Gazzetta n. 125 del 31 maggio 2006 (vai al sommario)
DECRETO LEGISLATIVO 11 aprile 2006, n. 198
Codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l'articolo 87 della Costituzione;
Visto l'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246, recante delega al Governo per l'emanazione di un decreto legislativo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunita' tra uomo e donna, nel quale devono essere riunite e coordinate tra loro le disposizioni vigenti per la prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dei 24 gennaio 2006;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nella riunione del 27 febbraio 2006;
Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Considerato che le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non hanno espresso nei termini di legge il prescritto parere;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 aprile 2006;
Sulla proposta del Ministro per le pari opportunita', di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e delle attivita' produttive;

E m a n a
il seguente decreto legislativo:

Art. 1. Divieto di discriminazione tra uomo e donna (legge 14 marzo 1985, n.
132, articolo 1)

1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle liberta' fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.



Avvertenza:

Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto
dall'amministrazione competente per materia, ai sensi
dell'art. 10, commi 2 e 3, del testo unico delle
disposizioni sulla promulgazione delle leggi,
sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica
e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana,
approvato con decreto del Presidente della Repubblica
28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la
lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali
e' operato il rinvio. Restano invariati il valore e
l'efficacia degli atti legislativi qui strascritti.
- Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita'
europee (GUCE).

Note alle premesse:

- L'art. 87 della Costituzione conferisce, tra l'altro,
al Presidente della Repubblica il potere di promulgare le
leggi e di emanare i decreti avente valore di legge ed i
regolamenti.
- L'art. 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246, cosi'
recita:
«Art. 6 (Riassetto normativo in materia di pari
opportunita). - 1. Il Governo e delegato ad adottare, entro
un anno dalla data di entrata in vigore della presente
legge, uno o piu' decreti legislativi per il riassetto
delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunita',
secondo i principi, i criteri direttivi e le procedure di
cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e
successive modificazioni, nonche' nel rispetto dei seguenti
principi e criteri direttivi:
a) individuazione di strumenti di prevenzione e
rimozione di ogni forma di discriminazione, in particolare
per cause direttamente o indirettamente fondate sul sesso,
la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni
personali, gli handicap, l'eta' e l'orientamento sessuale,
anche al fine di realizzare uno strumento coordinato per il
raggiungimento degli obiettivi di pari opportunita'
previsti in sede di Unione europea e nel rispetto dell'art.
117 della Costituzione;
b) adeguamento e semplificazione del linguaggio
normativo anche attraverso la rimozione di sovrapposizioni
e duplicazioni.».
- Si riporta il testo dell'art. 8 del decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante «Definizione ed
ampliamento delle attribuzioni della Conferenza per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i
compiti di interesse comune delle regioni, delle province e
dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie
locali», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 agosto
1997, n. 202.
«Art. 8 (Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e
Conferenza unificata). - 1. La Conferenza Stato-citta' ed
autonomie locali e' unificata per le materie ed i compiti
di interesse comune delle regioni, delle province, dei
comuni e delle comunita' montane, con la Conferenza
Stato-regioni.
2. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e'
presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per
sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per
gli affari regionali; ne fanno parte altresi' il Ministro
del tesoro e del bilancio e della programmazione economica,
il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici,
il Ministro della sanita', il presidente dell'Associazione
nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il presidente
dell'Unione province d'Italia - UPI ed il presidente
dell'Unione nazionale comuni, comunita' ed enti montani -
UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati
dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI.
Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque
rappresentano le citta' individuate dall'art. 17 della
legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere
invitati altri membri del Governo, nonche' rappresentanti
di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici.
3. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e'
convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi
il presidente ne ravvisi la necessita' o qualora ne faccia
richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM.
4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 e'
convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le
sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei
Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari
regionali o, se tale incarico non e' conferito, dal
Ministro dell'interno.».



 
Art. 2.
Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunita'

(decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, articolo 5)

1. Spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari opportunita', a prevenire e rimuovere le discriminazioni, nonche' a consentire l'indirizzo, il coordinamento e il monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.
 
Art. 3
Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 1)

1. La Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna, istituita presso il Dipartimento per le pari opportunita', fornisce al Ministro per le pari opportunita', che la presiede, consulenza e supporto tecnico-scientifico nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di pari opportunita' fra uomo e donna, sui provvedimenti di competenza dello Stato, ad esclusione di quelli riferiti alla materia della parita' fra i sessi nell'accesso al lavoro e sul lavoro; in particolare la Commissione: a) formula proposte al Ministro per l'elaborazione delle modifiche
della normativa statale necessarie a rimuovere qualsiasi forma di
discriminazione, sia diretta che indiretta, nei confronti delle
donne ed a conformare l'ordinamento giuridico al principio di pari
opportunita' fra uomo e donna, fornendo elementi informativi,
documentali, tecnici e statistici, utili ai fini della
predisposizione degli atti normativi; b) cura la raccolta, l'analisi e l'elaborazione di dati allo scopo di
verificare lo stato di attuazione delle politiche di pari
opportunita' nei vari settori della vita politica, economica e
sociale e di segnalare le iniziative opportune; c) redige un rapporto annuale per il Ministro sullo stato di
attuazione delle politiche di pari opportunita'; d) fornisce consulenza tecnica e scientifica in relazione a
specifiche problematiche su richiesta del Ministro o del
Dipartimento per le pari opportunita'; e) svolge attivita' di studio e di ricerca in materia di pari
opportunita' fra uomo e donna.
 
Art. 4
Durata e composizione della Commissione
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 2)

1. La Commissione e' nominata con decreto del Ministro e dura in carica due anni. Essa e' composta da venticinque componenti di cui: a) undici prescelti nell'ambito delle associazioni e dei movimenti
delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale; b) quattro prescelti nell'ambito delle organizzazioni sindacali dei
lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale; c) quattro prescelti nell'ambito delle organizzazioni imprenditoriali
e della cooperazione femminile maggiormente rappresentative sul
piano nazionale; d) tre prescelti fra le donne che si siano particolarmente distinte,
per riconoscimenti e titoli, in attivita' scientifiche, letterarie
e sociali; e) tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano.
2. Almeno due volte l'anno, la Commissione si riunisce a composizione allargata, con la partecipazione di un rappresentante di pari opportunita' per ogni regione e provincia autonoma, anche al fine di acquisire osservazioni, richieste e segnalazioni in merito a questioni che rientrano nell'ambito delle competenze del sistema delle regioni e delle autonomie locali.
 
Art. 5
Ufficio di Presidenza della Commissione
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 3)

1. Con il decreto di cui all'articolo 4, comma 1, fra i componenti della Commissione vengono designati il Vicepresidente ed il Segretario che, insieme al Ministro, che lo presiede, costituiscono l'ufficio di presidenza.
2. Al Vicepresidente spetta la rappresentanza della Commissione, il coordinamento dei lavori e la costante informazione del Ministro circa le iniziative in corso di svolgimento.
 
Art. 6
Esperti e consulenti
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 4)

1. La Commissione si avvale, su proposta del Ministro, di esperti, in numero massimo di cinque, su problematiche attinenti la parita' fra i sessi, e di propri consulenti secondo quanto previsto dall'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dall'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
2. I consulenti di cui al comma 1 sono scelti fra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, dotate di elevata professionalita' nelle materie giuridiche, nonche' nei settori della lotta alle discriminazioni, delle politiche sociali e dell'analisi delle politiche pubbliche.
3. Nel decreto di conferimento dell'incarico e' determinato il compenso degli esperti e dei consulenti.



Note all'art. 6:
- L'art. 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400, cosi'
recita:
"Art. 29 (Consulenti e comitati di consulenza). - 1. Il
Presidente del Consiglio dei Ministri puo' avvalersi di
consulenti e costituire comitati di consulenza, di ricerca
o di studio su specifiche questioni.
2. Per tali attivita' si provvede con incarichi a tempo
determinato da conferire a magistrati, docenti
universitari, avvocati dello Stato, dirigenti e altri
dipendenti delle amministrazioni dello Stato, degli enti
pubblici, anche economici, delle aziende a prevalente
partecipazione pubblica o anche ad esperti estranei
all'amministrazione dello Stato.".
- L'art. 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
303, cosi' recita:
"Art. 9 (Personale della Presidenza). - 1. Gli
incarichi dirigenziali presso la Presidenza sono conferiti
secondo le disposizioni di cui agli articoli 14, comma 2, e
19 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e
successive modificazioni ed integrazioni, relativi,
rispettivamente, alle strutture individuate come di diretta
collaborazione ed alle altre strutture, ferma restando
l'applicabilita', per gli incarichi di direzione di
dipartimento, dell'art. 28 della legge 23 agosto 1988, n.
400, come modificato dal presente decreto, e ferma altresi'
restando l'applicabilita' degli articoli 18, comma 3, e 31,
comma 4, della legge stessa.
2. La Presidenza si avvale per le prestazioni di lavoro
di livello non dirigenziale: di personale di ruolo, entro i
limiti di cui all'art. 11, comma 4; di personale di
prestito, proveniente da altre amministrazioni pubbliche,
ordini, organi, enti o istituzioni, in posizione di
comando, fuori ruolo, o altre corrispondenti posizioni
disciplinate dai rispettivi ordinamenti; di personale
proveniente dal settore privato, utilizzabile con contratti
a tempo determinato per le esigenze delle strutture e delle
funzioni individuate come di diretta collaborazione; di
consulenti o esperti, anche estranei alla pubblica
amministrazione, nominati per speciali esigenze secondo
criteri e limiti fissati dal Presidente.
3. Salvo quanto previsto dall'art. 11, comma 4-bis, in
materia di reclutamento del personale di ruolo, il
Presidente, con proprio decreto, puo' istituire, in misura
non superiore al venti per cento dei posti disponibili, una
riserva di posti per l'inquadramento selettivo, a parita'
di qualifica, del personale di altre amministrazioni in
servizio presso la Presidenza ed in possesso di requisiti
professionali adeguati e comprovati nel tempo.
4. Il rapporto di lavoro del personale di ruolo della
Presidenza e' disciplinato dalla contrattazione collettiva
e dalle leggi che regolano il rapporto di lavoro privato,
in conformita' delle norme del decreto legislativo
3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e
integrazioni, anche per quanto attiene alla definizione del
comparto di contrattazione per la Presidenza. Tale regime
si applica, relativamente al trattamento economico
accessorio e fatta eccezione per gli estranei e per gli
appartenenti a categorie sottratte alla contrattazione
collettiva, al personale che presso la Presidenza ricopre
incarichi dirigenziali ed al personale di prestito in
servizio presso la Presidenza stessa.
5. Il Presidente, con proprio decreto, stabilisce il
contingente del personale di prestito, ai sensi dell'art.
11, comma 4, il contingente dei consulenti ed esperti, e le
corrispondenti risorse finanziarie da stanziare in
bilancio. Appositi contingenti sono previsti per il
personale delle Forze di polizia, per le esigenze
temporanee di cui all'art. 39, comma 22, della legge
27 dicembre 1997 n. 449, nonche' per il personale di
prestito utilizzabile nelle strutture di diretta
collaborazione. Il Presidente puo' ripartire per aree
funzionali, in relazione alle esigenze ed alle
disponibilita' finanziarie, i contingenti del personale di
prestito, dei consulenti ed esperti. Al giuramento di un
nuovo Governo, cessano di avere effetto i decreti di
utilizzazione del personale estraneo e del personale di
prestito addetto ai gabinetti e segreterie delle autorita'
politiche. Il restante personale di prestito e' restituito
entro sei mesi alle amministrazioni di appartenenza, salva
proroga del comando o conferma dei fuori ruolo disposte
sulla base di specifica e motivata richiesta dei dirigenti
preposti alle strutture della Presidenza.
5-bis. Il collocamento fuori ruolo, per gli incarichi
disciplinati dall'art. 18, comma 3, della legge 23 agosto
1988, n. 400, e' obbligatorio e viene disposto, secondo le
procedure degli ordinamenti di appartenenza, anche in
deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura
eventualmente previsti dai medesimi ordinamenti. Il
servizio prestato in posizione di comando, fuori ruolo o
altra analoga posizione, prevista dagli ordinamenti di
appartenenza, presso la Presidenza dal personale di ogni
ordine, grado e qualifica di cui agli articoli 1, comma 2,
2 e 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
all'art. 7, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n.
801, e' equiparato a tutti gli effetti, anche giuridici e
di carriera, al servizio prestato presso le amministrazioni
di appartenenza. Le predette posizioni in ogni caso non
possono determinare alcun pregiudizio, anche per
l'avanzamento e il relativo posizionamento nei ruoli di
appartenenza. In deroga a quanto previsto dai rispettivi
ordinamenti, ivi compreso quanto disposto dall'art. 7,
secondo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801, il
conferimento al personale di cui al presente comma di
qualifiche, gradi superiori o posizioni comunque diverse,
da parte delle competenti amministrazioni, anche quando
comportino l'attribuzione di specifici incarichi direttivi,
dirigenziali o valutazioni di idoneita', non richiede
l'effettivo esercizio delle relative funzioni, ovvero la
cessazione dal comando, fuori ruolo o altra analoga
posizione, che proseguono senza soluzione di continuita'.
Il predetto personale e' collocato in posizione
soprannumeraria nella qualifica, grado o posizione a lui
conferiti nel periodo di servizio prestato presso la
Presidenza, senza pregiudizio per l'ordine di ruolo.
5-ter. Il personale dipendente di ogni ordine, grado e
qualifica del comparto Ministeri chiamato a prestare
servizio in posizione di comando o di fuori ruolo presso la
Presidenza, ivi incluse le strutture di supporto ai
Commissari straordinari dei Governo di cui all'art. 11
della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonche' le strutture di
missione di cui all'art. 7, comma 4, mantiene il
trattamento economico fondamentale delle amministrazioni di
appartenenza, compresa l'indennita' di amministrazione, ed
i relativi oneri rimangono a carico delle stesse. Per il
personale appartenente ad altre amministrazioni pubbliche
di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165, chiamato a prestare servizio in
analoga posizione, la Presidenza provvede, d'intesa con
l'amministrazione di appartenenza del dipendente, alla
ripartizione dei relativi oneri, senza pregiudizio per il
trattamento economico fondamentale spettante al dipendente
medesimo.
5-quater. Con il provvedimento istitutivo delle
strutture di supporto o di missione di cui al comma 5-ter
sono determinate le dotazioni finanziarie, strumentali e di
personale, anche dirigenziale, necessarie al funzionamento
delle medesime strutture, che in ogni caso, per la loro
intrinseca temporaneita', non determinano variazioni nella
consistenza organica del personale di cui agli
articoli 9-bis e 9-ter. Alla copertura dei relativi oneri
si provvede attingendo agli stanziamenti ordinari di
bilancio della Presidenza e, previo accordo, delle altre
amministrazioni eventualmente coinvolte nelle attivita'
delle predette strutture.
6. Il Presidente, con proprio decreto, stabilisce il
trattamento economico del Segretario generale e dei
vicesegretari generali, nonche' i compensi da corrispondere
ai consulenti, agli esperti, al personale estraneo alla
pubblica amministrazione.
7. Ai decreti di cui al presente articolo ed a quelli
di cui agli articoli 7 e 8 non sono applicabili la
disciplina di cui all'art. 17 della legge 23 agosto 1988,
n. 400, e quella di cui all'art. 3, commi 1, 2 e 3, della
legge 14 gennaio 1994, n. 20. Il Presidente puo' richiedere
il parere del Consiglio di Stato e della Corte dei conti
sui decreti di cui all'art. 8.".



