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| Gazzetta n. 84 del 10 aprile 2006 (vai al sommario) |  | MINISTERO DELLA GIUSTIZIA |  | DECRETO 7 febbraio 2006, n. 144 |  | Regolamento,   ai  sensi  dell'articolo  19,  comma  2,  della  legge 13 febbraio  2001,  n. 45, in materia di trattamento penitenziario di coloro che collaborano con la giustizia. |  | 
 |  |  |  | IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA di concerto con
 IL MINISTRO DELL'INTERNO
 
 Visto  il  decreto-legge  15 gennaio  1991,  n.  8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, recante «Nuove norme in  materia  di  sequestri  di persona a scopo di estorsione e per la protezione  dei  testimoni di giustizia, nonche' per la protezione ed il  trattamento  sanzionatorio  di  coloro  che  collaborano  con  la giustizia»,  come  da ultimo modificata dalla legge 13 febbraio 2001, n.  45,  recante  «Modifica  della  disciplina della protezione e del trattamento  sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonche'   disposizioni   a   favore   delle   persone   che  prestano testimonianza» e, in particolare l'articolo 17-bis, comma 2;
 Vista   la   legge   26 luglio   1975,   n.   354,  recante  «Norme sull'ordinamento   penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle  misure privative  e  limitative  della  liberta»,  nonche'  il  decreto  del Presidente  della  Repubblica  30 giugno  2000,  n. 230, «Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta»;
 Visto l'articolo 17, commi 3 e 4, legge 23 agosto 1988, n. 400;
 Udito  il  parere  del  Consiglio  di Stato, espresso dalla Sezione consultiva  per  gli atti normativi nell'adunanza del 30 maggio 2005, le  cui  osservazioni  sono  state  recepite,  ad eccezione di quella concernente   la   formula   utilizzata   nell'articolo   4,  il  cui accoglimento  importerebbe  conseguenze  in  contrasto  con le regole fondamentali del trattamento penitenziario;
 Vista la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a norma  dell'articolo  17, comma 3, della citata legge 23 agosto 1988, n. 400;
 
 E m a n a
 il seguente regolamento:
 
 Art. 1.
 Ambito di applicazione
 1. Sono sottoposti alle disposizioni del presente regolamento:
 a) i  detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte   di   collaborazione   previste  dal  codice  penale  o  da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall'articolo 9,  comma 2, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, e che siano ammessi alle  speciali  misure di protezione o per i quali sia stata avanzata la proposta di ammissione a misure speciali di protezione, ovvero per i  quali  sia  stata  avanzata  richiesta  di  piano  provvisorio  di protezione,  ovvero  che  siano  sottoposti  a  piano  provvisorio di protezione,  ovvero  che  siano  sottoposti  a  misure di eccezionale urgenza  ai sensi dell'articolo 13, comma 1, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8;
 b) i  detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte   di   collaborazione   previste  dal  codice  penale  o  da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall'articolo 9, comma 2, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, per i quali, sebbene non sia stata avanzata richiesta di speciali misure di protezione, il Procuratore  della  Repubblica che sta raccogliendo o che ha raccolto il  verbale  illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dall'articolo  16-quater  del  medesimo  decreto-legge,  richiede, in vista  della  formulazione  della  proposta  di ammissione a speciali misure   di  protezione,  l'adozione  di  particolari  cautele  nella gestione penitenziaria;
 c) i soggetti che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure   di   protezione   e   ne  sono  fuoriusciti  con  misure  di reinserimento   sociale   ai   sensi   dell'articolo 13,   comma   5, decreto-legge  15 gennaio  1991, n. 8, salvo che, anche sulla base di informazioni  provenienti  dall'autorita' giudiziaria, il nuovo stato di   detenzione  o  di  internamento  non  sia  conseguente  a  fatti incompatibili con le condotte di collaborazione con la giustizia;
 d) i  detenuti  e  gli  internati  che  sono stati sottoposti nel passato  alle  speciali  misure di protezione poi revocate, ovvero al piano  provvisorio  di  protezione  non seguito dalla richiesta delle speciali misure di protezione, ovvero a misure di eccezionale urgenza non  seguite  dalla  definizione  di  un  piano  provvisorio  o delle speciali misure di protezione;
 e) i  detenuti  e  gli  internati  che, sebbene non tengono o non hanno   tenuto  condotte  di  collaborazione,  sono  sottoposti  alle speciali  misure  di  protezione in ragione delle situazioni previste dall'articolo 9, comma 5, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
 
 
 
