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| Gazzetta n. 109 del 12 maggio 2006 (vai al sommario) |  | MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI |  | DECRETO 7 aprile 2006 |  | Criteri  e  norme  tecniche  generali  per  la  disciplina  regionale dell'utilizzazione  agronomica degli effluenti di allevamento, di cui all'articolo 38 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152. |  | 
 |  |  |  | IL MINISTRO DELLE POLITICHE AGRICOLE FORESTALI 
 di concerto con
 
 I  MINISTRI  DELL'AMBIENTE  E  DELLA  TUTELA  DEL  TERRITORIO,  DELLE INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, DELLE ATTIVITA' PRODUTTIVE E DELLA SALUTE
 
 Visto  il  decreto  legislativo  11 maggio  1999,  n.  152, recante disposizioni  sulla tutela delle acque dall'inquinamento e successive modifiche  ed in particolare l'art. 38 che prevede l'emanazione di un decreto  ministeriale che definisce criteri e norme tecniche generali sulla  base  dei  quali  le  regioni  disciplinano  le  attivita'  di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento nonche' delle acque reflue;
 Visto  il  Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio sul sostegno allo   sviluppo  rurale  da  parte  del  Fondo  europeo  agricolo  di orientamento  e  di  garanzia  (FEAOG); come modificato dal Reg. (CE) 1783/03 del Consiglio;
 Visto  il  Regolamento  (CE)  n.  817/2004  recante disposizioni di applicazione  del  regolamento  (CE)  n.  1257/1999 del Consiglio sul sostegno  allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG);
 Considerato  che  quanto disciplinato nel presente decreto concerne l'intero  ciclo  (produzione,  raccolta,  stoccaggio, fermentazione e maturazione,  trasporto  e spandimento) dell'utilizzazione agronomica degli  effluenti  di allevamento e delle acque reflue di cui all'art. 38 del decreto legislativo n. 152 del 1999;
 Visto  il  decreto  legislativo  n.  22  del  5 febbraio 1997 ed in particolare  l'art.  8  che  disciplina  le  esclusioni  dal campo di applicazione del predetto decreto;
 Visto  il Regolamento CE 1774/2002 recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano ed in  particolare  l'art. 7, comma 6, che per lo stallatico trasportato tra  due  punti  situati  nella stessa azienda agricola o tra aziende agricole  e  utenti  situati  nell'ambito  del  territorio nazionale, consente di non applicare le disposizioni concernenti la raccolta, il trasporto ed il magazzinaggio di cui al medesimo articolo;
 Visto  l'Accordo  1° luglio  2004  tra il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, il Ministro per le  politiche agricole e forestali, le regioni e le province autonome di  Trento  e  di Bolzano, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 172 del  24 luglio  2004,  che da' indicazioni applicative sulla gestione sanitaria dello stallatico;
 Ritenuto di procedere alla definizione dei criteri e norme tecniche generali, cosi' come previsto dall'art. 38 del decreto legislativo n. 152  del 1999 al fine di consentire alle regioni di adottare gli atti disciplinari di propria competenza;
 Acquisita  l'intesa  della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano nella seduta del 15 dicembre 2005 sullo schema di provvedimento.
 Decreta:
 Art. 1.
 Ambito di applicazione
 1. Il presente decreto stabilisce, in applicazione dell'art. 38 del decreto legislativo n. 152 dell'11 maggio 1999 e successive modifiche e  integrazioni,  i  criteri  e  le  norme  tecniche  generali per la disciplina,  da parte delle regioni, delle attivita' di utilizzazione agronomica  degli  effluenti  di  allevamento  e  delle  acque reflue provenienti dalle aziende di cui all'art. 28, comma 7, lettere a), b) e c)  del  decreto  legislativo  n.  152/1999  e  da  piccole aziende agroalimentari.
 2.  Resta  fermo  quanto  previsto  dagli  articoli 18  sulle  aree sensibili, 19 sulle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e 21   sulla   disciplina   delle  aree  di  salvaguardia  delle  acque superficiali  e  sotterranee  destinate  al consumo umano del decreto legislativo   n.  152/1999  e  dal  decreto  legislativo  n.  59  del 18 febbraio  2005 per gli impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 del relativo allegato I.
 3.  Ai  sensi dell'art. 38, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del  1999,  le  regioni  disciplinano  le  attivita' di utilizzazione agronomica  di  cui al comma 1 entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto sulla base dei criteri e delle norme  tecniche  generali  in esso contenuti garantendo la tutela dei corpi   idrici   potenzialmente  interessati  ed  in  particolare  il raggiungimento  o il mantenimento dei relativi obiettivi di qualita'. Restano  ferme  per  le zone vulnerabili le scadenze temporali di cui all'art. 19 del decreto legislativo n. 152 del 1999.
 4.  L'utilizzazione agronomica dello stallatico effettuata ai sensi del  presente  decreto,  non  necessita  del  documento  commerciale, dell'autorizzazione  sanitaria,  dell'identificazione  specifica, del riconoscimento  degli  impianti  di immagazzinaggio di cui all'art. 7 del Regolamento CE 1774/2002.
 5.  Resta  fermo quanto previsto dal Regolamento CE 1774/2002, art. 5, comma 1, lettera a).
 |  |  |  | Art. 2. Definizioni
 1.  Ferme restando le definizioni di cui all'art. 2 ed all'allegato 1  punto  1 del decreto legislativo n. 152 del 1999 e sue modifiche e integrazioni, ai fini del presente decreto si definisce:
 a) «consistenza  dell'allevamento»:  il numero di capi mediamente presenti nell'allevamento;
 b) «stallatico»:  ai  sensi  del  Regolamento  CE 1774/2002 e sue modificazioni,  gli escrementi e/o l'urina di animali di allevamento, con o senza lettiera, o il guano, non trattati o trattati;
 c) «effluenti  di  allevamento palabili/non palabili»: miscele di stallatico e/o residui alimentari e/o perdite di abbeverata e/o acque di   veicolazione  delle  deiezioni  e/o  materiali  lignocellulosici utilizzati come lettiera in grado/non in grado, se disposti in cumulo su platea, di mantenere la forma geometrica ad essi conferita;
 d) «liquami»:   effluenti   di  allevamento  non  palabili.  Sono assimilati ai liquami, se provenienti dall'attivita' di allevamento:
 1)  i  liquidi  di  sgrondo  di  materiali  palabili in fase di stoccaggio;
 2) i liquidi di sgrondo di accumuli di letame;
 3) le deiezioni di avicoli e cunicoli non mescolate a lettiera;
 4)  le  frazioni  non  palabili, da destinare all'utilizzazione agronomica,  derivanti  da trattamenti di effluenti zootecnici di cui all'allegato I, tabella 3;
 5) i liquidi di sgrondo dei foraggi insilati.
 Le  acque  di  lavaggio  di  strutture,  attrezzature  ed  impianti zootecnici,  se mescolate ai liquami definiti alla presente lettera e qualora  destinate  ad  utilizzo agronomico, sono da considerare come liquami;  qualora  non  siano  mescolate  ai liquami, tali acque sono assoggettate alle disposizioni di cui al Titolo III.
 e) «letami»:  effluenti  di  allevamento palabili, provenienti da allevamenti  che impiegano la lettiera; sono assimilati ai letami, se provenienti dall'attivita' di allevamento:
 1) le lettiere esauste di allevamenti avicunicoli;
 2)  le  deiezioni di avicunicoli anche non mescolate a lettiera rese  palabili  da  processi di disidratazione naturali o artificiali che hanno luogo sia all'interno, sia all'esterno dei ricoveri;
 3)   le   frazioni  palabili,  da  destinare  all'utilizzazione agronomica,  risultanti da trattamenti di effluenti zootecnici di cui all'allegato I, tabella 3;
 4)  i  letami,  i  liquami  e/o i materiali ad essi assimilati, sottoposti a trattamento di disidratazione e/o compostaggio;
 f) «stoccaggio»: deposito di effluenti di cui agli articoli 7 e 8 e  delle  acque  reflue provenienti dalle aziende di cui all'art. 28, comma 7, lettere a), b) e c) del decreto legislativo n. 152/1999 e da piccole aziende agroalimentari, cosi' come previsto dagli articoli 13 e 14 del presente decreto;
 g) «accumuli  di  letami»:  depositi  temporanei di letami idonei all'impiego,  effettuati  in  prossimita'  e/o  sui terreni destinati all'utilizzazione,  cosi'  come  previsto  dall'art.  7,  comma 5 del presente decreto;
 h) «trattamento»:  qualsiasi  operazione, compreso lo stoccaggio, atta  a modificare le caratteristiche degli effluenti di allevamento, al  fine di migliorare la loro utilizzazione agronomica e contribuire a ridurre i rischi igienico-sanitari;
 i) «destinatario»:  il  soggetto  che  riceve  gli  effluenti sui terreni che detiene a titolo d'uso per l'utilizzazione agronomica;
 l) «fertirrigazione»: l'applicazione al suolo effettuata mediante l'abbinamento  dell'adacquamento  con  la fertilizzazione, attraverso l'addizione controllata alle acque irrigue di quote di liquame;
 m) «allevamenti   di   piccole   dimensioni»:   allevamenti   con produzione di azoto al campo per anno inferiore a 3000 Kg;
 n) «area aziendale omogenea»: porzione della superficie aziendale uniforme  per  caratteristiche  quali  ad  esempio  quelle dei suoli, avvicendamenti  colturali,  tecniche  colturali, rese colturali, dati meteorologici   e   livello   di   vulnerabilita'  individuato  dalla cartografia regionale delle zone vulnerabili ai nitrati;
 o) «codice di buona pratica agricola» (CBPA): il codice di cui al decreto  19 aprile  1999  del  Ministro  per  le  politiche agricole, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 4 maggio 1999;
 p) «allevamenti,  aziende e contenitori di stoccaggio esistenti»: ai  fini  dell'utilizzazione agronomica di cui al presente decreto si intendono  quelli  in  esercizio alla data di entrata in vigore dello stesso.
 |  |  |  | Art. 3. Criteri generali di utilizzazione
 1.   L'utilizzazione  agronomica  degli  effluenti  di  allevamento disciplinata  dal  presente  decreto e' esclusa ai sensi dell'art. 8, comma 1,  del  decreto  legislativo  n.  22  del  1997  dal  campo di applicazione del medesimo decreto legislativo.
