| Gazzetta n. 100 del 2 maggio 2001 (vai al sommario) |  
| CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO |  
| PROVVEDIMENTO 8 marzo 2001 |  
| Accordo  tra  il  Ministro  della  sanita'  e le regioni e province autonome  di  Trento  e  Bolzano  sulle  linee-guida  concernenti  la prevenzione, la diagnostica e l'assistenza in oncologia. |  
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        LA CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO        LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO
     VISTO  l'articolo  2, comma 2, lett. b) del decreto legislativo 28 agosto  1997,  n.  281,  che affida a questa Conferenza il compito di promuovere e sancire accordi, secondo quanto previsto dall'articolo 4 del medesimo decreto legislativo;   VISTO l'articolo 4, comma 1, del predetto decreto legislativo, nel quale  si  prevede  che,  in  questa  Conferenza,  Governo, Regioni e Province   autonome,   in   attuazione   del   principio   di   leale collaborazione,  possano  concludere  accordi  al  fine di coordinare l'esercizio  delle  rispettive  competenze  e  svolgere  attivita' di interesse comune;   VISTO  lo  schema di accordo pervenuto dal Ministero della sanita' il 10 novembre 2000;   CONSIDERATO  che  il  13  dicembre 2000 e il 1o marzo 2001 in sede tecnica,  i  rappresentanti  delle  Regioni  hanno  formulato  alcune proposte di modifica al testo dell'accordo in oggetto, che sono state accolte dai rappresentanti delle Amministrazioni centrali;   VISTO  lo schema di accordo, pervenuto dal Ministero della sanita' il 2 marzo 2001;   ACQUISITO  l'assenso  del Governo e dei Presidenti delle Regioni e Province  Autonome,  espresso  ai  sensi dell'articolo 4, comma 2 del richiamato decreto legislativo;
         sancisce il seguente accordo nei termini sottoindicati:
  Il  Ministro  della  sanita',  le  Regioni  e le Province autonome di                          Trento e Bolzano
  CONSIDERATO che il Piano sanitario nazionale 1998-2000, all'obiettivo II   "Contrastare   le   principali  patologie"  indica  le  malattie neoplastiche  tra  le  aree  cruciali  di  intervento e si propone di contrastarle   attraverso   interventi   di  prevenzione  primaria  e secondaria e di promuovere l'efficacia dei programmi assistenziali;   CONSIDERATO  altresi'  che  in  oncologia,  l'invecchiamento della popolazione,  la  crescita  del  numero delle persone affette da tale patologia, il conseguente aumento dei bisogni, con diversi livelli di complessita',    per    i   quali   occorre   garantire   continuita' dell'intervento  di cura senza tralasciare le variabili psico-sociali in  grado  di contribuire a migliorare la qualita' di vita richiedono la  capacita'  di erogare risposte integrate e coordinate, e che tale obiettivo  presuppone non solo l'integrazione professionale, ma anche istituzionale  e  gestionale,  finalizzata  alla  realizzazione di un concreto coordinamento degli interventi nei diversi settori impegnati nella  produzione  di  servizi  e  coinvolti, a diverso titolo, nella prevenzione,   diagnosi,   cura   e   riabilitazione  delle  malattie oncologiche;   RITENUTO  che  presupposto  irrinunciabile  e'  quindi  una  forte integrazione  tra  le  strutture  che erogano assistenza oncologica e quelle   che  si  occupano  piu'  specificamente  degli  esiti  della patologia;   RITENUTO  che  i  miglioramenti terapeutici ed assistenziali ed il miglioramento  della  qualita'  di  vita  sono  pertanto strettamente connessi  alla  definizione di specifici percorsi, tramite i quali le strutture  preposte si attivano, per garantire la presa in carico del paziente oncologico durante tutte le fasi della malattia, promuovendo e   realizzando   il  coordinamento  delle  attivita'  ospedaliere  e territoriali;
                         Convengono quanto segue
    -  il  presente documento: "Linee Guida concernenti la prevenzione,  la diagnosi e l'assistenza in oncologia" ferma restando l'autonomia  organizzativa  delle  Regioni  e Province autonome, la formulazione  delle  linee  generali,  in  un processo armonico e coordinato, per  l'implementazione  del  sistema  della rete dei servizi oncologici,  che  presuppone,  in relazione ai bisogni assistenziali, interventi  da erogare in ambito ospedaliero e territoriale, nella logica della  continuita'   assistenziale,   tenuto   conto   anche   della  loro  intensita'.  - al fine della realizzazione di quanto previsto nel presente piano  il  Ministero  della  sanita',  tramite  la  Commissione oncologica  nazionale,   che   si   provvedera'   ad   integrare   con   cinque  rappresentanti  regionali, assicurera' un'azione di promozione e di  coordinamento  nelle  attivita'  che le Regioni potranno sviluppare  nell'implementazione  delle  Linee  Guida che sono parte integrante  del  presente  accordo  e procedera', concordandolo con le Regioni,  all'attivazione  di  un  sistema  di rilevazione periodica dei dati  inerenti gli obiettivi specifici intermedi indicati nel documento e  sullo  stato  d'avanzamento  e  di  realizzazione  delle  strategie  sottese all'implementazione del Piano oncologico.
                                          Il presidente: DI CAMILLO  |  
|   |                  DIREZIONE GENERALE DELLA PREVENZIONE               (gia' -DIPARTIMENTO DELLA PREVENZIONE-)                  Commissione oncologica nazionale
                 Linee Guida concernenti la prevenzione,               la diagnosi e l'assistenza in oncologia
                                 Parte I
              GLI OBIETTIVI DI SALUTE DEL PIANO ONCOLOGICO                              NAZIONALE
  PREMESSA
     Il  cancro  e'  una  delle  patologie piu' complesse e diffuse nel panorama epidemiologico clinico attuale.   La  complessita'  della  patologia  oncologica  dipende  da alcune caratteristiche  biologiche  e cliniche peculiari dei tumori maligni, quali  l'eziologia  multifattoriale,  l'eterogeneita'  biologica,  la variabilita'  delle  manifestazioni  cliniche e della storia naturale della malattia, l'estrema diversificazione della risposta terapeutica ai  diversi  trattamenti,  in  particolare  alla  terapia  medica, in funzione del tipo istologico e delle proprieta' bio-molecolari, della sede  d'insorgenza  della  neoplasia  e,  infine,  la  gravita' delle problematiche  assistenziali,  psicologiche  e  sociali sollevate dal riconoscimento della malattia e dall'evoluzione della stessa verso la cronicita' o verso la fase terminale.   La   diffusione   della   malattia  rappresenta  inoltre  un  dato quantitativo  che,  al  pari  della complessita' biologica e clinica, pone l'esigenza del controllo del cancro fra le priorita' assolute in tema di tutela della salute.
  IMPATTO COMPLESSIVO DELLA PATOLOGIA ONCOLOGICA
     I  dati  epidemiologici di maggior rilievo riguardano l'incidenza, la  mortalita'  e  la  prevalenza  della  malattia  nella popolazione italiana.   La  misura  dell'incidenza  e'  un  indicatore  del  fabbisogno di risorse  diagnosticoterapeutiche nella fase d'esordio della malattia. L'incidenza  stimata dei tumori maligni in Italia e' pari a 389.8 nei maschi e 309.5 nelle femmine per 100.000 abitanti. Nel 1996, per 1000 abitanti,  i  tassi  complessivi  di mortalita' per cancro sono stati 3,14 nei maschi e 2,12 nelle femmine. ( fonte I.S.S.) La probabilita' di  ammalare  di  cancro,  nel  corso  della propria vita, e' per gli uomini di 1\3 e per le donne 1\4. Il cancro e' inoltre la prima causa di anni di vita perduti.   In  termini  assoluti,  in  Italia  i  nuovi  casi annui di tumore maligno  assommano  a circa 270.000. I decessi, dovuti ogni anno alla malattia,  sono  circa  150.000, pari al 24-25 % di tutte le cause di morte  e  occupano il secondo posto dopo le malattie cardiovascolari. Nel  1996  si  sono verificati 87.428 decessi per cancro nei maschi e 62.726 decessi nelle femmine. (fonte I.S.S.)   I tassi di mortalita', compresi nella fascia di eta' tra i 35 ed i 64  anni,  si sono mantenuti piuttosto costanti, mentre e' aumentata, nell'ultimo  decennio,  l'incidenza  della  patologia neoplastica. Il dato  puo'  rappresentare un utile indicatore del miglioramento delle potenzialita'  diagnostico-terapeutiche e degli assetti organizzativi nel campo dell'assistenza ai malati oncologici.   Se   per   alcune  neoplasie  (prostata  e  polmone)  l'incremento dell'incidenza  puo'  correlarsi  al  prolungamento della vita media, cio' non e' per altre patologie (mammella, colon retto, melanoma) per le  quali  vi  e'  stato invece un significativo aumento, anche nelle fasce di eta' piu' giovani, comprese tra i 35 ed i 64 anni.   Il piu' frequente tumore nel sesso maschile e' quello del polmone, che  colpisce  ogni anno 29.000. uomini; il piu' frequente tumore nel sesso  femminile  e'  quello del seno, che colpisce ogni anno 31.000. donne.
  DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI TUMORI IN ITALIA.
     La   distribuzione   del   cancro   in  Italia  e'  caratterizzata dall'elevata  differenza di incidenza e di mortalita' fra grandi aree del  paese,  in particolare fra nord e sud. In entrambi i sessi e per la  maggior  parte  delle  singole  localizzazioni  tumorali,  ed  in particolare per i tumori a maggiore frequenza, il rischio di ammalare e' molto superiore al nord che al sud del paese. Questo dato e' unico tra  i  paesi  industrializzati  europei, dove si hanno, fra regioni, differenze meno marcate.   Questi  dati  sembrano  d'altronde essere coerenti con quanto noto sulla   minore  presenza  di  fattori  di  rischio  di  tumore  nelle popolazioni meridionali quali:
    -  livelli di consumo di tabacco e di alcool inferiori a quelli del  nord del paese;  -  profili  riproduttivi  di  cui  e' dimostrata l'associazione con  ridotti livelli di rischio dei tumori della mammella;  -  meno frequente esposizione a sostanze cancerogene in ambienti di  vita e di lavoro;  -  abitudini  alimentari ricche di vegetali freschi e relativamente  povere di grassi animali.
  I CONFRONTI INTERNAZIONALI
     Nel caso dei tumori piu' frequenti: polmone, colon-retto, mammella e  vescica,  i  dati  italiani sono allineati ai livelli di frequenza piu'  elevati  del  Nord  America  e  Nord  Europa; nel caso di altre neoplasie  rilevanti,  quali  il  cancro dello stomaco, il cancro del fegato  e  della  prostata, i profili di rischio sono comparabili con quelli  propri di paesi a basso sviluppo economico. Tali osservazioni collocano l'Italia ai livelli alti di frequenza, osservati nel mondo.
  LA SOPRAVVIVENZA
     Nelle malattie croniche e nel caso specifico nei tumori, la durata della   sopravvivenza   e'   considerata   la  misura  piu'  adeguata dell'efficacia delle cure. Le differenze di sopravvivenza fra tipi di tumori   e'   funzione  peraltro  di  numerose  variabili,  quali  la possibilita'  di una loro diagnosi in fase asintomatica, attraverso i test  di  screening,  la  probabilita'  di  una loro diagnosi in fase sintomatica precoce, l'efficacia di specifici trattamenti.   Per  alcune  neoplasie  si dispone di test di screening di provata efficacia,   nel  consentire  trattamenti  precoci  che  riducano  la letalita'. Per altre, al momento, non esistono simili strumenti ed il trattamento dei casi sintomatici produce tuttora risultati deludenti. L'osservazione  della  durata della sopravvivenza, a cinque anni, per il complesso dei tumori, mostra che i risultati terapeutici osservati in  Italia sono buoni e la situazione nel complesso puo' considerarsi soddisfacente.  Le  differenze  riscontrabili  all'interno  del paese indicano   che  vi  sono  comunque  margini  di  miglioramento  delle possibilita'  di  trattamento per alcune forme tumorali. Il confronto con  il  quadro  europeo  e'  buono. Infatti, i dati di sopravvivenza rilevati in Italia sono uguali, superiori e, nei casi meno brillanti, comunque non inferiori ai livelli minimi osservati in altri paesi.
  LA PREVALENZA
     I dati di prevalenza esprimono il carico di una patologia presente in una popolazione. Per quanto attiene le malattie neoplastiche, sono quindi indicatori della domanda di servizi nelle fasi successive alla fase acuta della malattia.   La  prevalenza  stimata  delle  persone  che  vivono oggi avendo o avendo avuto una storia di cancro e' di circa 1.400.000.   I  dati  relativi all'incidenza e sopravvivenza dei tumori sono in aumento,  cosi'  come  e'  in  crescita l'attesa di vita, anche nelle persone  anziane.  Queste tendenze convergono nell'allargare la quota di  casi  prevalenti  nella  popolazione.  Sono  quindi  evidenti  le implicazioni  che  la  patologia  oncologica,  nelle  sue varie fasi, comporta per il servizio sanitario e per la societa'.
  OBIETTIVI PRIMARI
  In   questo  scenario  epidemiologico-clinico,  il  Piano  Oncologico Nazionale si propone di raggiungere i seguenti obiettivi primari:
  1- riduzione dell'incidenza dei tumori;
  2 - riduzione della mortalita';
  3  -  aumento  della  sopravvivenza e miglioramento della qualita' di vita dei malati di cancro.
     Gli  obiettivi  primari  del  Piano  Oncologico  Nazionale possono essere  raggiunti  con un'appropriata metodologia, che consiste nella realizzazione  di  una  concreta  strategia  globale di controllo del cancro, da perseguire attraverso l'individuazione, la programmazione, la  pianificazione  e  l'attuazione pratica di adeguati interventi di sanita' pubblica in campo oncologico.   Il  razionale sul quale si basa la strategia globale del controllo del  cancro  deriva  dalla complessita' del fenomeno e dall'esigenza, che  ne consegue, di utilizzare in modo integrato tutti gli strumenti attualmente  disponibili  per  fronteggiare  i  diversi aspetti della malattia, che sono di seguito elencati:
  - epidemiologia;.br, - prevenzione primaria; - diagnosi precoce; - ricerca preclinica e clinica; - diagnosi; - terapia; - realizzazione delle cure palliative in oncologia.
     La  condizione,  perche'  si  realizzi  un  efficace intervento di controllo  del  cancro, e' che le relative azioni siano adeguatamente coordinate    ed    integrate.    Solo   realizzando   l'integrazione organizzativa  delle risorse dedicate alla prevenzione, alla diagnosi e,  particolarmente,  di  quelle  dedicate specificatamente alle cure oncologiche,  e'  prevedibile  il  miglioramento  dell'efficacia  dei servizi sanitari.   Infatti,  la  possibilita'  di  disporre  di tecnologie di elevata qualita',    sia   a   livello   diagnostica   sia   terapeutico,   e contestualmente il conseguimento delle migliori forme di integrazione di  chirurgia,  chemioterapia  e  radioterapia consentono di ottenere migliori  risultati  in  termini di sopravvivenza, come dimostrato da studi  recenti  condotti  dai Registri Tumori di popolazione italiana (ITACARE) ed europea (EUROCARE).   Questi  studi  hanno  dimostrato  che  la  sopravvivenza  a  lungo termine,  a  5 e a 10 anni dalla diagnosi, dei casi affetti da tumore maligno,  e'  aumentata  significativamente  negli ultimi venti anni, passando  da  valori  del  30-35  % a valori del 40-45% e, per alcuni tumori, superando la soglia del 50%. Cio' ha comportato una riduzione del  rischio  globale  di morte del 30% dal 1978 ad oggi. Il dato che emerge   con   evidenza   dallo   studio   ITACARE  e'  che  esistono significative  differenze  di  sopravvivenza  fra le diverse aree del paese,  a sfavore delle regioni del centro-sud, rispetto a quelle del nord  e  che  queste  differenze riguardano quasi esclusivamente quei tumori che rispondono bene ai trattamenti convenzionali considerati.   Cio'  dimostra  che  le  possibilita'  di  guarigione  e  di lunga sopravvivenza dei malati affetti da tumore maligno dipendono, in gran parte,  dalla  qualita' dei servizi diagnostici e terapeutici erogati dai   presidi  di  oncologia,  dalla  loro  migliore  integrazione  e dall'organizzazione  territoriale  delle  attivita' e delle strutture oncologiche  di prevenzione, diagnosi e cura, in stretto collegamento con i Dipartimenti di Prevenzione ed i Distretti di cui agli art. n.3 quater, 3 quinquies, 7bis, 7ter, 7quater del Decreto legislativo 229, e  secondo  quanto  previsto  dal D.M. 24.4.2000 " Progetto obiettivo materno infantile, pubblicato sulla G.U. n. 89 del 7.6.2000.   Come  gia'  precedentemente  enunciato, in apparente contrasto con questi  dati,  che riguardano la sopravvivenza ed il rischio relativo di  morte  dei malati di cancro, sono i dati forniti dall'ISTAT e dal sistema dei Registri Tumori sulle variazioni geografiche dei tassi di incidenza  e  di mortalita' per tumore, che risultano quasi dimezzati nelle regioni meridionali rispetto a quelle del nord.   Il  fenomeno  sembra  chiamare  in  causa  il ruolo dei fattori di rischio  legati  agli  stili  di vita ed alle condizioni ambientali e lavorative nel determinismo della malattia neoplastica e sembra anche dimostrare   come   ad   una   riduzione  dell'incidenza  corrisponda necessariamente anche una riduzione di mortalita'.   Ne  consegue che la strategia globale di controllo del cancro deve tenere   conto   oltre   che   delle   potenzialita'  diagnostiche  e terapeutiche   anche  delle  possibilita'  di  intervento  in  ambito preventivo,  mirate  sia  alla modificazione degli stili di vita, che comportano  un  maggior  rischio  di  ammalare  di  cancro,  sia alla protezione,  quando  questa  sia possibile, dei singoli individui e/o della  popolazione  generale,  dai  fattori  di  rischio ambientali o lavorativi, di tumore maligno.
