per le attivita' ivi previste.
 
 
 
 Nota all'art. 54:
 -  L'art.  3  della  legge  25 febbraio  1992,  n. 215,
 recante  «Azioni positive per l'imprenditoria femminile» e'
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 marzo 1992, n. 56, e'
 di seguito riportato:
 «Art.    3    (Fondo    nazionale   per   lo   sviluppo
 dell'imprenditoria  femminile).  - 1. E' istituito il Fondo
 nazionale  per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, di
 seguito  denominato  «Fondo»,  con  apposito capitolo nello
 stato    di    previsione   della   spesa   del   Ministero
 dell'industria,   del   commercio  e  dell'artigianato.  La
 dotazione finanziaria del Fondo e' stabilita in lire trenta
 miliardi  per  il  triennio  1992-1994,  in ragione di lire
 dieci miliardi annui.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 55. Relazione al Parlamento
 
 (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 11)
 
 1.  Il  Ministro  delle  attivita'  produttive verifica lo stato di attuazione  dei  principi di cui al presente capo, presentando a tale fine una relazione annuale al Parlamento.
 |  |  |  | Art. 55-bis (3) ((Nozioni di discriminazione ))
 
 ((  1.  Sussiste  discriminazione  diretta,  ai  sensi del presente titolo,  quando,  a causa del suo sesso, una persona e' trattata meno favorevolmente  di  quanto  sia  stata  o  sarebbe  trattata un'altra persona in una situazione analoga.
 2.  Sussiste  discriminazione  indiretta,  ai  sensi  del  presente titolo,   quando   una   disposizione,   un  criterio  o  una  prassi apparentemente  neutri  possono  mettere le persone di un determinato sesso  in  una posizione di particolare svantaggio rispetto a persone dell'altro  sesso,  a  meno  che tale disposizione, criterio o prassi siano  oggettivamente  giustificati  da  una  finalita' legittima e i mezzi   impiegati  per  il  conseguimento  di  tale  finalita'  siano appropriati e necessari.
 3.  Ogni  trattamento  meno favorevole della donna in ragione della gravidanza e della maternita' costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo.
 4.  Sono  considerate  come  discriminazioni, ai sensi del presente titolo,  anche  le  molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, fondati sul sesso, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignita'  di una persona e la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
 5.  Sono  considerate  come  discriminazioni, ai sensi del presente titolo,   anche  le  molestie  sessuali,  ovvero  quei  comportamenti indesiderati  con  connotazioni  sessuali, espressi a livello fisico, verbale  o  non verbale, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della  dignita' di una persona, in particolare con la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
 6. L'ordine di discriminare persone direttamente o indirettamente a motivo  del  sesso  e'  considerato una discriminazione, ai sensi del presente titolo.
 7. Non costituiscono discriminazione, ai sensi del presente titolo, le  differenze  di  trattamento  nella  fornitura  di  beni e servizi destinati esclusivamente o principalmente a persone di un solo sesso, qualora  siano  giustificate  da  finalita'  legittime perseguite con mezzi appropriati e necessari.))
 |  |  |  | Art. 55-ter (3) ((Divieto di discriminazione))
 
 ((  1.  E' vietata ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura.
 2.  Il  divieto  di  cui  al comma 1 si applica a tutti i soggetti, pubblici   e  privati,  fornitori  di  beni  e  servizi  che  sono  a disposizione  del  pubblico  e che sono offerti al di fuori dell'area della vita privata e familiare e delle transazioni ivi effettuate.
 3. Sono escluse dall'ambito di applicazione del comma 1 le seguenti aree:
 a)  impiego  e occupazione, anche nell'ambito del lavoro autonomo nella misura in cui sia applicabile una diversa disciplina;
 b) contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicita';
 c) istruzione pubblica e privata.
 4. Resta impregiudicata la liberta' contrattuale delle parti, nella misura  in  cui  la scelta del contraente non si basa sul sesso della persona.
 5.  Sono  impregiudicate  le  disposizioni  piu'  favorevoli  sulla protezione   della   donna   in  relazione  alla  gravidanza  e  alla maternita'.
 6.  Il  rifiuto  delle  molestie e delle molestie sessuali da parte della   persona  interessata  o  la  sua  sottomissione  non  possono costituire  fondamento  per  una  decisione che interessi la medesima persona.
 7.  E' altresi' vietato ogni comportamento pregiudizievole posto in essere  nei  confronti  della  persona  lesa  da  una discriminazione diretta  o indiretta, o di qualunque altra persona, quale reazione ad una   qualsiasi   attivita'   diretta   ad  ottenere  la  parita'  di trattamento.))
 |  |  |  | Art. 55-quater (3) (( Parita' di trattamento tra uomini e donne nei servizi
 assicurativi e altri servizi finanziari))
 