 
Art. 7
Segreteria della Commissione
(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 5)

1. Per l'espletamento delle proprie attivita' la Commissione dispone di una propria segreteria nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunita'.
 
Art. 8.
Costituzione e componenti

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 1, 2, 3, 4, e 7)

1. Il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parita' di trattamento ed uguaglianza di opportunita' tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, promuove, nell'ambito della competenza statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza fra uomo e donna nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera.
2. Il Comitato e' composto da:
a) il Ministro del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;
b) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
c) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei diversi settori economici, maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
d) un componente designato unitariamente dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo piu' rappresentative sul piano nazionale;
e) undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili piu' rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parita' e delle pari opportunita' nel lavoro;
f) la consigliera o il consigliere nazionale di parita' di cui all'articolo 12, comma 2, del presente decreto.
3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:
a) sei esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro;
b) cinque rappresentanti, rispettivamente, dei Ministeri dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, della giustizia, degli affari esteri, delle attivita' produttive, del Dipartimento per la funzione pubblica;
c) cinque dirigenti dei Ministero del lavoro e delle politiche sociali in rappresentanza delle Direzioni generali del mercato del lavoro, della tutela delle condizioni di lavoro, per le politiche previdenziali, per le politiche per l'orientamento e la formazione e per l'innovazione tecnologica.
4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per ogni componente effettivo e' nominato un supplente.
5. Il vicepresidente del Comitato e' designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito dei suoi componenti.
 
Art. 9.
Convocazione e funzionamento

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 5 e 6)

1. Il Comitato e' convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, quando ne facciano richiesta meta' piu' uno dei suoi componenti.
2. Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e a quello del collegio istruttorio e della segreteria tecnica di cui all'articolo 11, nonche' in ordine alle relative spese.
 
Art. 10.
Compiti del Comitato

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 6)

1. Il Comitato adotta ogni iniziativa utile, nell'ambito delle competenze statali, per il perseguimento delle finalita' di cui all'articolo 8, comma 1, ed in particolare:
a) formula proposte sulle questioni generali relative all'attuazione degli obiettivi della parita' e delle pari opportunita', nonche' per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle condizioni di lavoro delle donne;
b) informa e sensibilizza l'opinione pubblica sulla necessita' di promuovere le pari opportunita' per le donne nella formazione e nella vita lavorativa;
c) formula, entro il 31 maggio di ogni anno, un programma-obiettivo nel quale vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive che intende promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di valutazione. Il programma e' diffuso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
d) esprime, a maggioranza, parere sul finanziamento dei progetti di azioni positive e opera il controllo sui progetti in itinere verificandone la corretta attuazione e l'esito finale;
e) elabora codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta conformi alla parita' e ad individuare le manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;
f) verifica lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di parita';
g) propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all'adozione di progetti di azioni positive per la rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale, delle condizioni di lavoro e retributive, stabilendo eventualmente, su proposta del collegio istruttorio, l'entita' del cofinanziamento di una quota dei costi connessi alla loro attuazione;
h) puo' richiedere alla Direzione provinciale del lavoro di acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale;
i) promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione professionale.
 
Art. 11.
Collegio istruttorio e segreteria tecnica

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 7)

1. Per l'istruzione degli atti relativi alla individuazione e alla rimozione delle discriminazioni e per la redazione dei pareri al Comitato di cui all'articolo 8 e alle consigliere e ai consiglieri di parita', e' istituito un collegio istruttorio cosi' composto:
a) il vicepresidente del Comitato di cui all'articolo 8, che lo presiede;
b) un magistrato designato dal Ministero della giustizia fra quelli addetti alle sezioni lavoro, di legittimita' o di merito;
c) un dirigente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
d) gli esperti di cui all'articolo 8, comma 3, let-tera a);
e) la consigliera o il consigliere di parita' di cui all'articolo 12.
2. Ove si renda necessario per le esigenze di ufficio, i componenti di cui alle lettere b) e c) del comma 1, su richiesta del Comitato di cui all'articolo 8, possono essere elevati a due.
3. Al fine di provvedere alla gestione amministrativa ed al supporto tecnico del Comitato e del collegio istruttorio e' istituita la segreteria tecnica. Essa ha compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed e' composta da personale proveniente dalle varie direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, coordinato da un dirigente generale del medesimo Ministero. La composizione della segreteria tecnica e' determinata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato.
4. Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie modalita' di organizzazione e di funzionamento; per lo svolgimento dei loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato puo' deliberare la stipula di convenzioni, nonche' avvalersi di collaborazioni esterne:
a) per l'effettuazione di studi e ricerche;
b) per attivita' funzionali all'esercizio dei propri compiti in materia di progetti di azioni positive previsti dall'articolo 10, comma 1, lettera d).
 
Art. 12.
Nomina

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 1, comma 1;
articolo 2, commi 1, 3, 4)

1. A livello nazionale, regionale e provinciale sono nominati una consigliera o un consigliere di parita'. Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresi' alla nomina di un supplente.
2. La consigliera o il consigliere nazionale di parita', effettivo e supplente, sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita'.
3. Le consigliere ed i consiglieri di parita' regionali e provinciali, effettivi e supplenti, sono nominati, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', su designazione delle regioni e delle province, sentite le commissioni rispettivamente regionali e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, ognuno per i reciproci livelli di competenza, sulla base dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1, e con le procedure previste dal presente articolo.
4. In caso di mancata designazione dei consiglieri di parita' regionali e provinciali entro i sessanta giorni successivi alla scadenza del mandato, o di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall'articolo 13, comma 1, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', provvede direttamente alla nomina nei trenta giorni successivi, nel rispetto dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1. A parita' di requisiti professionali si procede alla designazione e nomina di una consigliera di parita'.
5. I decreti di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum professionale della persona nominata, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.



Note all'art. 12:
- L'art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.
469, cosi' recita:
«Art. 4 (Criteri per l'organizzazione del sistema
regionale per l'impiego). - 1. L'organizzazione
amministrativa e le modalita' di esercizio delle funzioni e
dei compiti conferiti ai sensi del presente decreto sono
disciplinati, anche al fine di assicurare l'integrazione
tra i servizi per l'impiego, le politiche attive del lavoro
e le politiche formative, con legge regionale da emanarsi
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
a) ai sensi dell'art. 4, comma 3, lettere f), g)
e h), della legge 15 marzo 1997, n. 59, attribuzione alle
province delle funzioni e dei compiti di cui all'art. 2,
comma 1, ai fini della realizzazione dell'integrazione di
cui al comma 1;
b) costituzione di una commissione regionale
permanente tripartita quale sede concertativa di
progettazione, proposta, valutazione e verfica rispetto
alle linee programmatiche e alle politiche del lavoro di
competenza regionale; la composizione di tale organo
collegiale deve prevedere la presenza del rappresentante
regionale competente per materia di cui alla lettera c),
delle parti sociali sulla base della rappresentativita'
determinata secondo i criteri previsti dall'ordinamento,
rispettando la pariteticita' delle posizioni delle parti
sociali stesse, nonche' quella del consigliere di parita'
nominato ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125;
c) costituzione di un organismo istituzionale
finalizzato a rendere effettiva, sul territorio,
l'integrazione tra i servizi all'impiego, le politiche
attive del lavoro e le politiche formative, composto da
rappresentanti istituzionali della regione, delle province
e degli altri enti locali;
d) affidamento delle funzioni di assistenza tecnica e
monitoraggio nelle materie di cui all'art. 2, comma 2, ad
apposita struttura regionale dotata di personalita'
giuridica, con autonomia patrimoniale e contabile avente il
compito di collaborare al raggiungimento dell'integrazione
di cui al comma 1 nel rispetto delle attribuzioni di cui
alle lettere a) e b). Tale struttura garantisce il
collegamento con il sistema informativo del lavoro di cui
all'art. 11;
e) gestione ed erogazione da parte delle province dei
servizi connessi alle funzioni e ai compiti attribuiti ai
sensi del comma 1, lettera a), tramite strutture denominate
"centri per l'impiego";
f) distribuzione territoriale dei centri per
l'impiego sulla base di bacini provinciali con utenza non
inferiore a 100.000 abitanti, fatte salve motivate esigenze
socio geografiche;
g) possibilita' di attribuzione alle province della
gestione ed erogazione dei servizi, anche tramite i centri
per l'impiego, connessi alle funzioni e compiti conferiti
alla regione ai sensi dell'art. 2, comma 2;
h) possibilita' di attribuzione all'ente di cui al
comma 1, lettera d), funzioni ed attivita' ulteriori
rispetto a quelle conferite ai sensi del presente decreto,
anche prevedendo che l'erogazione di tali ulteriori servizi
sia a titolo oneroso per i privati che ne facciano
richiesta.
2. Le province individuano adeguati strumenti di
raccordo con gli altri enti locali, prevedendo la
partecipazione degli stessi alla individuazione degli
obiettivi e all'organizzazione dei servizi connessi alle
funzioni e ai compiti di cui all'art. 2, comma 1. L'art. 3,
comma 1, della legge 28 febbraio 1987, n. 56, si applica
anche ai Centri per l'impiego istituiti dalle
amministrazioni provinciali.
3. I servizi per l'impiego di cui al comma 1 devono
essere organizzati entro il 31 dicembre 1998.».
- L'art. 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n.
469, cosi' recita:
«Art. 6 (Soppressione di organi collegiali). - 1. La
provincia, entro i sei mesi successivi dalla data di
entrata in vigore della legge regionale di cui all'art. 4,
comma 1, istituisce un'unica commissione a livello
provinciale per le politiche del lavoro, quale organo
tripartito permanente di concertazione e di consultazione
delle parti sociali in relazione alle attivita' e alle
funzioni attribuite alla provincia ai sensi dell'art. 4,
comma 1, lettera a), nonche' in relazione alle attivita' e
funzioni gia' di competenza degli organi collegiali di cui
al comma 2 del presente articolo secondo i seguenti
principi e criteri:
a) la composizione della commissione deve essere tale
da permettere la pariteticita' delle posizioni delle parti
sociali;
b) presidenza della commissione al presidente
dell'amministrazione provinciale;
c) inserimento del consigliere di parita';
d) possibilita' di costituzione di sottocomitati, nel
rispetto dei criteri di cui alla lettera a), anche a
carattere tematico.
2. Con effetto dalla costituzione della commissione
provinciale di cui al comma 1, i seguenti organi collegiali
sono soppressi e le relative funzioni e competenze sono
trasferite alla provincia:
a) commissione provinciale per l'impiego;
b) commissione circoscrizionale per l'impiego;
c) commissione regionale per il lavoro a domicilio;
d) commissione provinciale per il lavoro a domicilio;
e) commissione comunale per il lavoro a domicilio;
f) commissione provinciale per il lavoro domestico;
g) commissione provinciale per la manodopera
agricola;
h) commissione circoscrizionale per la manodopera
agricola;
i) commissione provinciale per il collocamento
obbligatorio.
3. La provincia, nell'attribuire le funzioni e le
competenze gia' svolte dalla commissione di cui al comma 2,
lettera i), garantisce all'interno del competente
organismo, la presenza di rappresentanti designati dalle
categorie interessate, di rappresentanti dei lavoratori e
dei datori di lavoro, designati rispettivamente dalle
organizzazioni sindacali comparativamente piu'
rappresentative e di un ispettore medico del lavoro.
Nell'ambito di tale organismo e' previsto un comitato
tecnico composto da funzionari ed esperti del settore
sociale e medico-legale e degli organismi individuati dalle
regioni ai sensi dell'art. 4 del presente decreto, con
particolare riferimento alla materia delle inabilita', con
compiti relativi alla valutazione delle residue capacita'
lavorative, alla definizione degli strumenti e delle
prestazioni atti all'inserimento e alla predisposizione dei
controlli periodici sulla permanenza delle condizioni di
inabilita'. Agli oneri per il funzionamento del comitato
tecnico si provvede mediante corrispondente riduzione
dell'autorizzazione di spesa per il funzionamento della
commissione di cui al comma 1.».