  OBIETTIVI SPECIFICI INTERMEDI, MONITORAGGIO E CONTROLLO
     Da  quanto  sopra  espresso  deriva  che  il  raggiungimento degli obiettivi  primari  del Piano Oncologico si puo' ottenere solo grazie alla  realizzazione  degli  obiettivi  specifici intermedi di seguito elencati  nei punti 1, 2 3, 4, 5, ed all'attivazione di un sistema di monitoraggio  e  di  controllo  da  attuare  attraverso  le strategie indicate nei punti 6, 7, 8.
     1)   Ottimizzazione   degli   standard  terapeutico-assistenziali,   attraverso  la  razionalizzazione,  l'integrazione organizzativa e   funzionale ed il potenziamento dei presidi oncologici con funzione   di diagnosi e cura;   2)  Attuazione,  sul  territorio nazionale, di una rete di presidi   dedicati  alle  cure  palliative  e  di  programmi  di  assistenza   domiciliare ai malati terminali;   3)  Promozione di programmi di screening di documentata efficacia,   per la diagnosi precoce dei tumori in tutte le regioni italiane;   4)  Realizzazione di programmi di prevenzione primaria mirati alle   patologie  per le quali l'efficacia degli interventi preventivi e'   stata documentata;   5) Potenziamento della ricerca clinica in oncologia, da realizzare   tramite  l'allocazione di adeguate risorse e la predisposizione di   un piano nazionale di settore.   6)   Consolidamento   e   sviluppo   della  rete  di  monitoraggio   epidemiologico basata sui registri tumori di popolazione;   7) Attivazione di sistemi di controllo delle migrazioni sanitarie;   8) Attivazione di programmi operativi di promozione e di controllo   di qualita' delle attivita' diagnostiche e terapeutiche.
                                Parte II
                    GLI OBIETTIVI SPECIFICI INTERMEDI
                   Obiettivo specifico intermedio n. 1 OTTIMIZZAZIONE   DEGLI   STANDARD   ASSISTENZIALI  E  TERAPEUTICI  IN                             ONCOLOGIA.
     Il S.S.N. assicura i livelli essenziali ed uniformi di assistenza, definiti  dal  Piano sanitario nazionale, nel rispetto dei bisogni di salute,  dell'equita' di accesso all'assistenza, della qualita' delle cure  e  della  loro appropriatezza. Pertanto i livelli di assistenza rappresentano  l'ambito  delle  garanzie  da  assicurare  in tutto il territorio nazionale.   Il Piano, nel precisare che la promozione e la tutela della salute implicano   una   riorganizzazione   del  sistema,  che  consenta  un riequilibrio   fra   i  diversi  settori  di  intervento,  rileva  il necessario impegno nella riallocazione delle risorse, dalla cura alla prevenzione, dalla generalita' della popolazione ai gruppi a rischio, dall'assistenza  ospedaliera  all'assistenza  territoriale.  Il Piano specifica  inoltre  che  le  strategie  da  porre  in essere, per una razionalizzazione   del   sistema   medesimo,   devono  prevedere  il coordinamento    intra    ed    interaziendale,    il   potenziamento dell'assistenza   in   regime   di   day   hospital,   la  diffusione dell'assistenza  domiciliare  integrata,  lo sviluppo di programmi di screening.   In  oncologia, l'invecchiamento della popolazione, la crescita del numero  delle  persone  affette  da  tale  patologia,  il conseguente aumento dei bisogni, con diversi livelli di complessita', per i quali occorre   garantire   continuita'   dell'intervento  di  cura,  senza tralasciare  le  variabili  psico-sociali,  in grado di contribuire a migliorare  la  qualita'  di vita, richiedono la capacita' di erogare risposte  integrate  e coordinate. Tale obiettivo presuppone non solo l'integrazione  professionale,  ma  anche istituzionale e gestionale, finalizzata  alla  realizzazione  di  un concreto coordinamento degli interventi  nei diversi settori impegnati nella produzione di servizi e  coinvolti,  a  diverso titolo, nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie oncologiche.   Il   Piano  sanitario  nazionale  individua  i  livelli  uniformi, essenziali ed appropriati di assistenza, definiti con riferimento a:
  a)assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro; b)assistenza distrettuale; c)assistenza ospedaliera.
     Il  Piano,  oltre  a  definire  i livelli di assistenza, individua anche  la  conseguente  attribuzione e riclassificazione dei compiti, delle  attivita'  e  delle  prestazioni che ai diversi livelli devono essere fornite e garantite.   Il  presente  documento  rappresenta  la  formulazione delle linee generali  su  cui  devono  articolarsi  e svilupparsi, in un processo armonico   e   coordinato,   le   strategie   organizzative   sottese all'implementazione  del  sistema  della rete dei servizi oncologici, che  presuppone, in relazione ai bisogni assistenziali, interventi da erogare  in  ambito  ospedaliero  e  territoriale, nella logica della continuita' assistenziale, tenuto conto anche della loro intensita'.   Presupposto irrinunciabile e' quindi una forte integrazione tra le strutture  che erogano assistenza oncologica e quelle che si occupano piu' specificamente degli esiti della patologia.   I  miglioramenti  terapeutici ed assistenziali ed il miglioramento della  qualita'  di  vita  sono  pertanto  strettamente connessi alla definizione  di  specifici  percorsi,  tramite  i  quali le strutture preposte  si  attivano, per garantire la presa in carico del paziente oncologico,  durante  tutte  le  fasi  della  malattia, promuovendo e realizzando   il   coordinamento   delle   attivita'   ospedaliere  e territoriali.
  Occorre peraltro preliminarmente sottolineare che:
    -  I  presidi  oncologici  di  diagnosi  e  cura  sono strutture di  primaria  importanza  nella  strategia  globale  di  controllo  del  cancro.  - L'integrazione delle terapie chirurgiche, mediche, radioterapiche  e'  in  grado di determinare la guarigione nel 55-60% dei malati di  tumore maligno.  -  La  corretta  applicazione  di  programmi  terapeutici  e  degli  interventi   riabilitativi,   coerenti   con  i  migliori  standard  nazionali  ed  internazionali,  e'  in  grado di ottenere risultati  significativi,  non  solo  in  termini di guarigione definitiva, ma  anche  in  termini  di  sopravvivenza,  di  remissione obiettiva di  malattia e di miglioramento della qualita' di vita.  -   Al  processo  assistenziale  concorrono  anche  le  prestazioni  socio-sanitarie  ad elevata integrazione sanitaria, di cui all'art.  3  septies  del  Decreto Legislativo n. 229 del 19 giugno 1999, con  riferimento  all'area  delle  patologie  in  fase terminale e delle  patologie cronico degenerative.
  Cio'  premesso,  le  condizioni  per  il  raggiungimento  di ottimali risultati clinico-terapeutico-assistenziali sono:
    - la predisposizione di una rete di presidi diagnostico-terapeutici  e  riabilitativi,  adeguati  ai  bacini  di utenza e identificati a  livello regionale nell'ottica, prevista dai livelli di cui al Piano  sanitario nazionale.  -  la  promozione e diffusione di protocolli validati, in base alle  evidenze  scientifiche, per migliorare la tempestivita' diagnostica  per le principali patologie;  - la promozione di programmi di informazione per i malati di cancro  e  le loro famiglie. Le informazioni devono riguardare la diagnosi,  le  opzioni  terapeutiche, gli effetti collaterali della malattia e  della  terapia,  le  prospettive  di  guarigione e i centri di cura  specializzati.    Le    informazioni    dovranno   essere   chiare,  comprensibili  e  disponibili  in  ogni  fase del trattamento dalla  diagnosi in poi;  - la garanzia di un tempestivo accesso alle prestazioni, rendendolo  coerente  con la gravita' clinica e le necessita' assistenziali del  singolo paziente;  -  l'attuazione  dei principali percorsi assistenziali, per rendere  agevolmente  fruibili  le  strutture  di  degenza  ordinaria  e  di  day-hospital dedicate ai pazienti acuti in ambito ospedaliero;  - la riduzione dell'inappropriatezza degli interventi;  -   l'implementazione  di  programmi  di  assistenza  e  cura,  che  garantiscano  la  continuita'  terapeutica-assistenziale  al malato  oncologico,  dall'inizio  all'esito  della malattia, attraverso una  coerente   integrazione   dei   diversi   livelli   di   assistenza  extraospedaliera, ambulatoriale ed ospedaliera, da attuarsi tramite  la definizione di protocolli di comportamento ospedale- territorio;  -  la  definizione  di  assetti  organizzativi  delle  strutture di  prevenzione,  diagnosi  e  cura,  articolati  su diversi livelli di  complessita'   in   funzione  della  complessita'  della  patologia  oncologica;  -  l'integrazione  multidisciplinare,  che  garantisca un approccio  globale alle cure dei malati oncologici;  -  l'attivazione  di  strutture  dedicate alle cure palliative, per  potenziare gli interventi di terapia palliativa ed antalgica, anche  inseriti  in  un  contesto  ospedaliero,  quali  strutture per post  acuti,   per   quei   pazienti   che,  seppur  non  piu'  curabili,  necessitano,  per  brevi  periodi,  del  supporto  di una struttura  ospedaliera  in  grado  di erogare assistenza complessa (in caso di  episodi  di  emergenza intercorrente o di aggravamento con fenomeni  di  pregnanza  clinica  nella  fase terminale), non realizzabile al  domicilio del paziente o nelle strutture residenziali appositamente  istituite.  -   la   realizzazione   dell'assistenza  domiciliare  integrata  e  dell'ospedalizzazione  domiciliare,  per quei pazienti che, secondo  adeguati  criteri  clinico-biologici,  presentano  una  mediana  di  sopravvivenza  attesa di novanta giorni e necessitano al domicilio,  con  livelli  diversi  di  complessita', di terapia del dolore o di  controllo di altri sintomi.  -  la garanzia, per il paziente oncologico, della presenza costante  di una struttura di riferimento.
     Con  preciso  riferimento ai livelli di assistenza individuati dal Piano  sanitario  nazionale  l998\2000,  al  Dlgs  229  "Norme per la razionalizzazione  dello  SSN" del 19 giugno 1999 ed alle linee guida gia'  pubblicate dal Ministero della Sanita' sulla Gazzetta Ufficiale n.  42  del  20  febbraio 1996, si forniscono in questa sede le linee generali di indirizzo per l'assistenza ai paziente oncologico.
  1) ASSISTENZA DISTRETTUALE
     Il  Piano sanitario Nazionale 98\2000 precisa che, nell'ambito del nuovo  assetto  organizzativo del S.S.N,. il Distretto rappresenta un centro  di  servizi  e  prestazioni,  in  cui la domanda di salute e' affrontata  in  maniera  unitaria  e  globale.  Come  specificato dal Decreto  Legislativo  229,  fatta  salva  l'autonomia organizzativa e normativa  delle  singole  Regioni  prevista  dalle leggi vigenti, il Distretto   e'   struttura  operativa  dell'Azienda  Usl,  dotata  di autonomia  gestionale, realizzata nell'ambito dei programmi approvati dall'Azienda,  tenendo  conto  dei  piani  per  la  salute  di zona e dell'organizzazione  dei  servizi,  definiti  di comune intesa con le amministrazioni  comunali.  Il  Distretto  garantisce  i  servizi  di assistenza  primaria,  ivi  compresa  la  continuita'  assistenziale, relativi  alle  attivita'  sanitarie  e  socio-sanitarie,  in  quanto struttura  operativa  che  meglio  consente  di  governare i processi integrati  tra  istituzioni.  L'art. 3 quater del Dlgs 229 stabilisce inoltre   che   la  legge  regionale  disciplini  l'articolazione  in Distretti  dell'Azienda sanitaria locale. Il Distretto e' individuato dall'atto   aziendale,   L'Azienda   sanitaria   locale,  tramite  il Distretto, svolge e garantisce i seguenti compiti:
    -   assicura  i  servizi  di  assistenza  primaria,  relativi  alle  attivita'  sanitarie  e  socio-sanitarie, nonche', il coordinamento  delle  proprie  attivita'  con  quelle  dei  dipartimenti e servizi  aziendali, inclusi i presidi ospedalieri, inserendole organicamente  nel  programma  delle  attivita' territoriali, basate sul principio  dell'intersettorialita' degli interventi;  -   permette   l'integrazione   funzionale   tra  il  territorio  e  l'ospedale,   facilitando   l'iter   diagnostico   terapeutico   ed  assistenziale  del  paziente,  al  quale deve essere assicurata una  presenza costante di una struttura di riferimento;  -  garantisce,  quindi,  la continuita' assistenziale e la presa in  carico   medico-assistenziale   e   psicorelazionale  del  paziente  oncologico  sin  dal  momento  della  comunicazione della diagnosi,  attraverso    il    necessario    coordinamento    e    l'approccio  multidisciplinare,  in ambulatorio ed al domicilio del paziente tra  i  medici  di  medicina  generale  ed  i  servizi  specialistici ed  ambulatoriali,  cosi'  come  tra i medici di medicina generale e le  strutture  ospedaliere,  assicurando,  in tal modo, la circolarita'  delle  informazioni  tra  specialisti,  medici  di base e personale  sanitario e sociale.
  Ruolo del medico di medicina generale
     Nell'ambito  dell'assistenza  sanitaria  di base, ricompresa nella macroarea   dell'assistenza   distrettuale,  il  medico  di  medicina generale ed il pediatra di libera scelta, nell'ambito della specifica attivita'  clinica  prevista  dagli  accordi  collettivi  nazionali e regionali,  devono  interagire,  a vari livelli, con le strutture che svolgono   attivita'  in  campo  oncologico,  per  assicurare  l'iter diagnosticoterapeutico e assistenziale del paziente oncologico, quali referenti  che si devono integrare funzionalmente con gli specialisti di  settore. In tale contesto possono pertanto rappresentare il punto di   riferimento  per  l'assistito,  per  l'adeguata  immissione  nel circuito   ospedaliero   e  la  continuita'  assistenziale,  dopo  la dimissione.   Il  medico di medicina generale assume un ruolo determinante nella diagnosi  tempestiva  delle neoplasie, cui e' legata, in buona parte, la  possibilita' di successo terapeutico. Il suo contributo e' quindi strategico  nel  cercare  di  ridurre  le  diagnosi tardive. E' utile inoltre,   a   tal   proposito,  prevedere  a  livello  regionale  la definizione  e  adozione  dei  provvedimenti  necessari per ridurre i tempi  di  attesa  degli  accertamenti  diagnostici  e  le consulenze specialistiche  e,  piu'  in generale, per favorire la comunicazione, tra   medici   di   medicina   generale  e  medici  specialistici,  e l'integrazione assistenziale tra ospedale e territorio.   Il  medico  di  medicina generale puo' svolgere un ruolo specifico nei  programmi  di  follow-up dei pazienti oncologici, sempre tramite una  stretta  integrazione  con gli specialisti del settore, anche al fine  di  privilegiare  le  prescrizioni  di  procedure  diagnostiche necessarie ed appropriate in termini di efficacia e di rispetto della qualita' di vita.   Per  quanto  attiene  il  ruolo  svolto  dal  medico  di  medicina generale.  nei  confronti  delle iniziative di prevenzione primaria e secondaria   e   delle  attivita'  connesse  all'implementazione  dei programmi   di   assistenza  domiciliare  integrata,  si  rimanda  ai rispettivi capitoli del presente Piano.
