Gazzetta n. 104 del 7 maggio 2001 (vai al sommario) |
AUTORITA' DI BACINO DEL FIUME PO |
DELIBERAZIONE 31 gennaio 2001 |
Adozione del progetto di Piano stralcio per il controllo dell'eutrofizzazione. (Deliberazione n. 15/2001). |
|
|
IL COMITATO ISTITUZIONALE VISTO: - la legge 18 maggio 1989, n.183 recante "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo" e successive modifiche ed integrazioni; - la legge 4 agosto 1989, n.283, recante "Provvedimenti argenti per lei lotta alt 'eutrofizzazione delle acque costiere del mare Adriatico e per l'eliminazione degli effetti"; - il Decreto legislativo 11 maggio 1999, n.152, recante "Disposizioni sulla tutela dalle acque dall'inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole" e successive modifiche ed integrazioni; RICHIAMATE: - la propria deliberazione n12/96 del 15 aprile 1996, con cui questo Comitato ha approvato la "Direttiva per il contenimento dell'inquinamento provocato dagli allevamenti zootecnici nel bacino del fiume Po"; - la propria deliberazione n.24/98 del 14 ottobre 1998, con la quale questo Comitato ha approvato il "Piano delle direttive e degli interventi urgenti per la lotta all'eutrofi'zzazione delle acque interne e del mare Adriatico"; PREMESSO CHE: - la legge 18 maggio 1989, n. 183, individua nel Piano di bacino lo strumento mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche e ambientali del territorio interessato; - l'art. l7, della legge 18 maggio 1989, n. 183 - come modificato dall'art. 12 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito in legge 4 dicembre 1993, n. 493 al comma 6 ter, prevede che i piani di bacino idrografico possano essere redatti e approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali, che devono costituire fasi interrelate rispetto ai contenuti del comma 3 dello stesso articolo, garantendo la considerazione sistemica del territorio e disponendo le opportune misure inibitorie e cautelative in relazione agli aspetti non ancora compiutamente disciplinati; - l'art. 2-bis della legge 4 agosto 1989, n. 283, recante provvedimenti urgenti per la lotta all'eutrofizzazione delle acque costiere del mare Adriatico e per l'eliminazione degli effetti, al fine di fermare il progressivo degrado della qualita' delle acque del Mare Adriatico e perseguire la riduzione del carico di nutrienti sversati a mare e degli altri fattori inquinanti, dispone che le Autorita' di bacino di rilievo nazionale dei fiumi che sfociano nel Mare Adriatico approvino uno schema previsionale e programmatico riguardante gli interventi piu' urgenti; - la tutela della qualita' delle acque del bacino del fiume Po rappresenta un obiettivo strategico di Piano e che il recupero qualitativo delle acque del bacino padano e' fondamentale anche per l'influenza determinante degli apporti padani sulla fascia costiera del Mare Adriatico, ove l'insorgenza dei fenomeni di eutrofizzazione provoca danni alla pesca e al turismo, condizionando fortemente i livelli qualitativi delle acque costiere; - con propria deliberazione n. 12/96, in (data 15 aprile 1996, ha approvato la "Direttiva per il contenimento dell'inquinamento provocato dagli allevamenti zootecnici nel bacino del Po", essendo dimostrato che l'inquinamento da fonti diffuse modifica la qualita' delle acque superficiali, oltre che sotterranee del bacino, contribuendo all'insorgenza del fenomeno eutrofico anzidetto; - data la rilevanza del fenomeno dell'eutrofizzazione, il discreto stato delle conoscenze disponibili e le azioni gia' intraprese in merito allo stesso, l'Autorita' di bacino ha proceduto alla redazione del "Piano delle direttive e degli interventi urgenti per la lotta all'eutrofizzazione delle acque interne e del Mare Adriatico"; - con propria deliberazione n. 24, del 14 ottobre 1998, ha approvato il citato documento, che fornisce il quadro conoscitivo di riferimento a partire dal quale viene caratterizzato il fenomeno eutrofico nel bacino, delimitate le aree maggiormente interessate e indicate le principali strategie d'intervento, e ha dato mandato all'Autorita' di bacino, con il supporto di una Commissione tecnica, di provvedere alla realizzazione di un piano stralcio di settore sulla base di tale documento; - con il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e successive disposizioni correttive e integrative, e' stato introdotto un nuovo strumento di pianificazione - il Piano di tutela delle acque - attraverso il quale sono programmate, per ogni bacino idrografico, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico; -l'art. 44 del citato decreto legislativo, in particolare, dispone che le Autorita' di bacino, sentite le Province e le Autorita' d'ambito, entro il 31 dicembre 2001 devono definire gli obiettivi e le priorita' di intervento a scala di bacino in funzione dei quali le Regioni elaborano e adottano il Piano di tutela; - in questo contesto, il Piano di bacino si pone come piano integrato direttore contenente i criteri generali e gli elementi di indirizzo per la tutela quali quantitativa delle risorse idriche a scala di bacino, assicurando il coordinamento con la pianificazione regionale nonche' uniformita' di azione nell'ambito del Piano di tutela; - l'Autorita' di bacino, pertanto, attraverso il Piano di bacino svolge una funzione di coordinamento e di garanzia reciproca tra le Regioni del bacino e la Provincia Autonoma di Trento, per rispondere alla necessita' di un raccordo strategico e di una sintesi trasversale tra i diversi comparti coinvolti, le problematiche e l'eterogeneita' del territorio, assicurando il coordinamento della pianificazione regionale nonche' uniformita' di azione nell'ambito dei Piani di tutela; - nella seduta del 26 ottobre 1999, questo Comitato ha avanzato una richiesta di chiarimenti circa i contenuti e i limiti di un piano stralcio di settore finalizzato al controllo dell'eutrofizzazione, in relazione ai citati Piani di tutela regionali; - in risposta a tale richiesta, la Commissione istituita per l'elaborazione del progetto di piano stralcio, nella seduta del 16 marzo 2000 ha dichiarato, tra l'altro, che l'impostazione del progetto consentira' di conseguire, a scala di bacino, l'unitarieta' dell'azione di governo e delle scelte di programmazione di interesse di piu' Regioni, in merito al controllo dell'eutrofizzazione, e di lasciare all'autonoma determinazione delle stesse le scelte delle azioni di specifico interesse per il territorio e le materie di propria competenza, pur nel rispetto delle condizioni fondamentali definite dagli obiettivi generali a scala di bacino; - questo Comitato ha accolto positivamente i chiarimenti formulati dalla Commissione condividendo impostazione generale e contenuti del Progetto di Piano stralcio per il controllo dell'eutrofizzazione; VISTO: - il "Progetto di Piano stralcio per controllo dell'eutrofizzazione" (PsE), predisposto dal Comitato tecnico dell'Autorita' di bacino di concerto con la Segreteria tecnica e con il supporto della Commissione tecnica, costituito dai seguenti elaborati: I. Relazione generale e relativo allegato: Allegato 1 - Quadro conoscitivo di riferimento; II. Norme di attuazione e relativi allegati: Allegato 1: Parte A: Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per le sezioni strategiche dell'asta del fiume Po; Parte B: Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per i Grandi laghi prealpini; Allegato 2 - Criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle aree sensibili e delle zone vulnerabili, di cui agli artt. 18 e 19 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche; Allegato 3 - Tabelle per il calcolo dell'azoto prodotto dalle diverse tipologie animali allevate; III. Fabbisogno finanziario; IV. Linee guida di intervento; CONSIDERATO CHE: - il PsE, ai sensi dell'art.17, comma 6 ter, della legge 18 maggio 1989, n. 183, come modificato dall'art.12 del decreto legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito in legge 4 dicembre 1993, n. 493, ha valore di Piano stralcio del Piano di bacillo del Po; - nel rispetto delle disposizioni di cui all'art. 17, comma 6 ter, il PsE garantisce la considerazione sistemica del territorio e dispone le opportune misure inibitorie e cautelative in relazione agli aspetti non ancora compiutamente disciplinati; - il PsE e' redatto secondo le finalita' e i contenuti di settore definiti dagli artt. 3 e 17 della legge 18 maggio 1989, n. 183, nonche' alle disposizioni di cui al decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e successive disposizioni correttive e integrative; - rispetto alle finalita' generali, il PsE definisce gli obiettivi a scala di bacino e le priorita' di intervento riferiti specificatamente al controllo della trofia delle acque interne e delle acque costiere del Mare Adriatico, e che le Regioni, per le stesse finalita' recepiscono tali obiettivi e priorita' nell'ambito dei Piani di Tutela; - alle finalita' del presente Piano provvede, per il proprio territorio, la Provincia Autonoma di Trento, secondo quanto stabilito dall'art.5, comma 3, del D.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, come sostituito dall'art. 2 del D.lgs. 11 novembre 1999, n. 463; - l'ambito territoriale di riferimento e' costituito dal bacino idrografico del fiume Po, cosi' come definito dal D.P.R. 1 giugno 1998 "Approvazione della perimetrazione del bacino idrografico del fiume Po", pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 173 alla Gazzetta Ufficiale n. 244, del 19 ottobre 1998; - le prescrizioni del PsE saranno inserite nel quadro conoscitivo organizzato del sistema fisico e delle utilizzazioni previste negli strumenti urbanistici comunali e dei vincoli posti dalle nonne speciali relative agli usi del territorio; per quanto visto, richiamato, premesso e considerato