 
Art. 13.
Requisiti e attribuzioni

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articoli 1, comma 2, 2,
comma 2)

1. Le consigliere e i consiglieri di parita' devono possedere requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, di normative sulla parita' e pari opportunita' nonche' di mercato del lavoro, comprovati da idonea documentazione.
2. Le consigliere ed i consiglieri di parita', effettivi e supplenti, svolgono funzioni di promozione e di controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunita' e di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro. Nell'esercizio delle funzioni loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parita' sono pubblici ufficiali ed hanno l'obbligo di segnalazione all'autorita' giudiziaria dei reati di cui vengono a conoscenza per ragione del loro ufficio.
 
Art. 14.
Mandato

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 2, comma 5)

1. Il mandato delle consigliere e dei consiglieri di cui all'articolo 12 ha la durata di quattro anni ed e' rinnovabile una sola volta. La procedura di rinnovo si svolge secondo le modalita' previste dall'articolo 12. Le consigliere ed i consiglieri di parita' continuano a svolgere le loro funzioni fino alle nuove nomine.
 
Art. 15.
Compiti e funzioni

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 3)

1. Le consigliere ed i consiglieri di parita' intraprendono ogni utile iniziativa, nell'ambito delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunita' per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:
a) rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni previste dal libro III, titolo I;
b) promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione delle risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo;
c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunita';
d) sostegno delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunita';
e) promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunita' da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
f) collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di parita', pari opportunita' e garanzia contro le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;
g) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attivita' di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunita' e sulle varie forme di discriminazioni;
h) verifica dei risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli articoli da 42 a 46;
i) collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parita' degli enti locali.
2. Le consigliere ed i consiglieri di parita' nazionale, regionali e provinciali, effettivi e supplenti, sono componenti a tutti gli effetti, rispettivamente, della commissione centrale per l'impiego ovvero del diverso organismo che ne venga a svolgere, in tutto o in parte, le funzioni a seguito del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e delle commissioni regionali e provinciali tripartite previste dagli articoli 4 e 6 del citato decreto legislativo n. 469 del 1997; essi partecipano altresi' ai tavoli di partenariato locale ed ai comitati di sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1260/99, del Consiglio del 21 giugno 1999. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali sono inoltre componenti delle commissioni di parita' del corrispondente livello territoriale, ovvero di organismi diversamente denominati che svolgono funzioni analoghe. La consigliera o il consigliere nazionale e' componente del Comitato nazionale e del Collegio istruttorio di cui agli articoli 8 e 11.
3. Le strutture regionali di assistenza tecnica e di monitoraggio di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, forniscono alle consigliere ed ai consiglieri di parita' il supporto tecnico necessario: alla rilevazione di situazioni di squilibrio di genere; all'elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla situazione del personale di cui all'articolo 46; alla promozione e alla realizzazione di piani di formazione e riqualificazione professionale; alla promozione di progetti di azioni positive.
4. Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parita', le Direzioni regionali e provinciali del lavoro territorialmente competenti acquisiscono nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta.
5. Entro il 31 dicembre di ogni anno le consigliere ed i consiglieri di parita' regionali e provinciali presentano un rapporto sull'attivita' svolta agli organi che hanno provveduto alla designazione. La consigliera o il consigliere di parita' che non abbia provveduto alla presentazione del rapporto o vi abbia provveduto con un ritardo superiore a tre mesi decade dall'ufficio con provvedimento adottato, su segnalazione dell'organo che ha provveduto alla designazione, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita'.



Note all'art. 15:
- Per il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469,
si vedano le note all'art. 12.
- Il regolamento (CE) 1260/1999 recante «Disposizioni
generali sui Fondi strutturali» e' pubblicato nella
G.U.C.E. 26 giugno 1999, n. L 161.



 
Art. 16.
Sede e attrezzature

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 5)

1. L'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parita' regionali e provinciali e' ubicato rispettivamente presso le regioni e presso le province. L'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parita' e' ubicato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'ufficio e' funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso cui l'ufficio e' ubicato, nell'ambito delle risorse trasferite ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.
2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', nell'ambito delle proprie competenze, puo' predisporre con gli enti territoriali nel cui ambito operano le consigliere ed i consiglieri di parita' convenzioni quadro allo scopo di definire le modalita' di organizzazione e di funzionamento dell'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parita', nonche' gli indirizzi generali per l'espletamento dei compiti di cui all'articolo 15, comma 1, lettere b), c), d) ed e), come stipulato con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
 
Art. 17.
Permessi

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 6)

1. Le consigliere ed i consiglieri di parita', nazionale e regionali hanno diritto per l'esercizio delle loro funzioni, ove si tratti di lavoratori dipendenti, ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di cinquanta ore lavorative mensili medie. Nella medesima ipotesi le consigliere ed i consiglieri provinciali di parita' hanno diritto ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di trenta ore lavorative mensili medie. I permessi di cui al presente comma sono retribuiti.
2. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali di parita' hanno altresi' diritto, ove si tratti di lavoratori dipendenti, ad ulteriori permessi non retribuiti per i quali viene corrisposta un'indennita'. La misura massima dei permessi e l'importo dell'indennita' sono stabiliti annualmente dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2. Ai fini dell'esercizio del diritto di assentarsi dal luogo di lavoro di cui al comma 1 ed al presente comma, le consigliere ed i consiglieri di parita' devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro almeno un giorno prima.
3. L'onere di rimborsare le assenze dal lavoro di cui al comma 1 delle consigliere e dei consiglieri di parita' regionali e provinciali, lavoratori dipendenti da privati o da amministrazioni pubbliche, e' a carico rispettivamente dell'ente regionale e provinciale. A tal fine si impiegano risorse provenienti dal Fondo di cui all'articolo 18. L'ente regionale o provinciale, su richiesta, e' tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto corrisposto per le ore di effettiva assenza.
4. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali di parita', lavoratori autonomi o liberi professionisti, hanno diritto per l'esercizio delle loro funzioni ad un'indennita' rapportata al numero complessivo delle ore di effettiva attivita', entro un limite massimo determinato annualmente dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
5. La consigliera o il consigliere nazionale di parita', ove lavoratore dipendente, usufruisce di un numero massimo di permessi non retribuiti determinato annualmente con il decreto di cui all'articolo 18, comma 2, nonche' di un'indennita' fissata dallo stesso decreto. In alternativa puo' richiedere il collocamento in aspettativa non retribuita per la durata del mandato, percependo in tal caso un'indennita' complessiva, a carico del Fondo di cui all'articolo 18, determinata tenendo conto dell'esigenza di ristoro della retribuzione perduta e di compenso dell'attivita' svolta. Ove l'ufficio di consigliera o consigliere nazionale di parita' sia ricoperto da un lavoratore autonomo o da un libero professionista, spetta al medesimo un'indennita' nella misura complessiva annua determinata dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
 
Art. 18. Fondo per l'attivita' delle consigliere e dei consiglieri di parita'

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 9)

1. Il Fondo nazionale per le attivita' delle consigliere e dei consiglieri di parita' e' alimentato dalle risorse di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d), della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni. Il Fondo e' destinato a finanziare le spese relative alle attivita' della consigliera o del consigliere nazionale di parita' e delle consigliere o dei consiglieri regionali e provinciali di parita', i compensi degli esperti eventualmente nominati ai sensi dell'articolo 19, comma 3, nonche' le spese relative alle azioni in giudizio promosse o sostenute ai sensi del libro III, titolo I, capo III; finanzia altresi' le spese relative al pagamento di compensi per indennita', rimborsi e remunerazione dei permessi spettanti alle consigliere ed ai consiglieri di parita', nonche' quelle per il funzionamento e le attivita' della rete di cui all'articolo 19 e per gli eventuali oneri derivanti dalle convenzioni di cui all'articolo 16, comma 2, diversi da quelli relativi al personale.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le risorse del Fondo vengono annualmente ripartite tra le diverse destinazioni, sulla base dei seguenti criteri:
a) una quota pari al trenta per cento e' riservata all'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parita' ed e' destinata a finanziare, oltre alle spese relative alle attivita' ed ai compensi dello stesso, le spese relative al funzionamento ed ai programmi di attivita' della rete delle consigliere e dei consiglieri di parita' di cui all'articolo 19;
b) la restante quota del settanta per cento e' destinata alle regioni e viene suddivisa tra le stesse sulla base di una proposta di riparto elaborata dalla commissione interministeriale di cui al comma 4.
3. La ripartizione delle risorse e' comunque effettuata in base a parametri oggettivi, che tengono conto del numero delle consigliere o dei consiglieri provinciali e di indicatori che considerano i differenziali demografici ed occupazionali, di genere e territoriali, nonche' in base alla capacita' di spesa dimostrata negli esercizi finanziari precedenti.
4. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali opera la commissione interministeriale per la gestione del Fondo di cui al comma 1. La commissione e' composta dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parita' o da un delegato scelto all'interno della rete di cui all'articolo 19, dal vicepresidente del Comitato nazionale di cui all'articolo 8, da un rappresentante della Direzione generale del mercato del lavoro, da tre rappresentanti del Dipartimento per le pari opportunita' della Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, da un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonche' da tre rappresentanti della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Essa provvede alla proposta di riparto tra le regioni della quota di risorse del Fondo ad esse assegnata, nonche' all'approvazione dei progetti e dei programmi della rete di cui all'articolo 19. L'attivita' della commissione non comporta oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
5. Per la gestione del Fondo di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, le norme che disciplinano il Fondo per l'occupazione.



Note all'art. 18:
- L'art. 47 della legge 17 maggio 1999, n. 144, cosi'
recita:
«Art. 47 (Delega al Governo in materia di revisione
dell'art. 8 della legge 10 aprile 1991, n. 125). - 1. Al
fine di rafforzare gli strumenti volti a promuovere
l'occupazione femminile, a prevenire e contrastare le
discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro, il Governo
e' delegato ad emanare, entro dodici mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti
legislativi recanti norme intese a ridefinire e potenziare
le funzioni, il regime giuridico e le dotazioni strumentali
dei consiglieri di parita', nonche' a migliorare
l'efficienza delle azioni positive di cui alla legge
10 aprile 1991, n. 125, secondo i seguenti principi e
criteri direttivi:
a) revisione e razionalizzazione delle funzioni dei
consiglieri di parita', anche in relazione al nuovo assetto
istituzionale di cui al decreto legislativo 23 dicembre
1997, n. 469 e, in particolare, con:
1) valorizzazione del ruolo nell'ambito ed in
relazione con organismi, sedi e strumenti di politica
attiva del lavoro e di promozione delle occasioni di
impiego, con particolare rferimento alle aree di svantaggio
occupazionale e ai processi di riqualificazione e
formazione professionale;
2) rafforzamento delle funzioni intese al rispetto
della normativa antidiscriminatoria nei luoghi di lavoro,
nonche' di quelle relative al contenzioso in sede
conciliativa e giudiziale ed in sede di giudizio civile o
amministrativo, avente ad oggetto le discriminazioni per
sesso;
b) incremento delle dotazioni per un efficace
espletamento delle funzioni, con, in particolare:
previsione di permessi retribuiti, ridefinizione dei
compensi e dei rimborsi e potenziamento delle
strumentazioni operative;
c) ridefinizione dei criteri e del procedimento di
nomina dei consiglieri di parita', con valorizzazione delle
competenze ed esperienze acquisite;
d) istituzione, presso il Ministero del lavoro e
della previdenza sociale, di un fondo per le attivita' dei
consiglieri di parita', finanziato dal Ministero del lavoro
e della previdenza sociale, con risorse assegnate
annualmente nell'ambito delle disponibilita' del fondo per
l'occupazione, nel limite massimo annuo di lire 10
miliardi, nonche' dal Dipartimento delle pari opportunita'
in misura di lire 10 miliardi annue a decorrere dal 1999,
cui si provvede mediante corrispondente riduzione dello
stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale
1999-2001, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di
parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione
del Ministero del tesoro, del bilancio e della
programmazione economica, allo scopo utilizzando
l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, con definizione dei criteri di assegnazione e
ripartizione delle risorse e previsione
dell'utilizzabilita' delle stesse anche per spese e onorari
relativi alle azioni in giudizio promosse dai consiglieri
di parita';
e) previsione di meccanismi e strumenti di
monitoraggio e valutazione dei risultati conseguiti per
effetto della ridefinizione degli strumenti di cui al
presente articolo;
f) revisione della disciplina del finanziamento delle
azioni positive, anche con riferimento ai soggetti
promotori, ai criteri e alle procedure di finanziamento di
cui all'art. 2 della citata legge n. 125 del 1991, nonche'
previsione di strumenti e di misure volti a favorire il
rispetto e l'adeguamento alle normative in materia di
parita' e di non discriminazione tra i sessi, in
particolare attraverso il ricorso a misure di carattere
premiale.
2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al
comma 1, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati
da una apposita relazione, sono trasmessi alle Camere per
l'espressione del parere da parte delle competenti
Commissioni parlamentari permanenti entro il sessantesimo
giorno antecedente la scadenza del termine previsto per
l'esercizio della relativa delega. In caso di mancato
rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade
dall'esercizio della delega. Le competenti Commissioni
parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla
data di trasmissione. Qualora il termine per l'espressione
del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi
possono essere comunque emanati.
3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in
vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il
Governo puo' emanare eventuali disposizioni modificative e
correttive con le medesime modalita' di cui al comma 2,
attenendosi ai principi e ai criteri direttivi indicati al
comma 1.
4. L'attuazione della delega di cui al presente
articolo deve essere esercitata nel limite delle risorse
disponibili nel Fondo per le attivita' dei consiglieri di
parita' di cui al comma 1, lettera d).».
- Per il decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si
veda le note alle premesse.