 2.  L'utilizzazione  agronomica  degli  effluenti di allevamento e' finalizzata  al  recupero  delle  sostanze  nutritive  ed  ammendanti contenute negli stessi effluenti.
 3.   L'utilizzazione   agronomica   e'   consentita  purche'  siano garantiti:
 a) la  tutela  dei  corpi  idrici  e,  per  gli  stessi,  il  non pregiudizio  del  raggiungimento  degli  obiettivi di qualita' di cui agli articoli 4 e successivi del decreto legislativo n. 152/1999;
 b) la  produzione,  da  parte  degli  effluenti,  di  un  effetto concimante  e/o  ammendante sul suolo e l'adeguatezza della quantita' di  azoto  efficiente  applicata  e  dei  tempi  di  distribuzione ai fabbisogni delle colture;
 c) il   rispetto   delle   norme  igienico-sanitarie,  di  tutela ambientale ed urbanistiche.
 4. Fatte salve le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 152 del  1999  e  di cui al Titolo V del presente decreto, l'applicazione del  CBPA,  in  via cautelativa, e' raccomandata anche nelle zone non vulnerabili.
 5. Le regioni, nell'ambito di strategie di gestione integrata degli effluenti,  promuovono  l'adozione  di  modalita' di allevamento e di alimentazione  degli animali finalizzate a contenere, gia' nella fase di produzione, le escrezioni di azoto.
 |  |  |  | Art. 4. Divieti di utilizzazione dei letami
 1.   L'utilizzo   dei  letami  e'  vietato  almeno  nelle  seguenti situazioni:
 a) sulle superfici non interessate dall'attivita' agricola, fatta eccezione  per  le  aree  a  verde  pubblico  e privato e per le aree soggette a recupero e ripristino ambientale;
 b) nei  boschi,  ad  esclusione  degli effluenti rilasciati dagli animali nell'allevamento brado;
 c) entro  5  metri  di  distanza  dalle sponde dei corsi d'acqua, fatte  salve disposizioni diverse che le regioni possono prevedere in ragione di particolari condizioni locali;
 d) per le acque marino-costiere e quelle lacuali entro 5 metri di distanza dall'inizio dell'arenile;
 e) sui  terreni gelati, innevati, con falda acquifera affiorante, con  frane  in  atto  e terreni saturi d'acqua, fatta eccezione per i terreni adibiti a colture che richiedono la sommersione.
 f) in  tutte le situazioni in cui l'autorita' competente provvede ad  emettere  specifici provvedimenti di divieto o di prescrizione in ordine  alla prevenzione di malattie infettive, infestive e diffusive per gli animali, per l'uomo e per la difesa dei corpi idrici.
 2.  Le  regioni  prevedono ulteriori divieti o periodi dell'anno in cui  e'  vietato  l'utilizzo  dei  letami  in relazione a particolari condizioni  locali, agli andamenti climatici sfavorevoli, ai ritmi di assorbimento  delle  colture praticate, nonche' ai principi contenuti nel  CBPA  ed  agli  indirizzi delle Autorita' di Bacino nazionali ed interregionali.
 3.  Le  disposizioni  di  cui  al  comma 1, lettere c) e d), non si applicano  ai  canali artificiali ad esclusivo utilizzo di una o piu' aziende,  purche' non connessi ai corpi idrici naturali, ed ai canali arginati.
 |  |  |  | Art. 5. Divieti di utilizzazione dei liquami
 1.  L'utilizzo dei liquami, oltre che nei casi previsti all'art. 4, comma 1,  lettere a), b), e)  ed f)  e' vietato almeno nelle seguenti situazioni e periodi:
 a) su  terreni con pendenza media superiore al 10%, salvo deroghe previste   dalla  disciplina  regionale  in  ragione  di  particolari situazioni  locali  o  in presenza di sistemazioni idraulico-agrarie, concesse  anche  sulla  base  delle  migliori tecniche di spandimento disponibili;
 b) entro  10  metri  dalle  sponde dei corsi d'acqua, fatte salve disposizioni  diverse  che le regioni possono prevedere in ragione di particolari  condizioni  locali,  a  condizione che siano individuate azioni  o  prescrizioni  tecniche  quali  quelle  di cui all'art. 23, comma 3,  atte  ad  eliminare  il rischio di inquinamento delle acque causato dagli stessi liquami;
 c) per  le  acque marino-costiere e quelle lacuali entro 10 metri di distanza dall'inizio dell'arenile;
 d) in  prossimita'  di  strade  e  di  centri abitati, a distanze definite  dalla  disciplina  regionale,  a  meno  che i liquami siano distribuiti  con  tecniche  atte  a  limitare  l'emissione  di  odori sgradevoli o vengano immediatamente interrati;
 e) nei  casi  in  cui i liquami possano venire a diretto contatto con i prodotti destinati al consumo umano;
 f) in  orticoltura,  a  coltura  presente,  nonche' su colture da frutto,  a  meno  che  il  sistema  di  distribuzione non consenta di salvaguardare integralmente la parte aerea delle piante;
 g) dopo  l'impianto  della  coltura nelle aree adibite a parchi o giardini  pubblici,  campi  da  gioco,  utilizzate  per ricreazione o destinate in genere ad uso pubblico;
 h) su  colture  foraggiere  nelle  tre  settimane  precedenti  lo sfalcio del foraggio o il pascolamento;
 2. Le  regioni prevedono ulteriori divieti o i periodi dell'anno in cui  e'  vietato  l'utilizzo  dei liquami, in relazione a particolari condizioni  locali, agli andamenti climatici sfavorevoli, ai ritmi di assorbimento  delle  colture praticate, nonche' ai principi contenuti nel  CBPA  ed  agli  indirizzi delle Autorita' di Bacino nazionali ed interregionali.
 3.  Le  disposizioni  di  cui  al  comma 1, lettere b) e c), non si applicano  ai  canali artificiali ad esclusivo utilizzo di una o piu' aziende,  purche' non connessi ai corpi idrici naturali, ed ai canali arginati.
 |  |  |  | Art. 6. Criteri generali
 1.  I  trattamenti degli effluenti di allevamento e le modalita' di stoccaggio  sono  finalizzati,  oltre che a contribuire alla messa in sicurezza igienico sanitaria, a garantire la protezione dell'ambiente e  la corretta gestione agronomica degli effluenti stessi, rendendoli disponibili  all'utilizzo  nei  periodi  piu' idonei sotto il profilo agronomico  e  nelle  condizioni  adatte  per  l'utilizzazione. Nella tabella  3  dell'allegato I al presente decreto e' riportato l'elenco dei  trattamenti  indicativi  funzionali  a  tale  scopo;  rendimenti diversi  da  quelli  riportati  nella  citata tabella dovranno essere giustificati  secondo le modalita' precisate al punto 3 dell'allegato IV  parte  A.  I  trattamenti  non devono comportare l'addizione agli effluenti  di  sostanze  potenzialmente  dannose  per  il  suolo,  le colture, gli animali e l'uomo per la loro natura e/o concentrazione.
 2.  Gli  effluenti  destinati  all'utilizzazione  agronomica devono essere raccolti in contenitori per lo stoccaggio dimensionati secondo le  esigenze  colturali  e  di  capacita' sufficiente a contenere gli effluenti  prodotti nei periodi in cui l'impiego agricolo e' limitato o impedito da motivazioni agronomiche, climatiche o normative, e tali da  garantire  almeno  le capacita' di stoccaggio indicate al comma 2 dell'art. 7 ed ai commi 6 e 7 dell'art. 8.
 |  |  |  | Art. 7. Caratteristiche dello stoccaggio e dell'accumulo
 dei materiali palabili
 1.  Lo  stoccaggio  dei  materiali palabili deve avvenire su platea impermeabilizzata,   fatto   salvo  quanto  precisato  al  successivo comma 4, avente una portanza sufficiente a reggere, senza cedimenti o lesioni,  il peso del materiale accumulato e dei mezzi utilizzati per la  movimentazione.  In considerazione della consistenza palabile dei materiali,  la  platea  di  stoccaggio  deve  essere munita di idoneo cordolo  o  di muro perimetrale, con almeno un'apertura per l'accesso dei mezzi meccanici per la completa asportazione del materiale e deve essere  dotata  di  adeguata  pendenza  per  il  convogliamento verso appositi  sistemi di raccolta e stoccaggio dei liquidi di sgrondo e/o delle eventuali acque di lavaggio della platea.
 2.    Fatti    salvi    specifici    provvedimenti    in    materia igienico-sanitaria, la capacita' di stoccaggio, calcolata in rapporto alla  consistenza  di  allevamento  stabulato ed al periodo in cui il bestiame  non  e'  al pascolo, non deve essere inferiore al volume di materiale  palabile  prodotto  in  90  giorni. Per il dimensionamento della  platea  di  stoccaggio  dei  materiali  palabili,  qualora non sussistano  esigenze particolari di una piu' analitica determinazione dei  volumi  stoccati, si fa riferimento alla tabella 1 dell'allegato I.  Per  gli  allevamenti  avicoli  a ciclo produttivo inferiore a 90 giorni  le  lettiere  possono  essere  stoccate  al termine del ciclo produttivo  sottoforma  di  cumuli  in  campo,  fatte  salve  diverse disposizioni delle autorita' sanitarie. Le regioni dettano specifiche disposizioni per il volume di stoccaggio degli allevamenti di piccole dimensioni,  tenendo  conto della densita' degli allevamenti presenti nel  territorio  preso  in  considerazione  e  dei  periodi in cui il bestiame e' al pascolo.