 Avvertenza:
 Il  testo  delle  note  qui pubblicato e' stato redatto
 dall'amministrazione   competente  per  materia,  ai  sensi
 dell'art.  10,  comma 3, del testo unico delle disposizioni
 sulla   promulgazione   delle  leggi,  sull'emanazione  dei
 decreti   del   Presidente   della   Repubblica   e   sulle
 pubblicazioni    ufficiali   della   Repubblica   italiana,
 approvato  con  D.P.R.  28  dicembre 1985, n. 1092, al solo
 fine  di  facilitare la lettura delle disposizioni di legge
 alle  quali  e'  operato  il  rinvio.  Restano invariati il
 valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti.
 Note alle premesse:
 - Si  riporta il testo del comma 2 dell'art. 17-bis del
 decreto-legge   15 gennaio  1991,  n.  8,  convertito,  con
 modificazioni,  dalla  legge  15 marzo  1991,  n. 82 (Nuove
 norme  in  materia  di  sequestri  di  persona  a  scopo di
 estorsione  e per la protezione dei testimoni di giustizia,
 nonche' per la protezione e il trattamento sanzionatorio di
 coloro che collaborano con la giustizia):
 «2.  Con  decreto del Ministro della giustizia, emanato
 di  concerto con il Ministro dell'interno, sono stabiliti i
 presupposti  e le modalita' di applicazione delle norme sul
 trattamento  penitenziario,  previste  dal  Titolo  I della
 legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e
 dal  Titolo  I  del  relativo  regolamento  di  esecuzione,
 approvato  con  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
 29 aprile  1976,  n.  431, e successive modificazioni, alle
 persone  ammesse  alle  misure  speciali  di protezione e a
 quelle  che  risultano  tenere  o  aver  tenuto condotte di
 collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni
 speciali  relativamente ai delitti di cui all'art. 9, comma
 2.».
 -  Si riporta il testo dell'art. 17, commi 3 e 4, della
 legge  23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attivita' di
 Governo  e  ordinamento  della Presidenza del Consiglio dei
 Ministri):
 «3.  Con  decreto  ministeriale possono essere adottati
 regolamenti  nelle  materie di competenza del Ministro o di
 autorita'   sottordinate   al  Ministro,  quando  la  legge
 espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per
 materie  di  competenza  di  piu'  Ministri, possono essere
 adottati  con  decreti interministeriali, ferma restando la
 necessita' di apposita autorizzazione da parte della legge.
 I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono
 dettare  norme  contrarie  a quelle dei regolamenti emanati
 dal  Governo.  Essi debbono essere comunicati al Presidente
 del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.
 4.  I  regolamenti  di  cui al comma 1 ed i regolamenti
 ministeriali  ed  interministeriali,  che  devono recare la
 denominazione di "regolamento", sono adottati previo parere
 del  Consiglio  di  Stato,  sottoposti  al  visto  ed  alla
 registrazione  della  Corte  dei  conti  e pubblicati nella
 Gazzetta Ufficiale.».
 Nota all'art. 1:
 -  Si  riporta il testo dell'art. 9, 13 e 16-quater del
 citato decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82:
 «Art.  9  (Condizioni  di applicabilita' delle speciali
 misure  di  protezione).  -  1. Alle persone che tengono le
 condotte  o  che  si  trovano nelle condizioni previste dai
 commi   2   e   5  possono  essere  applicate,  secondo  le
 disposizioni   del   presente   Capo,  speciali  misure  di
 protezione idonee ad assicurarne l'incolumita' provvedendo,
 ove necessario, anche alla loro assistenza.
 2.  Le  speciali  misure  di  protezione sono applicate
 quando  risulta  la inadeguatezza delle ordinarie misure di
 tutela  adottabili direttamente dalle autorita' di pubblica
 sicurezza  o, se si tratta di persone detenute o internate,
 dal    Ministero    della    giustizia    -    Dipartimento
 dell'amministrazione  penitenziaria  e risulta altresi' che
 le  persone nei cui confronti esse sono proposte versano in
 grave  e  attuale  pericolo  per  effetto  di  talune delle
 condotte   di   collaborazione  aventi  le  caratteristiche
 indicate  nel  comma  3  e  tenute  relativamente a delitti
 commessi   per  finalita'  di  terrorismo  o  di  eversione
 dell'ordine  costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di
 cui  all'art.  51,  comma  3-bis,  del  codice di procedura
 penale  e  agli  articoli 600-bis,  600-ter,  600-quater  e
 600-quinquies del codice penale.
 3.  Ai  fini dell'applicazione delle speciali misure di
 protezione,   assumono   rilievo  la  collaborazione  o  le
 dichiarazioni  rese nel corso di un procedimento penale. La
 collaborazione  e  le  dichiarazioni  predette devono avere
 carattere  di  intrinseca  attendibilita'.  Devono altresi'
 avere  carattere  di  novita'  o di completezza o per altri
 elementi  devono  apparire  di  notevole  importanza per lo
 sviluppo  delle  indagini o ai fini del giudizio ovvero per
 le   attivita'   di   investigazione   sulle   connotazioni
 strutturali;  le  dotazioni  di  armi, esplosivi o beni, le
 articolazioni  e  i  collegamenti  interni o internazionali
 delle   organizzazioni   criminali   di   tipo   mafioso  o
 terroristico-eversivo  o sugli obiettivi, le finalita' e le
 modalita' operative di dette organizzazioni.
 4.   Se  le  speciali  misure  di  protezione  indicate
 nell'art. 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravita'
 ed  attualita'  del pericolo, esse possono essere applicate
 anche  mediante la definizione di uno speciale programma di
 protezione  i  cui  contenuti  sono  indicati nell'art. 13,
 comma 5.
 5.  Le  speciali misure di protezione di cui al comma 4
 possono  essere  applicate  anche  a  coloro  che convivono
 stabilmente con le persone indicate nel comma 2 nonche', in
 presenza  di  specifiche  situazioni,  anche  a  coloro che
 risultino  esposti  a  grave, attuale e concreto pericolo a
 causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.
 Il  solo  rapporto  di parentela, affinita' o coniugio, non
 determina,    in    difetto    di   stabile   coabitazione,
 l'applicazione delle misure.
 6. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si
 tiene  conto,  oltre  che  dello spessore delle condotte di
 collaborazione   o   della   rilevanza   e  qualita'  delle
 dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione
 del   gruppo   criminale   in   relazione   al   quale   la
 collaborazione  o  le dichiarazioni sono rese, valutate con
 specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il
 gruppo e' localmente in grado di valersi.».
 «Art. 13 (Contenuti delle speciali misure di protezione
 e   adozione  di  provvedimenti  provvisori).  -  1.  Sulla
 proposta  di ammissione alle speciali misure di protezione,
 la  commissione  centrale  di  cui  all'art.  10,  comma 2,
 delibera  a  maggioranza dei suoi componenti, purche' siano
 presenti  alla  seduta  almeno cinque di questi. In caso di
 parita'  prevale  il  voto del presidente. Quando risultano
 situazioni  di  particolare  gravita'  e  vi  e'  richiesta
 dell'autorita'  legittimata  a  formulare  la  proposta  la
 commissione  delibera,  anche  senza  formalita' e comunque
 entro  la  prima seduta successiva alla richiesta, un piano
 provvisorio   di   protezione   dopo  aver  acquisito,  ove
 necessario,   informazioni   dal   Servizio   centrale   di
 protezione  di cui all'art. 14 o per il tramite di esso. La
 richiesta contiene, oltre agli elementi di cui all'art. 11,
 comma 7,  la  indicazione quantomeno sommaria dei fatti sui
 quali il soggetto interessato ha manifestato la volonta' di
 collaborare  e  dei motivi per i quali la collaborazione e'
 ritenuta  attendibile  e  di notevole importanza; specifica
 inoltre  le  circostanze  da  cui  risultano la particolare
 gravita'   del  pericolo  e  l'urgenza  di  provvedere.  Il
 provvedimento con il quale la commissione delibera il piano
 provvisorio  di  protezione  cessa  di  avere  effetto  se,
 decorsi   centottanta  giorni,  l'autorita'  legittimata  a
 formulare  la proposta di cui all'art. 11 non ha provveduto
 a   trasmetterla   e   la  commissione  non  ha  deliberato
 sull'applicazione   delle  speciali  misure  di  protezione
 osservando le ordinarie forme e modalita' del procedimento.
 Il   presidente   della   commissione   puo'   disporre  la
 prosecuzione  del  piano  provvisorio  di protezione per il
 tempo  strettamente  necessario  a consentire l'esame della
 proposta   da  parte  della  commissione  medesima.  Quando
 sussistono   situazioni  di  eccezionale  urgenza  che  non
 consentono  di attendere la deliberazione della commissione
 e fino a che tale deliberazione non interviene, su motivata
 richiesta   della   competente   autorita'  provinciale  di
 pubblica  sicurezza,  il  Capo  della  polizia  - direttore
 generale  della  pubblica  sicurezza puo' autorizzare detta
 autorita'   ad   avvalersi   degli  specifici  stanziamenti
 previsti    dall'art.   17   specificandone   contenuti   e
 destinazione.  Nei  casi  in  cui  e'  applicato  il  piano