  2) ASSISTENZA OSPEDALIERA
  2a) Ospedali per acuti
     L'assistenza  ospedaliera,  alla  quale  e'  demandata la cura dei pazienti oncologici, si realizza tramite le specialita' che, nel loro insieme,  definiscono  l'oncologia clinica e precisamente l'oncologia medica,  la  radioterapia,  la  chirurgia.  La terapia chirurgica dei tumori  e'  di  primaria  importanza  nel  controllo  della  malattia neoplastica.  Peraltro  la  complessita' delle strategie terapeutiche richiede  la  massima  integrazione  fra  la  chirurgia  e  le  altre discipline   implicate   nella   terapia  dei  tumori  maligni.  Tale integrazione   puo'   realizzarsi   anche   favorendo,  in  strutture ospedaliere  complesse,  l'istituzione  di  chirurgie particolarmente dedicate  al  trattamento  dei  tumori  maligni,  quali  le chirurgie oncologiche o le chirurgie ad orientamento oncologico.   Per  quanto  attiene  gli  interventi  in  campo  diagnostico,  di caratterizzazione   biologica  e  stadiazione,  di  riabilitazione  e palliazione,  questi  sono  realizzati  attraverso  il  contributo di ulteriori specialita', integrate con l'oncologia clinica in strutture complesse quali i Dipartimenti oncologici.   E'  molto  raccomandato  che  le  prestazioni integrate di terapia oncologica  siano  erogate  mediante  attivita' clinico-assistenziali delle   specialita'   di   oncologia   medica,   di  chirurgia  e  di radioterapia.( vedi allegata n. 2)   Con  riferimento ai livelli uniformi, essenziali ed appropriati di assistenza ed all'articolazione organizzativa aziendale, prevista dal Decreto  Legislativo  229,  di  cui  agli  articoli  3 comma 1-bis, 8 quater,  15  quinquies,  17 bis, le Regioni disciplinano, nell'ambito dei  Piani  oncologici  regionali,  l'organizzazione  della  rete dei servizi,  tenuto  conto  delle  articolazioni  in  ASL del territorio regionale,   delle   necessarie  integrazioni  delle  specialita'  di oncologia,  chirurgia,  radioterapia,  e  dell'adeguato  supporto  di servizi, nonche' dell'attivazione dell'organizzazione Dipartimentale.   E'  fortemente  raccomandata  la  realizzazione  di un efficace ed organico  coordinamento  a  livello  regionale  di  tutta l'attivita' oncologica,   per  garantire  qualita',  omogeneita'  ed  equita'  di intervento,  per  promuovere il collegamento funzionale tra strutture territoriali e strutture di ricovero, secondo il sistema di rete.   Considerate   le   differenti   situazioni   locali,  fatta  salva l'autonomia organizzativa e normativa delle singole Regioni, prevista dalle  leggi  vigenti, per quanto attiene l'assistenza ospedaliera si rimanda  all'Allegato  n. 1 al presente documento, fermo restando che l'individuazione  dei  modelli organizzativi ivi indicati rappresenta per  le  Regioni  un  indirizzo  orientativo da adattare alle proprie esigenze di programmazione sanitaria.
  3) LA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA.
     Le  linee  guida  emanate  dal  Ministero  della  sanita'  per  le attivita'  di  riabilitazione G.U. n. 124 del 3 0.5.1998) distinguono la riabilitazione in due settori:
  a) La riabilitazione intensiva, prevalentemente di tipo degenziale, b)  La  riabilitazione  estensiva,  che puo' essere attuata in ambito ospedaliero,  nei reparti di lungodegenza riabilitativa, in strutture ambulatoriali,  al  domicilio  del  paziente  ed  infine in strutture riabilitative.
     Le  succitate  linee  guida  individuano  anche  la  tipologia dei pazienti  afferenti  alla riabilitazione specialistica (neuromotoria, ortopedico-reumatologica, cardiologica, pneumologica).   Pur    riconoscendo    l'indispensabilita'    di   un   intervento riabilitativo  in  pazienti  oncologici,  per lo meno nella fascia di coloro  i  quali  possono  beneficiare  di un recupero funzionale, al momento  le  evidenze scientifiche non suggeriscono l'identificazione di  un  settore  specialistico autonomo di riabilitazione oncologica, mentre  e' prevedibile l'afferenza dei pazienti oncologici, con turbe d'organo funzionali reversibili, ai diversi reparti di riabilitazione specialistica,    eventualmente   ricorrendo   anche   all'intervento riabilitativo multispecialistico.   Occorre  quindi  garantire  e  promuovere  l'accesso  dei pazienti neoplastici  ai reparti di riabilitazione, secondo lo specifico danno d'organo anatomofunzionale.   Premesso cio' e' importante che, per diversi livelli di intensita' di  riabilitazione,  si  provveda  a  definire  opportuni  percorsi e livelli di assistenza.   Dalla  fase  intensiva,  ove  necessario, il paziente dovra' poter accede    a   strutture   riabilitative   con   minore   complessita' organizzativa.  L'ultima  tappa  del  processo  riabilitativo  dovra' essere   garantita   attraverso  la  riabilitazione  ambulatoriale  e domiciliare.   Si  raccomanda  inoltre,  vista  la  specificita'  della  malattia oncologica,  di  ricomprendere  nel  processo riabilitativo, che deve essere  quanto piu' globale possibile, interventi atti a sostenere il recupero psico-relazionale dei pazienti oncologici.
                   Obiettivo specifico intermedio no2
  LE   CURE   EXTRAOSPEDALIERE   ALLE   PERSONE  AFFETTE  DA  PATOLOGIA                            NEOPLSASTICA
  PREMESSA
     Le  persone  affette  da  patologie  neoplastiche  necessitano  di continuita' di cure dalla diagnosi fino alla guarigione o alla morte; oltre  al  paziente  oncologico  l'attenzione deve essere dedicata ai familiari dello stesso.   Un'assistenza  di  buona  qualita'  deve consentire al paziente di mantenere   la   sua   posizione  nell'ambiente  lavorativo  e  socio familiare;  quando  cio'  non  e'  possibile  deve  essere accolto in strutture    adeguate   alla   natura   dei   problemi.   Attualmente l'organizzazione  dell'assistenza  ai  pazienti oncologici si scontra con  il  problema  della  divisione  e  distribuzione  del  lavoro in sottosistemi  piu'  o  meno  omogenei,  con  una frammentazione delle responsabilita'  e delle referenze. L'esito e' un frequente accesso a prestazioni non appropriate, in particolare ospedaliere, maggiormente offerte  dal  sistema  assistenziale  e  piu'  radicate nella cultura popolare.   L'efficacia  dell'offerta  dipende  invece  dall'integrazione  dei servizi  di  rete e dalla possibilita' di identificazione di percorsi precisi  da parte dell'utenza e dal riconoscimento di un unico canale di accesso per le cure extraospedaliere.   Il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 affida al Distretto di base il compito di ricomporre, con coerenza, il sistema di offerta durante l'intero  percorso  di  salute, malattia, disabilita' e morte di ogni malato.
  A) LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA
     In  Italia  i  tumori  rappresentano  circa  il 30% delle cause di morte.  E'  possibile stimare in circa 270.000 i nuovi casi di tumore diagnosticati ogni anno in Italia e in circa 1.400.000 i pazienti con tumore.  La  sopravvivenza  a  cinque anni e' pari, per l'insieme dei tumori maligni, al 40%" (PSN 1998-2000). L'elevato numero di pazienti sottolinea la necessita' di prevedere percorsi che tengano conto:
    -  della  intensita'  diagnostica  e terapeutica espressa a livello  ospedaliero, seppur non esclusivamente;  -  della  durata  e delle manifestazioni della storia clinica della  malattia   che,  intrecciandosi  largamente  e  lungamente  con  la  quotidianita'   di   vita,  producono  riduzione  dell'autonomia  e  dell'autosufficienza del malato.
  Pertanto i problemi che possono presentarsi riguardano aspetti:
   - sanitari; - psicologici e relazionali (grado di consapevolezza, di  accettazione o di rifiuto della malattia e della terapia in corso)  (dinamiche familiari); - informativi (offerta assistenziale); - sociali (sostegno nelle attività quotidiane, tutela dei membri  deboli della famiglia, supporto amministrativo economico) - educativi (addestramento alla gestione del malato ed alla  prevenzione dei problemi) - spirituali.
  La  complessita'  della  storia  delle  persone  affette da patologia oncologica consiglia un approccio valutativo che preveda di:
   - intercettare i bisogni espressi, cioè percepiti e comunicati  chiaramente; - individuare i bisogni inespressi, cioè non trasformati in domanda  in quanto l'utente non li percepisce (bisogni latenti); - individuare una risposta assistenziale adeguata (bisogni non  comunicati); - individuare il bisogno di aiuto (bisogni inespressi o repressi); - prevenire i bisogni potenziali che potrebbero insorgere per  l'evoluzione o gli esiti della patologia e dei problemi (bisogni  non espressi chiaramente o rimasti inespressi.
  B) GLI OBIETTIVI ASSISTENZIALI
     Il  ventaglio  dei  problemi  e la loro commistione hanno un ruolo importante  nel  causare  una  riduzione  della  qualita' di vita dei pazienti  oncologici  e  dei  loro  familiari  e  nel condizionare il livello   di   adesione   al   programma   assistenziale.  I  servizi socio-sanitari  devono,  quindi,  garantire  un sistema di protezione integrato   e   duttile,  che  agevoli  la  dinamicita'  dell'offerta assistenziale   imposta   dall'evoluzione  della  malattia,  seguendo l'utente nel percorso di riabilitazione o di peggioramento. Occorre a tal  proposito predisporre le opportune iniziative, atte a favorire i passaggi  da  una tipologia assistenziale all'altra, con possibilita' di  ripristino  della condizione precedente qualora il cambiamento si riveli   inadeguato   ed  a  promuovere  la  flessibilita'  e  quindi l'ottimizzazione  dell'utilizzo  delle  risorse  umane e strumentali, conservando  una  referenza  esplicita  ed  accessibile  per tutta la durata della malattia.
  c) L'ASSETTO ORGANIZZATIVO
  C1) PRINCIPI
     Per  rispondere  agli obiettivi di efficacia e continuita' di cure ai  malati  oncologici,  devono  essere soddisfatti almeno i seguenti principi, propri delle cure primarie:
    -  garanzia di una referenza unitaria e complessiva per il malato e  per   la   sua   famiglia,  che  eviti  le  soluzioni  di  continuo  nell'attuazione del programma assistenziale;  -  competenza  ed esperienza per l'assistenza al malato neoplastico  in  tutte  le  fasi  della  malattia, con un'attenzione particolare  all'individuazione  dei  bisogni  inespressi  ed alla previsione di  quelli potenziali;  -   comportamenti  orientati  all'integrazione  e  alla  consulenza  transdisciplinare;  - sistema informativo destinato alla descrizione dei problemi e dei  percorsi   assistenziali,   per   documentare   l'accessibilita'  e  l'efficienza  dei  servizi,  nonche' per valutare la qualita' delle  cure,    correlando    modalita'    organizzative    ed   efficacia  assistenziale;  -  attenzione,  per  garantire  al  malato  e  ai suoi familiari la  possibilita' di espressione dei bisogni, delle emozioni degli stati  d'animo, dei dubbi e delle difficolta';  -  assicurare  la  partecipazione  del malato alle decisioni che lo  riguardano,  rendendo disponibili informazioni precise, sufficienti  e chiare;  -  sostegno  delle  motivazioni  e  consolidamento delle conoscente  degli   operatori,  per  limitare  o  prevenire  l'esaurimento  del  personale (burn-out)
  La  complessita',  la  variabilita'  individuale e la dinamicita' dei problemi implicano l'approccio metodologico fondato su:
    - valutazione multidimensionale, razionalizzata mediante l'utilizzo  di strumenti validati;  -  pianificazione  integrata  e  personalizzata delle attivita', in  coerenza  con le risorse disponibili e secondo l'equo perseguimento  degli obiettivi programmatici di carattere generale;  -   erogazione   degli   interventi   che   sia  transdisciplinare,  tempestiva,  continua  e  di  intensita'  adeguata,  applicando  un  processo    decisionale    improntato    alla    massima   coerenza  assistenziale.
     A  tutela  del  malato  e  dei  suoi  familiari e' raccomandata la costituzione di Unita' di Valutazione Multidimensionali (U.V.M.) che, per  i  casi di particolare complessita' e gravita', nel rispetto del diritto di libera scelta dell'utenza, garantiscano in ogni Distretto:
    - la valutazione dei problemi;  - la proposta, la predisposizione e la verifica periodica del piano  di cura nel corso dell'evoluzione della malattia;  -   l'attuazione   di   un   programma   assistenziale   integrato,  personalizzato e coordinato in funzione dei bisogni, che garantisca  al  malato  e  ai  suoi  familiari,  conseguito  il  loro consenso,  l'informazione e l'educazione, nonche' il sostegno psicologico;  -  il  raccordo  con  le  strutture  ospedaliere,  gli hospice e le  strutture residenziali;  - il coinvolgimento, lo stimolo e il sostegno delle associazioni di  volontariato attive nel settore dell'aiuto ai malati neoplastici.
     Considerando la numerosita' degli assistibili, la peculiarita' dei contenuti  assistenziali  e  la  corredata  necessita'  di formazione specifica  degli  operatori,  e' necessaria la costituzione di nuclei transmurali,  dedicati  alle cure domiciliari e/o all'accoglimento in hospice,  con modalita' organizzative ed erogative volte a conseguire l'integrazione  del  Distretto con le altre componenti del sistema di offerta.  Qualora  la  ristrettezza  delle  risorse non consenta tale strutturazione,  si raccomanda di prevedere la costituzione di nuclei interdistrettuali  o almeno l'impegno specialistico ripartito su piu' Distretti.   Per  assicurare  coerenza  tra  il  momento  valutativo  e  quello erogativo,  le  competenze dei diversi operatori assistenziali devono essere   presenti   nell'equipe   valutativa  della  U.V.M.,  secondo necessita' in ragione della frequenza e della gravita' dei bisogni da soddisfare,
  C2) Modalita' assistenziali e criteri di eleggibilita'
     Tenuto  conto dei principi organizzativi, il sistema di protezione socio-sanitaria  ai  malati  oncologici  si  realizza, lungo tutto lo svolgimento della malattia, con diverse modalita' assistenziali.
  C2.1) Dimissioni protette
     La   necessita'   di   continuazione   domiciliare  di  interventi infermieristici,  di  prestazioni  assistenziali  non  sanitarie,  di riabilitazione  fisica  e psicologica e di cure palliative, oltre che la  fornitura  di  ausili  e  presidi  sono in genere prevedibili con congruo   anticipo   rispetto  alla  dimissione,  rendendo  di  fatto possibile,  nella  maggior parte dei casi, la preventiva segnalazione al  medico  curante  ed  ai  Servizi  Distrettuali  deputati, secondo procedure preventivamente concordate a livello locale.   Durante  il  ricovero ospedaliero la segnalazione deve avvenire il piu'   precocemente   possibile,  almeno  dall'insorgenza  della  non autonomia non autosufficienza del paziente, al fine di consentire una valutazione  tempestiva,  coerente  ed  integrata delle condizioni di salute  e  dell'ambiente  di  vita  del  paziente,  per  garantire la continuita' assistenziale.   Il trasferimento del malato da un reparto di diagnosi e cura ad un programma   di   assistenza  extraospedaliera  avviene  per  proposta dell'ospedale e deve essere gestito secondo le procedure concordate a livello  distrettuale,  che  dovranno prevedere il coinvolgimento del medico  di medicina generale e del servizio accettante. Le dimissioni protette  devono  essere  garantite almeno ai soggetti che soddisfano simultaneamente i seguenti criteri:   a) non autonomia / non autosufficienza, mediante l'applicazione di uno strumento di valutazione multidimensionale validato;   b)  necessita'  di  continuita'  di  cure e/o carenza di effettivo supporto familiare e/o altre problematiche socio-ambientali gravi.   Le dimissioni protette sono inoltre raccomandate per i malati che, pur non soddisfacendo i precedenti criteri, necessitano di assistenza continuativa  a  causa  di  uno  stato  di sofferenza psicologica e/o spirituale. .sp,  C2.2)  Integrazione valutativo-terapeutica durante l'assistenza extra-ospedaliera
     Dopo  le  prime  fasi di approfondimento diagnostico e trattamento ospedaliero, e' raccomandabile rivalutare la complessita' dei bisogni al fine di limitare l'insorgenza o l'evoluzione di problemi correlati alla  cura  della persona, alla gestione delle attivita' quotidiane e alle relazioni interpersonali. In questa fase della vita del paziente e  del  suo  decorso  clinico  si  raccomanda  la  circolarita' delle informazioni  tra  medico  specialista, medico di medicina generale e operatori distrettuali secondo un set minimo di dati che consegua:
  - plausibilita' e coerenza terapeutica; - continuita' nei trattamenti di supporto e nell'assistenza di base; - coerenza dell'informazione al paziente e ai suoi familiari; - rigorosita' ed essenzialita' nel follow-up.