DELIBERA: ART. 1. E' adottato l'allegato "Progetto di Piano stralcio per il controllo dell'eutrofizzazione" costituito dai seguenti elaborati: - Relazione generale e relativo allegato: Allegato 1 - Quadro conoscitivo di riferimento; - Norme di attuazione e relativi allegati; Allegato 1: Parte A: Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per le sezioni strategiche dell'asta del fiume Po; Parte B: Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per i Grandi laghi prealpini; Allegato 2 - Criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle aree sensibili e delle zone vulnerabili, di cui agli artt. 18 e 19 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche; Allegato 3 - Tabelle per il calcolo dell'azoto prodotto dalle diverse tipologie animali allevate; - Fabbisogno finanziario; - Linee guida di intervento. |
| ART. 2. Ove le Regioni, ai sensi del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 e successive disposizioni correttive e integrative, prima dell'approvazione finale del PsE, abbiano a modificare le aree sensibili designate all'art. 18, comma 2, del citato decreto o le porzioni dei bacini ad esse drenanti, che contribuiscono all'inquinamento di tali aree, e le zone vulnerabili designate all'Allegato 7, parte AIII, dello stesso decreto, costituenti aree d'intervento di Piano, dette ridefinizioni saranno recepite dal PsE a integrazione o sostituzione delle attuali. A tale scopo, le Regioni dovranno comunicare all'Autorita' di bacino , prima dell'approvazione delle modifiche, le nuove delimitazioni, accompagnate da una relazione illustrativa, per la valutazione di compatibilita' e coerenza con le disposizioni di Piano. L'Autorita' di bacino esprimera' parere vincolante entro 30 giorni dalla comunicazione e, successivamente, le Regioni provvederanno all'approvazione. |
| ART. 3. Dalla data di comunicazione dell'avvenuta adozione del PsE e in attesa della sua approvazione finale, e' fatto divieto alle amministrazioni competenti di rilasciare concessioni per la costruzione di contenitori di stoccaggio degli effluenti zootecnici che siano in contrasto con le prescrizioni di cui all'art. 13, comma 7, delle Norme di attuazione del PsE. |
| ART. 4. Ai sensi dell'art. 18 della piu' volte richiamata legge n. 183/1989, e' data notizia dell'adozione del Progetto di Piano nella Gazzetta Ufficiale e nei Bollettini Ufficiali delle Regioni interessate. |
| ART. 5. Il Progetto di Piano e la relativa documentazione sono depositati presso l'Autorita' di bacino, nonche' presso le sedi delle Regioni e delle Province territorialmente interessate e sono ivi disponibili, per la presa visione e per la consultazione da parte di chiunque sia interessato, per quarantacinque giorni consecutivi a decorrere dalla pubblicazione della notizia dell'avvenuta adozione nella Gazzetta Ufficiale. |
| ART. 6. Presso ogni sede di consultazione e' predisposto un registro sul quale saranno annotate le richieste di visione e di copia degli atti, mentre le osservazioni sul Progetto di Piano potranno essere inoltrate alle Regioni territorialmente competenti entro i successivi quarantacinque giorni dalla scadenza del periodo di consultazione o essere direttamente annotate sul registro di che trattasi. |
| ART. 7. Entro trenta giorni dalla scadenza del termine indicato all'articolo precedente, le Regioni interessate si esprimono sulle osservazioni pervenute e formulano un parere sul Progetto di Piano. Il Presidente CALZOLAIO Il Segretario generale PASSINO |
| ----> Vedere immagine nel formato PDF <----
Titolo I - Natura, contenuti ed effetti del Piano Art. 1. Finalita' e contenuti 1. Il Piano stralcio per il controllo dell'Eutrofizzazione (di seguito denominato anche PsE o Piano) ha valore di piano territoriale di settore ed e' lo strumento conoscitivo, normativo, tecnico-operativo mediante il quale sono fissati gli obiettivi su scala di bacino e individuati gli strumenti di attuazione e le priorita' d'intervento finalizzati al controllo della trofia delle acque interne e delle acque costiere del mare Adriatico, per l'ambito territoriale individuato al successivo art. 3. 2. Il Piano e' redatto con riferimento alle finalita' e ai contenuti di settore definiti agli artt. 3 e 17 della L. 18 maggio 1989, n. 183, nonche' alle disposizioni di cui al D.Igs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni. 3. Il Piano e' adottato e approvato ai sensi della L. 18 maggio 1989, n. 183, quale piano stralcio del piano generale dei bacino del Po, ai sensi dell'art. 17, comma 6 ter della legge ora richiamata. 4. Ai fini del controllo della trofia delle acque interne e delle acque costiere del mare Adriatico, il Piano opera attraverso: a. la definizione delle concentrazioni massime ammissibili di fosforo in sezioni strategiche lungo l'asta del fiume Po e nei Grandi laghi prealpini; b. la definizione, con apposita direttiva, dei criteri per la determinazione dei carichi massimi ammissibili di fosforo e la determinazione degli stessi in sezioni strategiche lungo l'asta del fiume Po; c. l'indicazione delle linee di intervento per il comparto civile e industriale, per il comparto agro-zootecnico e per il reticolo drenante; d. la prima indicazione delle aree d'intervento per il comparto civile e industriale, per il comparto agro - zootecnico e per il reticolo drenante e la definizione dei criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle aree sensibili e delle zone vulnerabili, ai sensi degli artt. 18 e 19 del D. Igs 11 maggio 1999, n.152 e successive modifiche ed integrazioni. 5. Il Piano e' attuato attraverso Programmi triennali di intervento ai sensi dell'art. 21 e seguenti della L. 18 maggio 1989, n. 183. 6. Lo stato di attuazione dei Piano e' controllato e verificato, di concerto con gli Enti interessati, attraverso le attivita' di monitoraggio di cui al successivo Titolo VIII. Art. 2. Elaborati del Piano 1. Il Piano e' costituito dai seguenti elaborati: Relazione generale e relativo allegato: - Allegato 1 - Quadro conoscitivo di riferimento; Norme di attuazione e relativi allegati - Allegato 1: Parte A: Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per le sezioni strategiche dell'asta del fiume Po; Parte B: Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per i Grandi laghi prealpini - Allegato 2 - Criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle aree sensibili e delle zone vulnerabili, di cui agli artt. 18 e 19 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni; - Allegato 3 - Tabelle per il calcolo dell'azoto prodotto dalle diverse tipologie animali allevate; Fabbisogno finanziario; Linee guida di intervento. Art. 3. Ambito territoriale 1. L'ambito territoriale di riferimento del Piano e' costituito dal bacino idrografico del fiume Po, cosi' come definito dal D.P.R. 1 giugno 1998 "Approvazione della perimetrazione del bacino idrografico del fiume Po", pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 173 alla Gazzetta Ufficiale n. 244, del 19 ottobre 1998. Art. 4. Effetti del Piano 1. Il Piano costituisce atto di indirizzo e coordinamento per le Regioni che, ai fini del controllo della trofia, operano in conformita' agli obiettivi a scala di bacino e alle priorita' definiti dal Piano stesso, attuandone le disposizioni a livello regionale. 2. Agli effetti dell'art.17, comma 5, della L. 18 maggio 1989, n.183, sono dichiarate di carattere vincolante, a decorrere dalla data di approvazione del presente Piano, per le Amministrazioni e per gli Enti pubblici, nonche' per i soggetti privati, le prescrizioni di cui all'art.10, comma 3. 3. Le prescrizioni di cui all'art.11, all'art. 12, commi 3 e 4, all'art. 13, commi 3, 4, 5, 6 e 7 sono recepite entro novanta giorni dalla data di approvazione del presente Piano dalle Regioni che, ove necessario, emanano le disposizioni concernenti la loro attuazione. Decorso tale termine, tali prescrizioni sono dichiarate di carattere vincolante. 