 
Art. 19.
Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parita'

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, commi 1, 2,
3, 4 e 5)

1. La rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parita', coordinata dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parita', opera al fine di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei consiglieri di parita', di accrescere l'efficacia della loro azione, di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi.
2. La rete nazionale si riunisce almeno due volte l'anno su convocazione e sotto la presidenza della consigliera o del consigliere nazionale; alle riunioni partecipano il vice presidente del Comitato nazionale di parita' di cui all'articolo 8, e un rappresentante designato dal Ministro per le pari opportunita'.
3. Per l'espletamento dei propri compiti la rete nazionale puo' avvalersi, oltre che del Collegio istruttorio di cui all'articolo 11, anche di esperte o esperti, nei settori di competenza delle consigliere e dei consiglieri di parita', di particolare e comprovata qualificazione professionale. L'incarico di esperta o esperto viene conferito su indicazione della consigliera o del consigliere nazionale di parita' dalla competente Direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
4. L'entita' delle risorse necessarie al funzionamento della rete nazionale e all'espletamento dei relativi compiti, e' determinata con il decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
5. Entro il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale di parita' elabora, anche sulla base dei rapporti di cui all'articolo 15, comma 5, un rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro per le pari opportunita' sulla propria attivita' e su quella svolta dalla rete nazionale. Si applica quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 15 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.
 
Art. 20.
Relazione al Parlamento

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, comma 6)

1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, anche sulla base del rapporto di cui all'articolo 19, comma 5, nonche' delle indicazioni fornite dal Comitato nazionale di parita', presenta in Parlamento, almeno ogni due anni, d'intesa con il Ministro per le pari opportunita', una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parita' e pari opportunita' nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto.
 
Art. 21
Comitato per l'imprenditoria femminile
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 1, 2, 3)

1. Presso il Ministero delle attivita' produttive opera il Comitato per l'imprenditoria femminile composto dal Ministro delle attivita' produttive o, per sua delega, da un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro delle politiche agricole e forestali, dal Ministro dell'economia e delle finanze, o da loro delegati; da una rappresentante degli istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura, del turismo e dei servizi.
2. I membri del Comitato sono nominati con decreto del Ministro delle attivita' produttive, su designazione delle organizzazioni di appartenenza, e restano in carica tre anni. Per ogni membro effettivo viene nominato un supplente.
3. Il Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti; per l'adempimento delle proprie funzioni esso si avvale dei personale e delle strutture messe a disposizione dai Ministeri di cui al comma 1.
 
Art. 22
Attivita' del Comitato per l'imprenditoria femminile
(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 4 e 5)

1. Il Comitato ha compiti di indirizzo e di programmazione generale in ordine agli interventi previsti dal libro III, titolo II; promuove altresi' lo studio, la ricerca e l'informazione sull'imprenditorialita' femminile.
2. Per le finalita' di cui al presente capo il Comitato stabilisce gli opportuni collegamenti con il Servizio centrale per la piccola industria e l'artigianato di cui all'articolo 39, comma 1, lettera a), della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e si avvale di consulenti, individuati tra persone aventi specifiche competenze professionali ed esperienze in materia di imprenditoria femminile.



Nota all'art. 22:
- L'art. 39 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, cosi'
recita:
"Art. 39 (Riordinamento della Direzione generale della
produzione industriale). - 1. Entro centoventi giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge, con decreto
del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del
Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato
ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera d), legge 23 agosto
1988, n. 400, si provvede alla riorganizzazione strutturale
e funzionale della Direzione generale della produzione
industriale, tenuto conto della necessita' di provvedere:
a) all'istituzione di un Servizio centrale per la
piccola industria e l'artigianato, cui e' preposto un
dirigente superiore con funzioni di vice direttore
generale;
b) al riordinamento degli uffici le cui competenze
risultino direttamente o indirettamente collegate a quelle
della Comunita' economica europea;
c) al riordinamento dell'Ispettorato tecnico
dell'industria, anche in relazione agli adempimenti
connessi al controllo dell'attivita' di certificazione;
d) al riordino degli uffici competenti nei settori
merceologici;
e) all'istituzione di un ufficio per lo sviluppo
delle tecnologie informatiche a supporto dell'azione
amministrativa.
2. Con decreto del Ministro dell'industria, del
commercio e dell'artigianato da emanare successivamente al
decreto di cui al comma 1, si provvede alla ripartizione in
divisioni della Direzione generale di cui allo stesso
comma 1.
3. Per le finalita' di cui al presente articolo le
dotazioni organiche del Ministero dell'industria, del
commercio e dell'artigianato sono aumentate entro il limite
di ventisette unita' secondo la seguente articolazione:
a) cinque posti di ottavo livello;
b) cinque posti di settimo livello;
c) sette posti di sesto livello;
d) sei posti di quinto livello;
e) tre posti di quarto livello;
f) un posto di terzo livello.
4. Alla copertura dei posti di cui al comma 3, si
provvede nel triennio 1991-1993 con le procedure di
mobilita' di cui al decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri 5 agosto 1988, n. 325, e successive
modificazioni, e alla legge 29 dicembre 1988, n. 554, e
successive modificazioni e integrazioni.".



 
Art. 23.
Pari opportunita' nei rapporti fra coniugi

1. La materia delle pari opportunita' nei rapporti familiari e' disciplinata dal codice civile.
 
Art. 24.
Violenza nelle relazioni familiari

1. Per il contrasto alla violenza nelle relazioni familiari si applicano le disposizioni di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.



Nota all'art. 24:
- La legge 4 aprile 2001, n. 154, reca «Misure contro
la violenza nelle relazioni familiari», ed e' pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale 28 aprile 2001, n. 98.



 
Art. 25.
Discriminazione diretta e indiretta

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 1 e 2)

1. Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attivita' lavorativa, purche' l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
 
Art. 26.
Molestie e molestie sessuali

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 2-bis, 2-ter e
2-quater)

1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignita' di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono, altresi', considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignita' di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresi', discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parita' di trattamento tra uomini e donne.
 
Art. 27.
Divieti di discriminazione nell'accesso al lavoro

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge
10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 3)

1. E' vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalita' di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attivita', a tutti i livelli della gerarchia professionale.
2. La discriminazione di cui al comma 1 e' vietata anche se attuata:
a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza;
b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso.
3. Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti, nonche' all'affiliazione e all'attivita' in un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.
4. Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.
5. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di terzi, da datori di lavoro privati e pubbliche amministrazioni la prestazione richiesta dev'essere accompagnata dalle parole "dell'uno o dell'altro sesso", fatta eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.
6. Non costituisce discriminazione condizionare all'appartenenza ad un determinato sesso l'assunzione in attivita' della moda, dell'arte e dello spettacolo, quando cio' sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.
 
Art. 28.
Divieto di discriminazione retributiva

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 2)

1. La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
2. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.
 
Art. 29. Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella
carriera

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 3)

1. E' vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera.
 
Art. 30. Divieti di discriminazione nell'accesso alle prestazioni
previdenziali

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articoli 4, 9, 10, 11 e 12)

1. Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di eta' previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.
2. Nell'ipotesi di cui al comma 1 si applicano alle lavoratrici le disposizioni della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, in deroga all'articolo 11 della legge stessa.
3. Gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i genitori gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico debbono essere corrisposti al genitore con il quale il figlio convive.
4. Le prestazioni ai superstiti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria, per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata.
5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici nonche' in materia di trattamenti pensionistici sostitutivi ed integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti e di trattamenti a carico di fondi, gestioni ed enti istituiti per lavoratori dipendenti da datori di lavoro esclusi od esonerati dall'obbligo dell'assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.
6. Le prestazioni ai superstiti previste dal testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e della legge 5 maggio 1976, n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice.



Nota all'art. 30:
- La legge 15 luglio 1966, n. 604, reca «Norme sui
licenziamenti individuali» ed e' pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale 6 agosto 1966, n. 195.
- Il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno
1965, n. 1124, reca «Testo unico delle disposizioni per
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali», ed e' pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale 13 ottobre 1965, n. 257, S.O.
- La legge 5 maggio 1976, n. 248, reca «Provvidenze in
favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul
lavoro deceduti per cause estranee all'infortunio sul
lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento
dell'assegno di incollocabilita' di cui all'art. 180 del
testo unico approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124» ed e' pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale 17 maggio 1976, n. 129.



 
Art. 30-bis
(( (Divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche
complementari collettive. Differenze di trattamento consentite).
1. Nelle forme pensionistiche complementari collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, e' vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta, specificamente per quanto riguarda:
a) il campo d'applicazione di tali forme pensionistiche e relative condizioni d'accesso;
b) l'obbligo di versare i contributi e il calcolo degli stessi;
c) il calcolo delle prestazioni, comprese le maggiorazioni da corrispondere per il coniuge e per le persone a carico, nonche' le condizioni relative alla durata e al mantenimento del diritto alle prestazioni.
2. La fissazione di livelli differenti per le prestazioni e' consentita soltanto se necessaria per tener conto di elementi di calcolo attuariale differenti per i due sessi nel caso di forme pensionistiche a contribuzione definita. Nel caso di forme pensionistiche a prestazioni definite, finanziate mediante capitalizzazione, alcuni elementi possono variare sempreche' l'ineguaglianza degli importi sia da attribuire alle conseguenze dell'utilizzazione di fattori attuariali che variano a seconda del sesso all'atto dell'attuazione del finanziamento del regime.
3. I dati attuariali che giustificano trattamenti diversificati ai sensi del comma 2 devono essere affidabili, pertinenti ed accurati.
4. La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) esercita i suoi poteri ed effettua le attivita' necessarie, al fine di garantire l'affidabilita', la pertinenza e l'accuratezza dei dati attuariali che giustificano trattamenti diversificati ai sensi del comma 2, anche allo scopo di evitare discriminazioni. Essa inoltre raccoglie, pubblica e aggiorna i dati relativi all'utilizzo del sesso quale fattore attuariale determinante, relazionando almeno annualmente al Comitato nazionale di parita' e pari opportunita' nel lavoro. Tali attivita' sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.))
 
Art. 31.
Divieti di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici

(legge 9 febbraio 1963, n. 66, articolo 1, comma 1; legge 13 dicembre
1986, n. 874, articoli 1 e 2)

1. La donna puo' accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
2. L'altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione nell'accesso a cariche, professioni e impieghi pubblici ad eccezione dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali e' necessario definire un limite di altezza e la misura di detto limite, indicate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati, le organizzazioni sindacali piu' rappresentative e la Commissione per la parita' tra uomo e donna, fatte salve le specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
 
Art. 32. Divieti di discriminazione nell'arruolamento nelle forze armate e nei
corpi speciali

(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 1)

1. Le Forze armate ed il Corpo della guardia di finanza si avvalgono, per l'espletamento dei propri compiti, di personale maschile e femminile.
 
Art. 33. Divieti di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate e nel
Corpo della guardia di finanza

(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 2)

1. Il reclutamento del personale militare femminile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza e' effettuato su base volontaria secondo le disposizioni vigenti per il personale maschile, salvo quanto previsto per l'accertamento dell'idoneita' al servizio militare del personale femminile dai decreti di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 20 ottobre 1999, n. 380, e salve le aliquote d'ingresso eventualmente previste, in via eccezionale, con il decreto adottato ai sensi della legge medesima.
2. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, nonche' il personale femminile volontario di truppa in fase di addestramento e specializzazione iniziale, e' posto in licenza straordinaria per maternita' a decorrere dalla presentazione all'amministrazione della certificazione attestante lo stato di gravidanza, fino all'inizio del periodo di congedo di maternita' di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Il periodo di assenza del servizio trascorso in licenza straordinaria per maternita' non e' computato nel limite massimo previsto per le licenze straordinarie.
3. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, posto in licenza straordinaria per maternita' ai sensi del comma 2, puo' chiedere di proseguire il periodo formativo con esenzione di qualsiasi attivita' fisica, fino all'inizio del periodo del congedo di maternita' di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L'accoglimento della domanda e' disposto dal Comandante di corpo, in relazione agli obiettivi didattici da conseguire e previo parere del dirigente del servizio sanitario dell'istituto di formazione.
4. La licenza straordinaria per maternita' di cui al comma 3 e' assimilata ai casi di estensione del divieto di adibire le donne al lavoro previsti dall'articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Al personale femminile, nel predetto periodo di assenza, e' attribuito il trattamento economico di cui all'articolo 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero, qualora piu' favorevole, quello stabilito dai provvedimenti previsti dall'articolo 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195.
5. Il personale militare femminile appartenente alle Forze armate, all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza che, ai sensi degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 151 del 2001, non possa frequentare i corsi previsti dalle relative normative di settore, e' rinviato al primo corso utile successivo e, qualora lo superi con esito favorevole, assume l'anzianita' relativa al corso originario di appartenenza.