     A  tal  fine  si  raccomanda  l'adozione  di  una cartella clinica integrata.  La  continuita' di cura specialistica extraospedaliera e' necessaria  anche  durante il trattamento della malattia in regime di day-hospital,  ambulatoriale, domiciliare o residenziale ed assume le caratteristiche   di   consulenza  specialistica,  sia  nel  caso  di richiesta   estemporanea   del   medico  di  medicina  generale,  sia all'interno  di  un  piano  di intervento preventivamene concordato a livello  distrettuale, di Assistenza Domiciliare Integrata. I criteri di eleggibilita' riguardano pazienti oncologici con:   a)  necessita' di trattamenti di supporto (nutrizione artificiale, terapia    antalgica    specialistica   ecc.)   o   di   monitoraggio clinico-assistenziale e/o follow-up;   b) fragilita' psico-sociale.   Infine, per pianificare coerentemente gli interventi assistenziali e'  consigliabile  almeno una visita socio-sanitaria al domicilio del paziente,  da concordarsi con il medico di medicina generale e con il paziente,   due   settimane  dopo  la  dimissione  ospedaliera.  Tale procedura  e'  utile,  nonche'  gradita,  per  malati  oncologici che rispondono simultaneamente ai seguenti criteri:
  - esclusione dalla procedura per le dimissioni protette; - eta' uguale o superiore a 60 anni; - assenza o precarieta' del sostegno socio-familiare; - diagnosi di neoplasia da meno di 6 mesi.
  C2.3) Ammissione agevolata e protetta ai Servizi ospedalieri
     La  complessita'  dei bisogni dei pazienti oncologici consiglia la creazione  di  corsie  preferenziali  per  l'eventuale  accesso  alle strutture  ospedaliere,  caratterizzate  da modalita' facilitate, sia nel  caso di ricovero ordinario, sia qualora si rendessero necessarie prestazioni  specialistiche  di  diagnosi  e  cura,  parificando,  in quest'ultimo  caso,  le  procedure  a  quelle riservate ai degenti in ospedale.  In particolare, la procedura per le ammissioni protette e' raccomandata  per  pazienti  che  ottemperino  contemporaneamente  ai seguenti criteri:
    -  rischio  di  peggioramento  del  quadro  clinico  in  assistenza  domiciliare o durante l'ospitalita' in strutture residenziali;  -  rispondenza  ai criteri dei protocolli validati per la revisione  dell'accesso e dell'utilizzo delle prestazioni ospedaliere.
  C2.4) Cure palliative domiciliari
     Secondo   la   definizione  della  Organizzazione  Mondiale  della Sanita',  per  cure  palliative  si  intende  una serie di interventi terapeutici ed assistenziali finalizzati alla cura attiva, totale, di malati  la  cui  malattia  di  base  non  risponde piu' a trattamenti specifici. Fondamentale risulta il controllo del dolore e degli altri sintomi e in generale dei problemi psicologici, sociali e spirituali. L'obiettivo delle cure palliative e' il raggiungImento della migliore qualita' di vita possibile per i malati e le loro famiglie.   Le  cure  palliative  sono  attivamente offerte all'unita' di cura malato-famiglia  attraverso  un  approccio transdisciplinare. Le cure palliative sono indicate:
    - per i malati diagnosticati inguaribili, che quindi non rispondono  piu'  ai  trattamenti  specifici,  lasciando al naturale decorso la  malattia, lenendo le sofferenze e migliorando la qualita' di vita;  -  in  altre fasi del decorso clinico, particolarmente per i malati  sottoposti  a  trattamenti  impegnativi e disabilitanti, al fine di  migliorare la qualita' di vita.
     Nel  caso  di  un  paziente  da  assistere  al  proprio domicilio, conseguitone   il  consenso  e  verificata  la  disponibilita'  della famiglia,  i  criteri  di  eleggibilita'  necessari e sufficienti per iniziare le cure palliative a domicilio sono:
    - terapeutico: assenza, esaurimento o inopportunita' di trattamenti  specifici volti alla gestione o al rallentamento della malattia;  -  sintomatico:  presenza  di sintomi invalidanti con una riduzione  del  performance-status uguale od inferiore al 50% secondo la Scala  di Karnofsky;  -  diagnosi di malattia neoplastica, certificata dal medico esperto  in  oncologia  medica;  - impossibilita' ad utilizzare le strutture  ambulatoriali  e  di  day hospital per la presenza di gravi sintomi  invalidanti   e/o   per  l'assenza  di  sufficienti  supporti  (non  autosufficienza/non autonomia del paziente);  - ambiente abitativo idoneo e supporto familiare sufficiente.
     Nell'ambito  delle  cure  palliative,  alla famiglia del malato e' offerto  un  adeguato  supporto  per affrontare meglio le difficolta' dell'assistenza  continua  al  congiunto,  della riorganizzazione dei ruoli,  dei compiti familiari, della preparazione al lutto. L'offerta di  cure  palliative  non  puo' prescindere da alcune caratteristiche organizzative   e  funzionali  prioritarie  ed  irrinunciabili  quali un'ottimale   terapia   del  dolore  e  dei  principali  sintomi;  la certificata competenza professionale da parte del personale coinvolto nell'assistenza;   la   fornitura  tempestiva  di  ausili  e  presidi appropriati,  rispetto  al  bisogno  della persona ed al contesto nel quale  essi  devono  essere utilizzati; l'addestramento dei congiunti all'assistenza  continua  del  malato,  sostenuta  da una particolare capacita'  degli  operatori domiciliari nelle tecniche educative. Una volta  consolidate  le  caratteristiche  precedenti,  si  auspica  la realizzazione di:
    -  reperibilita'  infermieristica e medico-palliativa sulle 24 ore,  per 7 giorni/settimana;  - sostegno psicologico del malato e dei familiari;  -  protezione  sociale  per i membri del nucleo familiare a maggior  rischio  di  disagio  a  causa  delle  condizioni e del decesso del  malato.
  Le  cure  palliative  domiciliari  sono  offerte  secondo  i  livelli essenziali di assistenza previsti e tra loro integrantesi:
  - Assistenza Domiciliare integrata   E'  la  modalita'  assistenziale da garantire prioritariamente. E' erogata  sotto  la  responsabilita'  clinica  del  medico di medicina generale,  attraverso  l'applicazione  della  dinamica  di  lavoro di equipe,  che  preveda  il concorso di un gruppo composto almeno dallo stesso  medico  di medicina generale dal personale distrettuale e dal medico esperto in cure palliative.   La permanenza nel proprio ambiente abituale di vita, con riduzione delle  giornate  di  degenza ospedaliera, puo' essere conseguita piu' facilmente  mediante  l'adozione  di un'organizzazione del lavoro che contempli  la valutazione multidimensionale degli assistiti e preveda periodiche riunioni d'equipe.
  - Ospedalizzazione a domicilio   E'  una  modalita'  assistenziale che garantisce l'effettuazione a domicilio di interventi palliativi, caratterizzati da un piu' elevato contenuto sanitario, conseguenti a situazioni cliniche di scompenso o di particolare complessita', tali da rendere necessario un intervento assistenziale,  che  copra  l'intero  arco  delle  24  ore. L'O.D. E' subordinata  alla tenuta di una cartella clinica, con compilazione di un  diario giornaliero, ed E' caratterizzata dalla erogazione diretta delle  prestazioni diagnostiche eseguibili al domicilio, dei farmaci, dei   presidi   ed   ausili  da  parte  delle  U.U.O.O.  ospedaliere. L'attivazione   e   la  responsabilita'  del  servizio  competono  al dirigente  medico  della  U.O. ospedaliera deputata, laddove presente dell'U.O.  di cure palliative, che si raccorda a livello distrettuale con   il  medico  di  medicina  generale,  potendosi  avvalere  della collaborazione   del   personale  del  distretto  secondo  protocolli operativi concordati.   Allo  scopo  di  garantire  un appropriato utilizzo delle risorse, l'ospedalizzazione  a  domicilio  andra'  attivata previa valutazione congiunta  con  il  medico  di  medicina  generale  e il responsabile dell'equipe   distrettuale  delle  effettive  possibilita'  operative offerte dall'assistenza domiciliare integrata.
  C2.5) Hospice   L'Hospice e' una struttura dedicata "ai pazienti in fase terminale che  necessitano  di cure finalizzate ad assicurare ad essi e ai loro familiari   una   migliore   qualita'   della  vita"  (DM  28/9/1999) L'accoglimento   in  un  hospice,  oltre  ad  essere  vincolato  alla necessita'  di  trattamenti  che  non  richiedano  un ricovero presso UU.00.  ospedaliere  per pazienti acuti, e' subordinato alla presenza di almeno una delle seguenti condizioni:
  - assenza o non idoneita' della famiglia; - inadeguatezza della casa a trattamenti domiciliari; - impossibilita' di controllo adeguato dei sintomi al domicilio.
  L'erogazione    dell'assistenza    e'    garantita    da    un'equipe transdisciplinare,  la  cui  composizione  minimale  e' rappresentata dalle seguenti figure professionali:
  - medico esperto di cure palliative; - infermiere professionale; - psicologo; - addetto all'assistenza (O.S.S.); - personale ausiliario.
     All'interno   dell'hospice   e'   auspicabile  che  sia  garantita l'assistenza    spirituale    e   l'integrazione   del   volontariato organizzato.   L'Hospice   ha   modalita'   organizzativo/strutturali specifiche,   che  differiscono  da  quelle  vigenti  per  i  reparti ospedalieri  per pazienti acuti, che sono definite nel D.M. 28/9/1999 e nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20/1/2000 (Atto  di  indirizzo  e coordinamento recante requisiti strutturali e tecnologici ed organizzativi minimi per i Centri Residenziali di Cure Palliative)
  D) I PROFILI DI RUOLO DEGLI OPERATORI
  Gli  operatori  dedicati  alle  cure  extraospedaliere  rivolte  alle persone  affette  da  malattia oncologica devono di base avere alcune caratteristiche comuni:
    -  motivazione  chiara  ed esplicita ad assistere malati gravemente  compromessi, anche con prognosi infausta a breve scadenza;  -  conoscenza adeguata dei problemi specifici legati alla patologia  oncologica;  - sensibilita' psicologica e capacita' di relazione con il malato e  con i familiari;  - attitudine al lavoro in equipe;  -  capacita'  nel produrre e rendere disponibili informazioni utili  all'equipe.
  Ferma  restando  la specificita' dei modelli organizzativi definiti a livello  regionale  a  titolo  orientativo  sono descritti i seguenti compiti attribuibili alle figure sottoelencate
  Medico esperto in cure palliative:
    -  responsabilita'  clinica diretta per i pazienti, suscettibili di  cure   palliative,   assistiti   in   regime   di  ospedalizzazione  domiciliare;  -  gestione  e  responsabilita'  clinica dei pazienti ricoverati in  hospice;  -   consulenza   clinica   per  gli  operatori  sanitari  impegnati  nell'assistenza,  e, in modo particolare, per il medico di medicina  generale;  -  supervisione  e  formazione  continua del personale addetto alle  cure palliative;  -  partecipazione  alla  verifica  della  efficacia,  efficienza  e  qualita'  delle  cure  erogate  dal  personale impegnato nelle cure  palliative;  - prescrizione collaudo di protesi e ausili;  -  relazione  con  i  servizi  ospedalieri,  per  il  passaggio del  paziente  dalla  fase  di  trattamento  a  quella  palliativa e per  eventuali ricoveri programmati.
  Oncologo medico:
    -  responsabilita'  clinica diretta per i pazienti, suscettibili di  terapia    oncologica    specifica,    assistiti   in   regime   di  ospedalizzazione domiciliare;  -  consulenza  clinica  oncologica  per  i  pazienti  ricoverati in  hospice;  -   consulenza   clinica   per  gli  operatori  sanitari  impegnati  nell'assistenza  e  in  modo  particolare per il medico di medicina  generale;  - supervisione e formazione continua del personale;  -  partecipazione  alla  verifica  della  efficacia,  efficienza  e  qualita'  delle  cure  erogate  dal  personale impegnato nelle cure  palliative;  -  relazione con gli operatori di cure palliative, per il passaggio  del  paziente  dalla  fase di trattamento a quella palliativo e per  eventuali ricoveri ospedalieri programmati.
  Medico nutrizionista:
    -  valutazione  dei  bisogni nutrizionali del malato e studio delle  modalita' di relativa copertura.
  Medico di Medicina Generale:
    -   responsabilita'   clinica  diretta  dei  pazienti  assistiti  a  domicilio  ad  esclusione  di  quelli in regime di ospedalizzazione  domiciliare;  - consulenza clinica per gli operatori sanitari domiciliari;  - relazione con la famiglia.
  Medico di sanita' pubblica:
  - tutela metodologica nell'orientamento per problemi; - tutela di equa accessibilita' alle risorse del servizio; - valutazione economica del servizio, - valutazione complessiva dell'efficacia del servizio; - relazione con le strutture dell'Azienda - U.S.L. e con le strutture specialistiche.
  Infermiere professionale:
   - assistenza infermieristica; - addestramento e supervisione degli operatori addetti  all'assistenza (O.S.S.); - addestramento e supervisione dei congiunti per l'assistenza continuativa al malato; - educazione sanitaria al malato e ai congiunti.
  Psicologo:
    - sostegno psicologico e relazione al malato e ai familiari;  -  supervisione,  sostegno psicologico e contributo allo sviluppo e  mantenimento  di  capacita' relazionali dell'equipe degli operatori  preposti alle cure palliative domiciliari e residenziali;  -  partecipazione alla selezione e alla supervisione dei volontari,  attivi nell'equipe;  - contributo nella formazione del personale di assistenza.
  Fisioterapista:
    -  attivita'  riabilitativa  di 2o livello diretta, focalizzata sul  recupero delle attivita' della vita quotidiana;  -  adozione  di  tecniche  riabilitative  di  10 livello miranti al  ripristino  o al mantenimento dell'autonomia e dell'autosufficienza  della   persona,  indipendentemente  dal  completo  recupero  della  singola funzione;  -   addestramento  e  supervisione  degli  altri  operatori  e  dei  familiari  per gli aspetti riabilitativi inerenti la mobilizzazione  e la cura della persona;  -   valutazione  e  riorganizzazione  dell'ambiente  di  vita,  con  particolare  riferimento  all'accessibilita'  e alla fruibilita' di  spazi e arredi.
  Assistente sociale:
    -  analisi delle problematiche relative all'eventuale necessita' di  sostegno economico e sociale del malato e della sua famiglia;  -  valutazione  sulla  necessita'  di  tutela dei membri deboli del  nucleo familiare;
  Operatore addetto all' assistenza:
   - cura della persona e degli ambienti di vita; - supporto ai familiari nelle attività di base del malato; - interventi di mobilizzazione e contributo alle attività sanitarie  secondo competenza.
  Volontario:
  - sostegno al malato; - sostegno ai familiari, anche nelle attivita' quotidiane; - sostegno organizzativo all'equipe di cure palliative.
  E) LIVELLI ESSENZIALI ASSISTENZIALI GARANTITI.
     L'organizzazione   dell'assistenza  extraospedaliera  ai  pazienti oncologici  deve  garantire  almeno  le  cure palliative per i malati terminali.  La  definizione di terminalita' e' data dal contemporaneo rispetto dei seguenti criteri:
    - terapeutico: assenza, esaurimento o inopportunita' di trattamenti  specifici volti alla gestione o al rallentamento della malattia;
                   Obiettivo specifico intermedio no 3
  PROMOZIONE  DI PROGRAMMI DI SCREENING DI DOCUMENTATA EFFICACIA PER LA                     DIAGNOSI PRECOCE DEI TUMORI
     Il   Piano   sanitario   nazionale   1998-2000   all'Obiettivo  II "Contrastare   le  principali  patologie"  rileva  che,  al  fine  di contribuire  a  contrastare  specifiche  forme  neoplastiche, sono da sviluppare, nei piani regionali ed aziendali e da estendere, su tutto il  territorio  nazionale,  campagne  di  screening,  di  documentata efficacia, per la diagnosi di alcune patologie neoplastiche. Il Piano rileva  inoltre  la  necessita'  che,  nell'attivazione  dei predetti programmi,  siano  previsti il monitoraggio e la valutazione continua degli  stessi;  che  sia  garantita  l'istituzione  di  un sistema di controllo   di  qualita'  dei  programmi  medesimi,  i  quali  devono prevedere,  tra  l'altro,  la  predisposizione  di linee guida per la conferma diagnostica dei casi sospetti identificati ed il trattamento tempestivo dei casi confermati.   Il   Piano,  nel  fornire  indicazioni  sui  livelli  uniformi  di assistenza, da assicurare in condizioni di uniformita' sul territorio nazionale alla totalita' dei cittadini, ricomprende nelle prestazioni che   devono   essere  erogate  dal  S.S.N.,  senza  oneri  a  carico dell'utente  al  momento della fruizione del servizio, le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e le altre prestazioni di assistenza   specialistica,   incluse  in  programmi  organizzati  di diagnosi  precoce  e prevenzione collettiva, realizzati in attuazione del  PSN  e  dei  PSR  o  comunque  promossi  o autorizzati, con atti formali, dalle regioni o provincie autonome.   A  tal  fine  e'  opportuno che a livello di ciascuna regione, sia effettuata attivita' di:
  - monitoraggio - valutazione - formazione - coordinamento dell'attivita' di screening -  definizione  dei  criteri  di  idoneita'  per  la  selezione delle strutture preposte allo screening.