4. Con riferimento alle finalita' del presente Piano e agli effetti dell'art. 44, comma 2, del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, gli obiettivi su scala di bacino cui devono attenersi i Piani di Tutela delle Acque, ai fini del controllo della trofia, sono definiti dalle disposizioni di cui al successivo art.5 e le relative priorita' di intervento sono definite dalle disposizioni di cui all'art.6. Il recepimento delle suddette disposizioni nei Piani di Tutela costituisce criterio per l'espressione del parere vincolante di cui all'art. 44, comma 5, del citato decreto legislativo. 5. I Programmi e i Piani nazionali, regionali e degli enti locali di sviluppo economico, di uso del suolo e di tutela ambientale devono essere coordinati e redatti in conformita' con il presente Piano. Di conseguenza, le Autorita' competenti provvedono ad adeguare gli atti di pianificazione e di programmazione previsti dall'art. 17, comma 4 della legge 18 maggio 1989, n. 183 alle prescrizioni del presente Piano, fatti salvi gli atti abrogati da disposizioni di legge successive. 6. Sono fatte salve, in ogni caso, le disposizioni piu' restrittive di quelle previste nelle presenti norme, contenute nella legislazione vigente in materia di beni culturali e ambientali e di aree naturali protette, negli strumenti di risanamento delle acque, di pianificazione territoriale di livello regionale, provinciale e comunale ovvero in altri piani di tutela della risorsa idrica e del territorio, ivi compresi i Piani paesistici. 7. Fermo il carattere immediatamente vincolante delle prescrizioni di cui al precedente comma 2, le Regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'atto di approvazione del Piano, emanano, ove del caso, disposizioni concernenti l'attuazione del Piano stesso nel settore urbanistico. A mente dell'art. 17, comma 6, della Legge 18 maggio 1989, n.183, gli enti territorialmente interessati dal Piano, decorso tale termine, sono comunque tenuti a rispettare le prescrizioni nel settore urbanistico con l'obbligo di adeguare i propri strumenti urbanistici entro sei mesi dalla data di comunicazione delle predette disposizioni e comunque entro nove mesi a decorrere dalla data di pubblicazione dell'atto di approvazione del presente Piano. 8. In tutti i casi in cui gli interventi previsti dal Piano riguardino beni o aree tutelati ai sensi delle leggi 1 giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497 e loro successive modifiche ed integrazioni, o interferiscano con i medesimi, essi saranno soggetti alle procedure di autorizzazione previste dalle leggi stesse. 9. Le previsioni e le prescrizioni del Piano hanno valore a tempo indeterminato. Esse sono verificate periodicamente, sulla base delle risultanze delle attivita' di monitoraggio di cui al successivo Titolo vili. 10 Alle finalita' del presente Piano provvede, per il proprio territorio, la Provincia Autonoma di Trento, secondo quanto stabilito dall'art.5, comma 3, del D.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, come sostituito dall'art.2 del D.lgs. 11 novembre 1999, n. 463. Titolo II - Norme generali Art. 5. Obiettivi a scala di bacino 1. Salvo le verifiche di cui al successivo comma 11, ai fini del controllo della trofia delle acque interne e del Mare Adriatico, sono definite le concentrazioni massime ammissibili, espresse come concentrazioni medie annue, intermedie e finali di fosforo totale per le sezioni strategiche lungo l'asta del Po e per i Grandi laghi prealpini, tenuto conto, per quanto concerne il lago Maggiore, di quanto stabilito dalla Commissione Italo-Svizzera. 2. Il raggiungimento delle concentrazioni di cui al comma 1 costituisce obiettivo di Piano da conseguire entro i tempi previsti nell'ambito della pianificazione regionale e, comunque, non oltre i tempi previsti dall'art.5, comma 7 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni. 3. Il raggiungimento degli obiettivi di Piano deve essere assicurato attraverso una riduzione graduale dei valori di concentrazione, in funzione delle attuali condizioni del corpo idrico e dei traguardi temporali previsti. 4. Le concentrazioni intermedie e finali di fosforo totale per le sezioni strategiche lungo l'asta Po e per i Grandi laghi prealpini, di cui al precedente comma 1, sono definite rispettivamente nell'Allegato 1, parte A e parte B alle presenti Norme. 5. Le sezioni strategiche lungo l'asta del fiume Po di cui al precedente comma 1 sono: - Isola S. Antonio; - Piacenza; - Boretto; - Pontelagoscuro. 6. I Grandi laghi prealpini di cui al precedente comma 1 sono: - Maggiore - Como - Iseo - Idro - Garda 7. L'obiettivo di cui al precedente comma 2 e' perseguito attraverso la determinazione dei carichi massimi ammissibili di fosforo nei corpi idrici. 8. L'Autorita' di bacino definisce, con apposita direttiva, i criteri per la determinazione dei carichi massimi ammissibili di fosforo di cui al comma precedente. 9. In seguito alla fase conoscitiva iniziale del monitoraggio dello stato di qualita' delle acque superficiali, di cui all'Allegato 1, capitolo 3, del D.lgs. 11 maggio 1999, n.152 e successive modifiche ed integrazioni, e sulla base della direttiva, di cui al precedente comma 8, l'Autorita' di bacino definisce i carichi massimi ammissibili di fosforo per le sezioni strategiche dell'asta del Po, di cui al precedente comma 5, e le Regioni definiscono gli stessi per i Grandi laghi prealpini, di cui al precedente comma 6, e per i corpi idrici sovraregionali, intendendo per corpi idrici sovraregionali quelli il cui bacino imbrifero interessa piu' regioni. 10. Le Regioni provvedono a recepire, nell'ambito dei propri Piani di tutela, i carichi massimi ammissibili di fosforo di cui al precedente comma 9 e, sulla base di tali valori, individuano le misure necessarie al raggiungimento o al mantenimento dell'obiettivo di cui al precedente comma 2, assicurando in ogni caso l'adozione di misure atte ad impedire un ulteriore degrado dei corpi idrici. 11. L'Autorita' di bacino procede, di concerto con le Regioni, alla verifica del grado e dei tempi di perseguimento degli obiettivi di cui al presente articolo nonche' all'eventuale revisione degli obiettivi stessi e dei carichi massimi ammissibili, sulla base delle risultanze delle attivita' di monitoraggio di cui al successivo Titolo VIII e almeno ai traguardi temporali di cui al precedente comma 2. Art. 6. Linee d'intervento 1. Il presente Piano individua, in funzione degli obiettivi di cui all'art. 5 e degli effetti sul controllo della trofia delle acque interne e del mare Adriatico raggiungibili a scala di bacino, le linee di intervento per i seguenti settori: a. i comparti civile e industriale e agro-zootecnico, in quanto principali sorgenti di generazi'one di nutrienti; b. il reticolo drenante naturale ed artificiale di pianura, inteso come sistema costituito dal complesso di corsi d'acqua naturali e di canalizzazioni di irrigazione e di drenaggio del territorio, attraverso il quale viene trasportato e diffuso gran parte del carico inquinante. 2. Per il comparto civile e industriale il Piano: a. definisce le misure relative al collettamento e alla depurazione delle acque reflue urbane; b. effettua una prima indicazione delle aree di intervento e definisce i criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle aree sensibili di cui all'art. 18 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni. 3. Per il comparto agro-zootecnico il presente Piano: a. definisce le misure relative agli allevamenti e alla gestione degli effluenti zootecnici, alla conduzione dei suoli e alle pratiche agronomiche e alla gestione delle acque reflue delle aziende agricole e agro-alimentari; b. effettua una prima indicazione delle aree di intervento e definisce i criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle zone vulnerabili di cui all'art.19 del D.lgs.11 maggio 1999, n.152 e successive modifiche ed integrazioni. 4. Per il reticolo drenante il Piano: a. definisce le misure volte alla riduzione dei carichi di nutrienti veicolati; b. effettua una prima indicazione delle aree di intervento. 5. L'Autorita' di bacino promuove, d'intesa con le Regioni, nell'ambito delle attivita' di studio e sperimentazione per il Piano di bacino, gli approfondimenti e gli aggiornamenti delle indagini e delle valutazioni relative alle condizioni di criticita' nelle aree d'intervento per i comparti civile e industriale e agro-zootecnico e per il reticolo drenante, in riferimento all'apporto di nutrienti e al loro trasporto. 