 provvisorio  di protezione, il presidente della commissione
 puo'  richiedere  al  Servizio  centrale  di protezione una
 relazione   riguardante   la   idoneita'   dei  soggetti  a
 sottostare agli impegni indicati nell'art. 12.
 2.  Per  stabilire  se  sia necessario applicare taluna
 delle  misure  di  protezione  e,  in  caso  positivo,  per
 individuare  quale  di  esse  sia  idonea  in  concreto, la
 commissione    centrale   puo'   acquisire   specifiche   e
 dettagliate  indicazioni  sulle  misure di prevenzione o di
 tutela   gia'   adottate  o  adottabili  dall'autorita'  di
 pubblica sicurezza, dall'Amministrazione penitenziaria o da
 altri organi, nonche' ogni ulteriore elemento eventualmente
 occorrente  per  definire  la  gravita'  e l'attualita' del
 pericolo  in  relazione alle caratteristiche delle condotte
 di collaborazione.
 3.  Esclusivamente  al  fine di valutare la sussistenza
 dei presupposti per l'applicazione delle speciali misure di
 protezione,  la  commissione  centrale puo' procedere anche
 all'audizione   delle  autorita'  che  hanno  formulato  la
 proposta   o  il  parere  e  di  altri  organi  giudiziari,
 investigativi  e  di sicurezza; puo' inoltre utilizzare gli
 atti   trasmessi   dall'autorita'   giudiziaria   ai  sensi
 dell'art. 118 del codice di procedura penale.
 4.  Il  contenuto  del  piano provvisorio di protezione
 previsto  dal comma 1 e delle speciali misure di protezione
 che  la commissione centrale puo' applicare nei casi in cui
 non  provvede  mediante  la  definizione  di  uno  speciale
 programma  e'  stabilito  nei  decreti  previsti  dall'art.
 17-bis,  comma  1.  Il  contenuto  delle speciali misure di
 protezione puo' essere rappresentato, in particolare, oltre
 che dalla predisposizione di misure di tutela da eseguire a
 cura  degli  organi di polizia territorialmente competenti,
 dalla predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza,
 dall'adozione  delle  misure necessarie per i trasferimenti
 in  comuni diversi da quelli di residenza, dalla previsione
 di  interventi  contingenti  finalizzati  ad  agevolare  il
 reinserimento  sociale  nonche'  dal  ricorso, nel rispetto
 delle  norme  dell'ordinamento  penitenziario,  a modalita'
 particolari di custodia in istituti ovvero di esecuzione di
 traduzioni e piantonamenti.
 5.  Se,  ricorrendone  le  condizioni,  la  commissione
 centrale   delibera   la   applicazione   delle  misure  di
 protezione   mediante   la   definizione  di  uno  speciale
 programma,  questo e' formulato secondo criteri che tengono
 specifico  conto delle situazioni concretamente prospettate
 e  puo' comprendere, oltre alle misure richiamate nel comma
 4,  il  trasferimento  delle persone non detenute in luoghi
 protetti, speciali modalita' di tenuta della documentazione
 e  delle  comunicazioni  al servizio informatico, misure di
 assistenza   personale   ed  economica,  cambiamento  delle
 generalita'  a norma del decreto legislativo 29 marzo 1993,
 n.  119, e successive modificazioni, misure atte a favorire
 il  reinserimento  sociale  del collaboratore e delle altre
 persone   sottoposte   a   protezione   oltre   che  misure
 straordinarie eventualmente necessarie.
 6. Le misure di assistenza economica indicate nel comma
 5  comprendono,  in  specie, sempreche' a tutte o ad alcune
 non possa direttamente provvedere il soggetto sottoposto al
 programma  di protezione, la sistemazione alloggiativa e le
 spese  per i trasferimenti, le spese per esigenze sanitarie
 quando   non   sia   possibile  avvalersi  delle  strutture
 pubbliche  ordinarie,  l'assistenza  legale  e l'assegno di
 mantenimento   nel   caso  di  impossibilita'  di  svolgere
 attivita'    lavorativa.    La   misura   dell'assegno   di
 mantenimento  e  delle integrazioni per le persone a carico
 prive di capacita' lavorativa e' definita dalla commissione
 centrale  e  non puo' superare un ammontare di cinque volte
 l'assegno  sociale  di  cui  all'art. 3, commi 6 e 7, della
 legge 8 agosto 1995, n. 335. L'assegno di mantenimento puo'
 essere   annualmente   modificato   in   misura  pari  alle
 variazioni   dell'indice  dei  prezzi  al  consumo  per  le
 famiglie   di  operai  ed  impiegati  rilevate  dall'ISTAT.
 L'assegno  di  mantenimento  puo'  essere  integrato  dalla
 commissione   con   provvedimento   motivato   solo  quando
 ricorrono  particolari circostanze influenti sulle esigenze
 di mantenimento in stretta connessione con quelle di tutela
 del soggetto
 sottoposto   al   programma  di  protezione,  eventualmente
 sentiti  l'autorita'  che  ha  formulato  la  proposta,  il
 procuratore  nazionale  antimafia  o i procuratori generali
 interessati  a  norma  dell'art.  11.  Il  provvedimento e'
 acquisito  dal  giudice del dibattimento su richiesta della
 difesa  dei  soggetti  a  cui  carico  sono  utilizzate  le
 dichiarazioni  del collaboratore. Lo stesso giudice, sempre
 su  richiesta  della  difesa dei soggetti di cui al periodo
 precedente,     acquisisce    l'indicazione    dell'importo
 dettagliato delle spese sostenute per la persona sottoposta
 al  programma di protezione. [Le spese di assistenza legale
 sono  liquidate  dal  giudice  previo  parere del Consiglio
 dell'ordine  degli  avvocati  presso  cui  il  difensore e'
 iscritto].
 7.  Nella  relazione prevista dall'art. 16, il Ministro
 dell'interno  indica  il  numero complessivo dei soggetti e
 l'ammontare  complessivo delle spese sostenute nel semestre
 per   l'assistenza  economica  dei  soggetti  sottoposti  a
 programma  di  protezione e, garantendo la riservatezza dei
 singoli  soggetti  interessati, specifica anche l'ammontare
 delle    integrazioni    dell'assegno    di    mantenimento
 eventualmente  intervenute  e  le  esigenze  che  le  hanno
 motivate.
 8.  Ai fini del reinserimento sociale dei collaboratori
 e delle altre persone sottoposte a protezione, e' garantita
 la   conservazione   del   posto   di   lavoro   ovvero  il
 trasferimento ad altra sede o ufficio secondo le forme e le
 modalita'  che,  assicurando  la riservatezza e l'anonimato
 dell'interessato,  sono  specificate  in  apposito  decreto
 emanato  dal  Ministro  dell'interno,  di  concerto  con il
 Ministro   della  giustizia,  sentiti  gli  altri  Ministri
 interessati. Analogamente si provvede per la definizione di
 specifiche  misure di assistenza e di reinserimento sociale
 destinate  ai  minori  compresi  nelle  speciali  misure di
 protezione.
 9.   L'autorita'   giudiziaria   puo'  autorizzare  con
 provvedimento  motivato  i  soggetti  di  cui  al  comma  2
 dell'art.   16-quater   ad   incontrarsi  tra  loro  quando
 ricorrono   apprezzabili   esigenze   inerenti   alla  vita
 familiare.
 10.  Al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza
 e  il  reinserimento  sociale  delle  persone  sottoposte a
 speciale  programma di protezione a norma del comma 5 e che
 non sono detenute o internate e' consentita l'utilizzazione
 di un documento di copertura.
 11.  L'autorizzazione  al  rilascio  del  documento  di
 copertura  indicato  nel  comma  10  e'  data  dal Servizio
 centrale  di  protezione di cui all'art. 14 il quale chiede
 alle  autorita'  competenti  al  rilascio,  che non possono
 opporre rifiuto, di predisporre il documento e di procedere
 alle  registrazioni  previste  dalla legge e agli ulteriori
 adempimenti   eventualmente   necessari.  Si  applicano  le
 previsioni  in  tema  di  esonero da responsabilita' di cui
 all'art.  5  del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119.
 Presso  il  Servizio  centrale  di  protezione e' tenuto un
 registro  riservato  attestante  i  tempi, le procedure e i
 motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento.
 12.  Quando  ricorrono particolari motivi di sicurezza,
 il  procuratore  della  Repubblica  o  il  giudice  possono
 autorizzare  il soggetto interrogato o esaminato a eleggere
 domicilio  presso persona di fiducia o presso un ufficio di
 polizia,   ai   fui   delle   necessarie   comunicazioni  o
 notificazioni.
 13.  Quando la proposta o la richiesta per l'ammissione
 a  speciali  forme di protezione e' formulata nei confronti
 di   soggetti   detenuti   o   internati,  il  Dipartimento
 dell'amministrazione  penitenziaria provvede ad assegnare i
 soggetti  medesimi  a  istituti  o  sezioni di istituto che
 garantiscano  le  specifiche  esigenze  di  sicurezza. Allo
 stesso   modo  il  Dipartimento  provvede  in  vista  della
 formulazione  della proposta e su richiesta del Procuratore
 della   Repubblica   che   ha  raccolto  o  si  appresta  a
 raccogliere le dichiarazioni di collaborazione o il verbale
 illustrativo  dei  contenuti  della collaborazione previsto
 dall'art. 16-quater.
 14.  Nei  casi  indicati  nel  comma 13, la custodia e'
 assicurata   garantendo  la  riservatezza  dell'interessato
 anche  con  le  specifiche  modalita'  di  cui  al  decreto
 previsto  dall'art.  17-bis,  comma  2, e procurando che lo
 stesso    sia    sottoposto   a   misure   di   trattamento