     Tali  attivita'  dovranno  essere  operativamente  effettuate  dal Centro  Regionale  di  Prevenzione  Oncologica  ove  presente,  o  da apposito  organismo  costituito in ambito regionale. A tale attivita' deve  essere assicurato preventivamente un adeguato finanziamento per garantirne  la  continuita',  rientrando l'attivita' di screening nei livelli uniformi di assistenza.   La   necessita'   di  migliorare  e  rendere  piu'  efficienti  le prestazioni  diagnostiche  in  popolazione sintomatica e asintomatica quindi  di  disporre  di  sufficienti  competenze per l'esecuzione di approfondimenti nei casi selezionati dallo screening rende necessaria inoltre  l'individuazione di idonee strutture di secondo livello. Una rete  di  tali  strutture  uniformemente  distribuite  sul territorio nazionale, potrebbe raffigurare il modello piu' valido per rispondere in modo tempestivo e corretto al bisogno specialistico specifico.
  A)  PROPOSTE  OPERATIVE  IN TEMA DI PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI DELLA MAMMELLA
  1) Premessa
     In  tutti  i paesi occidentali ed industrializzati il tumore della mammella  ha raggiunto livelli di incidenza tali da rappresentare una vera  e  propria  malattia  sociale.  In  Italia, nel 1994 sono morte 11.343  donne  per carcinoma mammario e si stima che ogni anno a piu' di  31.000  donne  sia  diagnosticata  questa  malattia (dati forniti dall'Associazione Italiana Registri Tumori).   Le  attuali  conoscenze  sull'eziologia del carcinoma mammario non consentono,  purtroppo, di attuare interventi di prevenzione primaria tramite  la rimozione di fattori causali. E' invece stata dimostrata, con   metodi  rigorosi,  l'efficacia  della  prevenzione  secondaria. Numerosi  studi  controllati  hanno  dimostrato che, sottoponendo una popolazione  femminile,  nelle  fasce  di  eta'  a maggior rischio di carcinoma  mammario,  ad  un  controllo  mammografico  periodico,  la mortalita'  per  questa  neoplasia diminuisce del 30-50%, grazie alla maggiore  efficacia  del  trattamento  terapeutico  applicato in fase precoce  di  malattia. Per questo motivo, negli ultimi venti anni, si e'  data  particolare  importanza alla possibilita' di controllare la mortalita'  per  carcinoma  mammario con un intervento sistematico di diagnosi precoce.   La   risposta   piu'   efficace  ed  efficiente  alla  domanda  di prevenzione  per  il  carcinoma  della  mammella e' l'attivazione, in tutto il territorio nazionale, di programmi di screening mammografico di alta qualita', indirizzati alle donne nelle fasce d'eta' a maggior rischio,  con  priorita'  per le donne in eta' compresa tra i 50 ed i 69anni.   Le attivita' di diagnostica precoce, che richiedono l'integrazione funzionale  di  tutti  i  servizi  connessi  alla  senologia, saranno effettuate  in  stretta  collaborazione  con  le strutture della rete oncologica   e   con   le   strutture   preposte   alla   valutazione epidemiologica,  in  modo  da consentire il corretto monitoraggio dei programmi  e  l'assistenza  adeguata  dopo  la  diagnosi.  E' inoltre fortemente raccomandata la costituzione di un Gruppo di coordinamento a livello regionale.
  2. ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DI SCREENING
     E'  necessaria  l'attivazione  in tutto il territorio nazionale di programmi  di  screening  mammografico  di alta qualita', indirizzati alle donne nelle fasce d'eta' a maggior rischio, compresa tra 50 e 69 anni.  Per  eta'  inferiori  ai  50  anni,  sono  in  corso  progetti dimostrativi  (Eurotrial-40) in diverse regioni italiane per valutare flessibilita',  controlli  di qualita' e specificita' dello screening in questo gruppo di popolazione. Pertanto, le indicazioni provenienti dai  progetti  dimostrativi  potranno essere la base per l'estensione dello screening nella fascia di eta' dai 40 ai 49 anni.   L'obiettivo  principale  di  un  programma  di  screening  per  il carcinoma  della  mammella  e'  ottenere  una riduzione significativa della  mortalita'  specifica con il miglior rapporto costo beneficio. Da   studi   condotti,   si  stima  che  un  programma  di  screening mammografico,   esteso  a  tutto  il  territorio  nazionale,  per  la popolazione  femminile  di eta' compresa tra 50 e 69 anni, eviterebbe nell'arco  di  30  anni  circa  48.000 decessi per carcinoma mammario nelle donne oltre i 50 anni, raggiungendo una riduzione di mortalita' intorno al 13.5% su tutte le eta'. Cio' si tradurrebbe in un guadagno medio  di  1650  vite per anno e di circa 14.500 anni di vita salvati nello stesso periodo.   Attuare  un  programma  di  screening  mammografico  articolato  a livello  regionale,  che  coinvolga  gradualmente tutto il territorio nazionale,   e'  una  proposta  concreta  e  percorribile.  E'  pero' necessario  preliminarmente  verificare  l'esistenza  di  strutture e personale  e  promuovere  le condizioni di fattibilita', efficienza e qualita',  secondo  quanto noto. In base ad alcune stime di spesa, il costo  medio  annuo di un programma di screening mammografico rivolto alle  6.700.000  donne  in  eta'  compresa  fra  50  e  69  anni, con periodicita'  biennale,  e' stimabile in un range compreso tra 93.6 e 107,1  miliardi di lire l'anno. Questo importo corrisponde a circa lo 0.20  %  della  spesa  sanitaria  nazionale, cioe' a circa 3.000 lire pro-capite e quindi a meno del 5% delle risorse pro-capite, assegnate dal  fondo  Nazionale  alle  Regioni per le attivita' di prevenzione. Rapportando  il  costo  ai dati di efficacia sopra riportati, si puo' stimare,  su  un  lungo periodo (30 anni) un costo medio compreso fra 6.6  e  11.5  milioni  di lire per anno di vita salvato e tra 60 e 90 milioni  per  vita  salvata.  Questo  intervento  sanitario,  se  ben organizzato,  gestito  e  controllato,  presenta  quindi  un rapporto costo/beneficio  verosimilmente  piu'  vantaggioso  rispetto ad altri interventi   gia'  offerti  alla  popolazione  italiana.  La  domanda spontanea  di  esami senologici di controllo e' in forte crescita nel nostro  Paese  e  rappresenta  comunque  una  spesa  in  atto, con un rapporto costi/benefici presumibilmente peggiore di quello ottenibile con un programma nazionale ben organizzato.   Nell'attuare il programma di screening, occorre adottare i criteri illustrati nelle seguenti proposte operative.
  2.1. Test di screening:
  Mammografia convenzionale in due proiezioni ad intervallo biennale.
  2.2.Copertura della popolazione bersaglio:
     Si raccomanda di ottenere una copertura almeno del 70% delle donne residenti  nell'area,  di  eta'  compresa  tra 50 e 69 anni, rispetto all'esecuzione di una mammografia ogni 2 anni.
  2.3.  Analisi  delle risorse disponibili o acquisibili. .br. Presenza nell'area di competenza di:
     a) strutture mammografiche;   b)  personale  tecnico  addestrato  per  l'esecuzione  degli esami   mammografici;  medici  radiologi  addestrati  per  la  lettura  di   mammografie da screening;   c) struttura senologica di 2o livello presso di cui poter eseguire   gli esami di approfondimento indotti dallo screening;   d) laboratorio di cito-isto-patologia per la lettura dei preparati   citologici   (su  agoaspirato)  e  istologici  (esami  bioptici  e   trattamenti chirurgici)   e) strutture chirurgiche, radioterapiche e oncologiche in grado di   garantire  diagnosi  e  terapie  adeguate  a tutte le donne che vi   saranno indirizzate in seguito allo screening.
  2.4.  Bacino  d'utenza  e  tipologia  delle  unita'  operative per lo screening
     Allo  scopo di ottimizzare l'utilizzo delle risorse di personale e strumentali,  e' necessario definire un numero medio annuo di test di screening,  tenendo  conto  che volumi di attivita' bassi favoriscono sprechi  e  non  consentono di diagnosticare un sufficiente numero di casi,    mentre   un'eccessiva   centralizzazione   puo'   comportare difficolta'   di   accesso   alla   popolazione.  E'  necessario  che all'attivita'     di     screening     radiologico    sia    connessa organizzativamente  e strutturalmente, un'unita' di senologia per gli esami  di  approfondimento  diagnostico  sui  casi  selezionati  allo screening.   Per  definire  il  rapporto  tra  mammografi  fissi  e  mobili, la dimensione  della  popolazione  generale, il bacino di utenza di ogni unita'  di  mammografia,  bisogna tenere conto che circa il 30% della popolazione  italiana vive in aree agricole, il rimanente 70% in aree urbane, di cui circa il 25% in citta' con 500.000 o piu' abitanti.   In generale i centri di screening tipo potrebbero essere dotati di 2-3 mammografi (di cui almeno una fisso e corredato di un microfuoco) e  della  restante strumentazione, necessaria per gli approfondimenti diagnostici  dei  casi positivi al test (ecografia, citologia, ecc.). Il  volume  di attivita' dovrebbe essere compreso tra 10.000 e 20.000 esami  annui ed il bacino di utenza servito tra i 200.000 e i 500.000 abitanti.   Il   personale   deve  essere  quantificato  in  funzione dell'accesso   dell'utenza  (ad  es.  eventuale  apertura  nelle  ore preserali  e  di  sabato  mattino)  e  dell'utilizzo  delle strutture disponibili  nell'arco  di  tutta  la  giornata.  Sono  da  prevedere preferibilmente quindi doppi turni.   In  accordo  con le linee guida europee, si raccomanda infine che, tenendo  conto  dell'importanza degli approfondimenti diagnostici, al fine  di  ottenere  un'elevata  predittivita' per carcinoma, nei casi inviati  a  biopsia  chirurgica,  gli  approfondimenti  stessi  siano effettuati prevedendo l'integrazione funzionale dei servizi coinvolti nei  percorsi diagnostico-terapeutici di interesse senologico, con la diretta  partecipazione  del  radiologo incaricato della refertazione degli esami del programma di screening.
  2.5. Struttura e gestione dei programmi di screening
     Le ASL e le strutture sanitarie identificate concorrono secondo le competenze   specifiche   alla   programmazione  e  attuazione  degli screening   oncologici.  In  particolare  l'ASL,  a  cui  compete  di garantire  i  livelli  di  assistenza  definiti  dalla programmazione sanitaria nazionale e regionale, ha il compito di:
    - promuovere, nell'ambito territoriale di competenza i programmi di  screening,  coerenti con il contesto epidemiologico e scientifico e  le linee di indirizzo regionali, nazionali ed internazionali;  - assicurare le risorse necessarie per la loro attuazione;  - assicurare il coinvolgimento dei medici di medicina generale;  -   assicurare   l'informazione   e   la   sensibilizzazione  della  popolazione    ed   il   coinvolgimento   delle   associazioni   di  volontariato;  -  assicurare la gestione e la valutazione dei programmi garantendo  il   sistema   informativo   ed   il  coordinamento  operativo  dei  professionisti e delle strutture coinvolte;  -  programmare  l'attivita' formativa, secondo quanto contenuto nel  capitolo specifico.
  A  livello regionale, e' necessario garantire il coordinamento per la pianificazione  e  la valutazione delle attivita' di screening, con i seguenti compiti:
    -  pianificare  sul territorio regionale l'attivazione di programmi  di screening di alta qualita';  -   effettuare   la  loro  valutazione,  utilizzando  le  opportune  competenze epidemiologiche;  -  attuare  programmi  di  formazione  degli  operatori,  secondo i  criteri stabiliti in sede nazionale;  -  attivare  un  programma  di "controlli di qualita'" per le varie  procedure  organizzative,  diagnostiche e terapeutiche cui dovranno  attenersi i programmi di screening;  -  definire  le  modalita'  di  controllo,  affinche'  i livelli di  qualita' siano mantenuti nel corso dell'attivita' (assicurazione di  qualita);  -  stabilire le modalita' di esenzione dalla compartecipazione alla  spesa sanitaria, conformemente alle indicazioni nazionali;  - consultare i rappresentanti dell'utenza.
  2.6. Risorse
     La  continuita' del finanziamento per la conduzione del programma, per  spese di investimento e di gestione, deve poter essere garantita prima  dell'avvio  dello stesso. Si raccomanda un accurato sistema di monitoraggio,   con   documentazione   dei   costi   in   ogni   fase dell'intervento.  Per  migliorare  l'organizzazione  e pianificare la strategia   d'intervento   e'   necessario   definire   parametri  di riferimento  quali  ad  esempio  il  costo  per  donna  sottoposta  a screening.
  2.7.    informazione    della    popolazione   e   promozione   della partecipazione.
     La partecipazione della popolazione bersaglio e' uno dei requisiti per  il  successo  di  un  programma di screening. Sforzi particolari dovrebbero  essere  fatti  per coinvolgere le donne che non hanno mai eseguito una mammografia in passato. La partecipazione allo screening e'  diversamente  associata  con  l'eta',  lo  stato civile, lo stato socioeconomico,  la  frequenza  di contatto con il sistema sanitario, etc.  Paura  delle radiazioni o del dolore alla compressione del seno durante  il  test,  ansieta'  per  il  risultato,  paura  del cancro, mancanza  di  fiducia nell'efficacia dello screening e della terapia, nel   sistema   sanitario,  sono  ostacoli  alla  partecipazione  che dovrebbero   essere  valutati  anche  in  relazione  alle  differenti situazioni  locali,  cosi'  come  le  barriere come la distanza o gli orari, che diminuiscono l'accesso alle Unita' di screening.   L'adesione  della  popolazione  ad  un programma di screening puo' essere  aumentata  in  vari modi: adottando un invito personalizzato, con  appuntamento  prefissato  ed a firma del medico di famiglia o di altre  persone  altamente reputate in una comunita', incoraggiando le non partecipanti ad aderire.   L'uso  dei  mass-media  puo'  svolgere  un  ruolo  importante  per rimuovere  le barriere alla partecipazione, informando la popolazione bersaglio sul programma, sulla sua organizzazione, su i suoi vantaggi ed   i   suoi   limiti.   In  piccole  citta'  e  in  zone  agricole, l'organizzazione   della   vita   sociale   (associazioni,   circoli, parrocchie   ecc.)   puo'   consentire   di  identificare  specifiche opportunita'  per  informare le donne e promuovere la partecipazione. La  pubblicita' attraverso i mass-media ha un effetto di breve durata e dovrebbe essere pianificata a intervalli regolari per rinforzare il messaggio.  Giornali e stazioni radiotelevisive possono offrire spazi gratuiti  per  la  pubblicita'  e  si  possono  trovare  sponsor  per finanziare l'informazione.   Qualsiasi  effetto  di modifiche all'organizzazione del programma, idealmente  dovrebbe  essere valutato attraverso studi randomizzati e controllati.
  2.8.Ruolo del medico di medicina generale
     Nell'ambito   di   un   programma  di  screening  mammografico  di popolazione   l'informazione   e   l'educazione   sanitaria  sono  di fondamentale  importanza.  Il medico di medicina generale (MMG) e' il punto  di  riferimento  per  il  cittadino  e  quotidianamente riceve richieste   di  informazioni,  chiarimenti  e  consigli  anche  sulle possibili  iniziative  di  prevenzione; egli inoltre stabilisce con i propri pazienti un rapporto fiduciario e continuo nel tempo.   A  livello  europeo,  il  programma  "Europa  contro il cancro" ha ripetutamente  raccomandato  il coinvolgimento dei m.m.g. nell'ambito dei programmi di screening di popolazione.   Studi  condotti  per  valutare gli effetti di diverse modalita' di invito  hanno dimostrato che anche nella realta' italiana una lettera a  firma  del  m.m.g.  puo'  ottenere  tassi  di  partecipazione piu' elevati.   In  Italia  la  convenzione  con  la  medicina generale prevede la partecipazione dei m.m.g. ai programmi di screening.   Schematizzando,  il  ruolo  dei  m.m.g. puo' essere riassunto come segue:
    -   correzione  delle  liste  in  base  ai  criteri  di  inclusione  (escludendo pazienti gia' affette da tumore o da gravi malattie);  -  attiva  promozione  della  partecipazione  nei  confronti  delle  proprie assistite;  - informazione mirata alle donne non aderenti;  -   "counselling"  in  tutte  le  fasi  del  programma  e  supporto  psicologico,  in  particolare  per  le  donne risultate positive al  test.