 3.  Il  calcolo  della  superficie  della  platea di stoccaggio dei materiali  palabili  deve  essere  funzionale  al  tipo  di materiale stoccato;  in  relazione  ai  volumi  di  effluente  per  le  diverse tipologie  di  allevamento  di  cui  alla  tabella 1,  allegato  I al presente  decreto,  si  riportano di seguito, per i diversi materiali palabili,  valori  indicativi,  per  i  quali  dividere  il volume di stoccaggio  espresso  in  m3  al fine di ottenere la superficie in m2 della platea:
 a) 2 per il letame;
 b) 2 per le lettiere esauste degli allevamenti cunicoli;
 c) 2 per le lettiere esauste degli allevamenti avicoli;
 d) fino  a  2,5  per le deiezioni di avicunicoli rese palabili da processi di disidratazione;
 e) 1,5 per le frazioni palabili risultanti da trattamento termico e/o meccanico di liquami;
 f) 1  per  fanghi  palabili di supero da trattamento aerobico e/o anaerobico di liquami da destinare all'utilizzo agronomico;
 g) 1,5  per  letami e/o materiali ad essi assimilati sottoposti a processi di compostaggio;
 h) 3,5  per  i  prodotti  palabili, come la pollina delle galline ovaiole   allevate   in  batterie  con  sistemi  di  pre-essiccazione ottimizzati,  aventi un contenuto di sostanza secca superiore al 65%. Per  tali materiali lo stoccaggio puo' avvenire anche in strutture di contenimento coperte, aperte o chiuse senza limiti di altezza.
 4.  Sono  considerate utili, ai fini del calcolo della capacita' di stoccaggio, le superfici della lettiera permanente, purche' alla base siano  impermeabilizzate secondo le indicazioni del comma 1, nonche', nel  caso  delle  galline  ovaiole  e  dei  riproduttori, fatte salve diverse  disposizioni delle autorita' sanitarie, le cosiddette «fosse profonde» dei ricoveri a due piani e le fosse sottostanti i pavimenti fessurati   (posatoi)  nell'allevamento  a  terra.  Per  le  lettiere permanenti  il  calcolo del volume stoccato fa riferimento ad altezze massime  della  lettiera di 0,60 m nel caso dei bovini, di 0,15 m per gli avicoli, 0,30 m per le altre specie.
 5.   Fatta  salva  la  disposizione  di  cui  al  comma 2  per  gli allevamenti  avicoli  a  ciclo  produttivo  inferiore  a  90  giorni, l'accumulo  su  suolo  agricolo  di  letami  e di lettiere esauste di allevamenti  avicunicoli,  esclusi  gli  altri  materiali assimilati, definiti  all'art.  2,  comma 1, lettera e), e' ammesso solo dopo uno stoccaggio  di  almeno 90 giorni; tale accumulo puo' essere praticato ai  soli  fini della utilizzazione agronomica sui terreni circostanti ed  in  quantitativi  non  superiori  al  fabbisogno  di  letame  dei medesimi.  La  normativa  regionale detta prescrizioni in ordine alle modalita'  di effettuazione, gestione e durata degli accumuli e dello stoccaggio  delle  lettiere  di cui al comma 2 necessarie a garantire una buona aerazione della massa, il drenaggio del percolato prima del trasferimento  in campo, nonche' la presenza di adeguate distanze dai corpi  idrici,  abitazioni e strade. E' opportuno che la collocazione dell'accumulo  non  sia  ammessa  a distanze inferiori a 20 metri dai corpi  idrici  e  non sia ripetuto nello stesso luogo per piu' di una stagione agraria.
 6.  I liquidi di sgrondo dei materiali palabili vengono assimilati, per  quanto  riguarda  il  periodo  di  stoccaggio,  ai materiali non palabili come trattati ai commi 6 e 7 dell'art. 8.
 |  |  |  | Art. 8. Caratteristiche e dimensionamento dei contenitori
 per lo stoccaggio dei materiali non palabili
 1.  Gli  stoccaggi  degli  effluenti  non  palabili  devono  essere realizzati  in  modo  da  poter accogliere anche le acque di lavaggio delle  strutture,  degli  impianti  e delle attrezzature zootecniche, fatta  eccezione  per  le  trattrici  agricole,  quando  queste acque vengano   destinate  all'utilizzazione  agronomica.  Alla  produzione complessiva  di  liquami  da  stoccare  deve essere sommato il volume delle  acque meteoriche, convogliate nei contenitori dello stoccaggio da superfici scoperte impermeabilizzate interessate dalla presenza di effluenti  zootecnici.  Le  norme  riguardanti  lo  stoccaggio devono prevedere  l'esclusione, attraverso opportune deviazioni, delle acque bianche  provenienti  da  tetti  e  tettoie nonche' le acque di prima pioggia   provenienti   da  aree  non  connesse  all'allevamento.  Le dimensioni   dei   contenitori   non  dotati  di  copertura  atta  ad allontanare  l'acqua piovana devono tenere conto delle precipitazioni medie e di un franco minimo di sicurezza di 10 centimetri.
 2. Il fondo e le pareti dei contenitori devono essere adeguatamente impermeabilizzati  mediante materiale naturale od artificiale al fine di   evitare   percolazioni  o  dispersioni  degli  effluenti  stessi all'esterno.
 3. Nel caso dei contenitori in terra, qualora i terreni su cui sono costruiti  abbiano  un  coefficiente  di permeabilita' K10-7 cm/s, il fondo e le pareti dei contenitori devono essere impermeabilizzati con manto  artificiale  o naturale posto su un adeguato strato di argilla di  riporto, nonche' dotati, attorno al piede esterno dell'argine, di un  fosso di guardia perimetrale adeguatamente dimensionato e isolato idraulicamente  dalla  normale  rete  scolante.  Le  regioni  possono prevedere   ulteriori  prescrizioni  in  merito  alla  copertura  dei contenitori anche al fine di limitare le emissioni di odori.
 4.  Nel  caso di costruzione di nuovi contenitori di stoccaggio, al fine  di indurre un piu' alto livello di stabilizzazione dei liquami, deve  essere  previsto,  per  le  aziende  in  cui  venga prodotto un quantitativo  di  oltre  6000  Kg di azoto/anno, il frazionamento del loro  volume  di  stoccaggio in almeno due contenitori. Il prelievo a fini  agronomici deve avvenire dal bacino contenente liquame stoccato da  piu'  tempo.  Nel  caso  di  costruzione  di nuovi contenitori di stoccaggio   sono   da   incentivare   strutture   con   sistemi   di allontanamento delle acque meteoriche.
 5.  Il  dimensionamento  dei  contenitori di stoccaggio deve essere tale  da  evitare  rischi  di  cedimenti  strutturali  e garantire la possibilita' di omogeneizzazione del liquame.
 6.   La   capacita'  di  stoccaggio,  calcolata  in  rapporto  alla consistenza di allevamento stabulato ed al periodo in cui il bestiame non  e'  al pascolo, non deve essere inferiore al volume di materiale non palabile prodotto in:
 a) 90  giorni  per  gli allevamenti di bovini da latte, bufalini, equini  e ovicaprini in aziende con terreni caratterizzati da assetti colturali  che prevedono la presenza di prati di media o lunga durata e  cereali  autunno-vernini.  In  assenza di tali caratteristiche, le regioni  prescrivono  un  volume di stoccaggio non inferiore a quello del liquame prodotto nel periodo di cui alla lettera b);
 b) 120  giorni  per gli allevamenti diversi da quelli di cui alla lettera a).
 Per il dimensionamento, qualora non sussistano esigenze particolari di  una  piu'  analitica  determinazione  dei  volumi stoccati, si fa riferimento alla tabella 1 dell'allegato I.
 7.  Le  regioni dettano specifiche disposizioni per il volume degli stoccaggi  degli  allevamenti  di  piccole  dimensioni, tenendo conto della  densita'  degli  allevamenti  presenti nel territorio preso in considerazione e dei periodi in cui il bestiame e' al pascolo.
 8.  Per  i  nuovi  allevamenti  e  per  gli  ampliamenti  di quelli esistenti  non  sono  considerate  utili  al  calcolo  dei  volumi di stoccaggio le fosse sottostanti i pavimenti fessurati e grigliati.
 9.  Evietata  la nuova localizzazione dei contenitori di stoccaggio degli effluenti nelle zone ad alto rischio di esondazione, cosi' come individuate  dalle  Autorita'  competenti  sulla base della normativa vigente.
 |  |  |  | Art. 9. Tecniche di gestione della distribuzione degli effluenti
 1. La scelta delle tecniche di distribuzione deve tenere conto:
 a) delle  caratteristiche  idrogeologiche  e  geomorfologiche del sito;
 b) delle caratteristiche pedologiche e condizioni del suolo;
 c) del tipo di effluente;
 d) delle colture praticate e della loro fase vegetativa.
 2. Le tecniche di distribuzione devono assicurare:
 a) il  contenimento della formazione e diffusione, per deriva, di aerosol verso aree non interessate da attivita' agricola, comprese le abitazioni isolate e le vie pubbliche di traffico veicolare;
 b) fatti  salvi i casi di distribuzione in copertura, l'effettiva incorporazione    nel   suolo   dei   liquami   e   loro   assimilati simultaneamente  allo  spandimento  ovvero  entro un periodo di tempo successivo   idoneo   a   ridurre   le   perdite   di  ammoniaca  per volatilizzazione,  il rischio di ruscellamento, la lisciviazione e la formazione di odori sgradevoli;
 c) l'elevata utilizzazione degli elementi nutritivi;
 d) l'uniformita' di applicazione dell'effluente;
 e) la  prevenzione  della  percolazione  dei  nutrienti nei corpi idrici sotterranei.
 3.  La  fertirrigazione deve essere realizzata, ai fini del massimo contenimento della lisciviazione dei nitrati al di sotto delle radici e  dei  rischi  di  ruscellamento di composti azotati, attraverso una valutazione  dell'umidita'  del  suolo,  privilegiando  decisamente i metodi a maggiore efficienza, come previsto dal CBPA.