6. Le "Linee guida di intervento" costituiscono documento di indirizzo per la predisposizione dei Documenti Regionali di Previsione degli Interventi (DoRPI) di cui al successivo art.19, in attuazione delle misure di cui ai successivi Titoli IV, V e VI. Titolo III - Aree di intervento Art. 7. Aree di intervento relative al comparto civile e industriale 1. Per le finalita' del presente Piano sono considerate aree d'intervento: a. le aree a medio ed elevato carico specifico individuate, in prima approssimazione, nella Relazione Generale, Figure 3.9 e 3.10, costituente parte integrante del presente Piano; b. le porzioni dei bacini drenanti alle aree sensibili designate all'art. 18, comma 2, del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, che contribuiscono all'inquinamento di tali aree; c. le aree a scala locale individuate dalle Regioni, in accordo con l'Autorita' di bacino, nell'ambito dei Documenti Regionali di Previsione degli interventi (DoRPI) di cui al successivo art.19, ad integrazione delle aree di cui alla precedente lettera a. 2. Le aree d'intervento di cui al comma 1, lettera b. sono definite, da parte delle Regioni, per il territorio di propria competenza, ai sensi dell'art. 18, comma 4, del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, sulla base dei criteri di cui all'Allegato 2, parte A, alle presenti Norme. 3. Le aree d'intervento per il comparto civile e industriale sono soggette a periodica revisione da parte delle Regioni, sentita l'Autorita' di bacino, almeno ogni quattro anni, sulla base dell'approfondimento della conoscenza del territorio. Art. 8. Aree di intervento relative al comparto agrozootecnico 1. Per le finalita' del presente Piano sono considerate aree d'intervento: a. le aree a medio ed elevato carico specifico individuate, in prima approssimazione, nella Relazione Generale, Figure 3.11, 3.12, 3.13, costituente parte integrante del presente Piano; b. le zone vulnerabili designate all'Allegato 7, parte AIII, del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni; c. le aree a scala locale individuate dalle Regioni, in accordo con l'Autorita' di bacino, nell'ambito dei Documenti Regionali di Previsione degli Interventi (DoRPI) di cui al successivo art.19, ad integrazione delle aree di cui alla precedente lettera a. d. i territori compresi nella Fascia A e nella Fascia B, cosi' come delimitate nelle Tavole grafiche del Piano stralcio delle Fasce Fluviali, approvato con D.P.C.M. 24 luglio 1998, e del Progetto di Piano stralcio per l'Assetto Idrogeologico, adottato con deliberazione 11 maggio 1999, n.1, di seguito denominati rispettivamente P.s.F.F. e P.A.I. 2. Le aree d'intervento di cui al comma 1, lettera b sono ridefinite, da parte delle Regioni, per il territorio di propria competenza, ai sensi dell'art.19, comma 3, del D.lgs.11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, sulla base dei criteri di cui all'Allegato 2, parte B alle presenti Norme. 3. Le aree d'intervento per il comparto agro-zootecnico sono soggette a periodica revisione da parte delle Regioni, sentita l'Autorita' di bacino, almeno ogni quattro anni, sulla base dell'approfondimento della conoscenza del territorio, ad esclusione di quelle di cui al comma 1, lettera d, per le quali si rimanda a quanto previsto nell'ambito del P.s.FF. e del P.A.I. Art. 9. Aree di intervento relative al reticolo drenante 1. Per le finalita' del presente Piano, sono considerati prioritari gli interventi sul reticolo drenante ricadente nelle aree di cui ai precedenti artt.7 e 8. Titolo IV - Linee di intervento nel comparto civile e industriale Art. 10. Prelievi idrici, collettamento, depurazione e riutilizzo delle acque reflue urbane 1. Costituisce finalita' del presente Piano l'individuazione di misure relative al collettamento e alla depurazione delle acque reflue urbane atte a contenere l'apporto di nutrienti ai corpi idrici recettori. 2. Negli strumenti di pianificazione di settore regionali, la disciplina dei prelievi idrici e le previsioni di sviluppo e ammodernamento delle infrastrutture dei servizio idrico integrato, di cui alla L. 5 gennaio 1994, n.36, devono tenere conto delle seguenti indicazioni prioritarie: a. perseguire il riequilibrio dei prelievi idrici in relazione al regime dei deflussi, nonche' alla destinazione d'uso dei corpi idrici interessati; b. favorire il riutilizzo delle acque reflue; c. commisurare la realizzazione di trattamenti di rimozione dei nutrienti all'effettiva necessita' di abbattimento del fosforo e/o dell'azoto, attraverso un'analisi costi-efficacia ambientale e in funzione delle prescrizioni dettate dal D.Igs.11 maggio 1999, n.152 e successive modifiche ed integrazioni. 3. Le misure prioritarie, da attuare nelle aree d'intervento per il comparto civile-industriale, ai fini di cui al precedente comma 2, sono individuate in: a. completare e adeguare le reti fognarie e gli impianti di' depurazione delle acque reflue urbane in conformita' alle disposizioni di cui ai D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni; b. assicurare l'adeguamento delle reti fognarie in conformita' alle disposizioni di cui all'art.5 della L. 5 gennaio 1994, n.36; c. regolare i deflussi, accertando il carico derivante dagli scaricatori di piena a servizio delle reti fognarie, prevedendo, ove necessario, la separazione delle reti fognarie e/o l'adozione di trattamenti, anche parziali, delle acque sfiorate; d. assicurare, in conformita' alle finalita' del Piano, la rimozione dei nutrienti attraverso un adeguato trattamento, rivolto prioritariamente alla sola defosfatazione, nelle aree d'intervento di cui al precedente art.7, comma 1, lettere a. e c. 4. Le Regioni, in accordo con l'Autorita' di bacino, sulla base dei carichi massimi ammissibili di fosforo di cui all'art.5, comma 9, provvedono a definire, nelle aree di cui al precedente art.7, comma 1, lettere a. e c., il trattamento adeguato, ai fini della riduzione dei nutrienti. 5. Le Autorita' d'ambito, nella predisposizione dei programmi d'investimento di cui all'articolo 11 della L. 5 gennaio 1994, n.36, individuano gli interventi necessari per adeguare le reti fognarie e gli impianti di depurazione alle presenti Norme, tenendo in debita considerazione anche gli aspetti connessi alla gestione ottimale del complesso delle infrastrutture e degli impianti gravitanti nelle aree d'intervento. Titolo V - Linee di intervento nel comparto agro-zootecnico Art. 11. Applicazione di effluenti di allevamento in aree adibite ad uso agricolo 1. Costituiscono finalita' del presente Piano l'individuazione e la promozione di misure atte ad ottimizzare il rapporto azoto prodotto dai capi allevati e superficie utilizzata per l'applicazione al terreno degli effluenti zootecnici. 2. Il carico massimo di effluenti zootecnici applicabile alle aree adibite ad uso agricolo, in termini di azoto totale per ettaro e per anno, e' di 340 kg, compreso quello depositato dagli animali stessi, quando tenuti al pascolo, e gli eventuali fertilizzanti organici. Tale valore deve essere inteso come valore medio aziendale, al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione in campo, e calcolato, in via provvisoria, utilizzando la Tabella 1 e la Tabella 2, di cui all'Allegato 3 alle presenti Norme, sulla base della consistenza dell'allevamento, definita come numero di capi mediamente presenti e, successivamente all'emanazione del decreto di cui all'art.38 del D.lgs.11 maggio 1999, n.152. e successive modifiche ed integrazioni, utilizzando le tabelle presenti nel decreto stesso. 3. Nelle zone vulnerabili di cui all'art.8 comma 1, lettera b, nonche' in quelle ridefinite ai sensi dello stesso art. 8, comma 2, i relativi programmi regionali d'azione prevedono misure affinche' il carico massimo di effluenti zootecnici applicabile alle aree adibite ad uso agricolo, in termini di azoto totale per ettaro e per anno, non superi un apporto pari a 170 kg, compreso quello depositato dagli animali stessi, quando tenuti al pascolo, e gli eventuali fertilizzanti organici. Tale valore e' stimato come specificato al precedente comma 2. Sono fatte salve le deroghe di cui al punto 3, Parte A IV dell'Allegato 7 del D.lgs.11 maggio 1999, n.152 e successive modifiche ed integrazioni. 4. Le disposizioni di cui al precedente comma 3 si applicano, altresi', nei territori compresi nella Fascia A, fermo restando quanto definito al successivo art.13, comma 5, e nella Fascia B, cosi' come delimitate nelle Tavole grafiche del P.s.FF. e P.A.I. 5. Qualora sussistano particolari esigenze colturali, e nel caso di doppia coltura ad elevato assorbimento di azoto, i suddetti limiti per le zone vulnerabili e per i territori compresi nella Fascia A e nella Fascia B, cosi' come delimitati nelle Tavole grafiche del P.s.F.F. e del P.A.I., potranno essere superati, fatto salvo il limite massimo previsto al comma 2 del presente articolo, purche' sia dimostrata, attraverso un Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA), la corretta utilizzazione dei reflui zootecnici. 6. Resta ferma la facolta', da parte delle Regioni, di definire limiti piu' restrittivi di quelli di cui ai commi precedenti. Art. 12. Allevamenti zootecnici 1. Costituisce finalita' del presente Piano l'adozione di misure atte a ridurre la quantita' di effluenti zootecnici prodotti e a migliorarne le caratteristiche agronomiche. 