 penitenziario,  specie  organizzative, dirette ad impedirne
 l'incontro con altre persone che gia' risultano collaborare
 con  la giustizia e dirette ad assicurare che la genuinita'
 delle  dichiarazioni non possa essere compromessa. E' fatto
 divieto, durante la redazione dei verbali e comunque almeno
 fino  alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti
 della collaborazione, di sottoporre la persona che rende le
 dichiarazioni  ai  colloqui  investigativi  di cui all'art.
 18-bis,  commi 1 e 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e
 successive  modificazioni.  E' fatto altresi' divieto, alla
 persona   medesima  e  per  lo  stesso  periodo,  di  avere
 corrispondenza   epistolare,   telegrafica   o  telefonica,
 nonche'  di incontrare altre persone che collaborano con la
 giustizia,  salvo autorizzazione dell'autorita' giudiziaria
 per  finalita'  connesse  ad  esigenze di protezione ovvero
 quando   ricorrano   gravi   esigenze  relative  alla  vita
 familiare.
 15.  L'inosservanza  delle prescrizioni di cui al comma
 14  comporta  l'inutilizzabilita'  in dibattimento, salvi i
 casi di irripetibilita' dell'atto, delle dichiarazioni rese
 al   pubblico   ministero   e   alla   polizia  giudiziaria
 successivamente  alla  data  in  cui  si  e'  verificata la
 violazione.».
 «Art.  16-quater  (Verbale  illustrativo  dei contenuti
 della collaborazione). - 1. Ai fini della concessione delle
 speciali  misure  di  protezione di cui al Capo II, nonche'
 per   gli  effetti  di  cui  agli  articoli 16-quinquies  e
 16-nonies,  la  persona  che  ha manifestato la volonta' di
 collaborare rende al Procuratore della Repubblica, entro il
 termine di centottanta giorni dalla suddetta manifestazione
 di  volonta',  tutte  le notizie in suo possesso utili alla
 ricostruzione  dei  fatti  e delle circostanze sui quali e'
 interrogato  nonche' degli altri fatti di maggiore gravita'
 ed  allarme  sociale  di cui e' a conoscenza oltre che alla
 individuazione  e  alla cattura dei loro autori ed altresi'
 le  informazioni  necessarie  perche' possa procedersi alla
 individuazione,  al  sequestro  e alla confisca del denaro,
 dei  beni e di ogni altra utilita' dei quali essa stessa o,
 con   riferimento   ai   dati   a   sua  conoscenza,  altri
 appartenenti  a  gruppi criminali dispongono direttamente o
 indirettamente.
 2.  Le  informazioni  di  cui  al comma 1 relative alla
 individuazione  del denaro, dei beni e delle altre utilita'
 non  sono  richieste  quando  la volonta' di collaborare e'
 stata manifestata dai testimoni di giustizia.
 3.  Le dichiarazioni rese ai sensi dei commi 1 e 2 sono
 documentate  in un verbale denominato «verbale illustrativo
 dei  contenuti  della  collaborazione»,  redatto secondo le
 modalita'   previste   dall'art.   141-bis  del  codice  di
 procedura  penale, che e' inserito, per intero, in apposito
 fascicolo  tenuto  dal  Procuratore della Repubblica cui le
 dichiarazioni   sono   state  rese  e,  per  estratto,  nel
 fascicolo  previsto  dall'art.  416, comma 2, del codice di
 procedura   penale   relativo   al   procedimento   cui  le
 dichiarazioni    rispettivamente    e    direttamente    si
 riferiscono.  Il  verbale  e'  segreto  fino  a quando sono
 segreti  gli  estratti  indicati nel precedente periodo. Di
 esso  e' vietata la pubblicazione a norma dell'art. 114 del
 codice di procedura penale.
 4.   Nel   verbale  illustrativo  dei  contenuti  della
 collaborazione,  la  persona  che  rende  le  dichiarazioni
 attesta,  fra l'altro, di non essere in possesso di notizie
 e  informazioni processualmente utilizzabili su altri fatti
 o  situazioni,  anche  non  connessi  o  collegati a quelli
 riferiti,  di  particolare  gravita'  o  comunque  tali  da
 evidenziare  la pericolosita' sociale di singoli soggetti o
 di gruppi criminali.
 5.   Nel   verbale  illustrativo  dei  contenuti  della
 collaborazione  la  persona indica i colloqui investigativi
 eventualmente intrattenuti.
 6.  Le  notizie e le informazioni di cui ai commi 1 e 4
 sono  quelle  processualmente  utilizzabili  che,  a  norma
 dell'art.  194  del  codice  di  procedura  penale, possono
 costituire   oggetto   della  testimonianza.  Da  esse,  in
 particolare,  sono escluse le notizie e le informazioni che
 il  soggetto  ha desunto da voci correnti o da situazioni a
 queste assimilabili.
 7. Le speciali misure di protezione di cui ai Capi II e
 II-bis  non  possono  essere concesse, e se concesse devono
 essere  revocate, qualora, entro il termine di cui al comma
 1,  la  persona  cui  esse  si  riferiscono  non  renda  le
 dichiarazioni  previste  nei  commi  1,  2 e 4 e queste non
 siano  documentate  nel  verbale illustrativo dei contenuti
 della collaborazione.
 8.  La  disposizione  del  comma 7 si applica anche nel
 caso  in cui risulti non veritiera l'attestazione di cui al
 comma 4.
 9.  Le  dichiarazioni  di  cui  ai  commi 1 e 4 rese al
 pubblico  ministero  o  alla  polizia  giudiziaria oltre il
 termine  previsto  dallo  stesso comma 1 non possono essere
 valutate  ai  fini  della prova dei fatti in esse affermati
 contro  le persone diverse dal dichiarante, salvo i casi di
 irripetibilita'.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 2. Principi direttivi del trattamento penitenziario
 dei collaboratori di giustizia
 1.  I  soggetti  indicati  all'articolo 1 godono dei diritti e sono sottoposti  ai doveri previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, ed al  regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
 2.  Le  modalita'  di  esercizio  dei  diritti e di adempimento dei doveri dei soggetti indicati all'articolo 1 possono essere modificate soltanto  al  fine di garantire la genuinita' delle dichiarazioni, di assicurare   la   riservatezza   nonche'  di  tutelare  l'incolumita' personale del detenuto o dell'internato.
 3.  Nei  confronti  di  un soggetto che al momento dell'ingresso in carcere   si   trova   nelle  condizioni  previste  dall'articolo  1, l'Amministrazione  penitenziaria  adotta, a richiesta delle autorita' preposte  alla  tutela del soggetto e, in caso di urgenza, di propria iniziativa,   le  misure  di  protezione  necessarie  ad  assicurarne l'incolumita' personale.
 4.  La  direzione  dell'istituto  di pena adotta tutte le misure di sostegno  e di trattamento, compatibili con le esigenze di sicurezza, idonee  ad  evitare  che  le condizioni di vita dei soggetti indicati all'articolo  1  risultino  deteriori  rispetto  a quelle degli altri detenuti.
 |  |  |  | Art. 3. Provvedimenti nei confronti dei detenuti
 che manifestano la volonta' di collaborare
 1.  Qualora  il  detenuto  o  l'internato  manifesta la volonta' di collaborare  con  la  giustizia, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria,    in   attuazione   dall'articolo   13,   comma   14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, dispone immediatamente le misure necessarie  ad  evitare  l'incontro con altre persone che collaborano con la giustizia, i colloqui investigativi di cui all'articolo 18-bis della  legge  26 luglio  1975, n. 354, e le comunicazioni epistolari, telefoniche o telegrafiche, nonche' adotta le specifiche misure volte a garantire la sicurezza. Le misure sono mantenute fino alla completa conclusione  della  redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione    del    verbale    illustrativo   dei   contenuti   della collaborazione.
 2. Se la manifestazione della volonta' di collaborare e' comunicata dall'autorita'  giudiziaria,  le  disposizioni  sono  impartite dalla Direzione  generale  dei  detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione  penitenziaria, che adotta altresi' le opportune misure  di protezione, dandone immediata comunicazione al Procuratore della Repubblica ed al Procuratore nazionale antimafia.
 3.  Nell'ipotesi  indicata al comma 2, qualora ricorrano ragioni di urgenza,  la  direzione dell'istituto che abbia ricevuto direttamente la  comunicazione  dall'autorita' giudiziaria adotta provvedimenti di contenuto  analogo  a  quelli  indicati nel comma precedente, dandone immediata   comunicazione   al   Procuratore   della  Repubblica,  al Procuratore  nazionale antimafia, nonche' alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento per le successive disposizioni.
 4.  Analoghe  misure  d'urgenza  si  applicano  ai detenuti ed agli internati  che  manifestano  la  volonta' di collaborare direttamente alla  direzione  dell'istituto che provvede alle comunicazioni di cui al comma 3.
 5.   Qualora  non  pervenga  diversa  comunicazione  da  parte  del Procuratore  della  Repubblica al quale il detenuto sta rendendo o ha reso  le dichiarazioni indicate all'articolo 16-quater, decreto-legge 15 gennaio  1991,  n.  8,  le  misure  previste  dai commi 2 e 3 sono revocate  decorsi  centottanta giorni da quello in cui il soggetto ha manifestato la volonta' di collaborare, secondo quanto comunicato dal Procuratore della Repubblica.
 