 4. In particolare, nei suoli soggetti a forte erosione, nel caso di utilizzazione  agronomica  degli effluenti al di fuori del periodo di durata  della coltura principale, deve essere garantita una copertura dei  suoli  tramite  vegetazione  spontanea,  colture  intercalari  o colture di copertura o, in alternativa, altre pratiche colturali atte a ridurre la lisciviazione dei nitrati come previsto dal CBPA.
 |  |  |  | Art. 10. Dosi di applicazione
 1.  Nelle  zone  non  vulnerabili  da nitrati la quantita' di azoto totale  al  campo  apportato  da  effluenti  di  allevamento non deve superare  il  valore  di  340  kg  per ettaro e per anno, inteso come quantitativo  medio  aziendale;  tale  quantita',  da  distribuire  e frazionare  in  base  ai  fabbisogni  delle colture, al loro ritmo di assorbimento,  ai  precedenti  colturali, e' calcolata sulla base dei valori  della  tabella  2 dell'allegato I o, in alternativa, di altri valori determinati secondo le procedure di calcolo o di misura citate nell'allegato  stesso,  ed  e' comprensiva degli effluenti depositati dagli  animali  stessi  quando sono tenuti al pascolo. Per le diverse coltivazioni  si  deve  fare riferimento al fabbisogno complessivo di azoto   indicato   nella   Tabella  1  allegata  al  CBPA,  ovvero  a disposizioni  regionali  di  maggiore  cautela  che tengono conto dei progressi tecnico-scientifici.
 2.  Al  fine  di  tutelare  l'ambiente dall'inquinamento arrecabile anche  da  altri fertilizzanti, in attuazione del CBPA e dei Piani di tutela  delle  acque,  le  regioni elaborano programmi per promuovere l'adozione  di  tecniche  atte  a  razionalizzare l'utilizzazione dei concimi  minerali  e  di  altre sostanze fertilizzanti, per prevenire l'esubero e l'accumulo al suolo degli elementi nutritivi.
 |  |  |  | Art. 11. Criteri generali di utilizzazione
 1.  L'utilizzazione agronomica delle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all'art. 28, comma 7, lettere a), b) e c), del decreto legislativo  n.  152/1999  e'  finalizzata al recupero dell'acqua e/o delle sostanze nutritive ed ammendanti contenute nelle stesse.
 2.  L'utilizzazione agronomica delle acque reflue di cui al comma 1 e' consentita purche' siano garantiti:
 a) la  tutela  dei  corpi  idrici  e,  per  gli  stessi,  il  non pregiudizio  del  raggiungimento  degli  obiettivi di qualita' di cui agli articoli 4 e successivi del decreto legislativo n. 152/1999;
 b) l'effetto concimante e/o ammendante e/o irriguo sul suolo e la commisurazione  della  quantita'  di  azoto  efficiente  e  di  acqua applicata ai fabbisogni quantitativi e temporali delle colture;
 c) l'esclusione  delle  acque  derivanti dal lavaggio degli spazi esterni non connessi al ciclo produttivo;
 d) l'esclusione,   per   il  settore  vitivinicolo,  delle  acque derivanti  da  processi  enologici  speciali come ferrocianurazione e desolforazione  dei  mosti  muti,  produzione  di mosti concentrati e mosti concentrati rettificati;
 e) l'esclusione,  per il settore lattiero-caseario, nelle aziende che  trasformano  un  quantitativo di latte superiore a 100.000 litri all'anno  del  siero  di  latte, del latticello, della scotta e delle acque di processo delle paste filate;
 f) il   rispetto   delle   norme  igienico-sanitarie,  di  tutela ambientale ed urbanistiche.
 3. L'utilizzazione agronomica delle acque reflue di cui al comma 1, contenenti  sostanze  naturali  non  pericolose  e  disciplinata  dal presente  decreto  e'  esclusa,  ai  sensi  dell'art. 8, comma 1, del decreto  legislativo  n.  22  del 1997, dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo.
 4. Per le acque reflue disciplinate dal presente decreto si possono prevedere  forme  di utilizzazione di indirizzo agronomico diverse da quelle  sino  ad  ora  considerate, quali la veicolazione di prodotti fitosanitari o fertilizzanti.
 |  |  |  | Art. 12. Divieti di utilizzazione
 1.  Alle  acque reflue si applicano le disposizioni di cui all'art. 5.
 |  |  |  | Art. 13. Generalita' sui trattamenti
 1.  Per l'ubicazione dei contenitori di stoccaggio e di trattamento delle  acque  reflue  devono essere esaminate le condizioni locali di accettabilita'  per  i manufatti adibiti allo stoccaggio in relazione ai seguenti parametri:
 a) distanza dai centri abitati;
 b) fascia  di  rispetto da strade, autostrade, ferrovie e confini di proprieta'.
 2.  I  contenitori  ove  avvengono  lo stoccaggio ed il trattamento delle  acque  reflue  devono  essere  a tenuta idraulica, per evitare percolazioni o dispersioni degli effluenti stessi all'esterno.
 |  |  |  | Art. 14. Stoccaggio delle acque reflue
 1.   Le   regioni   prevedono  l'esclusione,  attraverso  opportune deviazioni,  delle  acque  di  prima  pioggia  provenienti  da aree a rischio  di  dilavamento  di  sostanze  che creano pregiudizio per il raggiungimento degli obiettivi di qualita' dei corpi idrici.
 2. Per le caratteristiche dello stoccaggio delle acque reflue si fa riferimento  a  quanto  previsto  per  gli  effluenti  zootecnici non palabili ai commi 1, 2, 3, 4, 5 e 9 dell'art. 8.
 3.  I  contenitori  di stoccaggio delle acque reflue possono essere ubicati  anche  al  di  fuori  della  azienda che le utilizza ai fini agronomici,  purche'  sia  garantita  la  non  miscelazione con altre tipologie di acque reflue, con effluenti zootecnici o con rifiuti.
 4.   Le   regioni   definiscono   la   durata  degli  stoccaggi  in considerazione  del  volume  di  acque reflue prodotte in rapporto al fabbisogno idrico delle colture e alla durata della stagione irrigua, prevedendo un periodo minimo di stoccaggio pari a 90 giorni.
 5.  Le  acque  reflue destinate all'utilizzazione agronomica devono essere raccolte in contenitori per lo stoccaggio dimensionati secondo le  esigenze  colturali  e  di  capacita' sufficiente in relazione ai periodi   in  cui  l'impiego  agricolo  e'  limitato  o  impedito  da motivazioni  agronomiche,  climatiche  o  normative,  nonche' tali da garantire  le  capacita'  minime di stoccaggio individuate in base ai criteri di cui al comma 4.
 |  |  |  | Art. 15. Tecniche di distribuzione
 1.  Per  le  tecniche  di  distribuzione si fa riferimento a quanto previsto riguardo agli effluenti di allevamento all'art. 9.
 |  |  |  | Art. 16. Dosi di applicazione
 1.  Le dosi, non superiori ad un terzo del fabbisogno irriguo delle colture  e  indicate  nella  comunicazione  di  cui all'art. 18, e le epoche  di distribuzione delle acque reflue devono essere finalizzate a  massimizzare  l'efficienza dell'acqua e dell'azoto in funzione del fabbisogno  delle  colture,  cosi'  come definito all'art. 10 ed alla lettera b) del comma 2 dell'art. 11.
 2.  Fermo restando quanto previsto dal CBPA, le regioni definiscono i  criteri  di utilizzazione irrigua e fertirrigua delle acque reflue in  rapporto  alle  colture  ed  ai bilanci idrici locali, al fine di limitare  le  perdite  dal  sistema  suolo-pianta e fissano ulteriori limitazioni  o divieti all'utilizzo dei reflui qualora si verifichino particolari  condizioni  di incompatibilita' del suolo a ricevere gli stessi (elevata salinita', eccessiva drenabilita' del suolo, ecc.).
 |  |  |  | Art. 17. Individuazione delle piccole aziende agroalimentari
 1.  E'  ammessa  l'utilizzazione  agronomica  delle  acque  reflue, qualora  contenenti  sostanze  naturali  non  pericolose, provenienti dalle   piccole   aziende   agroalimentari  appartenenti  ai  settori lattiero-caseario,   vitivinicolo   e  ortofrutticolo  che  producono quantitativi   di  acque  reflue  non  superiori  a  4000  m3/anno  e quantitativi di azoto, contenuti in dette acque a monte della fase di stoccaggio, non superiori a 1000 kg/anno.
 2.  L'utilizzazione agronomica delle acque reflue provenienti dalle aziende  di  cui  al  comma 1  e'  soggetta  a  comunicazione  che e' disciplinata  dalle  regioni  nel  rispetto  dell'art.  18,  comma 1, lettere  b)  e  c) e comma 2 e contiene almeno le informazioni di cui all'Allegato   IV,  Parte  B,  lettere a), b)  e d).  L'utilizzazione agronomica  delle medesime acque reflue e' soggetta alle disposizioni di cui agli articoli 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 20.
 3.  Le regioni possono promuovere lo spandimento delle acque reflue provenienti  da  aziende  agroalimentari  diverse da quelle di cui al comma 1,   nel   rispetto   delle  disposizioni  di  cui  al  decreto legislativo  n.  22  del 1997 e delle norme tecniche di cui al Titolo III, capo I.
 |  |  |  | Art. 18. Disciplina della comunicazione
 1.  La  comunicazione e' disciplinata dalle regioni nel rispetto di quanto segue:
 a) i   contenuti   sono   conformi   almeno  a  quanto  riportato nell'allegato IV al presente decreto;
 b) la  comunicazione  deve  pervenire  alle  autorita' competenti almeno 30 giorni prima dell'inizio dell'attivita';
 c) i tempi di validita' della comunicazione sono non superiori ai 5   anni  successivi  alla  data  di  presentazione,  fermo  restando l'obbligo  dell'interessato di segnalare tempestivamente le eventuali modifiche riguardanti la tipologia, la quantita' e le caratteristiche degli  effluenti  e  delle  acque reflue, nonche' i terreni destinati all'applicazione.
 2.  Le  regioni  individuano nel legale rappresentante dell'azienda che  produce e intende utilizzare gli effluenti zootecnici e le acque reflue   di   cui   al   presente  Titolo  il  soggetto  tenuto  alla comunicazione di cui al comma 1.
 3.  Qualora  le  fasi  di  produzione,  trattamento,  stoccaggio  e spandimento  di  effluenti siano suddivise fra piu' soggetti, al fine di adottare specifiche forme di controllo per ciascuna delle predette fasi, le regioni disciplinano la forma di comunicazione per i diversi soggetti  interessati,  in funzione delle specifiche attivita', ferme restando le disposizioni di cui al comma 1.