2. Le misure prioritarie, da attuare nelle aree di intervento per il comparto agro-zootecnico, ai fini di cui al comma precedente, sono individuate in: a. adozione di sistemi di stabulazione finalizzati a migliorare la gestione degli effluenti zootecnici attraverso la modifica delle loro caratteristiche quali-quantitative; b. adozione di tecnologie finalizzate a ridurre il consumo idrico nell'allevamento e i volumi degli effluenti prodotti; c. adozione di misure atte ad allontanare le acque meteoriche dall'allevamento, al fine di ridurre i volumi di effluenti prodotti; d. adozione di programmi di sperimentazione. 3. Nelle zone vulnerabili di cui all'art.8 comma 1, lettera b nonche' in quelle ridefinite ai sensi dello stesso art. 8, comma 2 e nei territori della Fascia A e della Fascia B, cosi' come delimitati nelle Tavole grafiche del P.s.F.F. e del P.A.I., al fine di minimizzare l'impatto ambientale degli insediamenti zootecnici, si applicano le disposizioni di cui all'art.19, comma 5 del D.lgs.11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni. 4. A seguito di una prima verifica dell'applicabilita' delle prescrizioni di cui all'art.19, comma 5 del D.Igs.11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni ai territori indicati, nonche' degli effetti ottenuti, l'Autorita' di bacino, di concerto con le Regioni, puo' emanare apposita direttiva contenente prescrizioni aggiuntive a quanto gia' definito dal citato art.19 nonche' dal D.lgs. 4 agosto 1999, n. 372. Art. 13. Effluenti zootecnici 1. Costituisce finalita' del presente Piano la corretta utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici, nonche' l'individuazione e la promozione di misure atte alla ottimizzazione dei sistemi di stoccaggio e trattamento degli stessi. 2. Le misure prioritarie, da attuare nelle aree d'intervento per il comparto agro-zootecnico, ai fini di cui al comma precedente, sono individuate in: a. adozione di contenitori per lo stoccaggio degli effluenti zootecnici; b. adozione di sistemi di separazione solido-liquido ed eventuale trattamento degli effluenti zootecnici, finalizzato a migliorarne l'utilizzo agronomico; c. realizzazione di impianti di compostaggio; d. riequilibrio del rapporto tra capi allevati e superficie aziendale destinata allo spandimento dei reflui zootecnici; e. potenziamento dei servizi tecnici regionali di assistenza tecnica e controllo finalizzati alla corretta utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici e realizzazione di programmi di formazione, assistenza tecnica e informazione alle imprese agricole; f. adozione di programmi di sperimentazione. 3. Nelle zone vulnerabili di cui all'art.8, comma 1, lettera b, nonche' in quelle ridefinite ai sensi dell'art.8, comma 2, nei territori della Fascia A e della Fascia B, cosi' come delimitati nelle Tavole grafiche del P.s.F.F. e del P.A.I., e' obbligatoria la predisposizione del Piano di Utilizzazione Agronomica (PUA) per gli allevamenti con potenzialita' uguale o superiore a 6000 kg di azoto al campo per anno, calcolati, in via provvisoria, sulla base della Tabella 1 e della Tabella 2 di cui all'Allegato 3, fatte salve le disposizioni piu' restrittive previste dalle normative regionali vigenti, e, successivamente all'emanazione del decreto di cui all'art.38 del D.lgs.11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, utilizzando le tabelle presenti nel decreto stesso. 4. Il PUA, redatto sulla base delle disposizioni e adottato secondo le tempistiche definite dalle Regioni, deve consentire la valutazione delle modalita' di utilizzo dei reflui sulla base della quantita' di elementi fertilizzanti di diversa provenienza apportati alle singole colture, calcolati in base ai fabbisogni delle colture stesse, alla disponibilita' di elementi nutritivi presenti nel terreno e alle modalita' ed epoche di distribuzione. 5. Nelle more di analoghe disposizioni regionali, da emanare ai sensi del decreto ministeriale previsto dall'art.38 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, e fatto salvo quanto previsto ai punti m. ed n. del presente comma, l'applicazione dei liquami e' vietata: a. su terreni con pendenza superiore al 15%, privi di sistemazione idraulico-agraria, salvo deroghe dell'autorita' competente al controllo, accompagnate da prescrizioni specifiche volte ad evitare il ruscellamento; nel caso in cui vengano utilizzate tecniche di fertirrigazione di pascoli e prati-pascoli di alpeggio, attraverso un deflusso superficiale controllato, e' possibile utilizzare i liquami su terreni con pendenze superiore al 15%; b. su terreni gelati; c. in prossimita' dei corsi d'acqua naturali e di quelli non arginati del reticolo principale di drenaggio, a distanze definite dalla disciplina regionale e misurate a partire dalle sponde o dal piede degli argini; d. nei terreni in dissesto; e. nei terreni di golena aperta, ovvero non separati funzionalmente dal corso d'acqua mediante un argine secondario; f. nelle aree carsiche; g. in prossimita' di strade e di centri abitati, a distanze definite dalla disciplina regionale, a meno che i liquami non vengano immediatamente interrati; h. nei casi in cui i liquami possano venire a diretto contatto con i prodotti destinati al consumo umano; i. in orticoltura, a coltura presente, nonche' su colture da frutto, a meno che il sistema di distribuzione non consenta di salvaguardare integralmente la parte aerea delle piante; j. dopo l'impianto della coltura nelle aree adibite a parchi o giardini pubblici, campi da gioco, utilizzate per ricreazione o destinate in genere ad uso pubblico; l. su colture foraggere, nelle tre settimane precedenti lo sfalcio del foraggio o il pascolamento; m. nei territori compresi nella Fascia A, cosi' come delimitati nelle Tavole grafiche del P.s.F.F. e del P.A.I.; n. nel periodo 15112 - 2812, fatta salva la possibilita' dell'autorita' competente di modificare, di volta in volta, i suddetti termini in relazione alle effettive condizioni meteorologiche, anche per zone limitate. 6. Nelle more di analoghe disposizioni regionali, da emanare ai sensi del decreto ministeriale previsto dall'art.38 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, l'applicazione dei letami e' vietata: a. sulle superfici non interessate dall'attivita' agricola, ad esclusione delle aree a verde pubblico e privato; b. nei suoli boschivi; c. nelle aree di cava, salvo che ai fini del ripristino della copertura vegetale e successivamente ad esso; d. su terreni situati a distanza inferiore a 5 metri dai corsi d'acqua naturali e da quelli non arginati del reticolo principale di drenaggio, misurati a partire dalle sponde o dal piede degli argini, ove non diversamente specificato da altre norme o regolamenti giustificati da particolari condizioni locali; e. in prossimita' delle coste dei laghi e del mare, a distanze definite dalla disciplina regionale; f. sui terreni saturi d'acqua, con falda acquifera affiorante o con frane in atto. 7. Nei territori della Fascia A, cosi' come delimitati nelle Tavole grafiche del P.s.F.F. e dei P.A.I., e' vietata la nuova localizzazione dei contenitori di stoccaggio degli effluenti zootecnici ed e' incentivata la loro delocalizzazione dagli stessi territori. 8. AI fine di prevenire possibili perdite dai contenitori di stoccaggio, deve essere prevista la periodica verifica di efficienza degli stessi secondo modalita' e tempi definiti dalle Regioni. Art. 14. Conduzione dei suoli e pratiche agronomiche 1. Costituisce finalita' del presente Piano la promozione di Programmi d'intervento volti a favorire, ai sensi dell'art.19, comma 9 del D.Lgs.11 maggio 1999, n.152 e successive modifiche ed integrazioni, l'applicazione diffusa del Codice di Buona Pratica Agricola di cui al DM 19 aprile 1999, n. 86 e di ulteriori prescrizioni di carattere tecnico previste dalle Regioni, al fine di ridurre il dilavamento di nutrienti. 2. Le misure prioritarie, da attuare nelle aree d'intervento per il comparto agro-zootecnico, ai fini di cui al comma precedente, sono individuate in: a. adozione di un opportuno ordinamento colturale e di razionali tecniche per le lavorazioni del terreno; b. adozione di tecniche di fertilizzazione atte ad ottimizzarne l'efficienza e ad assicurare la distribuzione uniforme di dosi programmate di effluenti zootecnici e di concimi di sintesi, contenendo le perdite di azoto in atmosfera; c. potenziamento dei servizi tecnici regionali e realizzazione di programmi di assistenza tecnica e controllo, per la corretta conduzione dei suoli e le pratiche agronomiche; d. adozione di programmi di sperimentazione. Art. 15. Gestione delle acque reflue delle aziende agricole e agro-alimentari 1. Costituisce finalita' del presente Piano la corretta utilizzazione agronomica delle acque reflue delle aziende agricole, di cui all'art. 28, comma 7 c) del D.lgs.11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, e di altre piccole aziende agro alimentari ad esse assimilate in base ai criteri di cui all'art. 38, comma 2 dello stesso decreto, attraverso la promozione di interventi, da attuare nelle aree d'intervento per il comparto agro - zootecnico, finalizzati a: a. ottimizzare i sistemi di stoccaggio, trattamento e distribuzione delle acque reflue; b. favorire il risparmio idrico attraverso forme di riutilizzo delle acque gia' impiegate nel ciclo produttivo; c. adottare programmi di sperimentazione. 