 
 
 Note all'art. 3:
 -  Per  il  testo  degli  articoli 13 e 16-quater della
 citata legge 15 gennaio 1991, n. 8, vedi note all'art. 1.
 -  Si  riporta  il  testo dell'art. 18-bis della citata
 legge 26 luglio 1975, n. 354:
 «Art.  18-bis  (Colloqui a fini investigativi). - 1. Il
 personale  della  direzione  investigativa antimafia di cui
 all'art.  3  del  decreto-legge  29 ottobre  1991,  n. 345,
 convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  30 dicembre
 1991,  n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di
 cui  all'art.  12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152,
 convertito,  con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991,
 n.  203,  nonche'  gli  ufficiali  di  polizia  giudiziaria
 designati  dai  responsabili,  a  livello  centrale,  della
 predetta  direzione  e dei predetti servizi, hanno facolta'
 di  visitare  gli  istituti  penitenziari  e possono essere
 autorizzati,  a norma del comma 2 del presente articolo, ad
 avere  colloqui personali con detenuti e internati, al fine
 di  acquisire  informazioni  utili  per  la  prevenzione  e
 repressione dei delitti di criminalita' organizzata.
 1-bis.  Le  disposizioni di cui al comma 1 si applicano
 anche  ai  responsabili di livello almeno provinciale degli
 uffici  o  reparti  della  Polizia di Stato o dell'Arma dei
 carabinieri  competenti  per  lo svolgimento di indagini in
 materia  di  terrorismo,  nonche' agli ufficiali di polizia
 giudiziaria  designati dai responsabili di livello centrale
 e, limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del
 terrorismo,  a  quelli  del Corpo della guardia di finanza,
 designati  dal responsabile di livello centrale, al fine di
 acquisire dai detenuti o dagli internati informazioni utili
 per  la  prevenzione e repressione dei delitti commessi per
 finalita'   di   terrorismo,  anche  internazionale,  o  di
 eversione dell'ordine democratico.
 2.  Al  personale  di  polizia  indicato  nei commi 1 e
 1-bis, l'autorizzazione ai colloqui e' rilasciata:
 a) quando  si tratta di internati, di condannati o di
 imputati,  dal  Ministro  di grazia e giustizia o da un suo
 delegato;
 b) quando   si   tratta   di  persone  sottoposte  ad
 indagini, dal pubblico ministero.
 3.  Le  autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2
 sono  annotate in apposito registro riservato tenuto presso
 l'autorita' competente al rilascio.
 4.  In  casi  di  particolare  urgenza,  attestati  con
 provvedimento  del Ministro dell'interno o, per sua delega,
 dal Capo della Polizia, l'autorizzazione prevista nel comma
 2,  lettera  a),  non e' richiesta, e del colloquio e' data
 immediata  comunicazione  all'autorita'  ivi  indicata, che
 provvede  all'annotazione  nel registro riservato di cui al
 comma 3.
 5.  La  facolta'  di procedere a colloqui personali con
 detenuti  e  internati  e'  attribuita, senza necessita' di
 autorizzazione, altresi' al Procuratore nazionale antimafia
 ai  fini  dell'esercizio  delle  funzioni  di  impulso e di
 coordinamento  previste  dall'art.  371-bis  del  codice di
 procedura   penale;   al   medesimo  Procuratore  nazionale
 antimafia sono comunicati i provvedimenti di cui ai commi 2
 e 4, qualora concernenti colloqui con persone sottoposte ad
 indagini,  imputate  o  condannate  per  taluno dei delitti
 indicati  nell'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura
 penale.».
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 4. Criteri di assegnazione agli istituti o alle sezioni
 1.  Fatte  salve  le  misure  indicate  all'articolo  3, comma 1, i detenuti e gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettere a) e  c), sono assegnati, con provvedimento della Direzione generale dei detenuti  e  del  trattamento  del  Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria,   ad   appositi   istituti   o  sezioni  di  istituto. L'assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra collaboratori  di  giustizia  che,  in  base  alle notizie comunicate dall'autorita'  giudiziaria  e  dal  Servizio centrale di protezione, risultano  partecipare  ai  medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
 2.  Fatte  salve  le  misure  indicate  all'articolo 3, comma 1, su richiesta del Procuratore della Repubblica che sta raccogliendo o che ha   raccolto   il   verbale   illustrativo   dei   contenuti   della collaborazione, o su richiesta di altro Procuratore della Repubblica, d'intesa   con   il  primo,  i  detenuti  e  gli  internati  indicati all'articolo 1, comma 1, lettera b), sono assegnati con provvedimento della   Direzione   generale  dei  detenuti  e  del  trattamento  del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o  sezioni  di istituto, comunque diversi da quelli indicati al comma 1.  L'assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra  collaboratori  di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall'autorita'  giudiziaria  e  dal  Servizio centrale di protezione, risultano  partecipare  ai  medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
 3.  I  detenuti  e  gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettere  d)  ed e), sono rispettivamente assegnati, con provvedimento della   Direzione   generale  dei  detenuti  e  del  trattamento  del Dipartimento  dell'Amministrazione  penitenziaria,  ad appositi e tra loro  distinti  istituti  o  sezioni di istituto, comunque diversi da quelli indicati ai commi 1 e 2.
 4.  Le  disposizioni  previste  ai  precedenti  commi si applicano, compatibilmente con le modalita' di fruizione del beneficio concesso, anche ai detenuti e agli internati, collaboratori di giustizia:
 a) assegnati  al  lavoro  all'esterno  ai sensi dell'articolo 21, legge 26 luglio 1975, n. 354;
 b) ammessi  alla misura della semiliberta' ai sensi dell'articolo 48 della medesima legge;
 c) ammessi  alla  cura  e all'assistenza all'esterno dei figli di eta'  non  superiore  agli  anni  dieci ai sensi dell'articolo 21-bis della medesima legge.
 5. Per il compimento di specifici atti non esperibili nell'istituto o  nella  sezione di assegnazione, su richiesta del Procuratore della Repubblica che svolge le indagini, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria puo'  trasferire,  per  il  tempo  strettamente necessario e comunque preventivamente   indicato,   i  detenuti  e  gli  internati  di  cui all'articolo  1  ad  istituti o sezioni diversi da quelli indicati ai commi  1,  2, 3 e 4, assicurando comunque le esigenze di sicurezza ed evitando i contatti con altri collaboratori di giustizia che, in base alle  notizie  comunicate  dall'autorita'  giudiziaria e dal Servizio centrale   di   protezione,   risultano   partecipare   ai   medesimi procedimenti  giudiziari  o  avere,  comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
 6.  Qualora agli internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo  1, per salvaguardare la genuinita' delle dichiarazioni nonche'  per  tutelare  l'incolumita'  personale,  non  sia possibile assicurare   nella  casa  di  lavoro  o  nella  colonia  agricola  di assegnazione   le   stesse   condizioni   restrittive   e  le  stesse opportunita'  di  trattamento  applicate  agli  altri  internati,  la Direzione  generale  dei  detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione  penitenziaria  puo' assegnarli ad un'altra casa di  lavoro  o  colonia  agricola,  assicurando  comunque  le suddette esigenze.
 7.  I  medesimi  criteri  indicati  al  comma  6  si applicano agli internati  che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1 e che  sono  assegnati  ad  una casa di cura e custodia, ad un ospedale psichiatrico  giudiziario,  ad  un  istituto  per infermi o minorati, ovvero  che  sono  sottoposti  ad  osservazione psichiatrica ai sensi dell'articolo   112  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
 8.  La  Direzione  generale  dei  detenuti  e  del  trattamento del Dipartimento  dell'Amministrazione  penitenziaria,  qualora ricorrano gravi  ragioni  di  sicurezza, puo', sentita l'autorita' giudiziaria, assegnare  i  detenuti o gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettera d), ad istituti o sezioni di istituto ordinari.
 