     L'esperienza  dei  Paesi  nord  europei  insegna  che  molte donne decideranno  se  aderire al programma e se seguire l'iter diagnostico suggerito dopo aver sentito il parere del proprio medico curante.   L'attivazione  di  un  programma  di  screening  mammografico deve essere  preceduta  da  un'adeguata  formazione dei medici di medicina generale,  organizzata  secondo tecniche didattiche gia' sperimentate dalla SIMG per la formazione continua dei professionisti.
  2.9. Protocolli per il counselling ed il supporto psicologico
     Oltre   a   predisporre   gli   strumenti   per   incentivare   la partecipazione  al test di screening, e' necessario mettere a punto e disporre  di  strumenti per il counselling ed il supporto psicologico per  le  donne  che  sono richiamate, per quelle che sono indirizzate verso  accertamenti  diagnostici invasivi o a cui e' diagnosticato il cancro.  I  livelli  di  ansieta'  determinati  da un richiamo devono essere  adeguatamente  gestiti sin dalla comunicazione del richiamo e durante l'iter diagnostico in stretta collaborazione con il medico di medicina generale. Il medico di medicina generale ed il personale che opera  nel servizio, adeguatamente formato, possono svolgere un ruolo di adeguato supporto e consiglio.
  2.10. Controlli di qualita'
     I  controlli  di qualita' devono essere applicati a tutte le varie fasi  della  procedura  di screening, dal reclutamento e invito della popolazione  target,  alla  esecuzione  dei test di screening e degli esami  di approfondimento, alla applicazione di protocolli di terapia e  follow-up  adeguati nei casi risultati positivi allo screening. Il programma  "Europa  contro  il  cancro" ha pubblicato le "Linee guida Europee per l'Assicurazione di Qualita' nello screening mammografico" in  cui  si  sottolinea  che  "non  dovrebbe  essere intrapreso alcun programma   di  screening  senza  averne  stabilito  chiaramente  gli obiettivi,  o  se non si dispone di personale adeguatamente formato e di un programma di Assicurazione di Qualita' adeguato" .
  Aspetti organizzativi.
     Il  programma  di  controllo  di  qualita'  dovra'  verificare che requisiti quali disponibilita' e accuratezza delle liste anagrafiche, sistemi    di    invito-reinvito,   adesione   agli   approfondimenti diagnostici,  follow-up  e qualita' della terapia siano soddisfatti e mantenuti nel tempo.
  Aspetti tecnici.
     Il   controllo   di   qualita'  dell'esame  mammografico  richiede competenze  radiologiche  e fisiche ed un'adeguata strumentazione. Il protocollo  operativo  e  la frequenza dei controlli di qualita' sono chiaramente  stabiliti  nelle linee guida europee. La loro attuazione richiede quindi la necessita' di istituire in ambito regionale Centri di  riferimento  per  il  controllo  della dose e qualita' dell'esame mammografico, a supporto delle attivita' di controllo di qualita' che sono  svolte  dai  singoli  programmi  di  screening  e dalle Aziende sanitarie secondo la normativa vigente. Aspetti medici:
  Gli aspetti medici del programma possono essere cosi' suddivisi:
   a) informazione e educazione sanitaria (Medici di medicina generale); b) test di screening (radiologo); c) approfondimenti diagnosticano (oncologo - radiologo); d) diagnosi istopatologica (patologo), e) somministrazione della terapia adeguata (chirurgo, oncologo,   radioterapista) nei casi identificati dal programma di screening.
     Per il radiologo che effettua la lettura dello screening, il primo indicatore  di  qualita'  e'  costituito  dal  tasso  di richiamo per successivi  approfondimenti  diagnostici.  Questi possono determinare un'ingiustificata   ansia  nelle  donne  richiamate  per  alterazioni falsamente  corrette  ed incidere sensibilmente sui costi complessivi del programma di screening.   Si  raccomanda  di  rispettare gli indicatori (proposti dal GISMa) per le classi d'eta' 50\69 anni (vedi allegato no3 tab. n. 1)
  2.11. Pianificazione e valutazione
     Elemento  fondamentale di un programma di screening e' la funzione d'organizzazione e di valutazione. Possiamo distinguere tale funzione a  livello  di  centri  di  screening,  riferiti  ad  una  data  area geografica, e a livello di piu' Centri (ad esempio di una regione).
  E' necessario che ogni centro di screening:
    - disponga di un sistema informativo con liste anagrafiche corrette  e aggiornate di popolazione, possibilmente suddivisibili per medico  di Medicina generale;  -  organizzi  e  gestisca  un  sistema di appuntamenti e provveda a  reinvitare le donne non aderenti;  -  verifichi  che  le  donne  positive  al test siano sottoposte ad  accertamenti  di  secondo  livello  e  che le donne con diagnosi di  carcinoma mammario abbiano una terapia adeguata e tempestiva;  -  raccolga le informazioni di follow-up clinico ed epidemiologico,  sui  casi accertati; informazioni fondamentali per i casi di tumore  della  mammella  sono:  - tipo di intervento chirurgico; - diagnosi  istologica;  -  stadio patologico secondo la classificazione T.N.M.  E'  importante  comprendere  nella  rilevazione  anche  i  casi  di  intervallo,  vale  a  dire  i tumori insorti in donne negative alla  mammografia e prima del successivo invito;  - tenga i collegamenti con i centri di riferimento per la terapia e  con  le  altre strutture coinvolte nello screening (ad es. Registri  Tumori, ecc.);  -  produca stime puntuali sull'adesione allo screening, sulle altre  misure   di  processo  e  sugli  indicatori  precoci  di  efficacia  riportati nella precedente tabella.
  Definizione di un sistema informatico.
     Al  fine  di  svolgere  queste  attivita'  e'  necessaria definire sistemi  informativi  e produrre programmi di gestione computerizzata che,  tenendo  conto  delle  caratteristiche  specifiche  dei sistemi informativi   esistenti   a   livello   regionale,  possano  produrre indicatori   di  processo  confrontabili  a  livello  intra  e  inter regionale.   E'  probabile  che,  per  questioni  di  scala,  possa essere piu' conveniente  produrre le stime relative a livello regionale piuttosto che  a  livello  locale,  o utilizzare il lavoro gia' svolto da altre strutture  per  l'intero  territorio  (ad  esempio  registri  tumori, sistema regionale per la mortalita', dimissione ospedaliere, registri di patologia, ecc.).   Strumenti  utili  per la valutazione dei risultati di un programma di  screening  mammografico  sono  i registri tumori, in subordine, i registri   di  patologia,  e  sistemi  computerizzati  di  dimissione ospedaliera.  Il  15%  della  popolazione  italiana  e'  coperta  dai registri  tumori.  La  creazione  di Registri di patologia mammaria a livello  di  popolazione  dovrebbe  essere presa in considerazione in funzione della valutazione di programmi di screening.   E'  necessario  predisporre una rilevazione della disponibilita' e aggiornamento  di  anagrafi  automatizzate,  e  dell'integrazione tra anagrafi ed elenco assistiti dai medici convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale.   Inoltre  l'adozione  del  Codice  fiscale  o  di  altro sistema di identificazione  personale,  esteso  a tutto il territorio nazionale, potrebbe   grandemente   favorire  il  linkage  tra  diversi  sistemi informativi  e  di  conseguenza  le  attivita' di organizzazione e di valutazione degli screening.
  Sistemi di valutazione dell'intervento
     Devono  essere  individuati i centri di riferimento per la terapia del  carcinoma  mammario,  cui  indirizzare  i  casi individuati allo screening  tramite collegamenti funzionali. Tale organizzazione e' un presupposto  per l'adozione di una terapia tempestiva attuata in base a  validati  ed  espliciti  protocolli  dei  quali si devono dotare i centri  di  riferimento,  in  modo  da non vanificare l'anticipazione diagnostica,  conseguita  dalla  diagnosi  precoce,  e  ridurre,  con trattamenti inadeguati, la potenziale efficacia dello screening sulla qualita'  e durata della vita. In questo modo sono inoltre facilitati il   follow-up   epidemiologico  dei  casi  e  l'accessibilita'  alla documentazione clinica.
  2.12. Formazione del personale
     Un'adeguata  formazione  degli  operatori e' un momento essenziale per  l'attivazione dei programmi di screening. Deve essere ben chiaro infatti  che  lo  screening  mammografico  e'  un  mezzo efficace nel ridurre la mortalita' per carcinoma mammario con trascurabili effetti negativi,   comunque   presenti   (p.es.   sovradiagnosi,  cancri  di intervallo ecc.) a condizione che le varie procedure operative, dalla programmazione  alla  diagnosi  e  terapia,  siano effettuate secondo standard ottimali di qualita'.   Lo    screening   mammografico   richiede   competenze   altamente specifiche,   non   sempre   disponibili   all'interno  del  servizio sanitario,   ove  normalmente  si  svolge  attivita'  diagnostica  ed assistenziale  rivolta  a  pazienti  sintomatiche  e non a persone in buono   stato   di   salute.   Infatti,   per  quanto  riguarda  piu' specificatamente  il  test  di  screening  (mammografia), questo puo' differire   dalla  mammografia  "clinica"  in  quanto  a  criteri  di esecuzione  (proiezione  obliqua)  e,  senza  dubbio,  ne  differisce sensibilmente  in  quanto  ai  criteri  interpretativi.  Il  test  di screening  deve  essere altamente sensibile per le lesioni di piccolo diametro,   per   garantire   l'efficacia   dei   programmi  rispetto all'obiettivo   primario  della  riduzione  di  mortalita',  e  molto specifico, al fine di contenere, entro limiti rigorosi, i costi e gli effetti negativi.   Va  inoltre  rilevato come il personale non medico assuma un ruolo particolarmente  importante  nella  realizzazione  dei  programmi  di screening e nel contatto con le donne partecipanti al programma. Gran parte  del  lavoro  e'  svolto, infatti, da personale non medico e la maggior  parte  delle  donne  avra'  un  rapporto  diretto  con  tali operatori.
  2.13. Criteri per la selezione dei centri di screening
     La necessita' di uniformare i programmi di screening italiani agli standard  raccomandati  in  ambito  europeo impone la selezione delle strutture,  in  modo  che  diano sufficienti garanzie di qualita'. In fase  di  selezione si dovra' tenere conto anche della disponibilita' di  strutture assistenziali qualitativamente adeguate, in particolare per  la  terapia  di  forme  iniziali  diagnosticate  allo  screening (trattamenti conservativi, radioterapia ecc.).   Il gruppo tecnico di lavoro che coordina il programma di screening avra'  cura  di  definire  a  priori  quale  sia  il numero minimo di strutture  necessario,  in  funzione del valore atteso di rispondenza della  popolazione,  i  criteri  per la loro individuazione nonche' i requisiti e la composizione del gruppo tecnico che dovra' svolgere le verifiche.   L'invito  a  candidarsi ad operare come centro di screening potra' coinvolgere  tutte  le  strutture  sanitarie  del  territorio dove e' svolto  il  programma  senza  alcuna preclusione se non quella di una fondata  verifica  di  inidoneita'  a svolgere le specifiche funzioni dello screening. Contestualmente all'invito a candidarsi le strutture sanitarie  saranno  informate  preventivamente  delle modalita' e dei tempi  prescelti  per effettuare la verifica e riceveranno la griglia di valutazione adottata.
  2.14. Riservatezza dei dati
     Ogni  programma  di screening deve rispettare la normativa vigente in  materia  di  trattamento  dei dati sensibili come stabilito dalla legge  675  del  31  dicembre  1996  (Tutela delle persone e di altri soggetti  rispetto  al  trattamento  di  dati personale), dal decreto legislativo  135 del 11 maggio 1999 e dal decreto legislativo 282 del 30 luglio 1999:
  ..... Il presente decreto.....individua alcune rilevanti finalita' di interesse  pubblico,  per  il  cui  perseguimento e' consentito detto trattamento,  nonche'  le  operazioni eseguibili e i dati che possono essere trattati.                                 (DL 135, art. 1, comma 1, lettera b) ....si  considerano  di  rilevante  interesse  pubblico  le  seguenti attivita'  rientranti  nei compiti del Servizio Sanitario Nazionale e degli altri organismi sanitari pubblici..... a)  la  prevenzione,  la  diagnosi,  la  cura e la riabilitazione dei soggetti assistiti dal servizio sanitario nazionale.........                                (DL 135, art. 17, comma 1, lettera a)
  B)   PROPOSTE   OPERATIVE  IN  TEMA  DI  PREVENZIONE  SECONDARIA  DEL CERVICO-CARCINOMA UTERINO.
  1. PREMESSA
     La  mortalita'  per tumore dell'utero e' diminuita di oltre il 50% negli ultimi 40 anni, passando da 14 casi ogni 100.000 donne nel 1955 a 6 casi ogni 100.000 donne nel 1990.   I  dati ISTAT non differenziano tra morti attribuibili a carcinoma della  cervice  uterina  e  morti  attribuibili a carcinoma del corpo dell'utero. Tuttavia, analisi di popolazione effettuate tenendo conto delle  coorti  di  nascita,  consentono  una  discriminazione  almeno approssimativa,   in  quanto  il  tumore  della  cervice  uterina  ha un'insorgenza  piu'  precoce  rispetto  al tumore dell'endometrio. La riduzione  di  mortalita' e' stata osservata soprattutto nelle coorti piu' giovani, suggerendo indirettamente che gran parte di essa sia da attribuire   alla  diminuita  mortalita'  per  tumore  della  cervice uterina.   Attualmente  si  stima che ogni anno in Italia siano diagnosticati circa  3.600  nuovi  casi  di  cervico-carcinoma  e che si registrino almeno 1.700 morti per questo tumore.   Al momento, non esistono indicazioni per interventi di prevenzione primaria per i tumori della cervice uterina, mentre sono molto chiare le indicazioni a favore di interventi di prevenzione secondaria.   Il razionale per l'introduzione dello screening di popolazione per il  cervicocarcinoma  si  basa  sulla  possibilita' di individuare la malattia  in fase asintomatica, quando le probabilita' che questa sia in fase preinvasiva o invasiva iniziale sono piu' elevate.   L'unico test di screening per i tumori della cervice uterina e' il Pap  test. L'impiego del Pap test consente l'identificazione non solo di   lesioni   tumorali   molto   precoci,   ma   anche   di  lesioni preneoplastiche.  Lo screening avrebbe pertanto il compito di ridurre sia  la mortalita' per carcinoma, favorendone la diagnosi in una fase in  cui  il  trattamento  puo' essere efficace, sia l'incidenza della neoplasia    invasiva   attraverso   il   trattamento   delle   forme preneoplastiche. Le evidenze dell'efficacia dello screening, mediante Pap  test,  derivano  dall'osservazione di variazioni temporali della mortalita'  per  tumore  della cervice uterina in aree geografiche in cui  siano  stati  attuati  interventi attivi su fasce di popolazione piu'  o  meno  ampie  e  da studi non randomizzati che hanno rilevato un'importante  riduzione  di incidenza di tumori invasivi nelle donne sottoposte a Pap-test.   L'entita'  della  riduzione  della  mortalita' per carcinoma della cervice  uterina  in  una  determinata area geografica e' in funzione della  percentuale  di popolazione interessata dallo screening, della fascia  d'eta' inserita nel programma e della partecipazione da parte della  popolazione  invitata.  L'analisi  dei  diversi  intervalli di re-screening  adottati  e  delle  diverse  fasce  d'eta' inserite nei programmi  di  popolazione  ha  fornito  indicazioni  che  sono state utilizzate  per calcolare l'efficacia teorica di diverse politiche di screening.