2. Le linee guida d'intervento relative alle linee d'intervento di cui al presente articolo saranno definite dalle Regioni, in accordo con l'Autorita' di bacino, in base ai criteri fissati dal decreto attuativo dell'art.38 del D.lgs.11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni. Titolo VI - Linee di intervento sul reticolo drenante Art. 16. Razionalizzazione dei reticolo drenante 1. Costituisce finalita' del presente Piano la promozione di misure finalizzate alla riduzione dei carichi di nutrienti veicolati dal reticolo drenante e alla razionalizzazione della gestione dei deflussi delle acque drenate. 2. Le misure prioritarie, da attuare nelle aree d'intervento, ai fini di cui al comma precedente, sono individuate in: a. realizzazione di fasce tampone e di ecosistemi filtro di tipo palustre; b. realizzazione di casse di espansione, ripristino di meandri e aumento della diversificazione dell'alveo; c. adeguamento delle sezioni di deflusso dei canali di bonifica e consolidamento delle sponde prevalentemente con tecniche di ingegneria naturalistica; d. riconversione dei metodi irrigui, miglioramento delle reti di adduzione e distribuzione, riordino dei bacini e delle utenze irrigue; e. realizzazione di sistemi di telecontrollo e di teleregolazione dei deflussi; f. realizzazione di interventi per l'utilizzo irriguo delle acque di colo e di sistemi di drenaggio controllato; g. realizzazione di programmi di formazione, assistenza tecnica e informazione e controllo finalizzati alla diffusione e alla corretta applicazione delle misure; h. adozione di programmi di sperimentazione. Titolo VII - Programmazione degli interventi Art. 17. Attuazione del Piano 1. Il Piano e' attuato in tempi successivi, anche per singole parti del territorio, attraverso Programmi triennali di intervento, ai sensi dell'articolo 21 e seguenti della L. 18 maggio 1989, n. 183, redatti sulla base delle finalita' e dei contenuti del Piano stesso e dei suoi allegati. 2. Il Piano puo' essere attuato, per gli interventi che coinvolgono piu' soggetti pubblici e privati ed implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie comunitarie, statali, regionali nonche' degli enti locali, anche mediante le forme di accordo tra i soggetti interessati, secondo i contenuti definiti dall'art. 203 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Accordi di programma, Contratti di programma, Intese istituzionali di programma). 3. Nell'ambito delle procedure di cui al comma precedente, l'Autorita' di bacino puo' assumere il compito di promozione delle forme di accordo e il ruolo di autorita' preposta al coordinamento della programmazione degli interventi e al controllo della loro attuazione. Art. 18. Piano finanziario 1. Il Piano finanziario definisce il fabbisogno finanziario a scala di bacino per le categorie di intervento di cui all'art.19, comma 1. 2. Il Piano finanziario individua le forme di finanziamento e le modalita' di accesso a tali finanziamenti ed e' suscettibile di revisione periodica. 3. Il Piano finanziario e' definito dall'Autorita' di bacino nella fase attuativa del Piano, sulla base dei Programmi triennali d'intervento. Art. 19. Formazione dei programmi triennali di intervento 1. I Programmi triennali di cui all'art.17 sono redatti in conformita' alle linee d'intervento di cui agli artt. 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 16. 2. I Programmi triennali degli interventi sono redatti dall'Autorita' di bacino sulla base dei Documenti Regionali di Previsione degli Interventi (DoRPI) contenenti, per ogni Regione, l'insieme degli interventi per i comparti civile e industriale e agrozootecnico e per il reticolo drenante ammessi a finanziamento. 3. Ai fini della predisposizione dei DoRPI, le Regioni definiscono, in accordo con l'Autorita' di bacino, i criteri per la selezione degli interventi da ammettere a finanziamento per ciascuna delle azioni previste nelle "Linee guida di intervento", tenuto conto dell'opportunita' di agire, prioritariamente, nel comparto agro zootecnico. 4. Sulla base dei criteri di cui al comma precedente, le Regioni individuano gli interventi da inserire nel DoRPI. L'Autorita' di bacino, in accordo con le Regioni, in funzione dei benefici complessivamente raggiungibili dagli interventi, dei tempi e dei costi d'attuazione, individua gli interventi da inserire nei Programmi triennali. Titolo VIII - Controllo dell'attuazione del Piano Art. 20. Monitoraggio 1. Ai fini del controllo dello stato di attuazione, il Piano promuove le seguenti azioni di monitoraggio: a. monitoraggio dell'attuazione degli interventi; b. monitoraggio dell'efficacia del Piano; c. monitoraggio economico e del consenso. 2. Le azioni di monitoraggio sono di competenza delle Regioni che operano secondo modalita' concordate in sede di Autorita' di bacino. 3. L'Autorita' di bacino, sulla base delle risultanze del monitoraggio, redige, periodicamente, una relazione sullo stato di attuazione del Piano. Art. 21. Monitoraggio dell'attuazione degli interventi 1. Le Regioni svolgono il monitoraggio dello stato di attuazione degli interventi programmati, in termini di grado di realizzazione, costi sostenuti, tempi di messa in esercizio, e ne trasmettono i risultati all'Autorita', con cadenza e modalita' da concordare. Art. 22. Monitoraggio dell'efficacia del Piano 1. Il controllo dell'efficacia del Piano si realizza attraverso il monitoraggio dello stato di qualita' delle acque superficiali e sotterranee del bacino del Po, in funzione dell'attuazione delle azioni programmate. 2. Il monitoraggio e' promosso dal presente Piano e realizzato nell'ambito dei sistemi di rilevamento dello stato di qualita' dei corpi idrici istituiti dalle Regioni, ai sensi dell'art. 19, commi 4 e 7 e dell'art. 43 del D.lgs.11 maggio 1999, n.152 e successive modifiche ed integrazioni. 3. Il coordinamento delle azioni di monitoraggio e del flusso delle informazioni e le proposte di eventuali integrazioni dei sistemi di monitoraggio regionali sono demandati al Comitato di Coordinamento Unificato, nell'ambito della Programmazione negoziata di cui alla Delibera 21198 del Comitato Istituzionale dell'Autorita' di bacino del Po. 4. Fermo restando quanto stabilito al precedente comma 2, il monitoraggio delle acque superficiali e' realizzato attraverso la rete interregionale di monitoraggio quali-quantitativo delle acque superficiali definita dal Comitato di Coordinamento Unificato. 5. Le Regioni sono tenute a fornire all'Autorita' di bacino i dati rilevati dal sistema di monitoraggio ambientale di bacino, al fine di consentire la messa a punto del quadro di sintesi della qualita' delle acque superficiali e sotterranee necessario per le finalita' di cui al comma 1. Art. 23. Monitoraggio economico e del consenso 1. L'Autorita' di bacino promuove il monitoraggio economico e del consenso, al fine di valutare gli effetti, indotti dalle azioni di Piano, sul sistema economico e sociale. Art. 24. Varianti e aggiornamenti del Piano 1. Le disposizioni del presente Piano hanno valore a tempo indeterminato. Esse sono aggiornate e variate a seguito del modificarsi delle condizioni di riferimento e di quanto previsto all'art.4 comma 8. 2. Nel caso in cui il modificarsi delle condizioni di riferimento di cui al comma precedente comporti l'esigenza di riformulare le strategie e le scelte fondamentali del presente Piano, il Piano stesso e' oggetto di una variante generale secondo le disposizioni di legge. 3. Fatto salvo quanto previsto al comma precedente, l'aggiornamento dei seguenti elaborati di Piano e' operato con deliberazione del Comitato Istituzionale, sentiti gli Enti interessati: a. Allegato 2: criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle aree sensibili e delle zone vulnerabili, di cui agli artt. 18 e 19 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni; b. Allegato 3: tabelle per il calcolo dell'azoto prodotto dalle diverse tipologie animali allevate; c. Fabbisogno finanziario; d. Linee guida di intervento. 4. Le eventuali modifiche delle aree d'intervento, derivanti dalle revisioni previste all'art. 7, comma 3 e all'art. 8, comma 3, sono recepite dal Piano con deliberazione del Comitato Istituzionale. |
| Allegato 1
Parte A Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per le sezioni strategiche dell'asta dei fiume Po Nella tabella che segue sono indicate le concentrazioni massime ammissibili di fosforo totale, espresse in concentrazioni medie annue, relative ai traguardi temporali intermedio e finale (rispettivamente 2008 e 2016), per le sezioni strategiche lungo l'asta del fiume Po.
