Gazzetta n. 231 del 1 ottobre 2004 (vai al sommario)
PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 6 settembre 2004
Affidamento della gestione del comune di Canicatti' ad una commissione straordinaria, a norma dell'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto che con decreto del Presidente della Regione Siciliana, in data 11 giugno 2004, e' stato nominato nel comune di Canicatti' (Agrigento) un commissario straordinario con il compito di esercitare le attribuzioni di sindaco, Giunta e Consiglio comunale a seguito delle dimissioni presentate dal sindaco e da oltre la meta' dei consiglieri comunali;
Constatato che dall'esito di approfonditi accertamenti svolti nel tempo dai competenti organi investigativi sono emersi collegamenti diretti ed indiretti tra parte degli organi rappresentativi del comune di Canicatti' e la criminalita' organizzata;
Rilevato che tali collegamenti espongono gli amministratori stessi a pressanti condizionamenti, compromettendo la libera determinazione degli organi ed il buon andamento dell'amministrazione comunale di Canicatti';
Rilevato, altresi', che la permeabilita' dell'ente ai condizionamenti esterni della criminalita' organizzata arreca grave pregiudizio allo stato della sicurezza pubblica e determina lo svilimento delle istituzioni e la perdita di prestigio e di credibilita' degli organi istituzionali;
Ritenuto che, al fine di rimuovere la causa del grave inquinamento e deterioramento del comune di Canicatti', si rende necessario l'intervento dello Stato, mediante un commissariamento di adeguata durata, mirato al ripristino dei principi democratici e di liberta' collettiva;
Visto l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
Vista la proposta del Ministro dell'interno, la cui relazione e' allegata al presente decreto e ne costituisce parte integrante;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 3 settembre 2004, alla quale e' stato debitamente invitato il Presidente della Regione Siciliana;
Decreta:
Art. 1.

La gestione del comune di Canicatti' (Agrigento) e' affidata per la durata di diciotto mesi alla commissione straordinaria composta da:
dott. Vittorio Vasques - prefetto;
dott. Filippo Romano - viceprefetto aggiunto;
dott. Gaetano Ferrante - dirigente di II fascia.
 
Art. 2.

La commissione straordinaria per la gestione dell'ente esercita, fino all'insediamento degli organi ordinari a norma di legge, le attribuzioni spettanti al Consiglio comunale, alla Giunta ed al sindaco nonche' ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime cariche.
Dato a Roma, addi' 6 settembre 2004

CIAMPI

Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri
Pisanu, Ministro dell'interno Registrato alla Corte dei conti il 21 settembre 2004 Ministeri istituzionali, Interno, registro n. 9, foglio n. 369
 