 4.  La  domanda  di  autorizzazione  prevista  per  gli impianti di allevamento intensivo di cui al punto 6.6 dell'allegato I del decreto legislativo  59/2005  deve tener conto degli obblighi derivanti dalla disciplina regionale attuativa del presente decreto.
 5.   Le  aziende  che  producono  e/o  utilizzano  in  un  anno  un quantitativo  non  superiore a 3000 kg di azoto al campo da effluenti zootecnici sono esonerate dall'obbligo di effettuare la comunicazione di  cui  al  comma 1.  Per  tali  tipologie  di  aziende, le regioni, comunque,  definiscono  i  casi  in  cui  l'esonero non si applica in ragione   di   fattori   locali  quali  l'elevato  carico  zootecnico territoriale.
 |  |  |  | Art. 19. Piano di utilizzazione agronomica
 1. Ai fini di una corretta utilizzazione agronomica degli effluenti e  di  un  accurato  bilanciamento  degli  elementi fertilizzanti, in funzione   soprattutto   delle  caratteristiche  del  suolo  e  delle asportazioni  prevedibili,  e'  previsto  per  le  aziende  di cui al decreto  legislativo  59/2005  nonche' per gli allevamenti bovini con piu'   di   500   UBA   (Unita'   di  Bestiame  Adulto),  determinati conformemente   alla   tabella   4   dell'allegato  I,  l'obbligo  di predisporre   un   Piano   di   Utilizzazione   Agronomica   conforme all'Allegato V parte A.
 |  |  |  | Art. 20. Trasporto
 1.  La normativa regionale definisce gli adempimenti concernenti il trasporto,   necessari   a  garantire  un  adeguato  controllo  sulla movimentazione  degli  effluenti  e  delle  acque  reflue  di  cui al presente  Titolo,  prevedendo  una  documentazione di accompagnamento contenente almeno le seguenti informazioni:
 a) gli  estremi  identificativi  dell'azienda  da  cui origina il materiale trasportato e del legale rappresentante della stessa;
 b) la  natura  e  la  quantita'  degli  effluenti e/o delle acque reflue trasportate;
 c) l'identificazione del mezzo di trasporto;
 d) gli  estremi  identificativi  dell'azienda  destinataria e del legale rappresentante della stessa;
 e) gli   estremi   della   comunicazione   redatta   dal   legale rappresentante  dell'azienda  da cui origina il materiale trasportato ai sensi dell'art. 18.
 2.  Le  regioni stabiliscono inoltre i tempi di conservazione della documentazione di cui al comma 1, nonche' le forme di semplificazione della  documentazione da utilizzarsi nel caso di trasporto effettuato tra  terreni  in  uso alla stessa azienda da cui origina il materiale trasportato  ovvero  nel  caso  di aziende con allevamenti di piccole dimensioni   con   produzione  di  azoto  non  superiore  a  6000  Kg azoto/anno.
 |  |  |  | Art. 20-bis Misure di sostegno per gli imprenditori agricoli
 e periodi di adeguamento
 1.  Le  regioni,  ai sensi dell'art. 5, paragrafo 3 e dell'art. 26, paragrafo 1  del  Reg.  (CE)  1257/99  come  modificato dal Reg. (CE) 1783/03  e  successive  normative  relative alla programmazione dello sviluppo    rurale,   favoriscono   nei   rispettivi   documenti   di programmazione   regionale  sullo  sviluppo  rurale  approvati  dalla Commissione  Europea,  azioni volte al sostegno di investimenti nelle aziende  agricole  e  nelle  piccole  aziende di trasformazione, come definite  dall'art.  28, paragrafo 1 del Reg. (CE) 817/04, realizzati allo  scopo  di  conformarsi alle nuove norme minime introdotte dalla normativa  regionale  attuativa  dell'art. 38 del decreto legislativo 152/99  e  del  presente  decreto. A norma dell'art. 1 e dell'art. 28 paragrafo 2  del  Reg.  (CE)  817/04 le aziende agricole e le piccole aziende  di  trasformazione  ove  previsto  nei predetti documenti di programmazione  regionali,  possono  beneficiare  di  una proroga per conformarsi  alle  prescrizioni  previste  dalla  predetta  normativa regionale, a condizione che tale periodo sia necessario per risolvere i  problemi  specifici  inerenti  alla  osservanza delle stesse. Tale proroga  non  puo' essere superiore ai trentasei mesi a partire dalla data  dalla quale le prescrizioni previste diventano obbligatorie per le aziende agricole e per le piccole aziende di trasformazione.
 |  |  |  | Art. 21. Disposizioni generali
 1. Nelle zone designate vulnerabili da nitrati di origine agricola, l'utilizzazione  agronomica  degli  effluenti zootecnici, delle acque reflue  di cui al presente decreto e dei concimi azotati e ammendanti organici di cui alla legge 748 del 1984 e' soggetta alle disposizioni di cui al presente Titolo V, volte in particolare a:
 a) proteggere  e  risanare  le zone vulnerabili dall'inquinamento provocato da nitrati di origine agricola;
 b) limitare  l'applicazione  al  suolo  dei fertilizzanti azotati sulla  base  dell'equilibrio  tra  il fabbisogno prevedibile di azoto delle colture e l'apporto alle colture di azoto proveniente dal suolo e  dalla  fertilizzazione,  in  coerenza  anche  con  il  CBPA di cui all'art. 19 del decreto legislativo n. 152 del 1999;
 c) promuovere  strategie  di  gestione  integrata degli effluenti zootecnici  per il riequilibrio del rapporto agricoltura-ambiente tra cui  l'adozione  di modalita' di allevamento e di alimentazione degli animali  finalizzate  a  contenere, gia' nella fase di produzione, le escrezioni di azoto.
 2.  Al  fine di accrescere le conoscenze attuali sulle strategie di riduzione delle escrezioni e di altri possibili inquinanti durante la fase  di allevamento degli animali, sui trattamenti degli effluenti e sulla  fertilizzazione bilanciata delle colture e di favorire la loro diffusione, le regioni prevedono azioni di informazione e di supporto alle  aziende  agricole, nonche' promuovono attivita' di ricerca e di sperimentazione   a   scala   locale,   coerenti  con  le  iniziative comunitarie e nazionali.
 3.  I  programmi  di azione di cui all'art. 19, comma 6 del decreto legislativo  n. 152 del 1999 devono essere conformi alle disposizioni di  cui  al  presente Titolo che integra l'Allegato 7 parte AIV dello stesso decreto.
 4. Oltre alle disposizioni di cui al Programma d'azione per le zone vulnerabili,  le  regioni  favoriscono,  in  particolare  nelle  zone vulnerabili ove necessitano azioni rafforzative, l'applicazione delle misure   agroambientali   dei   Piani   di  Sviluppo  Rurale  di  cui all'allegato  II  del  presente  decreto,  volte  al  ripristino  del corretto equilibrio tra la produzione agricola e l'ambiente.
 5.  Le  regioni,  a norma degli articoli 21-bis, 21-ter e 21-quater del  Reg.  (CE)  1783/03,  al  fine  di  promuovere  una  piu' rapida applicazione  delle  disposizioni cogenti del Programma di azione per le  zone  vulnerabili ed il loro rispetto da parte degli agricoltori, possono  attivare  nell'ambito  della  programmazione  comunitaria  e nazionale   dello  Sviluppo  Rurale  specifiche  misure  di  sostegno temporaneo,  finalizzate  alla  copertura  parziale  delle perdite di reddito  e/o dei costi aggiuntivi derivanti dall'applicazione di tali disposizioni  nonche'  idonee  azioni di sostegno degli agricoltori a fronte   dei   costi  relativi  a  servizi  di  consulenza  aziendale finalizzati  all'applicazione  delle  prescrizioni tecniche di cui ai programmi d'azione.
 |  |  |  | Art. 22. Divieti   di  utilizzazione  dei  letami  e  dei  concimi  azotati  e ammendanti organici di cui alla legge 748 del 1984
 1.  L'utilizzo  agronomico  del  letame  e  dei  materiali  ad esso assimilati,  nonche' dei concimi azotati e ammendanti organici di cui alla legge 748 del 1984 e' vietato almeno entro:
 - 5  m  di  distanza  dalle  sponde  dei corsi d'acqua superficiali individuati dalle regioni come non significativi;
 - 10  m  di  distanza  dalle  sponde dei corsi d'acqua superficiali significativi;
 - 25  m  di distanza dall'inizio dell'arenile per le acque lacuali, marino-costiere  e di transizione, nonche' dai corpi idrici ricadenti nelle zone umide individuate ai sensi della Convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971.
 2.  Sono  fatte  salve  le disposizioni di cui all'art. 4, comma 1, lettere a), b), e) e f).
 3.  Nelle  fasce  di  divieto  di  cui al comma 1, ove tecnicamente possibile,  e'  obbligatoria  una copertura vegetale permanente anche spontanea  ed  e'  raccomandata la costituzione di siepi e/o di altre superfici  boscate.  In particolari aree caratterizzate da situazioni di  aridita'  tali da determinare la perdita della copertura vegetale permanente,  le regioni individuano diverse misure atte a contrastare il trasporto dei nutrienti verso i corpi idrici.
 4. L'utilizzo dei concimi azotati e ammendanti organici di cui alla legge  748  del  1984 e' vietato sui terreni gelati, saturi d'acqua o innevati  e nelle 24 ore precedenti l'intervento irriguo, nel caso di irrigazione a scorrimento per i concimi non interrati.
 5.  Le  regioni,  in  ragione  di  particolari  condizioni  locali, individuano  i  diversi  limiti  di pendenza oltre i quali e' vietato l'utilizzo  di  letami  e  materiali  assimilati, nonche' dei concimi azotati  e ammendanti organici di cui alla legge 748 del 1984, ovvero le pratiche agronomiche atte a contrastare il trasporto di nutrienti, in  particolare  nel  caso  di  suolo non coperto da vegetazione o di colture   che   non  assicurano  la  copertura  completa  del  suolo, obbligando  comunque  le  aziende  ad  adottare  almeno  le  pratiche agronomiche  contenute  nel  CBPA.  Devono  altresi'  essere presi in considerazione  i  limiti di lavorabilita' del suolo, tenuto conto di adeguate sistemazioni idraulico-agrarie e di modalita' di spandimento atte a contrastare il ruscellamento.