 ((  1. Nei contratti stipulati successivamente alla data di entrata in  vigore  del  presente decreto, il fatto di tenere conto del sesso quale  fattore  di  calcolo  dei  premi  e  delle  prestazioni a fini assicurativi  e  di  altri  servizi  finanziari  non puo' determinare differenze nei premi e nelle prestazioni.
 2.  Sono  consentite  differenze  proporzionate  nei  premi o nelle prestazioni  individuali  ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione  dei  rischi,  in  base  a  dati  attuariali e statistici pertinenti  e accurati. In ogni caso i costi inerenti alla gravidanza e  alla  maternita'  non  possono  determinare differenze nei premi o nelle prestazioni individuali.
 3.  L'Istituto  per  la  vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse  collettivo  (ISVAP)  esercita i suoi poteri ed effettua le attivita'  necessarie,  al  fine  di  garantire che le differenze nei premi o nelle prestazioni, consentite ai sensi del comma 2, abbiano a fondamento  dati  attuariali  e  statistici  affidabili.  Il medesimo Istituto  provvede  a  raccogliere,  pubblicare  ed aggiornare i dati relativi    all'utilizzo   del   sesso   quale   fattore   attuariale determinante,  relazionando  almeno  annualmente  all'Ufficio  di cui all'articolo 55-novies.
 4.  La  violazione  delle  disposizioni  di  cui  ai  commi  1  e 2 costituisce inosservanza al divieto di cui all'articolo 55-ter.
 5.  L'Istituto  per  la  vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse   collettivo  provvede  allo  svolgimento  delle  attivita' previste  al  comma 3 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.))
 |  |  |  | Art. 55-quinquies (3) ((  Procedimento  per la tutela contro le discriminazioni per ragioni di
 sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura))
 
 ((  1. In caso di violazione ai divieti di cui all'articolo 55-ter, il  giudice  puo',  su  istanza  di parte, ordinare la cessazione del comportamento  pregiudizievole  e  adottare  ogni altro provvedimento idoneo,  secondo  le  circostanze,  a  rimuovere  gli  effetti  della discriminazione. Il giudice puo' ordinare al convenuto di definire un piano  di  rimozione  delle  discriminazioni  accertate,  sentito  il ricorrente  nel  caso  di  ricorso  presentato ai sensi dell'articolo 55-septies, comma 2.
 2.   La   domanda   si   propone   con  ricorso  depositato,  anche personalmente  dalla parte, nella cancelleria del Tribunale del luogo di  domicilio  dell'istante  che  provvede  in camera di consiglio in composizione  monocratica. La domanda puo' essere proposta anche dopo la  cessazione del rapporto nel quale si ritiene si sia verificata la discriminazione, salvi gli effetti della prescrizione.
 3. Il presidente del Tribunale designa il giudice a cui e' affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalita'  non  essenziale  al contraddittorio, procede nel modo che ritiene  piu'  opportuno  agli  atti  di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.
 4.  Il  giudice  provvede  con ordinanza, immediatamente esecutiva, all'accoglimento o al rigetto della domanda.
 5.  Nei  casi  di urgenza il giudice provvede con decreto motivato, immediatamente    esecutivo,    assunte,    ove   occorre,   sommarie informazioni. In tale caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a se' entro un termine non superiore a  quindici giorni, assegnando all'istante un termine non superiore a otto  giorni  per  la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza,  il  giudice,  con  ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati nel decreto.
 6.  Contro  l'ordinanza del giudice e' ammesso reclamo al tribunale in  composizione collegiale, di cui non puo' far parte il giudice che ha  emanato  il  provvedimento,  nel termine di quindici giorni dalla notifica  dello  stesso.  Si  applicano,  in  quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile.
 7.  Con  la  decisione  che  definisce il giudizio, il giudice puo' altresi' condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale.  Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno, dei comportamenti di cui all'articolo 55-ter, comma 7.
 8.  In caso di accertata violazione del divieto di cui all'articolo 55-ter,  da parte di soggetti pubblici o privati ai quali siano stati accordati  benefici  ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni,  ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione  di  opere  pubbliche,  di  servizi o di forniture, il giudice  da' immediata comunicazione alle amministrazioni pubbliche o enti  pubblici  che  abbiano  disposto  la  concessione dei benefici, incluse  le  agevolazioni  finanziarie  o creditizie, o dell'appalto. Tali  amministrazioni  o  enti  revocano  i benefici e, nei casi piu' gravi,  dispongono  l'esclusione  del  responsabile  per  due anni da qualsiasi   ulteriore   concessione  di  agevolazioni  finanziarie  o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.
 9. Chiunque non ottempera o elude l'esecuzione dei provvedimenti di cui  ai  commi 4, 5 e 6, e' punito con l'ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a tre anni.))
 |  |  |  | Art. 55-sexies (3) ((Onere della prova))
 