 
 
 Note all'art. 4:
 -  Si  riporta  il testo degli articoli 21, 21-bis e 48
 della citata legge 26 luglio 1975, n. 354:
 «Art.  21  (Lavoro  all'esterno). - 1. I detenuti e gli
 internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in
 condizioni  idonee  a garantire l'attuazione positiva degli
 scopi  previsti  dall'art.  15.  Tuttavia,  se si tratta di
 persona  condannata  alla pena della reclusione per uno dei
 delitti    indicati    nel   comma   1   dell'art.   4-bis,
 l'assegnazione  al lavoro esterno puo' essere disposta dopo
 l'espiazione  di almeno un terzo della pena e, comunque, di
 non   oltre  cinque  anni.  Nei  confronti  dei  condannati
 all'ergastolo    l'assegnazione    puo'    avvenire    dopo
 l'espiazione di almeno dieci anni.
 2.  I  detenuti  e  gli  internati  assegnati al lavoro
 all'esterno  sono  avviati  a  prestare la loro opera senza
 scorta,  salvo  che essa sia ritenuta necessaria per motivi
 di   sicurezza.   Gli   imputati  sono  ammessi  al  lavoro
 all'esterno    previa   autorizzazione   della   competente
 autorita' giudiziaria.
 3.  Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve
 svolgersi   sotto  il  diretto  controllo  della  direzione
 dell'istituto a cui il detenuto o l'internato e' assegnato,
 la quale puo' avvalersi a tal fine del personale dipendente
 e del servizio sociale.
 4.  Per ciascun condannato o internato il provvedimento
 di  ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo
 l'approvazione del magistrato di sorveglianza.
 4-bis.  Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la
 disposizione di cui al secondo periodo del comma sedicesimo
 dell'art.  20  si  applicano  anche  ai  detenuti  ed  agli
 internati   ammessi   a  frequentare  corsi  di  formazione
 professionale all'esterno degli istituti penitenziari.».
 «Art. 21-bis (Assistenza all'esterno dei figli minori).
 -  1.  Le  condannate e le internate possono essere ammesse
 alla  cura  e  all'assistenza all'esterno dei figli di eta'
 non  superiore  agli  anni  dieci, alle condizioni previste
 dall'art. 21.
 2.  Si  applicano  tutte  le  disposizioni  relative al
 lavoro  all'esterno,  in  particolare  l'art. 21, in quanto
 compatibili.
 3.  La  misura  dell'assistenza all'esterno puo' essere
 concessa,  alle stesse condizioni, anche al padre detenuto,
 se  la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo
 di affidare la prole ad altri che al padre.».
 «Art.  48  (Regime  di  semiliberta). - 1. Il regime di
 semiliberta'  consiste  nella  concessione  al condannato e
 all'internato   di   trascorrere  parte  del  giorno  fuori
 dell'istituto  per  partecipare  ad  attivita'  lavorative,
 istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
 I  condannati  e  gli  internati  ammessi  al regime di
 semiliberta' sono assegnati in appositi istituti o apposite
 sezioni  autonome  di  istituti  ordinari e indossano abiti
 civili.».
 -  Si riporta il testo dell'art. 112 del citato decreto
 del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230:
 «Art.  112 (Accertamento delle infermita' psichiche). -
 1.   L'accertamento   delle   condizioni   psichiche  degli
 imputati,   dei  condannati  e  degli  internati,  ai  fini
 dell'adozione     dei    provvedimenti    previsti    dagli
 articoli 148,  206,  212, secondo comma, del codice penale,
 dagli articoli 70, 71 e 72 del codice di procedura penale e
 dal  comma  4  dell'art.  111  del presente regolamento, e'
 disposto,  su  segnalazione della direzione dell'istituto o
 di   propria  iniziativa,  nei  confronti  degli  imputati,
 dall'autorita'  giudiziaria  che  procede, e, nei confronti
 dei   condannati  e  degli  internati,  dal  magistrato  di
 sorveglianza.  L'accertamento  e'  espletato  nel  medesimo
 istituto  in  cui  il  soggetto  si  trova  o,  in  caso di
 insufficienza   di  quel  servizio  diagnostico,  in  altro
 istituto della medesima categoria.
 2.  L'autorita' giudiziaria che procede o il magistrato
 di  sorveglianza  possono,  per particolari motivi disporre
 che   l'accertamento   sia   svolto   presso   un  ospedale
 psichiatrico  giudiziario, una casa di cura e custodia o in
 un  istituto  o  sezione  per  infermi o minorati psichici,
 ovvero  presso  un  ospedale  civile.  Il soggetto non puo'
 comunque permanere in osservazione per un periodo superiore
 a trenta giorni.
 3. All'esito dell'accertamento, l'autorita' giudiziaria
 che procede o il magistrato di sorveglianza, ove non adotti
 uno  dei  provvedimenti  previsti dagli articoli 148, 206 e
 212,  secondo comma, del codice penale o dagli articoli 70,
 71,  e  72  del  codice  di  procedura penale e dal comma 4
 dell'art.  111 del presente regolamento, dispone il rientro
 nell'istituto di provenienza.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 5. Ordini di servizio in materia di sicurezza
 1.  La  direzione dell'istituto penitenziario dotato di sezione per detenuti o internati indicati all'articolo 1 adotta, anche sulla base di   eventuali  disposizioni  del  Dipartimento  dell'Amministrazione penitenziaria,  un  apposito  ordine  di servizio contenente tutte le prescrizioni  alle  quali deve attenersi il personale per la gestione dei soggetti ivi ristretti e in ogni caso:
 a) l'assegnazione,  ai servizi di sezione, di personale capace ed esperto,  nonche'  la  rigorosa  limitazione e la registrazione degli accessi;
 b) le  cautele per assicurare la riservatezza degli atti relativi al collaboratori di giustizia;
 c) le  modalita'  di  spostamento  e di uscita dei detenuti dalla sezione;
 d) le cautele per assicurare che il cibo, i farmaci e gli oggetti che  i  detenuti  possono  legittimamente  acquistare  o detenere non possano subire manipolazioni;
 e) l'indicazione  delle  misure  per  garantire  il  rispetto dei divieti   contenuti   nell'articolo   13,   comma 14,   decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
 3.  Qualora  l'istituto penitenziario non sia dotato di sezione per collaboratori di giustizia, la direzione dell'istituto di pena in cui sia  ristretto  un  soggetto  che  abbia  manifestato  la volonta' di collaborare   o  che  comunque  si  trovi  nelle  condizioni  di  cui all'articolo 1,  emana  un  ordine di servizio di contenuto analogo a quello indicato nel comma 2.
 