  2. LO SCREENING CERVICO-VAGINALE IN ITALIA. ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA.
     In  Italia  l'attivita' organizzata di screening citologico per il cervico-carcinoma  non  e'  uniformemente  distribuita sul territorio nazionale.  Ugualmente  variegato  appare  il panorama all'interno di ogni singola realta' regionale.   Da  un'indagine  condotta nel 1997, emerge come in quell'anno solo il  13,5%  delle donne italiane, tra i 25 e i 64 anni, fosse inserita in   un  programma  organizzato  di  screening  citologico,  con  una distribuzione  prevalente  al centro ed al nord Italia. La situazione si  sta  rapidamente  evolvendo  grazie all'implementazione di alcuni programmi  a  livello  regionale,  quest'estensione  dei programmi di screening  dovrebbe  portare al 44,5 la percentuale di donne italiane 25-64enni  cui e' offerto gratuitamente, ogni 3 anni, un Pap-test per la diagnosi precoce del cervico-carcinoma.   Al  di fuori dei programmi organizzati di screening citologico, si osserva la diffusione del cosiddetto screening spontaneo.   E'  stato stimato che, mediamente, in Italia sono effettuati circa 3.5  -  4.0  milioni di Pap test ogni anno. Cio' potrebbe significare che  ogni anno una, ogni tre-quattro donne, di eta' compresa tra 25 e 64  anni  esegue il test e che quindi il numero di test effettuati e' quasi  sufficiente  a  garantire  la  copertura  nella  fascia d'eta' passibile   di   screening,  adottando  un  intervallo  triennale  di re-screening.   In   realta',   la   quota   di   donne  che  esegue  il  Pap-test periodicamente  e' ben piu' limitata e spesso questo gruppo fa un uso eccessivo  dei  test  (test eseguiti annualmente o anche con maggiore frequenza).  Esiste  quindi  una  quota consistente della popolazione femminile   che  non  ha  mai  eseguito  il  test  o  che  lo  esegue irregolarmente.  Questa  fascia  di  popolazione,  che proprio per il fatto di non fare il Pap-test e' piu' a rischio di avere una diagnosi di  carcinoma  della  cervice  uterina,  deve  rappresentare il primo target di un programma di screening attivo.   Di  conseguenza e' necessaria l'attivazione su tutto il territorio nazionale  di  programmi  di  screening del cervico-carcinoma di alta qualita',  favorendo  il  completamento  del  processo attualmente in atto. A tal fine, e' necessario verificare l'esistenza di personale e strutture  e  promuovere  le condizioni di fattibilita', efficienza e qualita',  secondo  quanto  noto.  A  tal  proposito  si riscontra la mancata  identificazione  di  una  specifica figura professionale cui attribuire  le  funzioni  di citologo. Anche al fine di garantire una miglior qualita' delle prestazioni, il Ministero della Sanita', entro sei   mesi,   regolamentera'   l'attribuzione  di  quest'attivita'  e precisera'  i  criteri per l'identificazione delle suddette funzioni, provvedendo   all'identificazione   della  o  delle  relative  figure professionali  idonee  a  svolgere  con  competenza  questa funzione. Nell'attuare  il  programma  di  screening occorre adottare i criteri illustrati  nelle  seguenti  proposte  operative. Esse sono formulate sulla  base  delle  "European  Guidelines  for  quality  assurance in cervical cancer screening - Europe against Cancer Programme" .
  2.1. Test
     Il  Pap  test  e' l'unico test di screening per il carcinoma della cervice uterina ed e' volto ad identificare le lesioni preinvasive ed il  carcinoma  invasivo  iniziale  della  cervice uterina e non altre affezioni dell'apparato genitale femminile.
  2.2. Programma di screening
     Si raccomanda di attivare un programma che raggiunga una copertura della  popolazione femminile italiana tra 25 e 64 anni, pari all'85%, eseguendo  un  Pap  test  gratuito  ogni 3 anni. I test gratuiti, non utilizzati  secondo queste indicazioni, sono sconsigliati. Questi non devono  comunque  superare  il  10% del totale previsto dai programmi organizzati e devono essere adeguatamente motivati.
  2.3.  Situazione attuale degli screening in corso e loro integrazione in un programma organizzato nel SSN.
     Prima  di  realizzare  un  programma  di screening organizzato, si raccomanda  di  procedere  ad  un'analisi delle strutture esistenti a livello  locale.  E'  necessario conoscere a priori la disponibilita' di:
     a)  ambulatori  e/o  consultori  dei  distretti,  presso  i  quali   effettuare il prelievo cervico vaginale;   b)   personale  per  l'esecuzione  dei  prelievo  (preferibilmente   ostetriche,   e,   in   assenza   di   tale  figura  professionale   l'infermiera  addetta  al  Distretto, previa frequenza di un corso   specifico di formazione teorico-pratica;   c)  laboratori di cito-isto-patologia per la lettura dei preparati   citologici  ed  istologici (esami di approfondimento - trattamenti   chirurgici);   d)  strutture  di  2o  livello  presso  di  cui  eseguire indagini   colposcopiche;   e) esistenza di canali di raccordo tra queste strutture;   f)  strutture  assistenziali  in  grado di eseguire un trattamento   adeguato alla patologia diagnosticata.
  E'  bene  inoltre  tenere  presente che una "buona accoglienza" della donna invitata ad effettuare il test di screening gioca sicuramente a favore di un'immagine efficiente del programma.
  2.4.Bacino di utenza   Normalmente  il  bacino  di  utenza  di  un programma di screening citologico  dovrebbe comprendere non meno di 250.000 abitanti. Bacini di  utenza che offrano economie di scala ed efficienza amministrativa comprendono  una  popolazione  variabile  tra i 400 mila e i 700 mila abitanti.   E'   necessario   che  il  bacino  di  utenza  del  programma  sia sufficientemente vasto da garantire la stabilita' della popolazione e da  includere  le  risorse  necessarie  non  soltanto per il prelievo citologico,  ma  anche  per  tutte  le fasi successive del programma, quali  la valutazione dei preparati, gli esami di approfondimento per le  utenti  risultate  positive  al  test,  il follow-up dei casi con alterazioni  e  valutazione  dei  risultati. Alternativamente occorre identificare  specifici  centri  di riferimento collocati al di fuori dell'area, con i quali stabilire rapporti di collaborazione.
  2.5. Struttura e gestione dei programmi di screening   Le ASL e le strutture sanitarie identificate concorrono secondo le competenze   specifiche   alla   programmazione  e  attuazione  degli screening   oncologici.  In  particolare  l'ASL,  a  cui  compete  di garantire  i  livelli  di  assistenza  definiti  dalla programmazione sanitaria nazionale e regionale, ha il compito di:
    - promuovere, nell'ambito territoriale di competenza i programmi di  screening,  coerenti con il contesto epidemiologico e scientifico e  le linee di indirizzo regionali, nazionali ed internazionali;  - assicurare le risorse necessarie per la loro attuazione;  - assicurare il coinvolgimento dei medici di medicina generale;  -   assicurare   l'informazione   e   la   sensibilizzazione  della  popolazione    ed   il   coinvolgimento   delle   associazioni   di  volontariato;  -  assicurare la gestione e la valutazione dei programmi garantendo  il   sistema   informativo   ed   il  coordinamento  operativo  dei  professionisti e delle strutture coinvolte;  -  programmare  l'attivita' formativa, secondo quanto contenuto nel  capitolo specifico.
  A  livello regionale, e' necessario garantire il coordinamento per la pianificazione  e  la valutazione delle attivita' di screening, con i seguenti compiti:
    -  pianificare  sul territorio regionale l'attivazione di programmi  di screening di alta qualita';  -   effettuare   la  loro  valutazione,  utilizzando  le  opportune  competenze epidemiologiche;  -  attuare  programmi  di  formazione  degli  operatori,  secondo i  criteri stabiliti in sede nazionale;  -  attivare  un  programma  di "controlli di qualita'" per le varie  procedure  organizzative,  diagnostiche e terapeutiche cui dovranno  attenersi i programmi di screening;  -  definire  le  modalita'  di  controllo  affinche'  i  livelli di  qualita'  siano  mantenuti nel corso dell'attivita'; (assicurazione  di qualita);  - consultare i rappresentanti dei cittadini.
  2.6. Risorse
     La  continuita' del finanziamento per la conduzione del programma, per  spese  di  investimento  e  spese di gestione, deve poter essere garantita  prima  dell'avvio  dello  stesso. Si raccomanda inoltre di realizzare un sistema di monitoraggio per documentare i costi di ogni fase.  Per  migliorare  l'organizzazione  e  pianificare la strategia d'intervento,  e'  necessario definire parametri di riferimento quali il costo per donna sottoposta a screening o per test effettuato.
  2.7. Informazione della popolazione e partecipazione
     La  partecipazione  della  popolazione  bersaglio  e' un requisito fondamentale  per  il  successo  di  un programma di screening. Bassi tassi  di  adesione diminuiscono il beneficio in termini di riduzione della  mortalita'  in tutta la popolazione piu' che lunghi intervalli tra  test;  e'  quindi opportuno focalizzare l'attenzione soprattutto sulle donne che non hanno mai effettuato un Pap-test in passato.   La  partecipazione allo screening e' condizionata dall'eta', dallo stato  civile, da quello socio-economico, dalla frequenza di contatto con  il  sistema  sanitario,  ecc.  Paura  per l'esecuzione del test, ansieta'  per  il  risultato,  paura  del cancro, mancanza di fiducia nella   efficacia  dello  screening  e  della  terapia,  nel  sistema sanitario  sono  ostacoli  alla  partecipazione che dovrebbero essere valutati  anche  in  relazione  a differenti situazioni locali, cosi' come  barriere  che  diminuiscono  l'accessibilita'  alle  unita'  di screening quali la distanza, gli orari, ecc.   L'adesione  della  popolazione  a  un  programma di screening puo' essere  aumentata  in  vari  modi:  inviando  inviti  personali,  con appuntamento  prefissato ed a firma del medico di famiglia o di altre persone   di   riconosciuto  prestigio  nella  comunita'.  L'uso  dei mass-media   puo'  svolgere  un  ruolo  importante  sia  cercando  di rimuovere   le   barriere  alla  partecipazione,  sia  informando  la popolazione  bersaglio  sul  programma e sulla sua organizzazione. In piccole citta' e in zone agricole l'organizzazione della vita sociale (associazioni,   circoli,   parrocchie,   ecc.)  puo'  consentire  di identificare   specifiche  opportunita'  per  informare  le  donne  e promuovere la partecipazione.   La  pubblicita'  attraverso  i  mass-media ha effetto per un breve periodo  e  dovrebbe  essere  pianificata  a  intervalli regolari per rinforzare  il  messaggio. Giornali, stazioni radiotelevisive possono offrire  spazi  gratuiti  per  la  pubblicita'  e  si possono trovare sponsor  per  finanziare l'informazione. Ogni eventuale modificazione dell'organizzazione del programma idealmente dovrebbe essere valutata attraverso studi randomizzati e controllati.
  2.8. Ruolo del medico di medicina generale   L'informazione  e  l'educazione  sanitaria  sono  di  fondamentale importanza  nell'ambito di un programma di screening cervico-vaginale di  popolazione.  Il medico di medicina generale (m.m.g.) e' il punto di riferimento per il cittadino e quotidianamente riceve richieste di informazioni, chiarimenti e consigli anche sulle possibili iniziative di  prevenzione;  egli  inoltre  stabilisce  con i propri pazienti un rapporto fiduciario e continuo nel tempo. Il programma "Europa contro il cancro" ha ripetutamente raccomandato il coinvolgimento dei m.m.g. nell'ambito  dei  programmi di screening di popolazione. L'esperienza dei Paesi nord europei insegna che molte donne decideranno se aderire al  programma  e  se  seguire  l'iter diagnostico suggerito dopo aver sentito il parere del proprio medico curante.   Studi  condotti  per  valutare gli effetti di diverse modalita' di invito  hanno  dimostrato come anche nella realta' italiana, il ruolo del  m.m.g.,  nel  firmare la lettera di invito, sia determinante per ottenere   tassi   di  partecipazione  piu'  elevati.  In  Italia  la convenzione  con  la  medicina generale prevede la partecipazione dei m.m.g.  ai  programmi  di screening. L'attivazione di un programma di screening  cervico-vaginale  deve  essere  preceduta  da  un'adeguata formazione  dei  medici  di  medicina  generale,  organizzata secondo tecniche  didattiche  gia'  sperimentate dalla SIMG per la formazione continua dei professionisti.
  Schematizzando, il ruolo dei m.m.g. puo' essere riassunto come segue:
     a)  correzione  delle  liste  in  base  a criteri di eleggibilita'   (escludendo pazienti gia' affette da tumore o da gravi malattie);   b) attiva informazione nei confronti della popolazione;   c)  informazione mirata sulle donne non responders, soprattutto se   richiamate per un approfondimento;   d)  "counselling"  e  supporto  psicologico  in  tutte le fasi del   programma, in particolare per le donne positive al test;   e) segnalazione dei cancri di intervallo
  2.9.Protocolli per il counselling ed il supporto psicologico
     E'  necessario  predisporre  e  mettere  a  punto strumenti per il counselling   ed   il  supporto  psicologico  delle  donne  che  sono richiamate  per la ripetizione del test, per accertamenti diagnostici di secondo livello o per essere indirizzate alla terapia.
  2.10. Controlli di qualita' del prelievo citologico
     Si  raccomanda  che la percentuale di campioni inadeguati, a causa dei   prelievo,  non  superi  il  5%.  A  tale  scopo  e'  necessario effettuare, almeno annualmente, per ogni prelevatore, il monitoraggio della  percentuale  di  campioni  inadeguati  e  predisporre un nuovo training, per chi non rientri nello standard.   E'   importante   che   il   personale  addetto  al  prelievo  sia periodicamente   aggiornato   sull'andamento   del   programma,   con particolare riferimento agli esiti qualitativi del proprio operato.
  2.11. Garanzia del trattamento
     E' indispensabile instaurare un sistema che eviti qualsiasi errore od  omissione (fail safe mechanism - sistema di sicurezza intrinseca) nel  garantire  il  trattamento  ad  ogni  donna con una diagnosi che comporti un intervento terapeutico.
  A tal fine e' necessario che:
    -  Le  donne  ricevano  informazioni sul risultato del test e sulle  azioni che e' necessario intraprendere direttamente, attraverso una  comunicazione  scritta. Bisogna mirare a contenere l'intervallo tra  prelievo e comunicazione del risultato entro 3 settimane.  - Il programma di screening adotti espliciti protocolli diagnostici  e  di  followup  dei  campioni citologici anormali. Un programma di  screening  deve puntare al follow-up di tutti i campioni citologici  anormali,  da  avviare  all'esame  colposcopico,  e insoddisfacenti  entro  tre  mesi.  Si  raccomanda  che l'esame colposcopico avvenga  presso  presidi  accreditati,  ove  operi  personale  addestrato  e  sottoposto  ad un periodico controllo di qualita'. Si raccomanda di  adottare l'attuale classificazione colposcopica internazionale.  -  Il  programma di screening deve includere dettagliati protocolli  per  il trattamento delle lesioni preinvasive e del tumore invasivo  della  cervice.  Le linee guida devono garantire che il trattamento  sia offerto a tutte le donne che ne hanno bisogno.  -  Il  trattamento  ablativo e distruttivo deve essere preceduto da  una  verifica  istologica.  Una  politica  di  ablazione con ansa a  radiofrequenze, non preceduta da una biopsia mirata, e' accettabile  solo  se  si  verifica  un'elevata conferma istologica a posteriori  della  presenza  di  lesioni  intraepiteliali  (>90%). Le direttive  devono  garantire,  inoltre, che il trattamento offerto sia il piu'  conservativo  possibile,  in  misura accettabile dal punto di vista  professionale, a parita' di risultati terapeutici.  - Si deve assicurare il follow-up dopo il trattamento delle lesioni  preinvasive, mediante la ripetizione periodica dei Pap test e della  colposcopia,   tenendo  conto  che  la  maggioranza  dei  preparati  citologici  anormali  si osserva entro due anni dal trattamento. Si  deve  monitorare  l'adeguamento  del  trattamento e dei follow-up a  questi  protocolli  e  fornire  spiegazioni per l'eventuale mancato  adeguamento.
  2.12.Organizzazione e valutazione del programma
     Per  una corretta organizzazione e al fine di valutare i risultati del  programma  ed  il  rispetto  degli  standard  e  dei  protocolli adottati, e' fondamentale disporre:
    -  di  liste  anagrafiche  complete  e aggiornate della popolazione  bersaglio;  -  di un sistema di registrazione dei risultati dei Pap test, delle  colposcopie,  dei  referti  istologici relativi alle biopsie e alle  lesioni preneoplastiche e neoplastiche avviate al trattamento.
     I  casi  di  carcinoma  invasivo,  che  si  verificano nell'intera popolazione  bersaglio  devono essere rilevati, cosi' come i decessi, al  fine  di  valutare  i  risultati del programma. La presenza di un Registro  Tumori  di  popolazione  consente  di  disporre  di  questa informazione con due o tre anni di latenza.   Per svolgere adeguatamente queste attivita' e' necessario definire sistemi  informativi  e produrre programmi di gestione computerizzata che,  tenendo  conto  delle  caratteristiche  specifiche  dei sistemi informativi   esistenti   a   livello   regionale,  possano  produrre indicatori   di  processo  confrontabili  a  livello  intra  e  inter regionale (vedere tabella allegata).   L'elaborazione di tali indicatori, al momento oggetto di ulteriori approfondimenti,  fa  riferimento  all'esperienza  dei vari programmi nazionali ed alle Linee guida europee per i controlli di qualita' dei programmi  di  screening  citologico  (nel  capitolo " Monitoring the programme,  tabulation  of  parameters").  Si  raccomanda  a  tutti i programmi di fare riferimento a questa documentazione per pianificare e verificare la qualita' del proprio lavoro.