Note all'art. 33:
- Si riporta il testo dell'art. 1 della legge
20 ottobre 1999, n. 380 (Delega al Governo per
l'istituzione del servizio militare volontario femminile),
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 ottobre 1999, n.
255:
«Art. 1. - 1. Le cittadine italiane partecipano, su
base volontaria, secondo le disposizioni di cui alla
presente legge, ai concorsi per il reclutamento di
ufficiali e sottufficiali in servizio permanente e di
militari di truppa in servizio volontario, e categorie
equiparate, nei ruoli delle Forze armate e del Corpo della
guardia di finanza.
2. Il Governo e' delegato ad emanare, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, su
proposta del Ministro della difesa, di concerto con i
Ministri per le pari opportunita', del tesoro, del bilancio
e della programmazione economica, delle finanze, dei
trasporti e della navigazione e per la funzione pubblica,
sentita la Commissione nazionale per la parita' e le pari
opportunita' tra uomo e donna, di cui alla legge 22 giugno
1990, n. 164, uno o piu' decreti legislativi per
disciplinare il reclutamento, lo stato giuridico e
l'avanzamento del personale militare femminile, sulla base
dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) assicurare la realizzazione del principio delle
pari opportunita' uomo-donna, nel reclutamento del
personale militare, nell'accesso ai diversi gradi,
qualifiche, specializzazioni ed incarichi del personale
delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza;
b) applicare al personale militare femminile e
maschile la normativa vigente per il personale dipendente
delle pubbliche amministrazioni in materia di maternita' e
paternita' e di pari opportunita' uomo-donna, tenendo conto
dello status del personale militare.
3. Con decreto del Ministro della difesa, di concerto
con il Ministro delle finanze e con il Ministro per le pari
opportunita', e' istituito, entro trenta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge e per un periodo
di quattro anni rinnovabile, un Comitato consultivo
composto da undici membri nel quale e' assicurata una
partecipazione maggioritaria di personale femminile in
possesso di adeguate esperienze e competenze nelle materie
attinenti ai settori di interesse del Ministero della
difesa e del Ministero delle finanze, con il compito di
assistere il Capo di stato maggiore della difesa ed il
Comandante generale del Corpo della guardia di finanza
nell'azione di indirizzo, coordinamento e valutazione
dell'inserimento e della integrazione del personale
femminile nelle strutture delle Forze armate e del Corpo
della guardia di finanza. Sei membri del Comitato
consultivo sono scelti dal Ministro della difesa con
proprio decreto e un membro e' scelto dal Ministro delle
finanze con proprio decreto. Il Ministro per le pari
opportunita' designa i restanti quattro membri, due dei
quali sono indicati dalla Commissione nazionale per la
parita' e le pari opportunita' tra uomo e donna. Con il
decreto di istituzione del Comitato consultivo il Ministro
della difesa provvede anche all'indicazione di eventuali
compensi connessi alla effettiva presenza ai lavori del
Comitato stesso. Per il funzionamento del Comitato e'
autorizzata la spesa di lire 80 milioni per il 1999 e di
lire 240 milioni annue a decorrere dal 2000. Al relativo
onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento
iscritto, ai fini del bilancio triennale 1999-2001,
nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte
corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del
Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica per l'anno 1999, allo scopo utilizzando
l'accantonamento relativo al Ministero della difesa. Il
Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica e' autorizzato ad apportare, con propri decreti,
le occorrenti variazioni di bilancio.
4. Il Governo trasmette alla Camera dei deputati ed al
Senato della Repubblica gli schemi dei decreti legislativi
di cui al comma 2, al fine dell'espressione del parere da
parte delle competenti Commissioni permanenti, da rendere
entro sessanta giorni dalla data di trasmissione.
5. Il Ministro della difesa e il Ministro delle finanze
per il personale del Corpo della guardia di finanza, entro
trenta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti
legislativi di cui al comma 2, adottano, con propri
decreti, ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge
23 agosto 1988, n. 400, regolamenti recanti norme per
l'accertamento dell'idoneita' al servizio militare sentiti,
per quanto concerne il personale femminile, il Ministro per
le pari opportunita', la Commissione nazionale per la
parita' e le pari opportunita' tra uomo e donna nonche' il
Ministro dei trasporti e della navigazione per il personale
del Corpo delle capitanerie di porto.
6. Ferme restando le consistenze organiche complessive,
il Ministro della difesa puo' prevedere limitazioni
all'arruolamento del personale militare femminile soltanto
in presenza di motivate esigenze connesse alla
funzionalita' di specifici ruoli, corpi, categorie,
specialita' e specializzazioni di ciascuna Forza armata,
qualora in ragione della natura o delle condizioni per
l'esercizio di specifiche attivita' il sesso rappresenti un
requisito essenziale. Il relativo decreto e' adottato su
proposta del Capo di stato maggiore della difesa, acquisito
il parere della Commissione per le pari opportunita' tra
uomo e donna, d'intesa con i Ministri delle infrastrutture
e dei trasporti e per le pari opportunita'.
7. Agli adempimenti di cui al comma 6, per il personale
femminile da arruolare nel Corpo della guardia di finanza,
provvede il Ministro delle finanze, sentito il Ministro per
le pari opportunita' il quale acquisisce il parere della
Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita'
tra uomo e donna, su proposta del Comandante generale del
Corpo della guardia di finanza.
8. In via transitoria per i primi tre anni e salvo
quanto previsto dai commi 6 e 7, le prime immissioni di
personale femminile nelle Forze armate e nel Corpo della
guardia di finanza sono disposte, elevando di tre anni i
limiti di eta' previsti dalla normativa per gli ufficiali o
i sottufficiali, nonche' limitatamente ai contingenti
stabiliti annualmente nell'ambito della pianificazione del
reclutamento del personale militare, dal Capo di stato
maggiore della difesa e dal Comandante generale del Corpo
della guardia di finanza, sentito il Comitato consultivo di
cui al comma 3, mediante reclutamento con concorsi a nomina
diretta secondo quanto previsto dal decreto legislativo
30 dicembre 1997, n. 490, ovvero, per il Corpo della
guardia di finanza, secondo le modalita' di cui all'art. 8,
commi da 2 a 4, della legge 28 marzo 1997, n. 85, in quanto
applicabili.
9. In deroga alle previsioni del comma 1, le cittadine
italiane possono partecipare, su base volontaria, anche ai
concorsi per ufficiali piloti di complemento delle Forze
armate. Questi ultimi devono essere reclutati con le
modalita' e le procedure di cui all'art. 3 della legge
19 maggio 1986, n. 224.».
- L'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, cosi' recita:
«Art. 16 (Divieto di adibire al lavoro le donne) (Legge
30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, commi 1 e 4). - 1. E'
vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del
parto, salvo quanto previsto all'art. 20;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il
periodo intercorrente tra la data presunta e la data
effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto
previsto all'art. 20;
d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del
parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto
a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di
congedo di maternita' dopo il parto.».
- L'art. 17 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, cosi' recita:
«Art. 17 (Estensione del divieto) (Legge 30 dicembre
1971, n. 1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6,
7, 9 e 10). - 1. Il divieto e' anticipato a tre mesi dalla
data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate
in lavori che, in relazione all'avanzato stato di
gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con propri decreti dal
Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le
organizzazioni sindacali nazionali maggiormente
rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto
ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro e'
disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro,
competente per territorio.
2. Il servizio ispettivo del Ministero del lavoro puo'
disporre, sulla base di accertamento medico, avvalendosi
dei competenti organi del Servizio sanitario nazionale, ai
sensi degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 502, l'interdizione dal lavoro delle
lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di
astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'art. 16, o
fino ai periodi di astensione di cui all'art. 7, comma 6, e
all'art. 12, comma 2, per uno o piu' periodi, la cui durata
sara' determinata dal servizio stesso, per i seguenti
motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o
di preesistenti forme morbose che si presume possano essere
aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano
ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del
bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad
altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e
12.
3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del
comma 2 e' disposta dal servizio ispettivo del Ministero
del lavoro, secondo le risultanze dell'accertamento medico
ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovra' essere
emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza
della lavoratrice.
4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c)
del comma 2 puo' essere disposta dal servizio ispettivo del
Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della
lavoratrice, qualora nel corso della propria attivita' di
vigilanza constati l'esistenza delle condizioni che danno
luogo all'astensione medesima.
5. I provvedimenti dei servizi ispettivi previsti dal
presente articolo sono definitivi.».
- L'art. 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, cosi' recita:
«Art. 22 (Trattamento economico e normativo) (Legge
30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 6, 8 e 15, commi 1 e 5;
legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 3, comma 2;
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla
legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, commi 4 e 5). - 1. Le
lavoratrici hanno diritto ad un'indennita' giornaliera pari
all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo
del congedo di maternita', anche in attuazione degli
articoli 7, comma 6, e 12, comma 2.
2. L'indennita' di maternita', comprensiva di ogni
altra indennita' spettante per malattia, e' corrisposta con
le modalita' di cui all'art. 1 del decreto-legge
30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni,
dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e con gli stessi
criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni
dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
3. I periodi di congedo di maternita' devono essere
computati nell'anzianita' di servizio a tutti gli effetti,
compresi quelli relativi alla tredicesima mensilita' o alla
gratifica natalizia e alle ferie.
4. I medesimi periodi non si computano ai fini del
raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di
mobilita' di cui all'art. 7 della legge 23 luglio 1991, n.
223, fermi restando i limiti temporali di fruizione
dell'indennita' di mobilita'. I medesimi periodi si
computano ai fini del raggiungimento del limite minimo di
sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter
beneficiare dell'indennita' di mobilita'.
5. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della
progressione nella carriera, come attivita' lavorativa,
quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo
particolari requisiti.
6. Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla
lavoratrice ad altro titolo non vanno godute
contemporaneamente ai periodi di congedo di maternita'.
7. Non viene cancellata dalla lista di mobilita' ai
sensi dell'art. 9 della legge 23 luglio 1991, n. 223, la
lavoratrice che, in periodo di congedo di maternita',
rifiuta l'offerta di lavoro, di impiego in opere o servizi
di pubblica utilita', ovvero l'avviamento a corsi di
formazione professionale.».
- Il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, reca
«Attuazione dell'art. 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216,
in materia di procedure per disciplinare i contenuti del
rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e
delle Forze armate» ed e' pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale 27 maggio 1995, n. 122, S.O.



 
Art. 34.
Divieto di discriminazione nelle carriere militari

(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articoli 3, 4 e 5)

1. Lo stato giuridico del personale militare femminile e' disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
2. L'avanzamento del personale militare femminile e' disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
3. Le amministrazioni interessate disciplinano gli specifici ordinamenti dei corsi presso le accademie, gli istituti e le scuole di formazione in relazione all'ammissione ai corsi stessi del personale femminile.
 
Art. 35.
Divieto di licenziamento per causa di matrimonio

(legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)

1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.
5. Al datore di lavoro e' data facolta' di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, e' stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell'attivita' dell'azienda cui essa e' addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
6. Con il provvedimento che dichiara la nullita' dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 e' disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.
7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell'invito.
9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.
 
Art. 36.
Legittimazione processuale

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 4 e 5)

1. Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni ai sensi dell'articolo 25 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, puo' promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera o il consigliere di parita' provinciale o regionale territorialmente competente.
2. Ferme restando le azioni in giudizio di cui all'articolo 37, commi 2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parita' provinciali e regionali competenti per territorio hanno facolta' di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.



Note all'art. 36:
- L'art. 410 del codice di procedura civile cosi'
recita:
«Art. 410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). -
Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai
rapporti previsti dall'art. 409 e non ritiene di avvalersi
delle procedure di conciliazione previste dai contratti e
accordi collettivi deve promuovere, anche tramite
l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca
mandato, il tentativo di conciliazione presso la
commissione di conciliazione individuata secondo i criteri
di cui all'art. 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del
tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e
sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e
per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il
decorso di ogni termine di decadenza.
La commissione, ricevuta la richiesta tenta la
conciliazione della controversia, convocando le parti, per
una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal
ricevimento della richiesta.
Con provvedimento del direttore dell'ufficio
provinciale del lavoro e della massima occupazione e'
istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale
del lavoro e della massima occupazione, una commissione
provinciale di conciliazione composta dal direttore
dell'ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualita' di
presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da
quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro
rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei
lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
Commissioni di conciliazione possono essere istituite,
con le stesse modalita' e con la medesima composizione di
cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali
degli uffici provinciali del lavoro e della massima
occupazione.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessita',
affidano il tentativo di conciliazione a proprie
sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio
provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un
suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal
precedente terzo comma.
In ogni caso per la validita' della riunione e'
necessaria la presenza del presidente e di almeno un
rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei
lavoratori.
Ove la riunione della commissione non sia possibile per
la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al
precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale dei
lavoro certifica l'impossibilita' di procedere al tentativo
di conciliazione.».
- L'art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, cosi' recita:
«Art. 66 (Collegio di conciliazione) (Art. 69-bis del
decreto legislativo n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 32
del decreto legislativo n. 80 del 1998 e successivamente
modificato dall'art. 19, comma 7, del decreto legislativo
n. 387 del 1998). - 1. Ferma restando la facolta' del
lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione
previste dai contratti collettivi, il tentativo
obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 65 si svolge,
con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un
collegio di conciliazione istituito presso la Direzione
provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova
l'ufficio cui il lavoratore e' addetto, ovvero era addetto
al momento della cessazione del rapporto. Le medesime
procedure si applicano, in quanto compatibili, se il
tentativo di conciliazione e' promosso dalla pubblica
amministrazione. Il collegio di conciliazione e' composto
dal direttore della Direzione o da un suo delegato, che lo
presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un
rappresentante dell'amministrazione.
2. La richiesta del tentativo di conciliazione,
sottoscritta dal lavoratore, e' consegnata alla Direzione
presso la quale e' istituito il collegio di conciliazione
competente o spedita mediante raccomandata con avviso di
ricevimento. Copia della richiesta deve essere consegnata o
spedita a cura dello stesso lavoratore all'amministrazione
di appartenenza.
3. La richiesta deve precisare:
a) l'amministrazione di appartenenza e la sede alla
quale il lavoratore e' addetto;
b) il luogo dove gli devono essere fatte le
comunicazioni inerenti alla procedura;
c) l'esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni
poste a fondamento della pretesa;
d) la nomina del proprio rappresentante nel collegio
di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad
un'organizzazione sindacale.
4. Entro trenta giorni dal ricevimento della copia
della richiesta, l'amministrazione, qualora non accolga la
pretesa del lavoratore, deposita presso la Direzione
osservazioni scritte. Nello stesso atto nomina il proprio
rappresentante in seno al collegio di conciliazione. Entro
i dieci giorni successivi al deposito, il Presidente fissa
la comparizione delle parti per il tentativo di
conciliazione. Dinanzi al collegio di conciliazione, il
lavoratore puo' farsi rappresentare o assistere anche da
un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. Per
l'amministrazione deve comparire un soggetto munito del
potere di conciliare.
5. Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad
una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene
redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti
e dai componenti del collegio di conciliazione. Il verbale
costituisce titolo esecutivo. Alla conciliazione non si
applicano le disposizioni dell'art. 2113, commi primo,
secondo e terzo del codice civile.
6. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, il
collegio di conciliazione deve formulare una proposta per
la bonaria definizione della controversia. Se la proposta
non e' accettata, i termini di essa sono riassunti nel
verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle
parti.
7. Nel successivo giudizio sono acquisiti, anche di
ufficio, i verbali concernenti il tentativo di
conciliazione non riuscito. Il giudice valuta il
comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai
fini del regolamento delle spese.
8. La conciliazione della lite da parte di chi
rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla
proposta formulata dal collegio di cui al comma 1, ovvero
in sede giudiziale ai sensi dell'art. 420, commi primo,
secondo e terzo, del codice di procedura civile, non puo'
dar luogo a responsabilita' amministrativa.».