 ((  1.  Quando  il  ricorrente,  anche nei casi di cui all'articolo 55-septies,  deduce  in giudizio elementi di fatto idonei a presumere la  violazione  del  divieto  di  cui  all'articolo 55-ter, spetta al convenuto  l'onere  di  provare che non vi e' stata la violazione del medesimo divieto.))
 |  |  |  | Art. 55-septies (3) (( Legittimazione ad agire di associazioni ed enti))
 
 (( 1. Sono legittimati ad agire ai sensi dell'articolo 55-quinquies in  forza di delega rilasciata, a pena di nullita', per atto pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto  passivo  della  discriminazione, le associazioni e gli enti inseriti  in apposito elenco approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega del Ministro per i diritti e le  pari  opportunita',  di  concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, ed individuati sulla base delle finalita' programmatiche e della continuita' dell'azione.
 2. Qualora il soggetto pubblico o privato ponga in essere un atto o un  comportamento discriminatorio di carattere collettivo e non siano individuabili  in  modo  immediato  e  diretto  i soggetti lesi dalle discriminazioni, il ricorso puo' essere presentato dalle associazioni o gli enti rappresentativi dell'interesse leso di cui al comma 1. ))
 |  |  |  | Art. 55-octies (3) (( Promozione del principio di parita' di trattamento nell'accesso
 a beni e servizi e loro fornitura))
 
 ((  1.  Al  fine  di  promuovere  il  principio  della  parita'  di trattamento  nell'accesso  a  beni  e  servizi  e  loro fornitura, il Ministro  per  i  diritti e le pari opportunita' favorisce il dialogo con  le associazioni, gli organismi e gli enti che hanno un legittimo interesse    alla    rimozione    delle   discriminazioni,   mediante consultazioni periodiche. ))
 |  |  |  | Art. 55-novies (3) (( Ufficio per la promozione della parita' di trattamento
 nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura))
 