 6.  Le  disposizioni  di cui al comma 1, non si applicano ai canali artificiali  ad esclusivo utilizzo di una o piu' aziende, purche' non connessi ai corpi idrici naturali, ed ai canali arginati.
 |  |  |  | Art. 23. Divieti di utilizzazione dei liquami
 1.  L'utilizzo  di  liquami  e  dei  materiali  ad essi assimilati, nonche'  dei fanghi derivanti da trattamenti di depurazione di cui al decreto legislativo n. 99 del 1992 e' vietato almeno entro:
 - 10 m di distanza dalle sponde dei corsi d'acqua superficiali;
 - 30 m di distanza dall'inizio dell'arenile per le acque lacuali, marino-costiere  e di transizione, nonche' dai corpi idrici ricadenti nelle zone umide individuate ai sensi della Convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971.
 2.  Sono  fatte  salve  le disposizioni di cui all'art. 4, comma 1, lettere a), b), e)      ed f)      e     all'art.     5,     comma 1, lettere d), e), f), g) ed h).
 3.  Nelle  fasce  di  divieto  di  cui al comma 1, ove tecnicamente possibile,  e'  obbligatoria  una copertura vegetale permanente anche spontanea  ed  e'  raccomandata la costituzione di siepi e/o di altre superfici  boscate.  In particolari aree caratterizzate da situazioni di  aridita'  tali da determinare la perdita della copertura vegetale permanente,  le regioni individuano diverse misure atte a contrastare il trasporto dei nutrienti verso i corpi idrici.
 4.  L'utilizzo di liquami e' vietato su terreni con pendenza media, riferita  ad  un'area  aziendale omogenea, superiore al 10%, che puo' essere  incrementata,  comunque  non  oltre  il  20%,  in presenza di sistemazioni idraulico-agrarie, sulla base delle migliori tecniche di spandimento  riportate  nel  CBPA  e  nel  rispetto  di  prescrizioni regionali  volte  ad  evitare  il  ruscellamento e l'erosione, tra le quali le seguenti:
 a) dosi di liquami frazionate in piu' applicazioni;
 b) iniezione diretta nel suolo o spandimento superficiale a bassa pressione  con  interramento  entro  le  12  ore  sui  seminativi  in prearatura;
 c) iniezione diretta, ove tecnicamente possibile, o spandimento a raso sulle colture prative;
 d) spandimento  a  raso in bande o superficiale a bassa pressione in copertura su colture cerealicole o di secondo raccolto.
 L'adozione  di tali prescrizioni deve essere riportata con adeguato dettaglio all'interno dei programmi di azione regionali.
 5. In particolari aree caratterizzate da condizioni geomorfologiche e  pedologiche  sfavorevoli, le regioni possono individuare limiti di pendenza  piu'  elevati di quelli stabiliti al comma 4 in presenza di sistemazioni idraulico-agrarie, sulla base delle migliori tecniche di spandimento riportate nel CBPA e purche' siano garantiti:
 a) il  rispetto delle prescrizioni di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 4;
 b) il  non  superamento di un apporto complessivo di azoto di 210 kg  per  ettaro per anno, inteso come quantitativo medio aziendale ed ottenuto  sommando i contributi da effluenti di allevamento, comunque non superiori a 170 kg di azoto, ed i contributi da concimi azotati e ammendanti organici di cui alla legge 748 del 1984.
 6.  Le  disposizioni  di cui al comma 1, non si applicano ai canali artificiali  ad esclusivo utilizzo di una o piu' aziende, purche' non connessi ai corpi idrici naturali, ed ai canali arginati.
 |  |  |  | Art. 24. Caratteristiche dello stoccaggio
 1.  Per le caratteristiche e il dimensionamento dei contenitori per lo  stoccaggio  dei materiali palabili e non palabili si applicano le disposizioni  di  cui  al  comma 1 dell'art. 6, ai commi 1, 2, 3, e 4 dell'art. 7 e ai commi 2, 3, 4, 5, 7 e 9 dell'art. 8.
 2. Per le deiezioni degli avicunicoli essiccate con processo rapido a  tenori  di  sostanza  secca  superiori  al  65%,  la  capacita' di stoccaggio  non deve essere inferiore al volume di materiale prodotto in  120  giorni.  Per  i  contenitori  esistenti  l'adeguamento  deve avvenire  entro  5  anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
 3.  Valgono  altresi'  le  disposizioni  del comma 1 dell'art. 8 ad eccezione  del  secondo  periodo del medesimo comma cosi' sostituito: «Alla  produzione  complessiva  di  liquami  da  stoccare deve essere sommato il volume delle acque meteoriche, convogliate nei contenitori dello  stoccaggio da superfici scoperte interessate dalla presenza di effluenti zootecnici».
 4.  Per  gli  allevamenti  di  bovini  da latte, bufalini, equini e ovicaprini in aziende con terreni caratterizzati da assetti colturali che  prevedono la presenza di pascoli o prati di media o lunga durata e cereali autunno-vernini i contenitori per lo stoccaggio dei liquami e  dei  materiali  ad  essi  assimilati  devono  avere  un volume non inferiore a quello del liquame prodotto in allevamenti stabulati in:
 a) 120  giorni  nell'Italia centro settentrionale (Valle d'Aosta, Piemonte,  Lombardia, Province di Bolzano e di Trento, Friuli Venezia Giulia,  Veneto,  Emilia  Romagna, Liguria, Toscana, Marche, Abruzzo, Umbria,  Lazio),  fatta  eccezione  per  i  contenitori esistenti che devono  essere  adeguati  entro  5  anni  dall'entrata  in vigore del presente decreto;
 b) 90  giorni  nell'Italia meridionale (Campania, Molise, Puglia, Calabria, Basilicata, Sardegna, Sicilia);
 5. In  assenza  degli  assetti  colturali  di  cui al comma 4 ed in presenza  di  tipologie di allevamento diverse da quelle del medesimo comma 4, le regioni prescrivono un volume di stoccaggio non inferiore a quello del liquame prodotto nei seguenti periodi:
 a) 180   giorni   nell'Italia   settentrionale   (Valle  d'Aosta, Piemonte,  Lombardia, Province di Bolzano e di Trento, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Liguria);
 b) 150 giorni in tutte le altre regioni.
 6.  Per  i  nuovi  allevamenti  e  per  gli  ampliamenti  di quelli esistenti  non  sono  considerate  utili  al  calcolo  dei  volumi di stoccaggio le fosse sottostanti i pavimenti fessurati e grigliati.
 7.  Per le caratteristiche e il dimensionamento dei contenitori per lo  stoccaggio  delle  acque  reflue  di  cui  al presente decreto si applicano le disposizioni di cui all'art. 14.
 8.  I liquidi di sgrondo dei materiali palabili vengono assimilati, per  quanto  riguarda  il  periodo  di  stoccaggio,  ai materiali non palabili come trattati ai commi 4 e 5 nel presente articolo.
 |  |  |  | Art. 25. Accumulo temporaneo di letami
 1.  L'accumulo  temporaneo  di  letami  e  di  lettiere  esauste di allevamenti  avicunicoli,  esclusi  gli  altri  materiali assimilati, definiti  dall'art.  2  comma 1  lettera e) e' praticato ai soli fini della utilizzazione agronomica e deve avvenire sui terreni utilizzati per  lo  spandimento.  La  quantita' di letame accumulato deve essere funzionale alle esigenze colturali degli appezzamenti di suolo.
 2.  L'accumulo  non  e'  ammesso  a  distanza inferiore a 5 m dalle scoline,  a 30 m dalle sponde dei corsi d'acqua superficiali, ed a 40 m  dalle  sponde  dei  laghi,  dall'inizio  dell'arenile per le acque marino-costiere   e   di   transizione,   nonche'  delle  zone  umide individuate ai sensi della Convenzione di Ramsar del 2 febbraio 1971.
 3.  L'accumulo  temporaneo  di  cui  al comma 1 e' ammesso su suolo agricolo  solo  dopo  uno  stoccaggio  di  almeno  90 giorni e per un periodo non superiore a tre mesi. L'accumulo non puo' essere ripetuto nello  stesso  luogo nell'ambito di una stessa annata agraria. Per le lettiere  degli allevamenti avicoli a ciclo produttivo inferiore a 90 giorni valgono le disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 7.
 4.  Gli  accumuli  devono  essere  di  forma  e  dimensioni tali da garantire  una buona aerazione della massa e, al fine di non generare liquidi  di  sgrondo, devono essere adottate le misure necessarie per effettuare   il   drenaggio   completo   del   percolato   prima  del trasferimento  in campo ed evitare infiltrazioni di acque meteoriche, oltre a prevedere un'idonea impermeabilizzazione del suolo.
 |  |  |  | Art. 26. Modalita' di utilizzazione agronomica e dosi di applicazione
 1. Fatto salvo quanto previsto dal comma 1, lettera i) dell'art. 5, lo spandimento degli effluenti zootecnici e delle acque reflue di cui al  presente  decreto, nonche' dei concimi azotati e degli ammendanti organici  di  cui  alla  legge 748 del 1984 e' vietato nella stagione autunno-invernale,  di  norma  dal  1° novembre  fino  alla  fine  di febbraio,  ed  in particolare sono previsti i seguenti periodi minimi di divieto:
 a) 90  giorni  per i concimi azotati e gli ammendanti organici di cui  alla  legge  748  del  1984,  per i letami e i materiali ad essi assimilati  ad  eccezione delle deiezioni degli avicunicoli essiccate con  processo  rapido a tenori di sostanza secca superiori al 65% per le  quali  vale  il  periodo di divieto di 120 giorni. Per le aziende esistenti  il divieto di 120 giorni si applica a decorrere dalla data di adeguamento dei contenitori di cui all'art. 24, comma 2;
 b) per  liquami  e  materiali  ad  essi assimilati e per le acque reflue,  fatta salva la disposizione di cui al comma 5, il divieto ha la   durata   di:   90   giorni   nei   terreni  con  prati,  cereali autunno-vernini,  colture ortive, arboree con inerbimento permanente; 120 giorni nei terreni destinati ad altre colture.