Tabella 1
Sezioni strategiche Concentrazioni massime ammissibili (mg P tot/l)
Traguardo intermedio Traguardo finale 2008 2016
Isola S. Antonio 0,12 0,10 Piacenza 0,14 0,12 Boretto 0,14 0,12 Pontelagoscuro 0,12 0.10
Parte B Concentrazioni massime ammissibili di fosforo per i Grandi laghi prealpini
L'obiettivo di qualita' finale e' pari ad una concentrazione di fosforo totale non superiore ad un incremento del 25% della concentrazione naturale. L'obiettivo di qualita' intermedio e' pari ad una concentrazione di fosforo totale non superiore ad un incremento della concentrazione obiettivo finale del 50%. La concentrazione naturale di fosforo deve essere calcolata utilizzando l'indice MEI. |
| Allegato 2
Criteri per l'omogeneizzazione, a scala di bacino, della metodologia di individuazione delle aree sensibili e delle zone vulnerabili, di cui agli artt. 18 e 19 del D.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni
Parte A Aree sensibili A.1 Finalita' Nell'Allegato 6 del D.lgs. 152/99 e successive modifiche ed integrazioni si definisce area sensibile "...un sistema idrico classificabile in uno dei seguenti gruppi: a. laghi naturali, altre acque dolci, estuari e acque del litorale gia' eutrofizzati, o probabilmente esposti a prossima eutrofizzazione, in assenza di interventi protettivi specifici; b. acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile che potrebbero contenere, in assenza di interventi, una concentrazione di nitrato superiore a 50 mg/l (stabilita conformemente alle disposizioni pertinenti della direttiva 75/440 concernente la qualita' delle acque superficiali destinate alla produzione d'acqua potabile); c. aree che necessitano, per gli scarichi afferenti, di un trattamento supplementare al trattamento secondario al fine di conformarsi alle prescrizioni previste dalla presente norma." La prima designazione delle aree sensibili e' effettuata all'art. 18, comma 2, del D.lgs. 152/99 e successive modifiche ed integrazioni. Sulla base di quanto stabilito nell'Allegato 6, le Regioni, entro un anno dall'approvazione del citato decreto, sentita l'Autorita' di bacino, possono designare ulteriori aree sensibili, ovvero possono individuare all'interno delle aree indicate nel comma 2, i corpi idrici che non costituiscono aree sensibili. Tali aree sono soggette a reidentificazione con cadenza quadriennale. Le Regioni devono, inoltre, provvedere alla delimitazione e alla reidentificazione periodica dei bacini drenanti alle aree sensibili che contribuiscono all'inquinamento di tali aree nonche' all'individuazione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane ivi presenti da assoggettare alla disciplina degli scarichi in acque superficiali previsti ai commi 1 e 2 dell'art. 32. Data la complessita' dei fenomeni che concorrono a determinare la trofia delle acque, al fine di assicurare, a scala di bacino, la congruita' degli approcci metodologici utilizzati, si e' ritenuto opportuno proporre criteri comuni, integrativi rispetto a quanto gia' disposto nell'allegato 6 del D.lgs. 152/99 e successive modifiche ed integrazioni. L'obiettivo dell'Allegato e' la definizione di tali criteri integrativi, a partire dai quali, le Regioni possono avviare le attivita' di individuazione delle aree sensibili, dei bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento di tali aree e degli impianti di depurazione ivi presenti e operare le successive revisioni. A.2 Definizioni Ai fini della trattazione che segue si intende per: Trattamento supplementare: qualsiasi trattamento di rimozione dei nutrienti, nei riguardi del fosforo o dell'azoto o di ambedue, dalle acque reflue urbane, in aggiunta al secondario, che garantisca il raggiungimento degli obiettivi di qualita' ambientale del corpo idrico recettore, ovvero che consenta agli scarichi di ottemperare ai requisiti specifici stabiliti nella Tabella 2 dell'Allegato 5 del D.lgs. 152/99 e successive modifiche ed integrazioni. Baci'no drenante: territorio su cui insiste la rete idrografica naturale e artificiale che afferisce ad uno stesso corpo idrico. A.3 Criteri Ai fini dell'individuazione e della reidentificazione delle aree sensibili appartenenti ai gruppi a. e c. precedentemente richiamati e dei bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento di tali aree verra' effettuata un'analisi articolata in due fasi successive. Prima fase Riguarda la caratterizzazione del corpo idrico attraverso l'analisi dei seguenti fattori: 1. caratteristiche morfometriche e idrologiche del corpo idrico e individuazione del bacino drenante; 2. stato trofico definito sulla base di parametri descrittivi, fra i quali, la concentrazione dei nutrienti, la concentrazione di ossigeno disciolto e di altre componenti biologiche; 3. presenza di biocenosi di particolare pregio naturalistico. Seconda fase Riguarda l'individuazione, all'interno del bacino drenante, delle sorgenti di carico di nutrienti che concorrono a determinare l'attuale condizione trofica attraverso: 1. la quantificazione dei carichi di nutrienti gravanti sul corpo idrico e sul bacino drenante provenienti dalle seguenti sorgenti: a. scarichi diretti di acque reflue urbane e industriali sul corpo idrico; b. scarichi di acque reflue urbane e industriali nei corsi d'acqua appartenenti al bacino drenante al corpo idrico; c. sorgenti diffuse gravanti sul corpo idrico. 2. la ricognizione dello stato di fatto delle opere di riduzione dei carichi e la valutazione dell'efficacia dei relativi trattamenti; 3. la correlazione del carico di nutrienti e la condizione trofica del corpo idrico. Sulla base di tali valutazioni, le Regioni: - classificano il corpo idrico analizzato come sensibile nel caso in cui ricorrono le condizioni previste dall'Allegato 6 del D.lgs. 152/99 e successive modifiche ed integrazioni; - individuano le porzioni di territorio appartenenti al bacino drenante che concorrono maggiormente a determinare la condizione trofica attuale del corpo idrico; - predispongono un piano di intervento, tenuto conto dell'impegno economico e dei benefici ambientali conseguibili. A.4. Modalita' operative La reidentificazione delle aree sensibili e dei bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento di tali aree, da effettuarsi con cadenza quadriennale, verra' preceduta da opportuni approfondimenti conoscitivi, che ogni singola regione dovra' avviare, in base alle proprie necessita', attraverso le attivita' di monitoraggio previste dall'allegato 1 dei D.lgs. 152199 e successive modifiche ed integrazioni e le indagini finalizzate alla caratterizzazione fisica del bacino drenante e all'analisi delle pressioni antropiche secondo quanto previsto al paragrafo A.3 del presente allegato. Alla definizione dell'approccio metodologico omogeneo di cui al paragrafo A.3, provvede l'Autorita' di bacino, in accordo con le Regioni, entro sei mesi dall'approvazione del presente piano. Presso l'Autorita' di bacino sara' istituita una commissione costituita da rappresentanti degli enti territorialmente competenti, per la definizione di quanto sopra specificato. Parte B Zone vulnerabili B.1 Finalita' Nell'allegato 7/A del D.lgs.152/99 e successive modifiche ed integrazioni, si definiscono vulnerabili "...le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque gia' inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali scarichi". Tali acque vengono individuate, tra l'altro, in base ai seguenti criteri: a. la presenza di nitrati, o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/l in acque dolci superficiali, in particolare quelle destinate alla produzione di acqua potabile, in assenza degli interventi previsti dall'art.19 del decreto stesso; b. la presenza di nitrati, o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/l in acque dolci sotterranee, in assenza degli interventi previsti dall'art.19 del decreto stesso; c. la presenza di eutrofizzazione oppure la possibilita' di verificarsi di tale fenomeno nell'immediato futuro nelle acque dolci superficiali, negli estuari, nelle acque costiere e marine, in assenza degli interventi previsti dall'art.19 del decreto stesso. Da tale definizione discende che l'individuazione delle zone vulnerabili deve essere effettuata tenendo conto sia dei fattori naturali che concorrono a determinare uno stato di contaminazione delle acque, che di quelli antropici connessi alla produzione dei carichi inquinanti, tenendo conto, nel contempo, dell'attuale grado di compromissione delle acque superficiali e sotterranee. Data la complessita' dei fattori concorrenti e delle interrelazioni tra essi esistenti, al fine di assicurare congruita' nell'individuazione, da parte delle Regioni, delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, riferite alle acque superficiali e sotterranee, si e' ritenuto necessario individuare criteri comuni, integrativi rispetto a quanto gia' disposto all'art.19, comma 3 e all'allegato 7/A del D.lgs.152/99 e successive modifiche ed integrazioni. L'obiettivo del documento e' la definizione di tali criteri integrativi, a partire dai quali, le Regioni avvieranno le attivita' di individuazione delle zone vulnerabili e opereranno le periodiche revisioni. B.2 Definizioni Ai fini della trattazione che segue si intende per: - vulnerabilita' intrinseca: la suscettibilita' dei sistemi acquiferi, nelle loro diverse parti e nelle diverse situazioni geometriche ed idrodinamiche, ad assorbire e diffondere, anche mitigandone gli effetti, un inquinante fluido od idroveicolato, tale da produrre impatto sulla qualita' dell'acqua