 
Art. 37.
Legittimazione processuale a tutela di piu' soggetti

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 7, 8, 9, 10 e 11)

1. Qualora le consigliere o i consiglieri di parita' regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera o il consigliere nazionale rilevino l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni, prima di promuovere l'azione in giudizio ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere all'autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta in essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano e' considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera o il consigliere di parita' promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro.
2. Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al comma 1, le consigliere o i consiglieri di parita', qualora non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione di cui al medesimo comma o in caso di esito negativo della stessa, possono proporre ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti.
3. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina all'autore della discriminazione di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentite, nel caso si tratti di datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli organismi locali aderenti alle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nonche' la consigliera o il consigliere di parita' regionale competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale. Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche temporali, da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del piano.
4. Ferma restando l'azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parita' possono proporre ricorso in via d'urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti. Il giudice adito, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in tal caso le disposizioni del comma 3. Contro il decreto e' ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorita' giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
5. L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3, al decreto di cui al comma 4 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio di opposizione e' punita con le pene di cui all'artico1o 650 del codice penale e comporta altresi' il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento da versarsi al Fondo di cui all'articolo 18 e la revoca dei benefici di cui all'articolo 41, comma 1.



Nota all'art. 37:
- L'art. 650 del codice penale cosi' recita:
«Art. 650 (Inosservanza dei provvedimenti
dell'autorita). - Chiunque non osserva un provvedimento
legalmente dato dall'autorita' per ragione di giustizia o
di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, e'
punito, se il fatto non costituisce un piu' grave reato,
con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire
quattrocentomila.



 
Art. 38.
Provvedimento avverso le discriminazioni

(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 15; legge 10 aprile 1991, n.
125, articolo 4, comma 13)

1. Qualora vengano posti in essere comportamenti diretti a violare le disposizioni di cui all'articolo 27, commi 1, 2, 3 e 4, e di cui all'articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, su ricorso del lavoratore o per sua delega delle organizzazioni sindacali o della consigliera o del consigliere di parita' provinciale o regionale territorialmente competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove e' avvenuto il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
2. L'efficacia esecutiva del decreto non puo' essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma seguente.
3. Contro il decreto e' ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
4. L'inottemperanza al decreto di cui al primo comma o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione e' punita ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.
5. Ove le violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici si applicano le norme previste in materia di sospensione dell'atto dall'articolo 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
6. Ferma restando l'azione ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione individuale in giudizio promossa dalla persona che vi abbia interesse o su sua delega da un'organizzazione sindacale o dalla consigliera o dal consigliere provinciale o regionale di parita'.



Note all'art. 38:
- Le disposizioni di cui all'art. 5, comma 2,
lettera a) e b) della legge 9 dicembre 1977, n. 903 sono
ora contenute nell'art. 53 del testo unico approvato con
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il cui testo si
riporta:
"Art. 53 (Lavoro notturno) (Legge 9 dicembre 1977, n.
903, commi 1 e 2, lettere a) e b)). - 1. E' vietato adibire
le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6,
dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al
compimento di un anno di eta' del bambino.
2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
a) la lavoratrice madre di un figlio di eta'
inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre
convivente con la stessa;
b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico
genitore affidatario di un figlio convivente di eta'
inferiore a dodici anni.
3. Ai sensi dell'art. 5, comma 2, lettera c), della
legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresi' obbligati
a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore
che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi
della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive
modificazioni.".
- L'art. 413 del codice di procedura civile e' di
seguito riportato:
"Art. 413 (Giudice competente). - Le controversie
previste dall'art. 409 sono in primo grado di competenza
del tribunale in funzione di giudice del lavoro.
Competente per territorio e' il giudice nella cui
circoscrizione e' sorto il rapporto ovvero si trova
l'azienda o una sua dipendenza alla quale e' addetto il
lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al
momento della fine del rapporto.
Tale competenza permane dopo il trasferimento
dell'azienda o la cessazione di essa o della sua
dipendenza, purche' la domanda sia proposta entro sei mesi
dal trasferimento o dalla cessazione.
Competente per territorio per le controversie previste
dal numero 3) dell'art. 409 e' il giudice nella cui
circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del
rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri
rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3)
dell'art. 409.
Competente per territorio per le controversie relative
ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni e' il giudice nella cui circoscrizione ha
sede l'ufficio al quale il dipendente e' addetto o era
addetto al momento della cessazione del rapporto.
Nelle controversie nelle quali e' parte una
Amministrazione dello Stato non si applicano le
disposizioni dell'art. 6 del regio decreto 30 ottobre 1933,
n. 1611.
Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei
commi precedenti, si applicano quelle dell'art. 18.
Sono nulle le clausole derogative della competenza per
territorio.".
- Per l'art. 650 del codice penale, si veda la nota
all'art. 37.
- La legge 6 dicembre 1971, n. 1034, reca "Istituzione
del tribunali amministrativi regionali" ed e' pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale 13 dicembre 1971, n. 314.



 
Art. 39.
Ricorso in via d'urgenza

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 14)

1. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall'articolo 410 del codice di procedura civile non preclude la concessione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.



Nota all'art. 39:
- Per l'art. 410 del codice di procedura civile, si
veda la nota all'art. 36.



 
Art. 40.
Onere della prova

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 6)

1. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione.
 
Art. 41.
Adempimenti amministrativi e sanzioni

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 12; legge 9 dicembre
1977, n. 903, articolo 16, comma 1)

1. Ogni accertamento di atti, patti o comportamenti discriminatori ai sensi degli articoli 25 e 26, posti in essere da soggetti ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture, viene comunicato immediatamente dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del beneficio e, nei casi piu' gravi o nel caso di recidiva, possono decidere l'esclusione del responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale disposizione si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione accertata per l'adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni del presente comma non si applicano nel caso sia raggiunta una conciliazione ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1.
2. L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1, 2 e 3, 28, 29, 30, commi 1, 2, 3 e 4, e' punita con l'ammenda da 103 euro a 516 euro.
 
Art. 41-bis
(Vittimizzazione).

((1. La tutela giurisdizionale di cui al presente capo si applica, altresi', avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei confronti della persona lesa da una discriminazione o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attivita' diretta ad ottenere il rispetto del principio di parita' di trattamento tra uomini e donne.))
 
Art. 42.
Adozione e finalita' delle azioni positive

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2)

1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunita', nell'ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l'occupazione femminile e realizzate l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
a) eliminare le disparita' nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilita';
b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;
c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attivita', nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilita';
f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilita' familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilita' tra i due sessi.
 
Art. 43.
Promozione delle azioni positive

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, comma 3)

1. Le azioni positive di cui all'articolo 42 possono essere promosse dal Comitato di cui all'articolo 8 e dalle consigliere e dai consiglieri di parita' di cui all'articolo 12, dai centri per la parita' e le pari opportunita' a livello nazionale, locale e aziendale, comunque denominati, dai datori di lavoro pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, delle organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, anche su proposta delle rappresentanze sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi del personale di cui all'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.



Nota all'art. 43:
- L'art. 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, cosi' reca:
«Art. 42 (Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di
lavoro) (Art. 47 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito
dall'art. 6 dei D.Lgs. n. 396 del 1997). - 1. Nelle
pubbliche amministrazioni la liberta' e l'attivita'
sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle
disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e
successive modificazioni ed integrazioni. Fino a quando non
vengano emanate norme di carattere generale sulla
rappresentativita' sindacale che sostituiscano o
modifichino tali disposizioni, le pubbliche
amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all'art.
2, comma 1, lettera b), della legge 23 ottobre 1992, n.
421, osservano le disposizioni seguenti in materia di
rappresentativita' delle organizzazioni sindacali ai fini
dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali
nei luoghi di lavoro e dell'esercizio della contrattazione
collettiva.
2. In ciascuna amministrazione, ente o struttura
amministrativa di cui al comma 8, le organizzazioni
sindacali che, in base ai criteri dell'art. 43, siano
ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti
collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali
aziendali ai sensi dell'art. 19 e seguenti della legge
20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed
integrazioni. Ad esse spettano, in proporzione alla
rappresentativita', le garanzie previste dagli articoli 23,
24 e 30 della medesima legge n. 300 del 1970, e le migliori
condizioni derivanti dai contratti collettivi.
3. In ciascuna amministrazione, ente o struttura
amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche
disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2,
viene altresi' costituito, con le modalita' di cui ai
commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del
personale mediante elezioni alle quali e' garantita la
partecipazione di tutti i lavoratori.
4. Con appositi accordi o contratti collettivi
nazionali, tra 1'ARAN e le confederazioni o organizzazioni
sindacali rappresentative ai sensi dell'art. 43, sono
definite la composizione dell'organismo di rappresentanza
unitaria del personale e le specifiche modalita' delle
elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il
metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione
della prorogabilita'. Deve essere garantita la facolta' di
presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai
criteri dell'art. 43, siano ammesse alle trattative per la
sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre
organizzazioni sindacali, purche' siano costituite in
associazione con un proprio statuto e purche' abbiano
aderito agli accordi o contratti collettivi che
disciplinano l'elezione e il funzionamento dell'organismo.
Per la presentazione delle liste, puo' essere richiesto a
tutte le organizzazioni sindacali promotrici un numero di
firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3
per cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni,
enti o strutture amministrative fino a duemila dipendenti,
e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori.
5. I medesimi accordi o contratti collettivi possono
prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8, siano
costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a
piu' amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati
nel medesimo territorio. Essi possono altresi' prevedere
che siano costituiti organismi di coordinamento tra le
rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni
e enti con pluralita' di sedi o strutture di cui al
comma 8.
6. I componenti della rappresentanza unitaria del
personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze
sindacali aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970, n.
300, e successive modificazioni ed integrazioni, e del
presente decreto. Gli accordi o contratti collettivi che
regolano l'elezione e il funzionamento dell'organismo,
stabiliscono i criteri e le modalita' con cui sono
trasferite ai componenti eletti della rappresentanza
unitaria del personale le garanzie spettanti alle
rappresentanze sindacali aziendali delle organizzazioni
sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o
vi aderiscano.
7. I medesimi accordi possono disciplinare le modalita'
con le quali la rappresentanza unitaria del personale
esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di
partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali
aziendali dall'art. 9 o da altre disposizioni della legge e
della contrattazione collettiva. Essi possono altresi'
prevedere che, ai fini dell'esercizio della contrattazione
collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del
personale sia integrata da rappresentanti delle
organizzazioni sindacali firmatari e del contratto
collettivo nazionale del comparto.
8. Salvo che i contratti collettivi non prevedano, in
relazione alle caratteristiche del comparto, diversi
criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3
del presente articolo possono essere costituiti, alle
condizioni previste dai commi precedenti, in ciascuna
amministrazione o ente che occupi oltre quindici
dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con
pluralita' di sedi o strutture periferiche, possono essere
costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che
siano considerate livelli decentrati di contrattazione
collettiva dai contratti collettivi nazionali.
9. Fermo restando quanto previsto dal comma 2, per la
costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi
dell'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e
successive modificazioni ed integrazioni, la rappresentanza
dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture
amministrative e' disciplinata, in coerenza con la natura
delle loro funzioni, agli accordi o contratti collettivi
riguardanti la relativa area contrattuale.
10. Alle figure professionali per le quali nel
contratto collettivo del comparto sia prevista una
disciplina distinta ai sensi dell'art. 40, comma 2, deve
essere garantita una adeguata presenza negli organismi di
rappresentanza unitaria del personale, anche mediante
l'istituzione, tenuto conto della loro incidenza
quantitativa e del numero dei componenti dell'organismo, di
specifici collegi elettorali.
11. Per quanto riguarda i diritti e le prerogative
sindacali delle organizzazioni sindacali delle minoranze
linguistiche, nell'ambito della provincia di Bolzano e
della regione Valle d'Aosta, si applica quanto previsto
dall'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica
6 gennaio 1978, n. 58, e dal decreto legislativo
28 dicembre 1989, n. 430.».