 2.  In  relazione alle specifiche condizioni pedoclimatiche locali, le  regioni  possono  individuare,  anche  sulla  base dell'indirizzo dell'Autorita'  di  Bacino,  decorrenze  di divieto diverse da quella prevista  al  comma 1 e possono altresi' prevedere la sospensione del divieto.
 3.  Le  regioni,  in  presenza di colture che utilizzano l'azoto in misura significativa anche nella stagione autunno-invernale, come per esempio  le  colture  ortofloricole e vivaistiche protette o in pieno campo,  possono  individuare  periodi  di  divieto  diversi da quelli indicati  al  comma 1, anche non continuativi, e relative decorrenze, tenendo conto dei ritmi e dei periodi di utilizzazione degli elementi nutritivi da parte di dette coltivazioni.
 4.  Le regioni predispongono una relazione tecnica in allegato alla scheda  n. 30 del decreto 18 settembre 2002 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  n.  198  del  18 ottobre  2002  relativa all'attuazione di quanto previsto ai commi 2 e 3.
 5.  Sui  terreni  utilizzati  per  gli  spandimenti,  devono essere impiegati  come  fertilizzanti prioritariamente, ove disponibili, gli effluenti  zootecnici  le cui quantita' di applicazione devono tenere conto,  ai  fini  del  rispetto  del  bilancio  dell'azoto, del reale fabbisogno  delle  colture,  della mineralizzazione netta dei suoli e degli  apporti  degli  organismi  azoto-fissatori.  La  quantita'  di effluente non deve in ogni caso determinare in ogni singola azienda o allevamento  un  apporto di azoto superiore a 170 kg per ettaro e per anno,  inteso come quantitativo medio aziendale, calcolata sulla base dei  valori della tabella 2 dell'allegato I o in alternativa di altri valori determinati secondo le procedure di calcolo o di misura citati nell'allegato  stesso,  comprensivo  delle deiezioni depositate dagli animali quando sono tenuti al pascolo e degli eventuali fertilizzanti organici  derivanti  dagli effluenti di allevamento di cui alla legge 19 ottobre  1984,  n.  748  e  dalle  acque reflue di cui al presente decreto.  Le dosi di effluente zootecnico, applicate nel rispetto del bilancio  dell'azoto, e l'eventuale integrazione di concimi azotati e ammendanti  organici  di  cui  alla  legge 748 del 1984 devono essere giustificate  dal  Piano  di  Utilizzazione  Agronomica  (PUA) di cui all'art.  28.  Per  le  aziende  ricadenti in parte anche in zone non vulnerabili,  il  quantitativo  medio  aziendale  sopraindicato  deve intendersi   riferito   esclusivamente   alla   superficie  aziendale ricadente in zona vulnerabile.
 6  Al  fine  di  contenere  le dispersioni di nutrienti nelle acque superficiali  e  profonde,  le  tecniche  di distribuzione e le altre misure adottate devono assicurare:
 a) l'uniformita' di applicazione del fertilizzante;
 b) l'elevata  utilizzazione  degli  elementi nutritivi ottenibile con  un  insieme  di buone pratiche che comprende la somministrazione dei  fertilizzanti  azotati il piu' vicino possibile al momento della loro utilizzazione, il frazionamento della dose con il ricorso a piu' applicazioni  ripetute nell'anno ed il ricorso a mezzi di spandimento atti a minimizzare le emissioni di azoto in atmosfera;
 c) la  corretta  applicazione  al  suolo sia di concimi azotati e ammendanti  organici di cui alla legge 748 del 1984, sia di effluenti di  allevamento,  sia  di acque reflue di cui all'art. 28 del decreto legislativo 152/99, conformemente alle disposizioni di cui al CBPA;
 d) lo  spandimento  del  liquame  con  sistemi  di  erogazione  a pressione tali da non determinare la polverizzazione del getto;
 e) l'adozione  di  sistemi  di avvicendamento delle colture nella gestione dell'uso del suolo conformemente alle disposizioni del CBPA;
 f) la conformita' delle pratiche irrigue alle disposizioni di cui al CBPA ed all'allegato VII al presente decreto.
 Le regioni possono prevedere specifiche disposizioni in merito alla proporzione  di  suolo  da destinare a colture permanenti collegate a colture  annuali,  promuovendo  altresi',  ove  possibile, il ricorso all'inerbimento dell'interfilare.
 7.   Ai   fini   dell'utilizzazione   agronomica   degli  effluenti zootecnici, al di fuori del periodo di durata del ciclo della coltura principale  devono essere garantite o una copertura dei suoli tramite colture  intercalari  o colture di copertura, secondo le disposizioni contenute  nel  CBPA  o  altre  pratiche  colturali atte a ridurre la lisciviazione dei nitrati, quali l'interramento di paglie e stocchi.
 8.  Ai fini della ottimizzazione dell'efficienza dell'azoto e della riduzione  del rischio di inquinamento da nitrati di origine agricola dei  corpi  idrici  superficiali e sotterranei, le regioni verificano l'efficacia  dell'applicazione  del  CBPA  nelle  zone  vulnerabili e valutano   l'opportunita'   di   adottare   gli   interventi  di  cui all'allegato II al presente decreto nell'ambito dei Piani di Sviluppo Rurale.
 9.  Le  regioni  individuano,  all'interno  delle zone vulnerabili, particolari   aree   di   criticita'  ambientale  dovuta  all'elevata permeabilita' del suolo, alla consistente percolazione o a condizioni che  possono  ridurre  la  capacita'  delle  colture di utilizzare le sostanze  nutritive  contenute  nelle  deiezioni distribuite. In tali aree   devono   essere   adottate  misure  di  protezione  ambientale aggiuntive  o integrative a quelle indicate nei commi precedenti, ivi compresa  l'ulteriore limitazione degli apporti di azoto di qualsiasi origine.
 10.  L'utilizzazione  agronomica  dei  concimi azotati e ammendanti organici  di  cui alla legge n. 748 del 1984 deve avvenire secondo le modalita' di cui all'allegato VI.
 |  |  |  | Art. 27. Strategie di gestione integrata di effluenti zootecnici
 1.  Le  regioni,  nell'ambito  dei  Programmi  d'azione definiscono politiche  per  la  gestione  degli  effluenti  zootecnici  basate su tecniche   finalizzate   al  ripristino  di  un  corretto  equilibrio agricoltura-ambiente,  in  conformita'  alle modalita' di gestione di cui  all'allegato  III  al  presente  decreto,  tenendo  conto  delle migliori  tecniche  disponibili  al  fine di evitare il trasferimento dell'inquinamento tra i diversi comparti ambientali.
 2.  In  particolari  contesti  territoriali caratterizzati da corpi idrici  ad  elevata  vulnerabilita'  da  nitrati  e/o  a  rischio  di eutrofizzazione,  le  regioni  rendono obbligatorie, ove tecnicamente possibile,  le  modalita' di gestione di cui all'allegato III parte B al  presente  decreto  nei  casi in cui la produzione di azoto sia in eccedenza  rispetto  ai  fabbisogni  dei  terreni  utilizzati per gli spandimenti  e  qualora si rendano necessarie azioni rafforzative dei Programmi  d'azione  gia'  adottati,  come  stabilito  dall'art.  19, comma 7, lettera c) del decreto legislativo 152/99.
 3.  Le  regioni  possono  prevedere,  in  accordo  alla  disciplina comunitaria   in   materia   di  aiuti  alle  imprese,  finanziamenti nell'ambito  di  accordi  e contratti di programma da stipulare con i soggetti  interessati  per  l'adozione  delle tecniche finalizzate al ripristino  di  un  corretto equilibrio agricoltura-ambiente ai sensi del  comma 1, promuovendo la costituzione di consorzi ovvero di altre forme  di  cooperazione interaziendale al cui interno sono realizzati gli  impianti  per  i  trattamenti di cui all'allegato III parte B al presente decreto.
 4. Le regioni, entro sette mesi dall'entrata in vigore del presente decreto,  definiscono  l'elenco,  da aggiornare periodicamente, degli impianti di depurazione di acque reflue urbane e di altri impianti da utilizzare   per   i   trattamenti  di  cui  al  comma 3,  apportando successivamente  le  necessarie modifiche ai propri Piani energetico, di  tutela  delle acque e di gestione dei rifiuti. La realizzazione e l'adeguamento degli impianti puo' avvenire con il ricorso alle misure di  cui agli Accordi di Programma Quadro (APQ), sottoscritti ai sensi del comma 203 dell'art. 2 della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
 5.  La realizzazione e l'esercizio degli impianti di cui al comma 3 per i trattamenti previsti all'allegato III parte B, punto 1, nonche' l'adeguamento   degli  impianti  stessi  per  i  trattamenti  di  cui all'allegato  III  parte  B, punto 2, sono approvati e autorizzati ai sensi  dell'art.  12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 recante  «l'attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  del  Parlamento europeo   e   del  Consiglio  del  27 settembre  2001  relativa  alla promozione  dell'energia  elettrica  prodotta  da  fonti  energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricita».
 |  |  |  | Art. 28. Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA)
 1.  Al  fine  di  minimizzare  le  perdite  di azoto nell'ambiente, l'utilizzo dei fertilizzanti azotati deve essere effettuato, ai sensi dell'allegato  7  parte  A  IV  del  decreto  legislativo 152/99, nel rispetto dell'equilibrio tra il fabbisogno prevedibile di azoto delle colture  e  l'apporto  alle  colture  di azoto proveniente dal suolo, dall'atmosfera e dalla fertilizzazione, corrispondente:
 -  alla  quantita' di azoto presente nel suolo nel momento in cui la coltura comincia ad assorbirlo in maniera significativa (quantita' rimanente alla fine dell'inverno);
 -  all'apporto  di  composti di azoto tramite la mineralizzazione netta delle riserve di azoto organico nel suolo;
 -  all'aggiunta  di composti di azoto provenienti da effluenti di allevamento e acque reflue disciplinate dal presente decreto;
 -  all'aggiunta  di  composti di azoto provenienti dal riutilizzo irriguo di acque reflue depurate di cui al decreto 12 giugno 2003, n. 185  del  Ministro  dell'ambiente  e  della tutela del territorio, da fertilizzanti  di  cui  alla  legge  n.  748  del 1984 e da fanghi di depurazione di cui al decreto legislativo n. 99 del 1992;
 - all'azoto da deposizione atmosferica.