sotterranea, nello spazio e nel tempo; - capacita' protettiva del suolo ai nitrati: l'attitudine di un suolo, in relazione alle sue caratteristiche intrinseche, ad impedire il passaggio di nitrati nelle acque profonde e in quelle superficiali; - vulnerabilita' specifica da nitrati: la vulnerabilita' riferita oltre che alle caratteristiche intrinseche del sottosuolo anche alla capacita' protettiva dei suoli rispetto al propagarsi dei nitrati. B.3 Criteri All'individuazione delle zone vulnerabili, cosi' come definite all'allegato 7/A del D.lgs.152/99 e successive modifiche ed integrazioni, concorrono i seguenti fattori: a. idrogeologici b. pedologici c. idrochimici d. antropici. I fattori a. e b. concorrono a determinare la vulnerabilita' specifica da nitrati attraverso la determinazione della vulnerabilita' intrinseca degli acquiferi e della capacita' protettiva dei suoli ai nitrati. Definito il grado di vulnerabilita' specifica da nitrati delle acque superficiali e sotterranee, per l'individuazione delle zone vulnerabili occorre considerare il fattore c., ai fini della definizione del grado di concentrazione di composti azotati, con riferimento ai limiti indicati al paragrafo "Criteri per l'individuazione delle zone vulnerabili" dell'allegato 7/A del D.lgs.152/99 e successive modifiche ed integrazioni, e il fattore d., ai fini del calcolo dei carichi di azoto, derivanti da attivita' agrozootecniche, che insistono sulle aree a diverso grado di vulnerabilita' specifica. L'individuazione di una zona vulnerabile discende, pertanto, dalla concomitanza delle seguenti condizioni: - elevato grado di vulnerabilita' specifica da nitrati del territorio considerato; - elevato carico di azoto derivante dalle attivita' agro- zootecniche che insistono su tale territorio; - presenza di acque inquinate o potenzialmente inquinabili, a causa delle attivita' agro-zootecniche in corso nei territori considerati, in caso di mancato intervento ai sensi dell'art.19 del D.lgs.152/99 e successive modifiche ed integrazioni. Dal punto di vista metodologico, ai fini della determinazione della vulnerabilita' specifica da nitrati, verranno considerati i seguenti fattori. B.3. 9 Fattori idrogeologici Sono costituiti dalle caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi e concorrono a definire la vulnerabilita' intrinseca degli stessi. La valutazione della vulnerabilita' intrinseca non prende in considerazione le caratteristiche chemiodinamiche dell'inquinante, assimilandone il comportamento a quello dell'acqua, criterio, questo, che si ritiene deponga a favore della sicurezza. Ai fini della valutazione della vulnerabilita' intrinseca, si procedera' tramite l'applicazione di una metodologia parametrica o di una del tipo proposto dal CNR-GNDCI, basato sulla valutazione della vulnerabilita' per aree omogenee. Nel caso della metodologia parametrica, e' necessario considerare un numero consistente di parametri a ciascuno dei quali viene attribuito un valore e quindi assegnato un peso, in funzione del diverso ruolo assunto dal parametro stesso nella determinazione della vulnerabilita'. Nel caso di una metodologia del tipo CNR-GNDCI, la valutazione della vulnerabilita' e' effettuata in funzione di un ristretto numero di indici litologici, tessiturali, piezometrici e idrodinamici di carattere non rigorosamente quantitativo. Ai fini della confrontabilita' a scala di bacino, dovranno essere definite delle linee metodologiche tra loro conformi. L'indagine e' effettuata a partire da una base conoscitiva comune a scala di bacino, costituita dalla Carta della vulnerabilita' degli acquiferi alla scala 1:250.000, realizzata dall'Autorita' di bacino. B.3.2 Fattori pedologici Sono riferibili al suolo e comprendono tutti gli elementi fisico-chimici primari e idraulici che concorrono a definire la capacita' protettiva del suolo. Oltre le caratteristiche di tessitura, struttura, contenuto di sostanza organica dei diversi suoli presenti, tra i fattori pedologici verranno considerati la tipologia di copertura vegetale sia naturale che agricolo-produttiva, tipica di ogni ambito suolopaesaggio, e gli aspetti climatici caratterizzanti le diverse aree del territorio. Ai fini della valutazione della capacita' protettiva delle unita' suolo-paesaggio, le Regioni procederanno adottando per il territorio di propria competenza la metodologia ritenuta piu' opportuna, sulla base dei risultati ottenuti con modelli di simulazione del bilancio idrico dei suoli, di dati ed esperienze sperimentali, dell'applicazione di schemi e metodi parametrici, e/o della stima di un esperto. Oggetto della valutazione e' la capacita' protettiva nei confronti delle acque superficiali e di quelle profonde, separatamente, dell'intero sistema suoloclima-coltura-pratiche colturali nel suo insieme. La classificazione delle unita' suolo-paesaggio dovra' essere esplicitamente motivata, con illustrazione dei criteri adottati, dei dati, delle esperienze su cui si e' basata l'attribuzione e, comunque, dovra' essere sempre supportata da un bilancio idrico, almeno semplificato, che, tenendo conto degli apporti idrici complessivi, delle perdite evapotraspirative e della distribuzione dei surplus tra percolazione e scorrimento, consenta la confrontabilita' e la correlazione a livello di bacino. Ai fini della confrontabilita' a scala di bacino, dovranno essere adottate classi comuni, definite in termini quantitativi di flussi idrici in uscita dal sistema, e una comune legenda per la riproduzione cartografica dei tematismi. A partire dai due prodotti cartografici relativi alla vulnerabilita' intrinseca degli acquiferi e alla capacita' protettiva dei suoli, attraverso una procedura di assemblaggio si determina la vulnerabilita' specifica da nitrati. Oltre ai fattori sopra analizzati, ai fini della determinazione delle zone vulnerabili sono considerati i seguenti fattori aggiuntivi. B.3.3 Fattori idrochimici Definiscono il grado di compromissione delle acque superficiali e sotterranee in relazione alla presenza di nitrati, prendendo a riferimento, come concentrazione massima ammissibile, il valore di 50 mg/l indicato nell'allegato 7/A al D.lgs.152/99 e successive modifiche ed integrazioni. Alla determinazione delle concentrazioni di nitrati provvedono le Regioni, predisponendo e attuando un programma di monitoraggio, da coordinare in sede di Comitato di Coordinamento Unificato, sulla base delle prescrizioni di cui all'allegato 7/A relative ai "Controlli da eseguire ai fini della revisione delle zone vulnerabili". B.3.4 Fattori antropici Sono definiti in termini di carichi potenziali di nutrienti di origine agricola e zootecnica. Per carico potenziale si intende la quantita' di nutrienti rilasciata dalle sorgenti di inquinamento durante un determinato periodo di tempo. Alla stima dei carichi potenziali di nutrienti provvedono le Regioni, sulla base di metodologie di calcolo del tipo illustrato nella "Relazione generale" costituente parte integrante del Progetto di piano stralcio per il controllo dell'eutrofizzazione, basate sull'utilizzo di fattori di carico differenziati in funzione della fonte inquinante. B.4 Modalita' operative La metodologia illustrata nel presente allegato si riferisce alla ridefinizione di dettaglio delle zone vulnerabili, da realizzare in seguito ad opportuni approfondimenti conoscitivi, come stabilito nell'allegato 7/A del D.lgs.152 e successive modifiche ed integrazioni. L'applicazione di tale metodologia, pertanto, deve essere preceduta da specifiche indagini, finalizzate ad integrare ed aggiornare le informazioni ad oggi disponibili e renderle il piu' possibile omogenee a scala di bacino. Le indagini devono essere avviate da ogni singola regione, in base alle proprie necessita' conoscitive relative ad ognuno dei fattori elencati. L'analisi dei fattori concorrenti alla individuazione delle zone vulnerabili e la predisposizione della relativa documentazione tecnica (Carta della vulnerabilita' intrinseca degli acquiferi, Carta della capacita' protettiva del suolo ai nitrati e Carta delle zone vulnerabili da nitrati) e' effettuata dalle Regioni che operano, ciascuna per il territorio di propria competenza, seguendo gli indirizzi metodologici tracciati nei paragrafi precedenti, nel rispetto della tempistica indicata nella Tabella 1. Al fine di assicurare la confrontabilita' a scala di bacino della cartografia regionale, l'Autorita' di bacino, in accordo con le Regioni, entro sei mesi dall'approvazione del presente Piano, dovra' definire, in base a quanto specificato al precedente punto B.3, i requisiti di minima a cui dovranno soddisfare le metodologie applicate per le elaborazioni relative ai vari fattori individuati. Presso l'Autorita' di bacino sara' istituita una Commissione costituita da rappresentanti degli enti territorialmente competenti per la definizione di quanto sopra specificato. L'individuazione delle zone vulnerabili e' prevista entro il secondo trimestre del terzo anno di attivita', a seguito della valutazione della vulnerabilita' specifica da nitrati (entro la fine del primo semestre del terzo anno di attivita') e sulla base dei risultati delle attivita' di monitoraggio relative al grado di compromissione delle acque e dei carichi di origine agricola e zootecnica che insistono sul territorio. ----> Vedere tabella nel formato PDF <---- |
| Allegato 3 Tabelle per il calcolo dell'azoto prodotto dalle diverse tipologie animali allevate ----> Vedere tabella nel formato PDF <---- ----> Vedere tabella nel formato PDF <---- |
|
|
|