 
Art. 44.
Finanziamento

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 2, commi 1, 2, 4 e 5)

1. A partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i datori di lavoro pubblici e privati, i centri di formazione professionale accreditati, le associazioni, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono richiedere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di essere ammessi al rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al programma-obiettivo di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c).
2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato di cui all'articolo 8, ammette i progetti di azioni positive al beneficio di cui al comma 1 e, con lo stesso provvedimento, autorizza le relative spese. L'attuazione dei progetti di cui al comma 1, deve comunque avere inizio entro due mesi dal rilascio dell'autorizzazione.
3. I progetti di azioni concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale hanno precedenza nell'accesso al beneficio di cui al comma 1.
4. L'accesso ai fondi comunitari destinati alla realizzazione di programmi o progetti di azioni positive, ad eccezione di quelli di cui all'articolo 45, e' subordinato al parere del Comitato di cui all'articolo 8.
 
Art. 45. Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione
professionale

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 3)

1. Al finanziamento dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 42, comma 1, autorizzati secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, ed approvati dal Fondo sociale europeo, e' destinata una quota del Fondo di rotazione istituito dall'articolo 25 della stessa legge, determinata annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica.
2. La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 42, comma 1, viene accertata, entro il 31 marzo dell'anno in cui l'iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per l'impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all'articolo 8.
3. La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 e' ripartita tra le regioni in misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati.



Nota all'art. 45:
- Gli articoli 25, 26 e 27 della legge 21 dicembre
1978, n. 845, recante: «Legge-quadro in materia di
formazione professionale», sono di seguito riportati:
«Art. 25 (Istituzione di un Fondo di rotazione). - Per
favorire l'accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo
regionale europeo dei progetti realizzati dagli organismi
di cui all'articolo precedente, e' istituito, presso il
Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con
l'amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, ai
sensi dell'art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041, un
Fondo di rotazione.
Per la costituzione del Fondo di rotazione, la cui
dotazione e' fissata in lire 100 miliardi, si provvede a
carico del bilancio dello Stato con l'istituzione di un
apposito capitolo di spesa nello stato di previsione del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale per l'anno
1979.
A decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio
1979, le aliquote contributive di cui ai numeri da 1) a 5)
dell'art. 20 del decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30,
convertito, con modificazioni, nella legge 16 aprile 1974,
n. 114, e modificato dall'art. 11 della legge 3 giugno
1975, n. 160, sono ridotte:
1) dal 4,45 al 4,15 per cento;
2) dal 4,45 al 4,15 per cento;
3) dai 3,05 al 2,75 per cento;
4) dal 4,30 al 4 per cento;
5) dal 6,50 al 6,20 per cento.
Con la stessa decorrenza l'aliquota del contributo
integrativo dovuto per l'assicurazione obbligatoria contro
la disoccupazione involontaria ai sensi dell'art. 12 della
legge 3 giugno 1975, n. 160, e' aumentata in misura pari
allo 0,30 per cento delle retribuzioni soggette all'obbligo
contributivo.
I due terzi delle maggiori entrate derivanti
dall'aumento contributivo di cui al precedente
comma affluiscono al Fondo di rotazione. Il versamento
delle somme dovute al Fondo e' effettuato dall'Istituto
nazionale della previdenza sociale con periodicita'
trimestrale.
La parte di disponibilita' del Fondo di rotazione non
utilizzata al termine di ogni biennio, a partire da quello
successivo alla data di entrata in vigore della presente
legge, rimane acquisita alla gestione per l'assicurazione
obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.
Alla copertura dell'onere di lire 100 miliardi,
derivante dall'applicazione della presente legge
nell'esercizio finanziario 1979, si fara' fronte mediante
corrispondente riduzione dello stanziamento del capitolo
9001 dello stato di previsione della spesa del Ministero
del tesoro per l'anno finanziario anzidetto.
Il Ministro del tesoro e' autorizzato ad apportare, con
propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Le somme di cui ai commi precedenti affluiscono in
apposito conto corrente infruttifero aperto presso la
tesoreria centrale e denominato «Ministero del lavoro e
della previdenza sociale - somme destinate a promuovere
l'accesso al Fondo sociale europeo dei progetti realizzati
dagli organismi di cui all'art. 8 della decisione del
consiglio delle Comunita' europee numero 71/66/CEE del 1°
febbraio 1971, modificata dalla decisione n. 77/801/CEE del
20 dicembre 1977.».
«Art. 26 (Finanziamento integrativo dei progetti
speciali). - Un terzo delle maggiori entrate derivanti
dall'aumento contributivo di cui al quarto
comma dell'articolo precedente e' versato dall'Istituto
nazionale della previdenza sociale, con periodicita'
trimestrale, in un conto corrente aperto presso la
tesoreria centrale dello Stato, per la successiva
acquisizione all'entrata del bilancio statale e
contemporanea iscrizione ad apposito capitolo di spesa
dello stato di previsione del Ministero del lavoro e della
previdenza sociale, al fine di integrare il finanziamento
dei progetti speciali di cui all'art. 36 del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616,
eseguiti dalle regioni, per ipotesi di rilevante squilibrio
locale tra domanda ed offerta di lavoro, nei territori di
cui all'art. 1 del testo unico approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218.
La dotazione di cui al comma precedente e' gestita con
amministrazione autonoma fuori bilancio ai sensi dell'art.
9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041.
Il Ministro del tesoro e' autorizzato ad apportare, con
propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.».
«Art. 27 (Erogazione dei finanziamenti). - A seguito
dell'approvazione da parte del Fondo sociale europeo dei
singoli progetti, con decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del
tesoro, e' stabilito, anche sotto forma di acconti, il
contributo a carico del Fondo di rotazione di cui al
precedente art. 25 a favore degli organismi di cui all'art.
24, primo comma.
Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, e'
disposta l'erogazione, a favore delle regioni interessate,
dei contributi di cui al primo comma dell'art. 26.».



 
Art. 46.
Rapporto sulla situazione del personale

(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4)

1. Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilita', dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
2. Il rapporto di cui al comma 1 e' trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parita'.
3. Il rapporto e' redatto in conformita' alle indicazioni definite nell'ambito delle specificazioni di cui al comma 1 dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto.
4. Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non trasmettano il rapporto, la Direzione regionale del lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520. Nei casi piu' gravi puo' essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall'azienda.



Nota all'art. 46:
- L'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica
19 marzo 1955, n. 520, e' di seguito riportato:
«Art. 11. - 1. Le inosservanze delle disposizioni
legittimamente impartite dagli ispettori nell'esercizio
delle loro funzioni sono punite con la sanzione
amministrativa da lire duecentomila a lire un milione
quando per tali inosservanze non siano previste sanzioni
diverse da altre leggi.
2. Si applica la pena dell'arresto fino a un mese o
dell'ammenda fino a lire ottocentomila se l'inosservanza
riguarda disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro
in materia di sicurezza o igiene del lavoro.».



 
Art. 47. Richieste di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione
di progetti di azioni positive

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 10, comma 1)

1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle pari opportunita' e su indicazione del Comitato di cui all'articolo 8, determina, con apposito decreto, eventuali modifiche nelle modalita' di presentazione delle richieste di cui all'articolo 45, comma 1, nelle procedure di valutazione di verifica e di erogazione, nonche' nei requisiti di onorabilita' che i soggetti richiedenti devono possedere.
2. La mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la restituzione delle somme eventualmente gia' riscosse. In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata, la cui valutazione e' effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al comma 1.
 
Art. 48.
Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni

(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 7, comma 5)

1. Ai sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i comuni e gli altri enti pubblici non economici, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ovvero, in mancanza, le organizzazioni rappresentative nell'ambito del comparto e dell'area di interesse, sentito inoltre, in relazione alla sfera operativa della rispettiva attivita', il Comitato di cui all'articolo 10, e la consigliera o il consigliere nazionale di parita', ovvero il Comitato per le pari opportunita' eventualmente previsto dal contratto collettivo e la consigliera o il consigliere di parita' territorialmente competente, predispongono piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunita' di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lettera d), favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attivita' e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi.
A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile e' accompagnata da un'esplicita ed adeguata motivazione. I piani di cui al presente articolo hanno durata triennale. In caso di mancato adempimento si applica l'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 57, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.



Nota all'art. 48:
- Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, reca
«Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche» ed e' pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale 9 maggio 2001, n. 106, S.O.



 
Art. 49.
Azioni positive nel settore radiotelevisivo

(legge 6 agosto 1990, n. 223, articolo 11)

1. La concessionaria pubblica e i concessionari privati per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale, promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparita' tra i due sessi in sede di assunzioni, organizzazione e distribuzione del lavoro, nonche' di assegnazione di posti di responsabilita'.
2. I concessionari di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e della remunerazione effettiva da trasmettere alla Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II, capo II.
 
Art. 50.
Misure a sostegno della flessibilita' di orario

1. Le misure a sostegno della flessibilita' di orario, finalizzate a promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, sono disciplinate dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.



Nota all'art. 50:
- Si riporta di seguito il testo dell'art. 9 della
legge 8 marzo 2000, n. 53, recante «Disposizioni per il
sostegno della maternita' e della paternita', per il
diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento
dei tempi delle citta»:
«Art. 9 (Misure a sostegno della flessibilita' di
orario). - 1. Al fine di promuovere e incentivare forme di
articolazione della prestazione lavorativa volte a
conciliare tempo di vita e di lavoro, nell'ambito del Fondo
per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e'
destinata una quota fino a lire 40 miliardi annue a
decorrere dall'anno 2000, al fine di erogare contributi, di
cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a
cinquanta dipendenti, in favore di aziende che applichino
accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la
flessibilita', ed in particolare:
a) progetti articolati per consentire alla
lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno
dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in
affidamento o in adozione un minore, di usufruire di
particolari forme di flessibilita' degli orari e
dell'organizzazione del lavoro, tra cui part-time
reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario
flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore,
flessibilita' sui turni, orario concentrato, con priorita'
per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di
eta' o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di
adozione;
b) programmi di formazione per il reinserimento dei
lavoratori dopo il periodo di congedo;
e) progetti che consentano la sostituzione del
titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici
del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi
parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, di concerto con i Ministri per la
solidarieta' sociale e per le pari opportunita', sono
definiti i criteri e le modalita' per la concessione dei
contributi di cui al comma 1.».



 
Art. 50-bis

(( (Prevenzione delle discriminazioni).
1. I contratti collettivi possono prevedere misure specifiche, ivi compresi codici di condotta, linee guida e buone prassi, per prevenire tutte le forme di discriminazione sessuale e, in particolare, le molestie e le molestie sessuali nel luogo del lavoro, nelle condizioni di lavoro, nonche' nella formazione e crescita professionale.))
 
Art. 51.
Tutela e sostegno della maternita' e paternita'

1. La tutela ed il sostegno della maternita' e paternita' e' disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.



Nota all'art. 51:
- Il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante
«Testo unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a
norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53», e'
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 aprile 2001, n. 96,
S.O.



 
Art. 52. Principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 1, commi 1 e 2)

1. Il presente capo indica i principi generali volti a promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunita' tra uomini e donne nell'attivita' economica e imprenditoriale, e, in particolare, i principi diretti a:
a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;
b) promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalita' delle donne imprenditrici;
c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;
d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;
e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti piu' innovativi dei diversi settori produttivi.
 
Art. 53.
Principi in materia di beneficiari delle azioni positive

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 2, comma 1)

1. I principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile si rivolgono ai seguenti soggetti:
a) le societa' cooperative e le societa' di persone, costituite in misura non inferiore al 60 per cento da donne, le societa' di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne, nonche' le imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi;
b) le imprese, o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le societa' di promozione imprenditoriale anche a capitale misto pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a donne.
 
Art. 54.
Fondo nazionale per l'imprenditoria femminile

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 3, comma 1)

1. A valere sulle disponibilita' del Fondo, istituito con l'articolo 3, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 215, con apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero delle attivita' produttive, possono essere concesse ai soggetti indicati all'articolo 53, comma 1, lettera a), nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento anche comunitario, le agevolazioni previste dalla disciplina vigente:
a) per impianti ed attrezzature sostenute per l'avvio o per l'acquisto di attivita' commerciali e turistiche o di attivita' nel settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonche' per i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologica od organizzativa;
b) per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttivita', all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonche' per lo sviluppo di sistemi di qualita'.
2. Ai soggetti di cui all'articolo 53, comma 1, lettera b), possono essere concesse agevolazioni per le spese sostenute per le attivita' ivi previste.



Nota all'art. 54:
- L'art. 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 215,
recante «Azioni positive per l'imprenditoria femminile» e'
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 marzo 1992, n. 56, e'
di seguito riportato:
«Art. 3 (Fondo nazionale per lo sviluppo
dell'imprenditoria femminile). - 1. E' istituito il Fondo
nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, di
seguito denominato «Fondo», con apposito capitolo nello
stato di previsione della spesa del Ministero
dell'industria, del commercio e dell'artigianato. La
dotazione finanziaria del Fondo e' stabilita in lire trenta
miliardi per il triennio 1992-1994, in ragione di lire
dieci miliardi annui.».



 
Art. 55.
Relazione al Parlamento

(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 11)

1. Il Ministro delle attivita' produttive verifica lo stato di attuazione dei principi di cui al presente capo, presentando a tale fine una relazione annuale al Parlamento.
 
Art. 55-bis (3)
((Nozioni di discriminazione ))

(( 1. Sussiste discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, quando, a causa del suo sesso, una persona e' trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga.
2. Sussiste discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere le persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a persone dell'altro sesso, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalita' legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalita' siano appropriati e necessari.
3. Ogni trattamento meno favorevole della donna in ragione della gravidanza e della maternita' costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo.
4. Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, fondati sul sesso, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignita' di una persona e la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
5. Sono considerate come discriminazioni, ai sensi del presente titolo, anche le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati con connotazioni sessuali, espressi a livello fisico, verbale o non verbale, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignita' di una persona, in particolare con la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
6. L'ordine di discriminare persone direttamente o indirettamente a motivo del sesso e' considerato una discriminazione, ai sensi del presente titolo.
7. Non costituiscono discriminazione, ai sensi del presente titolo, le differenze di trattamento nella fornitura di beni e servizi destinati esclusivamente o principalmente a persone di un solo sesso, qualora siano giustificate da finalita' legittime perseguite con mezzi appropriati e necessari.))
 