 ((  1. I compiti di promozione, analisi, controllo e sostegno della parita'   di  trattamento  nell'accesso  a  beni  e  servizi  e  loro fornitura,  senza  discriminazioni  fondate  sul  sesso,  sono svolti dall'Ufficio  di  livello  dirigenziale generale della Presidenza del Consiglio  dei  Ministri  -  Dipartimento  per  i  diritti  e le pari opportunita',  individuato ai sensi del comma 4. Tale ufficio svolge, in  modo  autonomo  e  imparziale,  nel predetto ambito, attivita' di promozione  della  parita'  e  di  rimozione  di  qualsiasi  forma di discriminazione fondata sul sesso.
 2. In particolare, i compiti attribuiti all'Ufficio di cui al comma 1 sono i seguenti:
 a)  fornire  un'assistenza  indipendente  alle persone lese dalla violazione del divieto di cui all'articolo 55-ter;
 b)  svolgere,  nel  rispetto  delle  prerogative e delle funzioni dell'autorita' giudiziaria, inchieste indipendenti in materia al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori;
 c)  promuovere  l'adozione,  da  parte  di  soggetti  pubblici  e privati,  in  particolare da parte delle associazioni e degli enti di cui  all'articolo  55-septies,  di  misure  specifiche,  ivi compresi progetti  di  azioni  positive,  dirette  a  evitare  il  prodursi di discriminazioni  per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura;
 d)  diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela   vigenti   anche   mediante   azioni   di   sensibilizzazione dell'opinione  pubblica  sul  principio  della parita' di trattamento nell'accesso  a beni e servizi e loro fornitura e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;
 e)  formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni  per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, nonche' proposte di modifica della normativa vigente;
 f)   redigere   una   relazione   annuale   per   il   Parlamento sull'effettiva  applicazione  del principio di parita' di trattamento nell'accesso  a  beni e servizi e loro fornitura e sull'efficacia dei meccanismi  di  tutela  e  una  relazione  annuale  al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attivita' svolta;
 g)  promuovere  studi,  ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le associazioni e gli enti di cui   all'articolo   55-septies,  con  le  altre  organizzazioni  non governative  operanti nel settore e con gli istituti specializzati di rilevazione  statistica,  anche  al  fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni.
 3.  L'Ufficio ha facolta' di richiedere ad enti, persone ed imprese che  ne  siano in possesso, di fornire le informazioni e di esibire i documenti utili ai fini dell'espletamento dei compiti di cui al comma 2.
 4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega  del  Ministro  per  i  diritti  e  le  pari  opportunita', da adottarsi  entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, e' individuato, nell'ambito di quelli esistenti, senza  nuovi  o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, l'Ufficio di cui al comma 1.
 5. L'Ufficio puo' avvalersi di magistrati ordinari, amministrativi, contabili e avvocati dello Stato, in servizio presso il Dipartimento, nonche'  di  esperti  e  consulenti  esterni, nominati ai sensi della vigente normativa.
 6.  Gli  esperti di cui al comma 5 sono scelti tra soggetti, dotati di  elevata  professionalita'  nelle  materie giuridiche, nonche' nei settori   della   lotta   alle   discriminazioni   di  genere,  della comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche. ))
 |  |  |  | Art. 55-decies (3) (( Relazione alla Commissione europea))
 
 (( 1. Entro il 21 dicembre 2009 e successivamente ogni cinque anni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e pari opportunita', trasmette alla Commissione europea una relazione contenente  le  informazioni  relative  all'applicazione del presente titolo. ))
 |  |  |  | Art. 56. Pari  opportunita'  nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo
 
 (legge 8 aprile 2004, n. 90, articolo 3)
 
 1.  Nell'insieme  delle  liste  circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno,  nelle  prime  due  elezioni  dei membri del Parlamento europeo  spettanti  all'Italia,  successive  alla  data di entrata in vigore  della  legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei due sessi puo' essere  rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai  fini  del computo sono escluse le candidature plurime; in caso di quoziente   frazionario   si  procede  all'arrotondamento  all'unita' prossima.
 2.  Per  i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non  abbiano  rispettato  la proporzione di cui al comma 1, l'importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n.  157,  e'  ridotto,  fino  ad  un  massimo  della meta', in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in piu' rispetto a quello  massimo  consentito.  Sono,  comunque, inammissibili le liste circoscrizionali  composte  da piu' di un candidato che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i sessi.
 3.  La  somma  eventualmente  derivante  dalla  riduzione di cui al comma 2  e'  erogata  ai  partiti  o  gruppi politici organizzati che abbiano  avuto  proclamata  eletta,  ai  sensi dell'articolo 22 della legge  24 gennaio  1979, n. 18, e successive modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma e' ripartita in misura proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico organizzato.
 