Allegato

Al Presidente della Repubblica

Il Consiglio comunale di Canicatti' (Agrigento), e' stato rinnovato nelle consultazioni amministrative del 16 aprile 2000.
A conclusione di complesse indagini investigative, condotte dai competenti organi, che hanno rilevato la presenza nel territorio di una forte e radicata organizzazione mafiosa che mira a condizionare la vita politico-amministrativa ingerendosi anche nella fase preelettorale, l'autorita' giudiziaria ha emesso, in data 18 marzo 2004, ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del sindaco di Canicatti', indagato per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione commessi con l'aggravante di cui all'art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con legge 12 luglio 1991, n. 203, per aver tenuto comportamenti concludenti ai fini di agevolare l'attivita' di una organizzazione mafiosa, e nei confronti di due funzionari dell'ente che avrebbero operato, nell'esercizio delle loro funzioni, per il medesimo scopo.
A seguito delle dimissioni del sindaco e di oltre la meta' dei consiglieri comunali, la gestione del comune e' stata affidata, con decreto in data 11 giugno 2004 del Presidente della Regione Siciliana, ad un commissario per l'esercizio delle funzioni di sindaco, Giunta e Consiglio.
Attesi i riscontri derivanti dagli accertamenti giudiziari, il prefetto di Agrigento, nella relazione che da' avvio al procedimento di rigore, ritiene che i collegamenti emersi siano sintomo di una grave compromissione dell'amministrazione dell'ente nel suo complesso.
Le indagini hanno rilevato, infatti, la sussistenza di obiettivi fattori di inquinamento dell'azione amministrativa del comune a causa dell'influenza della criminalita' organizzata fortemente radicata nel territorio e hanno posto in risalto come l'uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato nel favorire gli interessi di soggetti collegati direttamente o indirettamente con gli ambienti malavitosi.
In particolare, la condizione di contiguita' emersa nel corso delle indagini tra il sindaco, gia' eletto nella medesima carica nel maggio del 1998, e un esponente di spicco della criminalita' organizzata al quale l'amministratore e' legato da rapporti di parentela, ha costituito lo strumento attraverso il quale si e' determinata la strumentalizzazione delle scelte gestionali.
Gli organi investigativi hanno posto in luce che la vicenda nella quale sono emerse, fin dalla passata consiliatura, pure capeggiata dal predetto sindaco, con peculiare evidenza cointeressenze fra apparato amministrativo e burocratico e criminalita' organizzata e' quella relativa all'assegnazione dei terreni confiscati all'esponente mafioso cui e' legato il titolare della carica di vertice dell'amministrazione.
Dagli accertamenti condotti si desume che sebbene il prefetto di Agrigento avesse fin dall'inizio della procedura reiteratamente richiamato l'attenzione del sindaco sulla necessita' di provvedere tempestivamente a dare attuazione alla legge in materia di confisca dei beni e a destinare i predetti terreni a finalita' istituzionali e/o sociali, la condotta del capo dell'amministrazione, della Giunta municipale, e di due funzionari del comune, lungi dall'essere diretta verso fini istituzionali, e' stata finalizzata a lasciare nella disponibilita' dell'esponente citato e della sua famiglia, i beni patrimoniali al medesimo confiscati, e a sottrarli alle finalita' previste dalla legge.
Come si evince dalla documentazione sulla quale si fonda il convincimento della necessita' dell'applicazione in via preventiva della misura di rigore, cui si rinvia, sono infatti stati posti in essere nel tempo, secondo un preciso disegno criminoso, comportamenti dilatori, elusivi ed illegittimi volti ad agevolare l'affidamento dei terreni a soggetti giuridici appositamente costituiti per assicurare alla famiglia l'utilizzo ed i proventi dei beni confiscati.
I terreni in questione, infatti, sono rimasti nella disponibilita', prima, della predetta famiglia e, poi, di societa' cooperative partecipate e controllate da componenti del medesimo nucleo familiare, fino all'agosto del 2002.
Gli organi investigativi evidenziano che, gia' prima che venisse resa pubblica la notizia dell'avvio del procedimento di assegnazione dei terreni confiscati, era pervenuta al comune la richiesta di affidamento in gestione di quei beni da parte di una cooperativa appena costituitasi, che annoverava tra i suoi soci e amministratori persone vicine alla predetta famiglia mafiosa. Ritengono altresi' sintomatica del forte potere di intimidazione esercitato dal citato clan mafioso la circostanza che, a seguito della pubblicazione dell'avviso pubblico per la assegnazione dei terreni, nonostante la allettante prospettiva di gestione, fosse pervenuta solo la richiesta di affidamento della predetta cooperativa evidentemente priva dei requisiti di legge.
Subentrato, inoltre, all'inizio del 2000, nella gestione dell'ente un commissario designato dalla Regione a seguito dell'approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco, lo stesso giorno in cui veniva indetta una gara informale con almeno tre ditte per l'affidamento in gestione provvisoria dei terreni, venivano depositate le istanze, evidentemente formulate da una unica mano, da parte di tre cooperative riconducibili alla famiglia mafiosa cui i beni erano stati confiscati. La conclusione cui e' pervenuta l'autorita' giudiziaria e' che le tre offerte fossero frutto di un accordo con il quale pilotare l'assegnazione in favore di quella che fra di esse avanzava una offerta piu' vantaggiosa.