Art. 55-ter (3)
((Divieto di discriminazione))

(( 1. E' vietata ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura.
2. Il divieto di cui al comma 1 si applica a tutti i soggetti, pubblici e privati, fornitori di beni e servizi che sono a disposizione del pubblico e che sono offerti al di fuori dell'area della vita privata e familiare e delle transazioni ivi effettuate.
3. Sono escluse dall'ambito di applicazione del comma 1 le seguenti aree:
a) impiego e occupazione, anche nell'ambito del lavoro autonomo nella misura in cui sia applicabile una diversa disciplina;
b) contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicita';
c) istruzione pubblica e privata.
4. Resta impregiudicata la liberta' contrattuale delle parti, nella misura in cui la scelta del contraente non si basa sul sesso della persona.
5. Sono impregiudicate le disposizioni piu' favorevoli sulla protezione della donna in relazione alla gravidanza e alla maternita'.
6. Il rifiuto delle molestie e delle molestie sessuali da parte della persona interessata o la sua sottomissione non possono costituire fondamento per una decisione che interessi la medesima persona.
7. E' altresi' vietato ogni comportamento pregiudizievole posto in essere nei confronti della persona lesa da una discriminazione diretta o indiretta, o di qualunque altra persona, quale reazione ad una qualsiasi attivita' diretta ad ottenere la parita' di trattamento.))
 
Art. 55-quater (3)
(( Parita' di trattamento tra uomini e donne nei servizi
assicurativi e altri servizi finanziari))


(( 1. Nei contratti stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, il fatto di tenere conto del sesso quale fattore di calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari non puo' determinare differenze nei premi e nelle prestazioni.
2. Sono consentite differenze proporzionate nei premi o nelle prestazioni individuali ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati. In ogni caso i costi inerenti alla gravidanza e alla maternita' non possono determinare differenze nei premi o nelle prestazioni individuali.
3. L'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP) esercita i suoi poteri ed effettua le attivita' necessarie, al fine di garantire che le differenze nei premi o nelle prestazioni, consentite ai sensi del comma 2, abbiano a fondamento dati attuariali e statistici affidabili. Il medesimo Istituto provvede a raccogliere, pubblicare ed aggiornare i dati relativi all'utilizzo del sesso quale fattore attuariale determinante, relazionando almeno annualmente all'Ufficio di cui all'articolo 55-novies.
4. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 costituisce inosservanza al divieto di cui all'articolo 55-ter.
5. L'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo provvede allo svolgimento delle attivita' previste al comma 3 con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.))
 
Art. 55-quinquies (3) (( Procedimento per la tutela contro le discriminazioni per ragioni
di
sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura))


(( 1. In caso di violazione ai divieti di cui all'articolo 55-ter, il giudice puo', su istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione. Il giudice puo' ordinare al convenuto di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentito il ricorrente nel caso di ricorso presentato ai sensi dell'articolo 55-septies, comma 2.
2. La domanda si propone con ricorso depositato, anche personalmente dalla parte, nella cancelleria del Tribunale del luogo di domicilio dell'istante che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. La domanda puo' essere proposta anche dopo la cessazione del rapporto nel quale si ritiene si sia verificata la discriminazione, salvi gli effetti della prescrizione.
3. Il presidente del Tribunale designa il giudice a cui e' affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalita' non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene piu' opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto.
4. Il giudice provvede con ordinanza, immediatamente esecutiva, all'accoglimento o al rigetto della domanda.
5. Nei casi di urgenza il giudice provvede con decreto motivato, immediatamente esecutivo, assunte, ove occorre, sommarie informazioni. In tale caso fissa, con lo stesso decreto, l'udienza di comparizione delle parti davanti a se' entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. A tale udienza, il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati nel decreto.
6. Contro l'ordinanza del giudice e' ammesso reclamo al tribunale in composizione collegiale, di cui non puo' far parte il giudice che ha emanato il provvedimento, nel termine di quindici giorni dalla notifica dello stesso. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737, 738 e 739 del codice di procedura civile.
7. Con la decisione che definisce il giudizio, il giudice puo' altresi' condannare il convenuto al risarcimento del danno, anche non patrimoniale. Il giudice tiene conto, ai fini della liquidazione del danno, dei comportamenti di cui all'articolo 55-ter, comma 7.
8. In caso di accertata violazione del divieto di cui all'articolo 55-ter, da parte di soggetti pubblici o privati ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, il giudice da' immediata comunicazione alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione dei benefici, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell'appalto. Tali amministrazioni o enti revocano i benefici e, nei casi piu' gravi, dispongono l'esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.
9. Chiunque non ottempera o elude l'esecuzione dei provvedimenti di cui ai commi 4, 5 e 6, e' punito con l'ammenda fino a 50.000 euro o l'arresto fino a tre anni.))
 
Art. 55-sexies (3)
((Onere della prova))

(( 1. Quando il ricorrente, anche nei casi di cui all'articolo 55-septies, deduce in giudizio elementi di fatto idonei a presumere la violazione del divieto di cui all'articolo 55-ter, spetta al convenuto l'onere di provare che non vi e' stata la violazione del medesimo divieto.))
 
Art. 55-septies (3)
(( Legittimazione ad agire di associazioni ed enti))

(( 1. Sono legittimati ad agire ai sensi dell'articolo 55-quinquies in forza di delega rilasciata, a pena di nullita', per atto pubblico o scrittura privata autenticata, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione, le associazioni e gli enti inseriti in apposito elenco approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega del Ministro per i diritti e le pari opportunita', di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, ed individuati sulla base delle finalita' programmatiche e della continuita' dell'azione.
2. Qualora il soggetto pubblico o privato ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo e non siano individuabili in modo immediato e diretto i soggetti lesi dalle discriminazioni, il ricorso puo' essere presentato dalle associazioni o gli enti rappresentativi dell'interesse leso di cui al comma 1. ))
 
Art. 55-octies (3)
(( Promozione del principio di parita' di trattamento nell'accesso
a beni e servizi e loro fornitura))


(( 1. Al fine di promuovere il principio della parita' di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, il Ministro per i diritti e le pari opportunita' favorisce il dialogo con le associazioni, gli organismi e gli enti che hanno un legittimo interesse alla rimozione delle discriminazioni, mediante consultazioni periodiche. ))
 
Art. 55-novies (3)
(( Ufficio per la promozione della parita' di trattamento
nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura))


(( 1. I compiti di promozione, analisi, controllo e sostegno della parita' di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, senza discriminazioni fondate sul sesso, sono svolti dall'Ufficio di livello dirigenziale generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e le pari opportunita', individuato ai sensi del comma 4. Tale ufficio svolge, in modo autonomo e imparziale, nel predetto ambito, attivita' di promozione della parita' e di rimozione di qualsiasi forma di discriminazione fondata sul sesso.
2. In particolare, i compiti attribuiti all'Ufficio di cui al comma 1 sono i seguenti:
a) fornire un'assistenza indipendente alle persone lese dalla violazione del divieto di cui all'articolo 55-ter;
b) svolgere, nel rispetto delle prerogative e delle funzioni dell'autorita' giudiziaria, inchieste indipendenti in materia al fine di verificare l'esistenza di fenomeni discriminatori;
c) promuovere l'adozione, da parte di soggetti pubblici e privati, in particolare da parte delle associazioni e degli enti di cui all'articolo 55-septies, di misure specifiche, ivi compresi progetti di azioni positive, dirette a evitare il prodursi di discriminazioni per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura;
d) diffondere la massima conoscenza possibile degli strumenti di tutela vigenti anche mediante azioni di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul principio della parita' di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura e la realizzazione di campagne di informazione e comunicazione;
e) formulare raccomandazioni e pareri su questioni connesse alle discriminazioni per ragioni di sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura, nonche' proposte di modifica della normativa vigente;
f) redigere una relazione annuale per il Parlamento sull'effettiva applicazione del principio di parita' di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura e sull'efficacia dei meccanismi di tutela e una relazione annuale al Presidente del Consiglio dei Ministri sull'attivita' svolta;
g) promuovere studi, ricerche, corsi di formazione e scambi di esperienze, in collaborazione anche con le associazioni e gli enti di cui all'articolo 55-septies, con le altre organizzazioni non governative operanti nel settore e con gli istituti specializzati di rilevazione statistica, anche al fine di elaborare linee guida in materia di lotta alle discriminazioni.
3. L'Ufficio ha facolta' di richiedere ad enti, persone ed imprese che ne siano in possesso, di fornire le informazioni e di esibire i documenti utili ai fini dell'espletamento dei compiti di cui al comma 2.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, o per sua delega del Ministro per i diritti e le pari opportunita', da adottarsi entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, e' individuato, nell'ambito di quelli esistenti, senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato, l'Ufficio di cui al comma 1.
5. L'Ufficio puo' avvalersi di magistrati ordinari, amministrativi, contabili e avvocati dello Stato, in servizio presso il Dipartimento, nonche' di esperti e consulenti esterni, nominati ai sensi della vigente normativa.
6. Gli esperti di cui al comma 5 sono scelti tra soggetti, dotati di elevata professionalita' nelle materie giuridiche, nonche' nei settori della lotta alle discriminazioni di genere, della comunicazione sociale e dell'analisi delle politiche pubbliche. ))
 
Art. 55-decies (3)
(( Relazione alla Commissione europea))

(( 1. Entro il 21 dicembre 2009 e successivamente ogni cinque anni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e pari opportunita', trasmette alla Commissione europea una relazione contenente le informazioni relative all'applicazione del presente titolo. ))
 
Art. 56. Pari opportunita' nell'accesso alla carica di membro del Parlamento
europeo

(legge 8 aprile 2004, n. 90, articolo 3)

1. Nell'insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno, nelle prime due elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, successive alla data di entrata in vigore della legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai fini del computo sono escluse le candidature plurime; in caso di quoziente frazionario si procede all'arrotondamento all'unita' prossima.
2. Per i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato la proporzione di cui al comma 1, l'importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, e' ridotto, fino ad un massimo della meta', in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in piu' rispetto a quello massimo consentito. Sono, comunque, inammissibili le liste circoscrizionali composte da piu' di un candidato che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i sessi.
3. La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui al comma 2 e' erogata ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuto proclamata eletta, ai sensi dell'articolo 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma e' ripartita in misura proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico organizzato.



Note all'art. 56:
- La legge 8 aprile 2004, n. 90, recante «Norme in
materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e
altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi
nell'anno 2004», e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
9 aprile 2004, n. 84.
- La legge 3 giugno 1999, n. 157, recante «Nuove norme
in materia di rimborso delle spese per consultazioni
elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni
concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e
partiti politici» e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
4 giugno 1999, n. 129.
- L'art. 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, recante
«Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti
all'Italia» e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
30 gennaio 1979, n. 29, e' di seguito riportato:
«Art. 22. - L'ufficio elettorale circoscrizionale,
ricevute da parte dell'Ufficio elettorale nazionale le
comunicazioni di cui al penultimo comma del precedente
articolo, proclama eletti i candidati, nei limiti dei seggi
ai quali ciascuna lista ha diritto, seguendo la graduatoria
prevista al numero 4) dell'art. 20.
Quando in una circoscrizione sia costituito un gruppo
di liste con le modalita' indicate nell'art. 12, ai fini
della assegnazione dei seggi alle singole liste che
compongono il gruppo l'ufficio elettorale circoscrizionale
provvede a disporre in un'unica graduatoria, secondo le
rispettive cifre individuali, i candidati delle liste
collegate. Proclama quindi eletti, nei limiti dei posti ai
quali il gruppo di liste ha diritto, i candidati che hanno
ottenuto le cifre individuali piu' elevate.
Qualora nessuno dei candidati della lista di minoranza
linguistica collegata sia compreso nella graduatoria dei
posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, l'ultimo
posto spetta a quel candidato di minoranza linguistica che
abbia ottenuto la maggior cifra individuale, purche' non
inferiore a 50.000.
L'ufficio elettorale circoscrizionale invia, quindi,
attestato ai candidati proclamati eletti.».



 
Art. 57.
Disposizioni abrogate

1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) la legge 9 gennaio 1963, n. 7;
b) l'articolo 1 della legge 9 febbraio 1963, n. 66;
c) gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 15 e 16, comma 1, della legge 9 dicembre 1977, n. 903;
d) gli articoli 1 e 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874;
e) l'articolo 11 della legge 6 agosto 1990, n. 223;
f) la legge 10 aprile 1991, n. 125, ad eccezione dell'articolo 11;
g) la legge 25 febbraio 1992, n. 215, ad eccezione degli articoli 10, comma 6, 12 e 13;
h) l'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
i) il decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;
l) il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell'articolo 10, comma 4;
m) il decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli 6, comma 2, e 7, comma 1;
n) l'articolo 3 della legge 8 aprile 2004, n. 90.
 
Art. 58.
Disposizioni finanziarie

1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Roma, addi' 11 aprile 2006

CIAMPI

Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri
Prestigiacomo, Ministro per le pari
opportunita'
Baccini, Ministro per la funzione
pubblica
Maroni, Ministro del lavoro e delle
politiche sociali
Berlusconi, Ministro della salute (ad
interim)
Scajola, Ministro delle attivita'
produttive Visto, il Guardasigilli: Castelli
 
Gazzetta Ufficiale Serie Generale per iPhone