 2.  Il  Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA) deve essere redatto conformemente  alle  disposizioni  di  cui all'allegato V al presente decreto.
 |  |  |  | Art. 29. Comunicazione e trasporto
 1.   L'utilizzazione   agronomica  degli  effluenti  zootecnici  e' soggetta    alla   presentazione   all'autorita'   competente   della comunicazione  ed  alla  compilazione  del  PUA  secondo le modalita' definite all'allegato V.
 2.  L'utilizzazione  agronomica  delle acque reflue di cui all'art. 28,  comma 7,  lettere a), b) e c) del decreto legislativo n. 152 del 1999  e'  soggetta  alla presentazione all'autorita' competente della comunicazione di cui all'allegato IV parte B del presente decreto.
 3. Il legale rappresentante dell'azienda trasmette la comunicazione di  cui  ai  commi 1 e 2 che deve pervenire alle autorita' competenti almeno  30  giorni  prima  dell'inizio  dell'attivita'  e  rinnova la medesima  ogni cinque anni, fermo restando l'obbligo dell'interessato di  segnalare  tempestivamente  le eventuali modifiche riguardanti la tipologia,  la quantita' e le caratteristiche degli effluenti e delle acque reflue, nonche' i terreni destinati all'applicazione.
 4.  Gli  atti  o i provvedimenti che alla data di entrata in vigore del  presente  decreto abilitano all'effettuazione dell'utilizzazione agronomica  di  cui  al presente Titolo restano validi sino alla loro scadenza.  Al  fine  della conformita' alle disposizioni del presente decreto,   le   regioni   richiedono  integrazioni  agli  atti  o  ai provvedimenti in corso di validita'.
 5.  In assenza degli atti o dei provvedimenti di cui al comma 4, il legale  rappresentante  dell'azienda  in  cui  viene  gia' effettuata l'utilizzazione  agronomica  procede  all'invio  di una comunicazione alla  regione,  conformemente  alla  presente normativa entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
 6.  Qualora  le  fasi  di  produzione,  stoccaggio e spandimento di effluenti  siano  suddivise  fra  piu'  soggetti, al fine di adottare specifiche  forme  di  controllo per ciascuna delle predette fasi, le regioni disciplinano la forma di comunicazione per i diversi soggetti interessati,  in  funzione delle specifiche attivita', ferme restando le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5.
 7.   Le  aziende  che  producono  e/o  utilizzano  in  un  anno  un quantitativo  non  superiore a 1000 kg di azoto al campo da effluenti zootecnici sono esonerate dall'obbligo di effettuare la comunicazione di  cui  al  comma 1.  Per  tali  tipologie  di  aziende, le regioni, comunque,  definiscono  i  casi  in  cui  l'esonero non si applica in ragione   di   fattori   locali  quali  l'elevato  carico  zootecnico territoriale.
 8.  Il  PUA  di  cui all'Allegato V parte A del presente decreto e' parte  integrante  dell'autorizzazione  integrata  ambientale  di cui all'art. 5 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59.
 9.  Il trasporto degli effluenti zootecnici e delle acque reflue di cui  al  presente  decreto  e'  assoggettato alle disposizioni di cui all'art. 20.
 |  |  |  | Art. 30. Controlli in zone vulnerabili
 1.  Ai  fini  della  verifica della concentrazione di nitrati nelle acque  superficiali  e  sotterranee  e  della valutazione dello stato trofico  delle  acque  lacustri, di transizione, marino-costiere e di eventuali  altre  tipologie  di  acque superficiali individuate dalle regioni,  ai  sensi  della  parte  A  I  dell'allegato  7 del decreto legislativo  152/99,  le  regioni,  sulla  base  di  un  programma di monitoraggio,  effettuano  i  controlli  in stazioni di campionamento rappresentative   delle   acque  superficiali  interne,  delle  acque sotterranee e delle acque estuarine e costiere.
 2. La frequenza dei controlli deve garantire l'acquisizione di dati sufficienti  ad  evidenziare  la  tendenza  della  concentrazione dei nitrati,  al  fine della designazione di ulteriori zone vulnerabili e della  valutazione  dell'efficacia  dei  Programmi di azione adottati nelle   zone   vulnerabili.   Le  Regioni,  ai  fini  della  verifica dell'efficacia  dei Programmi di azione, possono fare riferimento, in via orientativa, all'allegato VIII.
 3.  L'autorita'  competente  al  controllo  predispone  un piano di controllo  sulle modalita' di utilizzazione agronomica nelle aziende, al  fine  di verificare il rispetto degli obblighi di cui al presente decreto  e  provvede periodicamente all'analisi dei suoli interessati dallo   spandimento  degli  effluenti  per  la  determinazione  della concentrazione  di rame e zinco, in forma totale, di fosforo in forma assimilabile  e  del  sodio scambiabile secondo i metodi ufficiali di analisi chimica del suolo di cui al decreto ministeriale 13 settembre 1999  del Ministero per le politiche agricole e forestali, pubblicato sul  supplemento  ordinario  della  Gazzetta  Ufficiale  n.  248  del 21 ottobre  1999.  Le  regioni individuano i limiti di accettabilita' delle  concentrazioni  nel  suolo di rame, zinco e fosforo sulla base delle specifiche condizioni locali.
 4.  Le  regioni prevedono altresi' forme di registrazione, da parte delle  aziende,  delle  operazioni di applicazione al suolo di cui al presente  Titolo,  utili  allo  svolgimento  dei  controlli di cui al comma 3.
 5. La verifica dei dati contenuti nel registro di cui al comma 4 e' finalizzata all'accertamento:
 - della piena utilizzazione dei terreni, in particolare di quelli ubicati  ai  margini dell'azienda e di quelli messi a disposizione da soggetti diversi dal titolare dell'azienda;
 -  del  rispetto,  per le singole distribuzioni, dei volumi e dei periodi di spandimento previsti nella comunicazione o nel PUA.
 6.   Le   autorita'   competenti   effettuano   sopralluoghi  sugli appezzamenti   di   cui   al   PUA   ovvero  ad  altre  tipologie  di comunicazione, prendendo in considerazione i seguenti elementi:
 - effettiva utilizzazione di tutta la superficie a disposizione;
 - presenza delle colture indicate;
 -   rispondenza  dei  mezzi  e  delle  modalita'  di  spandimento dichiarate.
 7.  Le  regioni tengono anche conto delle procedure di controllo di cui all'art. 33, comma 1.
 |  |  |  | Art. 31. Formazione e informazione degli agricoltori
 1.  Le  regioni, tenuto conto delle disposizioni di cui al presente decreto,  individuano  ai sensi dell'art. 19, comma 7, lettera b) del decreto  legislativo  152/99, interventi di formazione e informazione sui Programmi di azione e sul CBPA, con l'obiettivo di:
 -  far  conoscere  alle aziende situate nelle zone vulnerabili le norme  in  materia  di effluenti di allevamento, di acque reflue e di altri fertilizzanti, attraverso un'azione di carattere divulgativo;
 -  formare il personale aziendale sulle tecniche di autocontrollo al  fine  di mantenere aggiornato il livello di conformita' aziendale alle normative ambientali cogenti;
 -  mettere a punto un sistema permanente di consulenza ambientale rivolto alle aziende;
 -  promuovere  la graduale penetrazione nelle aziende dei Sistemi di Gestione ambientale.
 |  |  |  | Art. 32. Informazioni
 1.  Le  informazioni  sullo stato di attuazione del Titolo V devono essere  trasmesse  dalle  regioni  secondo le modalita' e le scadenze temporali  di cui alle schede 27, 27-bis, 28, 29, 30 e 31 del decreto del  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio  del 18 settembre 2002.
 |  |  |  | Art. 33. Criteri e procedure di controllo e informazioni
 nelle zone non vulnerabili
 1.  Fatte  salve  le  disposizioni  di cui all'art. 30, le regioni, sulla  base  delle  comunicazioni ricevute e delle altre conoscenze a loro  disposizione riguardo allo stato delle acque, agli allevamenti, alle  coltivazioni,  alle  condizioni  pedoclimatiche  e idrologiche, organizzano  ed  effettuano  nelle zone non vulnerabili sia controlli cartolari   con   incrocio  di  dati,  sia  controlli  nelle  aziende agro-zootecniche  ed  agroalimentari  per  verificare  la conformita' delle  modalita'  di  utilizzazione  agronomica agli obblighi ed alla comunicazione  di cui al presente decreto, impegnando le loro risorse in relazione al rischio ambientale ed igienico-sanitario. I controlli cartolari sono raccomandati per il 10% delle comunicazioni effettuate nell'anno;  quelli aziendali per il 4%, con inclusione di analisi dei suoli  specie nei comprensori piu' intensamente coltivati per evitare eccessi di azoto e fosforo.
 2.  Le  regioni  trasmettono,  anche per le zone non vulnerabili, i dati conoscitivi sul monitoraggio delle acque relativi alla scheda 27 del  decreto  del  18 settembre  2002,  secondo le modalita' indicate nello stesso.
 |  |  |  | Art. 34. Ulteriori prescrizioni
 1.  Le  regioni, in ragione di particolari situazioni locali, anche sulla  base  delle  indicazioni delle Autorita' di bacino competenti, possono  prevedere  misure  piu'  restrittive di quelle contenute nei Titoli II, III, IV e V.
 |  |  |  | Art. 35. Disposizioni di salvaguardia
 1.  Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e  delle  Province  Autonome di Trento e Bolzano, che provvedono alle finalita'  del  presente decreto in conformita' ai rispettivi statuti ed alle relative norme di attuazione.
 Il presente decreto sara' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
 Roma, 7 aprile 2006
 
 Il Ministro delle politiche agricole e forestali
 Alemanno
 
 Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio
 Matteoli
 
 Il Ministro delle attivita' produttive
 Scajola
 
 Il Ministro della salute (ad interim)
 Berlusconi
 
 Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti
 Lunardi
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 |  |  |  | SINTESI DELLE MODALITA' DI COMUNICAZIONE, DI STOCCAGGIO E DIVIETI
 
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 |  |  |  |  |