Ed in effetti, nonostante il parere contrario del segretario comunale, i terreni venivano provvisoriamente assegnati ad una cooperativa priva dei requisiti richiesti dalla legge.
Rieletto il sindaco, i terreni erano temporaneamente assegnati, con delibera di Giunta, alla cooperativa che ne aveva originariamente fatto richiesta, carente di fini sociali e di adeguata documentazione progettuale, nonche' direttamente riconducibile alla famiglia cui erano stati confiscati i beni. Sulla base di un parere rilasciato da un consulente del comune, di cui veniva peraltro completamente travisato il contenuto, la predetta cooperativa veniva infatti preferita ad un'altra, che al contrario della prima, aveva dimostrato di essere effettivamente costituita per l'impiego e il reinserimento di soggetti svantaggiati e dei minori affidati e quindi in possesso dei requisiti di legge.
Con successiva delibera di Giunta, in accoglimento di una richiesta avanzata spontaneamente, in tal senso, dal presidente della cooperativa gia' assegnataria e senza alcuna verifica istruttoria e preventiva pubblicizzazione della procedura di assegnazione, i beni venivano affidati per dieci anni alla predetta cooperativa, priva dei requisiti di legge. Successivamente veniva sottoscritta la relativa convenzione.
Il sindaco, tra l'altro, nonostante le reiterate richieste di chiarimento rivoltegli dal prefetto di Agrigento in ordine alla mancata destinazione dei terreni in questione secondo le finalita' di legge, informava l'ufficio territoriale del Governo delle determinazioni assunte dall'ente al riguardo, solo ad assegnazioni provvisorie gia' avvenute, eludendo in tal modo l'attivazione dei dovuti controlli sulle cooperative affidatarie.
Il prefetto comunicava al sindaco che i riscontri anagrafici effettuati avevano evidenziato che un socio della cooperativa affidataria era legato da vincoli di affinita' al soggetto che aveva subito la confisca. Invitava pertanto il sindaco a riconsiderare l'affidamento dei beni, nel frattempo disposto per un periodo decennale.
Il sindaco non dava riscontro al predetto richiamo e solo a seguito di nuova formale contestazione, la Giunta presieduta dal vicesindaco, in assenza del sindaco, revocava la delibera di affidamento.
Dal rapporto degli organi investigativi emergono univoci elementi che consentono di affermare che la consorteria mafiosa locale sia in grado di condizionare l'amministrazione dell'ente. I fatti riportati, per la loro consistenza ed effettivita' e per l'allarme sociale generato, appaiono infatti idonei a determinare uno sviamento dall'interesse pubblico che necessariamente deve essere perseguito dall'ente locale, titolare esponenziale degli interessi della propria collettivita'. Anche i diversi episodi intimidatori avvenuti a danno di esponenti politici locali di primo piano e la presenza di diversi consiglieri comunali ai funerali di esponenti mafiosi o di soggetti a questi strettamente imparentati, sono stati ritenuti idonei a dare contenuto probante al quadro delineato.
Il prefetto di Agrigento, pertanto, con relazione del 22 giugno 2004, che qui si intende integralmente richiamata, ritenendo necessario rafforzare nell'opinione pubblica un segnale di ferma resistenza da parte dello Stato nei confronti della criminalita' organizzata e accreditare il ruolo di uno Stato forte ed attento alla gestione dell'interesse collettivo, ha proposto l'applicazione della misura di rigore prevista dall'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
L'applicazione del provvedimento di rigore si rende necessaria come extrema ratio per riportare l'azione dell'amministrazione locale nell'alveo della legittimita' amministrativa o comunque per prevenire, a fronte dell'ordinario rinnovo elettorale, i rischi di una deriva extraistituzionale derivanti dalle indebite interferenze rilevate nella gestione della cosa pubblica, utilizzata per il perseguimento di fini contrari al pubblico interesse, che hanno ingenerato sfiducia nella legge e nelle istituzioni da parte dei cittadini.
La descritta condizione di assoggettamento richiede che da parte dello Stato siano posti in essere provvedimenti incisivi a salvaguardia degli interessi della comunita' locale e per il recupero della struttura pubblica al servizio dei suoi fini istituzionali.
La valutazione della situazione in concreto riscontrata, in relazione alla presenza ed all'estensione dell'influenza criminale, rende necessario che la durata della gestione commissariale sia determinata in diciotto mesi.
Rilevato che, per le caratteristiche che lo configurano, il provvedimento dissolutorio previsto dall'art. 143 del citato decreto legislativo puo' intervenire finanche in presenza di provvedimento di affidamento ad un commissario della gestione dell'ente, differenziandosene per funzioni ed effetti, si formula rituale proposta per l'adozione della misura di rigore nei confronti del comune di Canicatti' (Agrigento) con conseguente affidamento per la durata di diciotto mesi della gestione dell'ente ad una commissione straordinaria cui, in virtu' dei successivi articoli 144 e 145, sono attribuite specifiche competenze e metodologie di intervento finalizzate a garantire nel tempo la rispondenza dell'azione amministrativa alle esigenze della collettivita'.
Roma, 1° settembre 2004
Il Ministro dell'interno: Pisanu
 
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