 
 
 Note all'art. 56:
 -  La  legge  8 aprile  2004,  n. 90, recante «Norme in
 materia  di  elezioni  dei  membri del Parlamento europeo e
 altre   disposizioni  inerenti  ad  elezioni  da  svolgersi
 nell'anno  2004»,  e'  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale
 9 aprile 2004, n. 84.
 - La  legge 3 giugno 1999, n. 157, recante «Nuove norme
 in  materia  di  rimborso  delle  spese  per  consultazioni
 elettorali  e referendarie e abrogazione delle disposizioni
 concernenti  la  contribuzione  volontaria  ai  movimenti e
 partiti  politici»  e'  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 4 giugno 1999, n. 129.
 - L'art. 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, recante
 «Elezione  dei  membri  del  Parlamento  europeo  spettanti
 all'Italia»   e   pubblicata   nella   Gazzetta   Ufficiale
 30 gennaio 1979, n. 29, e' di seguito riportato:
 «Art.  22.  -  L'ufficio  elettorale  circoscrizionale,
 ricevute  da  parte  dell'Ufficio  elettorale  nazionale le
 comunicazioni  di  cui  al  penultimo  comma del precedente
 articolo, proclama eletti i candidati, nei limiti dei seggi
 ai quali ciascuna lista ha diritto, seguendo la graduatoria
 prevista al numero 4) dell'art. 20.
 Quando  in  una circoscrizione sia costituito un gruppo
 di  liste  con  le modalita' indicate nell'art. 12, ai fini
 della   assegnazione  dei  seggi  alle  singole  liste  che
 compongono  il gruppo l'ufficio elettorale circoscrizionale
 provvede  a  disporre  in  un'unica graduatoria, secondo le
 rispettive  cifre  individuali,  i  candidati  delle  liste
 collegate.  Proclama quindi eletti, nei limiti dei posti ai
 quali  il gruppo di liste ha diritto, i candidati che hanno
 ottenuto le cifre individuali piu' elevate.
 Qualora  nessuno dei candidati della lista di minoranza
 linguistica  collegata  sia  compreso nella graduatoria dei
 posti  ai  quali  il  gruppo  di liste ha diritto, l'ultimo
 posto  spetta a quel candidato di minoranza linguistica che
 abbia  ottenuto  la  maggior cifra individuale, purche' non
 inferiore a 50.000.
 L'ufficio  elettorale  circoscrizionale  invia, quindi,
 attestato ai candidati proclamati eletti.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 57. Disposizioni abrogate
 
 1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
 a) la legge 9 gennaio 1963, n. 7;
 b) l'articolo 1 della legge 9 febbraio 1963, n. 66;
 c) gli  articoli 1,  2,  3,  4,  9, 10, 11, 12, 15 e 16, comma 1, della legge 9 dicembre 1977, n. 903;
 d) gli articoli 1 e 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874;
 e) l'articolo 11 della legge 6 agosto 1990, n. 223;
 f) la    legge    10 aprile    1991,   n.   125,   ad   eccezione dell'articolo 11;
 g) la   legge  25 febbraio  1992,  n.  215,  ad  eccezione  degli articoli 10, comma 6, 12 e 13;
 h) l'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
 i) il decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;
 l) il  decreto  legislativo  23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell'articolo 10, comma 4;
 m) il  decreto  legislativo  31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli 6, comma 2, e 7, comma 1;
 n) l'articolo 3 della legge 8 aprile 2004, n. 90.
 |  |  |  | Art. 58. Disposizioni finanziarie
 
 1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
 Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
 Dato a Roma, addi' 11 aprile 2006
 
 CIAMPI
 
 Berlusconi,  Presidente  del  Consiglio
 dei Ministri
 Prestigiacomo,  Ministro  per  le  pari
 opportunita'
 Baccini,   Ministro   per  la  funzione
 pubblica
 Maroni,  Ministro  del  lavoro  e delle
 politiche sociali
 Berlusconi,  Ministro  della salute (ad
 interim)
 Scajola,   Ministro   delle   attivita'
 produttive Visto, il Guardasigilli: Castelli
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