 
 
 Nota all'art. 5:
 -  Per  il  testo dell'art. 13 del citato decreto-legge
 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla
 legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 6. Colloqui e corrispondenza
 1.  Ai  detenuti  ed  agli  internati  indicati  all'articolo  1 si applicano  integralmente le disposizioni previste dagli articoli 18 e 18-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, e dagli articoli 37, 38, 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, salve le  limitazioni  previste  dall'articolo  13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
 2.  Le  condizioni indicate all'articolo 1 integrano le particolari circostanze   previste   dall'articolo   37,   comma 9,  decreto  del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
 3. Ai detenuti o internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo  1,  comma  1,  lettere  a)  e c), puo' essere concessa l'autorizzazione  al  colloquio  telefonico  con  propri  familiari o conviventi  sottoposti  a  protezione  mediante connessione ad utenza cellulare,  purche'  il  Servizio  centrale  di protezione attesti la disponibilita'  dell'utenza  da parte del familiare o del convivente. La  connessione  e'  effettuata dalla direzione dell'istituto tramite personale specificatamente addetto ed a spese del detenuto.
 
 
 
 Note all'art. 6:
 -  Si riporta il testo degli articoli 18 e 18-ter della
 citata legge 26 luglio 1975, n. 354:
 «Art. 18 (Colloqui, corrispondenza e informazione). - I
 detenuti  e  gli internati sono ammessi ad avere colloqui e
 corrispondenza  con  i congiunti e con altre persone, anche
 al fine di compiere atti giuridici.
 I  colloqui  si  svolgono  in appositi locali, sotto il
 controllo a vista e non auditivo del personale di custodia.
 Particolare  favore  viene  accordato ai colloqui con i
 familiari.
 L'amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei
 detenuti  e  degli  internati,  che  ne sono sprovvisti gli
 oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.
 Puo' essere autorizzata nei rapporti con i familiari e,
 in  casi  particolari, con terzi, corrispondenza telefonica
 con le modalita' e le cautele previste dal regolamento.
 I  detenuti  e  gli internati sono autorizzati a tenere
 presso di se' i quotidiani, i periodici e i libri in libera
 vendita  all'esterno  e  ad  avvalersi  di  altri  mezzi di
 informazione.
 Salvo   quanto   disposto  dall'art.  18-bis,  per  gli
 imputati  i permessi di colloquio fino alla pronuncia della
 sentenza   di   primo   grado   e  le  autorizzazioni  alla
 corrispondenza telefonica sono di competenza dell'autorita'
 giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma
 dell'art.  11.  Dopo  la  pronuncia della sentenza di primo
 grado  i  permessi  di  colloquio  sono  di  competenza del
 direttore dell'istituto.».
 «Art.    18-ter    (Limitazioni   e   controlli   della
 corrispondenza).  - 1. Per esigenze attinenti le indagini o
 investigative  o  di  prevenzione  dei  reati,  ovvero  per
 ragioni  di  sicurezza  o  di ordine dell'istituto, possono
 essere  disposti,  nei  confronti  dei  singoli  detenuti o
 internati,  per  un  periodo  non  superiore  a  sei  mesi,
 prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:
 a) limitazioni   nella  corrispondenza  epistolare  e
 telegrafica e nella ricezione della stampa;
 b) la  sottoposizione della corrispondenza a visto di
 controllo;
 c) il   controllo   del  contenuto  delle  buste  che
 racchiudono   la   corrispondenza,   senza   lettura  della
 medesima.
 2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora
 la  corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata
 ai  soggetti  indicati nel comma 5 dell'art. 103 del codice
 di   procedura   penale,  all'autorita'  giudiziaria,  alle
 autorita'  indicate  nell'art.  35 della presente legge, ai
 membri  del  Parlamento, alle rappresentanze diplomatiche o
 consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini
 ed   agli   organismi   internazionali   amministrativi   o
 giudiziari  preposti  alla  tutela dei diritti dell'uomo di
 cui l'Italia fa parte.
 3.  I  provvedimenti previsti dal comma 1 sono adottati
 con decreto motivato, su richiesta del Pubblico ministero o
 su proposta del direttore dell'istituto:
 a) nei  confronti  dei  condannati e degli internati,
 nonche'  nei  confronti  degli  imputati  dopo la pronuncia
 della   sentenza   di   primo   grado,  dal  magistrato  di
 sorveglianza;
 b) nei  confronti degli imputati, fino alla pronuncia
 della   sentenza  di  primo  grado,  dal  giudice  indicato
 nell'art. 279 del codice di procedura penale; se procede un
 giudice   collegiale,  il  provvedimento  e'  adottato  dal
 presidente del tribunale o della Corte di Assise.
 4.  L'autorita'  giudiziaria  indicata nel comma 3, nel
 disporre  la sottoposizione della corrispondenza a visto di
 controllo,  se non ritiene di provvedere direttamente, puo'
 delegare  il  controllo  al  direttore o ad un appartenente
 all'amministrazione  penitenziaria  designato  dallo stesso
 direttore.
 5.   Qualora,   in   seguito  al  visto  di  controllo,
 l'autorita' giudiziaria indicata nel comma 3 ritenga che la
 corrispondenza  o  la  stampa non debba essere consegnata o
 inoltrata  al  destinatario,  dispone  che  la  stessa  sia
 trattenuta.    Il    detenuto    e    l'internato   vengono
 immediatamente informati.
 6.  Contro  i  provvedimenti previsti dal comma 1 e dal
 comma  5 puo' essere proposto reclamo, secondo la procedura
 prevista dall'art. 14-ter, al tribunale di sorveglianza, se
 il  provvedimento e' emesso dal magistrato di sorveglianza,
 ovvero,  negli altri casi, al tribunale nel cui circondario
 ha  sede  il  giudice  che  ha emesso il provvedimento. Del
 collegio  non  puo'  fare parte il giudice che ha emesso il
 provvedimento.  Per  quanto  non  diversamente disposto dal
 presente  comma  si applicano le disposizioni dell'art. 666
 del codice di procedura penale.
 7.  Nel  caso  previsto  dalla  lettera c) del comma 1,
 l'apertura  delle  buste  che racchiudono la corrispondenza
 avviene alla presenza del detenuto o dell'internato.».
 -  Si  riporta  il testo degli articoli 37, 38 e 39 del
 citato  decreto  del  Presidente della Repubblica 30 giugno
 2000, n. 230:
 «Art.  37  (Colloqui).  - 1. I colloqui dei condannati,
 degli  internati  e quelli degli imputati dopo la pronuncia
 della   sentenza   di  primo  grado  sono  autorizzati  dal
 direttore dell'istituto. I colloqui con persone diverse dai
 congiunti   e   dai   conviventi  sono  autorizzati  quando
 ricorrono ragionevoli motivi.
 2.  Per i colloqui con gli imputati fino alla pronuncia
 della  sentenza  di  primo  grado,  i  richiedenti  debbono
 presentare    il    permesso    rilasciato   dall'autorita'
 giudiziaria che procede.
 3. Le persone ammesse al colloquio sono identificate e,
 inoltre,  sottoposte a controllo, con le modalita' previste
 dal regolamento interno, al fine di garantire che non siano
 introdotti   nell'istituto  strumenti  pericolosi  o  altri
 oggetti non ammessi.
 4.  Nel  corso  del  colloquio deve essere mantenuto un
 comportamento  corretto  e  tale  da non recare disturbo ad
 altri.  Il  personale  preposto  al  controllo sospende dal
 colloquio  le persone che tengono comportamento scorretto o
 molesto,  riferendone  al  direttore, il quale decide sulla
 esclusione.
 5.  I  colloqui avvengono in locali interni senza mezzi
 divisori  o  in  spazi  all'aperto a cio' destinati. Quando
 sussistono  ragioni  sanitarie  o  di sicurezza, i colloqui
 avvengono   in   locali  interni  comuni  muniti  di  mezzi
 divisori.  La  direzione  puo' consentire che, per speciali
 motivi,  il colloquio si svolga in locale distinto. In ogni
 caso, i colloqui si svolgono sotto il controllo a vista del
 personale del Corpo di polizia penitenziaria.
 6.  Appositi  locali  sono  destinati  ai  colloqui dei
 detenuti con i loro difensori.
 7.  Per  i  detenuti e gli internati infermi i colloqui
 possono avere luogo nell'infermeria.
 8.  I  detenuti  e  gli  internati  usufruiscono di sei
 colloqui  al mese. Quando si tratta di detenuti o internati
 per  uno  dei  delitti previsti dal primo periodo del primo
 comma dell'art. 4-bis della legge e per i quali si applichi
 il  divieto di benefici ivi previsto, il numero di colloqui
 non puo' essere superiore a quattro al mese.
 9.   Ai   soggetti  gravemente  infermi,  o  quando  il
 colloquio  si  svolge  con  prole di eta' inferiore a dieci
 anni   ovvero  quando  ricorrano  particolari  circostanze,
 possono  essere  concessi  colloqui  anche fuori dei limiti
 stabiliti nel comma 8.
 10.  Il  colloquio  ha  la durata massima di un'ora. In
 considerazione di eccezionali circostanze, e' consentito di
 prolungare  la  durata  del  colloquio  con i congiunti o i
 conviventi.  Il  colloquio  con i congiunti o conviventi e'
 comunque  prolungato  sino  a  due  ore  quando  i medesimi
 risiedono  in  un  comune  diverso da quello in cui ha sede
 l'istituto,  se  nella  settimana  precedente il detenuto o
 l'internato  non  ha  fluito  di  alcun  colloquio  e se le
 esigenze  e l'organizzazione dell'istituto lo consentono. A
 ciascun colloquio con il detenuto o con l'internato possono
 partecipare  non  piu'  di  tre  persone.  E' consentito di
 derogare  a  tale  norma  quando  si  tratti di congiunti o
 conviventi.
 11.  Qualora  risulti  che  i  familiari non mantengono
 rapporti  con il detenuto o l'internato, la direzione ne fa
 segnalazione   al   centro  di  servizio  sociale  per  gli
 opportuni interventi.
 12.  Del colloquio, con l'indicazione degli estremi del
 permesso, si fa annotazione in apposito registro.
 13.  Nei  confronti dei detenuti che svolgono attivita'
 lavorativa   articolata  su  tutti  i  giorni  feriali,  e'
 favorito  lo  svolgimento  dei colloqui nei giorni festivi,
 ove possibile.».
 «Art.  38. (Corrispondenza epistolare e telegrafica). -
 1.  I  detenuti  e gli internati sono ammessi a inviare e a
 ricevere   corrispondenza   epistolare  e  telegrafica.  La
 direzione puo' consentire la ricezione di fax.
 2.   Al   fine   di   consentire   la   corrispondenza,
 l'amministrazione fornisce gratuitamente ai detenuti e agli
 internati,  che  non  possono  provvedervi  a  loro  spese,
 settimanalmente,  l'occorrente  per  scrivere una lettera e
 l'affrancatura ordinaria.
 3. Presso lo spaccio dell'istituto devono essere sempre
 disponibili,  per  l'acquisto,  gli  oggetti di cancelleria
 necessari per la corrispondenza.
 4.  Sulla  busta  della  corrispondenza  epistolare  in
 partenza  il detenuto o l'internato deve apporre il proprio
 nome e cognome.
 5.  La  corrispondenza  in busta chiusa, in arrivo o in
 partenza,  e'  sottoposta  a  ispezione al fine di rilevare
 l'eventuale   presenza   di  valori  o  altri  oggetti  non
 consentiti. L'ispezione deve avvenire con modalita' tali da
 garantire l'assenza di controlli sullo scritto.
 6.  La  direzione,  quando  vi  sia  sospetto che nella
 corrispondenza  epistolare,  in arrivo o in partenza, siano
 inseriti  contenuti  che  costituiscono elementi di reato o
 che   possono   determinare  pericolo  per  l'ordine  e  la
 sicurezza,   trattiene   la  missiva,  facendone  immediata
 segnalazione,  per  i provvedimenti del caso, al magistrato
 di  sorveglianza,  o,  se  trattasi  di  imputato sino alla
 pronuncia  della  sentenza  di  primo  grado, all'autorita'
 giudiziaria che procede.
 7.  La corrispondenza epistolare, sottoposta a visto di
 controllo  su  segnalazione  o  d'ufficio,  e  inoltrata  o
 trattenuta  su  decisione  del magistrato di sorveglianza o
 dell'autorita' giudiziaria che procede.
 8.  Le disposizioni di cui ai commi 6 e 7, si applicano
 anche ai telegrammi e ai fax in arrivo.
 9.  Ove  la  direzione  ritenga  che  un  telegramma in
 partenza non debba essere inoltrato, per i motivi di cui al
 comma  6,  ne  informa  il  magistrato  di  sorveglianza  o
 l'autorita'  giudiziaria procedente, che decide se si debba
 o meno provvedere all'inoltro.
 10.  Il  detenuto  o  l'internato  viene immediatamente
 informato che la corrispondenza e' stata trattenuta.
 11.  Non puo' essere sottoposta a visto di controllo la
 corrispondenza  epistolare  dei  detenuti e degli internati
 indirizzata  ad  organismi  internazionali amministrativi o
 giudiziari,  preposti alla tutela dei diritti dell'uomo, di
 cui l'Italia fa parte.».
 «Art.  39  (Corrispondenza  telefonica).  -  1. In ogni
 istituto  sono  installati  uno  o piu' telefoni secondo le
 occorrenze.
 2.   I   condannati  e  gli  internati  possono  essere
 autorizzati dal direttore dell'istituto alla corrispondenza
 telefonica  con i congiunti e conviventi, ovvero, allorche'
 ricorrano  ragionevoli  e  verificati  motivi,  con persone
 diverse   dai   congiunti  e  conviventi,  una  volta  alla
 settimana.  Essi  possono,  altresi', essere autorizzati ad
 effettuare una corrispondenza telefonica, con i familiari o
 con  le  persone  conviventi, in occasione del loro rientro
 nell'istituto  dal  permesso  o  dalla  licenza.  Quando si
 tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti
 dal  primo  periodo  del  primo comma dell'art. 4-bis della
 legge,  e  per  i quali si applichi il divieto dei benefici
 ivi  previsto,  il  numero dei colloqui telefonici non puo'
 essere superiore a due al mese.
 3.  L'autorizzazione  puo'  essere  concessa,  oltre  i
 limiti  stabiliti  nel comma 2, in considerazione di motivi
 di  urgenza  o  di  particolare  rilevanza, se la stessa si
 svolga con prole di eta' inferiore a dieci anni, nonche' in
 caso di trasferimento del detenuto.
 4.   Gli   imputati  possono  essere  autorizzati  alla
 corrispondenza  telefonica, con la frequenza e le modalita'
 di   cui   ai  commi  2  e  3,  dall'autorita'  giudiziaria
 procedente   o,  dopo  la  sentenza  di  primo  grado,  dal
 magistrato di sorveglianza.
 5.  Il  detenuto o l'internato che intende intrattenere
 corrispondenza  telefonica  deve  rivolgere istanza scritta
 all'autorita'  competente,  indicando  il numero telefonico
 richiesto   e   le  persone  con  cui  deve  corrispondere.
 L'autorizzazione  concessa  e'  efficace  fino a che non ne
 intervenga  la  revoca.  Nei casi di cui ai commi 2 e 3, il
 richiedente  deve  anche  indicare  i motivi che consentono
 l'autorizzazione,  che  resta  efficace,  se concessa, solo
 fino  a  che sussistono i motivi indicati. La decisione sul
 richiesta, sia in caso di accoglimento che di rigetto, deve
 essere motivata.
 6. Il contatto telefonico viene stabilito dal personale
 dell'istituto con le modalita' tecnologiche disponibili. La
 durata  massima  di ciascuna conversazione telefonica e' di
 dieci minuti.
 7.  L'autorita'  giudiziaria  competente  a disporre il
 visto  di  controllo  sulla  corrispondenza  epistolare, ai
 sensi   dell'art.   18   della  legge,  puo'  disporre  che
 conversazioni  telefoniche vengano ascoltate e registrate a
 mezzo  di  idonee  apparecchiature.  E'  sempre disposta la
 registrazione  delle  conversazioni telefoniche autorizzate
 su  richiesta  di detenuti o internati per i reati indicati
 nell'art. 4-bis della legge.
 8.  La  corrispondenza telefonica e' effettuata a spese
 dell'interessato,    anche   mediante   scheda   telefonica
 prepagata.
 9.   La   contabilizzazione  della  spesa  avviene  per
 ciascuna telefonata e contestualmente ad essa.
 10.  In caso di chiamata dall'esterno, diretta ad avere
 corrispondenza  telefonica  con i detenuti e gli internati,
 all'interessato  puo'  essere  data  solo comunicazione del
 nominativo  dichiarato dalla persona che ha chiamato sempre
 che  non  ostino particolari motivi di cautela. Nel caso in
 cui   la   chiamata  provenga  da  congiunto  o  convivente
 anch'esso   detenuto,  si  da'  corso  alla  conversazione,
 purche' entrambi siano stati regolarmente autorizzati ferme
 restando le disposizioni di cui al comma 7.».
 -  Per  il  testo dell'art. 13 del citato decreto-legge
 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla
 legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.
 
 
 
 
 |  |  |  | Art. 7. Traduzioni e trasferimenti
 1. La traduzione, il trasferimento ed il piantonamento dei soggetti indicati  all'articolo  1,  anche  se  detenuti o internati in luoghi esterni agli istituti di pena, sono effettuati da personale del Corpo di Polizia penitenziaria.
 2.  La  direzione  dell'istituto  penitenziario  che  provvede alla traduzione o al trasferimento emana le disposizioni ritenute utili ad assicurare  l'incolumita'  fisica  del  detenuto  o internato e della scorta,   ad   impedire   tentativi   di   evasione,   ad  assicurare l'effettivita' dei divieti di colloquio e di incontro stabiliti dalla legge o da disposizioni dell'autorita' giudiziaria competente.
 3.    La    direzione    dell'istituto    penitenziario    comunica tempestivamente  l'ordine  di  traduzione o trasferimento al Servizio centrale  di  protezione  che  ne  informa  le  Questure ed i Comandi provinciali   dell'Arma   dei  Carabinieri  competenti  in  relazione all'itinerario previsto.
 4. Le Forze di polizia interessate dispongono la vigilanza ritenuta adeguata alle concrete esigenze di sicurezza.
 5.  Salvi  i  provvedimenti  adottati  dall'autorita'  di  pubblica sicurezza,   per  particolari  esigenze  di  ordine  e  di  sicurezza pubblica, il responsabile del servizio di traduzione puo' richiedere, in situazioni di emergenza attinenti la sicurezza, l'intervento della Polizia   di   Stato  e  dell'Arma  dei  Carabinieri  competenti  per territorio.
 6.  La  traduzione  ed  il  trasferimento dei soggetti collocati in detenzione  domiciliare  o agli arresti domiciliari e sottoposti alle speciali  misure  di protezione, al piano provvisorio di protezione e alle  misure  di eccezionale urgenza ai sensi dell'articolo 13, comma 1,  decreto-legge  15 gennaio  1991, n. 8, sono effettuati a cura del Servizio  centrale  di  protezione,  il quale vi provvede mediante le forze di polizia territoriali.
 7.  Qualora venga concesso un permesso ai sensi degli articoli 30 e 30-ter,  legge  26 luglio 1975, n. 354, se l'autorita' giudiziaria ne ha  disposto  la  fruizione in localita' nota al Servizio centrale di protezione,  la  traduzione  del  soggetto  e'  effettuata a cura del Servizio  medesimo, il quale vi provvede mediante le Forze di polizia territoriali.
 Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblica italiana.  E'  fatto  obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
 Roma, 7 febbraio 2006
 Il Ministro della giustizia: Castelli Il Ministro dell'interno: Pisanu
 
 Visto, il Guardasigilli: Castelli
 Registrato alla Corte dei conti il 27 marzo 2006
 Ministeri istituzionali, registro n. 3, foglio n. 196
 
 
 
 Note all'art. 7:
 -  Per  il  testo dell'art. 13 del citato decreto-legge
 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla
 legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.
 -  Si riporta il testo degli articoli 30 e 30-ter della
 citata legge 26 luglio 1975, n. 354:
 «Art.  30  (Permessi).  -  1.  Nel  caso  di  imminente
 pericolo  di  vita  di  un familiare o di un convivente, ai
 condannati  e  agli  internati  puo'  essere  concesso  dal
 magistrato   di  sorveglianza  il  permesso  di  recarsi  a
 visitare,   con   le   cautele   previste  dal  regolamento
 l'infermo.  Agli  imputati il permesso e' concesso, durante
 il  procedimento  di  primo grado, dalle medesime autorita'
 giudiziarie,   competenti   ai   sensi  del  secondo  comma
 dell'art.  11 a disporre il trasferimento in luoghi esterni
 di  cura  degli imputati fino alla pronuncia della sentenza
 di primo grado. Durante il procedimento di appello provvede
 il  presidente  del  collegio  e,  nel  corso  di quello di
 cassazione,  il  presidente dell'ufficio giudiziario presso
 il quale si e' svolto il procedimento di appello.
 2.    Analoghi   permessi   possono   essere   concessi
 eccezionalmente per eventi di particolare gravita'.
 3. Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere
 del  permesso  senza  giustificato  motivo, se l'assenza si
 protrae  per  oltre  tre  ore  e per non piu' di dodici, e'
 punito  in via disciplinare; se l'assenza si protrae per un
 tempo  maggiore,  e'  punibile  a  norma  del  primo  comma
 dell'art.  385  del  codice  penale  ed  e'  applicabile la
 disposizione dell'ultimo capoverso dello stesso articolo.
 4.  L'internato  che  rientra  in istituto dopo tre ore
 dalla  scadenza  del  permesso senza giustificato motivo e'
 punito in via disciplinare.».
 «Art.  30-ter (Permessi premio). - 1. Ai condannati che
 hanno  tenuto  regolare  condotta  ai  sensi del successivo
 comma  8  e  che  non  risultano socialmente pericolosi, il
 magistrato    di   sorveglianza,   sentito   il   direttore
 dell'istituto, puo' concedere permessi premio di durata non
 superiore  ogni  volta  a quindici giorni per consentire di
 coltivare  interessi  affettivi,  culturali o di lavoro. La
 durata  dei  permessi  non  puo'  superare complessivamente
 quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.
 1-bis.
 2.  Per  i  condannati  minori  di  eta'  la durata dei
 permessi premio non puo' superare ogni volta i venti giorni
 e la durata complessiva non puo' eccedere i sessanta giorni
 in ciascun anno di espiazione.
 3. L'esperienza dei permessi premio e' parte integrante
 del  programma  di  trattamento e deve essere seguita dagli
 educatori    e    assistenti    sociali   penitenziari   in
 collaborazione con gli operatori sociali del territorio.
 4. La concessione dei permessi e' ammessa:
 a) nei  confronti  dei  condannati all'arresto o alla
 reclusione  non  superiore  a  tre  anni anche se congiunta
 all'arresto;
 b) nei   confronti  dei  condannati  alla  reclusione
 superiore  a  tre anni, salvo quanto previsto dalla lettera
 c), dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena;
 c) nei  confronti  dei condannati alla reclusione per
 taluno  dei  delitti  indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis,
 dopo  l'espiazione  di almeno meta' della pena e, comunque,
 di non oltre dieci anni;
 d) nei  confronti  dei condannati all'ergastolo, dopo
 l'espiazione di almeno dieci anni.
 5.  Nei confronti dei soggetti che durante l'espiazione
 della  pena  o  delle  misure  restrittive  hanno riportato
 condanna  o  sono  imputati  per  delitto  doloso  commesso
 durante  l'espiazione  della  pena  o  l'esecuzione  di una
 misura restrittiva della liberta' personale, la concessione
 e'  ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del
 fatto.
 6.  Si applicano, ove del caso, le cautele previste per
 i permessi di cui al primo comma dell'art. 30; si applicano
 altresi'  le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma
 dello stesso articolo.
 7.  Il  provvedimento  relativo  ai  permessi premio e'
 soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le
 procedure di cui all'art. 30-bis.
 8.  La  condotta  dei  condannati si considera regolare
 quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato
 costante   senso   di  responsabilita'  e  correttezza  nel
 comportamento  personale, nelle attivita' organizzate negli
 istituti   e   nelle   eventuali   attivita'  lavorative  o
 culturali.».
 
 
 
 
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