  2.13. HPV
     L'uso  di  test per il virus del papilloma umano (HPV) mediante la ricerca  del suo DNA in cellule cervicali esfoliate e' stato proposto sulla base dell'evidenza del ruolo di tipi "ad alto rischio" (16, 18, 31,   33,  45,  51,  52,  56)  di  HPV  come  agente  eziologico  del cervico-carcinoma  uterino. Il notevole aumento della validita' delle tecniche  disponibili  ha consentito di dimostrare la presenza di HPV ad  "alto  rischio" in una percentuale elevata sia di tumori invasivi sia  di  lesioni  intraepiteliali  di  alto grado (CIN 2-3) mentre la prevalenza pare bassa nella popolazione sana e moderata nelle lesioni di basso grado (CIN 1). Gli usi piu' promettenti paiono essere:
    -  Come  metodo di selezione secondaria delle donne da avviare alla  colposcopia  tra  quelle  con  citologia di basso grado (LSIL - Low  Squamous  Intraepithelial  Lesion)  o  borderline (ASCUS - Atypical  Squamous Cells of Undetermined Significance). La gestione di queste  donne  e'  resa attualmente difficile dal fatto che una proporzione  non  trascurabile di casi la cui citologia e' classificata di basso  grado o borderline presenta di fatto alterazioni istologicamente di  alto  grado.  Diversi  studi indicano in modo coerente la capacita'  del  test  per l'HPV di individuare una percentuale elevata di tali  donne.   Un'eventuale   raccomandazione  all'introduzione  di  tale  approccio  nella pratica corrente dovra' essere il risultato di una  valutazione   dei   costi  e  benefici,  basata  su  una  revisione  sistematica  della  letteratura  e  sull'analisi delle specificita'  della situazione italiana.  -  la  tipizzazione  dell'HPV (mediante Hybrid capture II o PCR) in  soggetti   citologicamente  negativi  per  la  ridefinizione  degli  intervalli  di  screening.  Questo  approccio e' tuttora oggetto di  ricerca  e  pertanto  e'  sconsigliato  al  di  fuori  di studi che  comportino  un  rigoroso contesto di valutazione. E' indispensabile  proseguire ricerche appropriate.
  2.14. "Lettura automatica e preparati in strato sottile"
     Sono  stati  introdotti  sul  mercato  sistemi  di preparazione in strato   sottile  della  citologia  cervico-vaginale.  Diversi  studi dimostrano una sensibilita' non inferiore, e in generale superiore, a quella degli strisci preparati in modo tradizionale.   Sono stati inoltre introdotti sistemi automatizzati per la lettura automatica di strisci cervico-vaginali preparati in modo tradizionale oppure  in  strato  sottile.  Alcuni sistemi effettuano una selezione automatica  di  una  quota  di strisci che possono essere considerati come  negativi, senza ulteriori revisione da parte di citologi; altri selezionano   i  campi  di  ogni  striscio  piu'  "sospetti";  alcuni combinano  entrambi  gli  approcci. Tali sistemi hanno dimostrato una sensibilita'  paragonabile  a  quella  della  lettura tradizionale ed alcuni sono approvati dall'F.D.A. per lo screening primario.   Si  ritiene  necessario  che  per entrambe tali tecnologie (strato sottile  e  lettura automatica) sia svolta un'attivita' di technology assessment  che  ne  determini il rapporto costo-beneficio al fine di pervenire  a  raccomandazioni  sulla  loro  introduzione  o  meno  in programmi organizzati di screening del cervico-carcinoma.
  2.15.  Refertazione,  classificazione  e  archiviazione dei preparati citologici ed istologici
     Si  raccomanda  di  classificare  i  preparati  citologici secondo sistemi  accreditati  confrontabili  e quelli istologici in base alla classificazione  OMS,  utilizzando  il  codice  SNOMED. E' opportuno, inoltre,  adottare  ufficialmente  tabelle di conversione tra diversi sistemi  di  classificazione.  Si  raccomanda  infine  di adeguare la responsabilita' medica del referto alle direttive CEE.   La  refertazione,  la registrazione, l'archiviazione dei preparati devono  essere  automatizzate, utilizzando software e classificazioni compatibili  e interfacciabili con i dati delle anagrafi dei comuni e con le anagrafi sanitarie.   Per quanto riguarda l'archiviazione, e' consigliabile conservare i referti  negativi  per  5  anni  e  i  non-negativi  per  20 anni. E' consigliabile conservare i preparati istologici per 20 anni.
  2.16. Valutazione e miglioramento di qualita'
     Allo  scopo  di  garantire  una prestazione di laboratorio di alto livello, si raccomanda di istituire procedure di controllo interno ed esterno quali: re-screening selezionato, re-screening percentuale (il sistema  deve tenere conto dell'esperienza e dell'affidabilita' delle persone   coinvolte),   screening  doppio,  riesame  della  citologia precedente, semina, correlazione citoistologica e scambio di vetrini.   Per una buona "valutazione e miglioramento di qualita'" interna e' essenziale   un   rapporto   numero   di   tecnici/carico  di  lavoro soddisfacente.  Si  raccomanda che un citotecnico esegua lo screening primario di almeno 10.000 campioni cervicali l'anno. E' necessaria la presenza di un supervisore per ogni 3 esaminatori primari.   Al  fine  di  garantire un'adeguata qualita', e in particolare per garantire  che  ogni  screener  veda  un numero adeguato di preparati positivi,  un  laboratorio non deve esaminare meno di 25.000 Pap-test l'anno.  Tale  dimensione  puo'  essere  raggiunta  anche mediante il consorziamento  di diversi laboratori, a condizione che si garantisca la circolazione di tutti gli strisci positivi tra tutti gli screener, frequenti  sessioni di revisione comune di preparati e la gestione in comune delle attivita' di valutazione e miglioramento di qualita'. In ogni  caso  laboratori  di grandi dimensioni permettono una riduzione dei   costi   economici.  Come  controllo  di  qualita'  esterno,  si raccomanda  di  estendere  la  sperimentazione  dei  test di profitto avviata  in  Italia  nell'ambito  dello  "European Community training programme for Cervical Cancer Screening".
  2.17. Criteri per la selezione dei centri di screening
     Il gruppo tecnico di lavoro che coordina il programma di screening avra'  cura  di  definire  a  priori  quale  sia  il numero minimo di strutture  necessario,  in  funzione del valore atteso di rispondenza della  popolazione,  i  criteri  per la loro individuazione nonche' i requisiti e la composizione del gruppo tecnico che dovra' svolgere le verifiche.   L'invito  a  candidarsi ad operare come centro di screening potra' coinvolgere  tutte  le  strutture  sanitarie  del  territorio dove e' svolto  il  programma  senza  alcuna preclusione se non quella di una fondata  verifica  di  inidoneita'  a svolgere le specifiche funzioni dello   screening   .  Contestualmente  all'invito  a  candidarsi  le strutture sanitarie saranno informate preventivamente delle modalita' e  dei  tempi  prescelti  per effettuare la verifica e riceveranno la griglia di valutazione adottata.
  2.18.Formazione e aggiornamento del personale
     Al   fine  di  raggiungere  un  elevato  standard  qualitativo  ed un'elevata   efficienza   dello   screening,   il  personale  medico, ostetrico, infermieristico, tecnico e amministrativo, coinvolto nello screening,  deve  possedere  una  formazione  di  alto  livello, deve partecipare   a  programmi  di  controllo  di  qualita'  e  avere  un aggiornamento permanente.   Devono  essere  definiti contenuti e modalita' per l'attuazione di corsi di formazione e devono essere identificati e accreditati centri di  formazione,  in  base a specifici requisiti e criteri, in accordo con le Linee Guida della CEE.
  2.19. Riservatezza dei dati
     Ogni  programma  di screening deve rispettare la normativa vigente in  materia  di  trattamento  dei dati sensibili come stabilito dalla legge  675  del  31  dicembre  1996  (Tutela delle persone e di altri soggetti  rispetto  al  trattamento  di  dati personale), dal decreto legislativo  135 del 11 maggio 1999 e dal decreto legislativo 282 del 30 luglio 1999.
  Il presente decreto......individua......alcune rilevanti finalita' di interesse  pubblico,  per  il  cui  perseguimento e' consentito detto trattamento,  nonche'  le  operazioni eseguibili e i dati che possono essere trattati.
                                   (DL 135, art. 1, comma 1, lettera b)
  .......si  considerano  di  rilevante  interesse pubblico le seguenti attivita'  rientranti  nei compiti del servizio sanitario nazionale e degli altri organismi sanitari pubblici..... a)  la  prevenzione,  la  diagnosi,  la  cura e la riabilitazione dei soggetti assistiti dal servizio sanitario nazionale....                                (DL 135, art. 17, comma 1, lettera a)
  C) PREVENZIONE SECONDARIA DEI TUMORI DEI COLON RETTO
  Premessa
     Il  carcinoma  colon-rettale  (CCR)  e'  la  seconda neoplasia per frequenza sia nei maschi sia nelle femmine. Nei Paesi della Comunita' Europea  si  contano infatti circa 130.000 nuovi casi di CCR e 90.000 morti ogni anno sono attribuibili a tale patologia.   In  Italia  (1994),  i  nuovi  casi  diagnosticati  ed  i pazienti deceduti  per  anno  per questa neoplasia erano rispettivamente circa 36.000  e  19.000.  Le proiezioni per l'anno 2000 hanno ipotizzato un aumento  sia dei casi incidenti, stimati intorno a 49.000 nuovi casi, sia  della  prevalenza,  con  un  numero  di pazienti con diagnosi di C.C.R. che salirebbe a 250.000.   Benche' i risultati della terapia chirurgica siano buoni quando la lesione  e'  ancora  confinata  nella parete intestinale (stadio A di Dukes),  la  maggioranza dei pazienti sintomatici (80-85% dei totale) presenta  tumori in stadio piu' avanzato, con conseguente diminuzione della sopravvivenza. La sopravvivenza a 5 anni di pazienti con tumore del  colon-retto,  globalmente  considerati, non supera il 40%. L'89% dei pazienti con malattia localizzata alla parete intestinale e' vivo a  5 anni, ma la sopravvivenza scende al 58% in presenza di metastasi regionali  e  al  6% in caso di malattia disseminata. Si puo' stimare che un paziente con CCR perda in media da 6 a 7 anni di vita rispetto a  quanto  atteso.  Inoltre,  la  terapia  del  CCR  puo' determinare l'insorgenza   di  patologie  invalidanti  e  una  diminuzione  della qualita'  di vita per ablazioni d'organo, colostomie, chemioterapia e radioterapia, cui possono associarsi sintomi marcati.   L'insieme  di  questi  dati sottolinea la necessita' di realizzare modelli  di  prevenzione  primaria  e  secondaria  e  di  diagnostica precoce,  al  fine  di ridurre l'incidenza e la mortalita' per questo tipo di neoplasia.   Per  quanto  riguarda  le prospettive di interventi di prevenzione primaria, l'evidenza disponibile, supportata dall'analisi descrittiva dell'andamento  dell'incidenza del CCR nel corso degli ultimi decenni nelle  diverse regioni italiane, suggerisce un ruolo eziologico della dieta  nell'insorgenza  di  questo tumore. La tendenza alla riduzione del rischio nelle coorti di eta' piu' giovani (<45 anni), evidenziata dall'analisi  dei  dati  di  incidenza  italiani,  e'  attribuita  ai mutamenti  delle  abitudini  alimentari  verificatisi nel corso degli ultimi decenni.   La  pianificazione  di  campagne miranti a modificare le abitudini alimentari   della   popolazione   appare  pero'  complessa,  per  le insufficienti  informazioni  sul ruolo dei singoli fattori eziologici coinvolti.  Risulta  inoltre  difficile  trasferire  nella pratica le informazioni  gia'  acquisite,  per l'insufficiente evidenza relativa alle  metodologie  piu'  efficaci  e accettabili per la conduzione di questo tipo di interventi.   E' invece piu' concreta la possibilita' di realizzare programmi di screening e diagnostica precoce capaci di incidere significativamente sulla sopravvivenza e sulla mortalita' per CCR.
  Caratterizzazione del rischio
     A)  Soggetti a rischio generico. L'incidenza di CCR e' molto bassa   per  soggetti  di  eta' inferiore ai 50 anni. Oltre questa eta' il   rischio  aumenta  progressivamente in entrambi i sessi. I soggetti   di  eta'  uguale  o  superiore  a  50  anni, privi di sintomi o di   specifici  fattori  di  rischio,  sono definiti soggetti a rischio   generico  per lo sviluppo di CCR. In tali soggetti, all'eta' di 50   anni,  le  probabilita'  di  sviluppare  un  CCR  sintomatico  nei   successivi  12  mesi  e'  di  1  su 1800; all'eta' di 60 anni tale   probabilita'  e' di 1 su 550, per gli uomini, e di 1 su 800 per le   donne.  In generale, da 2 a 5 italiani su 100, a seconda del sesso   e delle aree geografiche, si ammalano di CCR entro i 70 anni.   B)  Categorie  a  rischio  elevato.  Sono  invece  da  considerare   soggetti  ad alto rischio per CCR coloro che presentano specifiche   condizioni   ereditarie:  poliposi  adenomatosa  familiare  (FAP),   sindromi  ereditarie  non  poliposiche  (HNPCC) e la cancer family   syndrome.  Questo gruppo rappresenta una quota compresa tra il 5 e   il 10% di tutti i casi di CCR.   Altri  gruppi  ad  alto rischio sono costituiti da soggetti con un   familiare  di 1o grado con CCR o adenoma insorti in eta' inferiore   a 45 anni, o con storia personale di polipi adenomatosi, di CCR, o   di pancolite ulcerosa con durata di malattia superiore ai 10 anni.
     La  conoscenza  e  la diffusione dell'informazione su tali aspetti rappresenta  un  elemento  di  primaria  importanza  per  definire la strategia  di  screening e diagnostica precoce nei soggetti a rischio generico e di sorveglianza nei soggetti a rischio elevato.
  Priorita' operative
     Alla   luce   delle   sopracitate   realta'   epidermologiche,  in considerazione  dei  piu'  recenti  dati  disponibili  attraverso  la letteratura  scientifica  e  della realta' socioeconomica e sanitaria del  nostro  Paese,  sono  state  identificate  le seguenti priorita' operative:
     A)  delineare  raccomandazioni  per  lo  screening  per  il CCR in   soggetti ad alto rischio;   B)  definire  programmi  di screening per il CCR nella popolazione   generale, che dovranno essere redatti tenendo conto:  -  delle  piu'  recenti  acquisizioni  scientifiche  in  termini di  riduzione  di  mortalita'  in  popolazioni  sottoposte  a screening  mediante  il  test  per  la ricerca del sangue occulto nelle feci e  successiva indagine colonscopica nei soggetti positivi;  -  delle  linee  guida  stabilite  in  altri  Paesi della Comunita'  Europea  ed  in  Paesi  extraeuropei  o  da  Organismi  Nazionali o  Internazionali (Comunita' Europea, O.M.S.);  - della necessita' di censire le Aziende Sanitarie nelle quali sono  gia' state avviate iniziative preventive ed identificare quelle che  intendono avviare nuove proposte;  -   della  necessita'  di  elaborare  un  programma  di  intervento  controllato  mediante  screening, da realizzare in aree selezionate  dei  Paese,  in  accordo  con  un  modello  operativo rigorosamente  definito;  -  della  necessita'  di  verificare  la  compliance, l'efficacia e  l'efficienza  della sigmoidoscopia "per se" nel ridurre l'incidenza  e la mortalita' dei CCR;   C)    della    necessita'    di   definire   l'impatto   derivante   dall'introduzione  di  programmi  di  screening  organizzati sulla   popolazione italiana e sulle strutture sanitarie in termini di:  -  riduzione della mortalita' e/o della incidenza nella popolazione  italiana  in  funzione  di  vari  protocolli  e  test  di screening  adottabili;  - costi e carichi di lavoro per i servizi (laboratorio, endoscopia,  anatomia   patologica,   chirurgia,   oncologia  ed  epidemiologia)  derivanti   dai   test  di  screening,  dai  test  di  accertamento  diagnostico,   dalla   terapia,   dal  follow-up  clinico  e  dalla  riabilitazione;  -  rapporto  costi-benefici  dei  programmi organizzati di diagnosi  precoce utilizzanti:  - solo la ricerca del sangue occulto nelle feci;  - solo la rettosigmoidoscopia;  - l'una e l'altra in popolazioni o soggetti diversi.   D)  della  necessita'  di  coinvolgere  a pieno titolo i medici di   medicina   generale   oltre   alle   strutture  ospedaliere  nella   realizzazione dei programmi di cui ai punti A e B.
  Screening nella popolazione generale
  A) Test di screening
     Metodi efficaci per lo screening del cancro colo-rettale includono la  ricerca  del  sangue occulto nelle feci e la rettosigmoidoscopia. Non vi e' un'evidenza sufficiente per determinare quale di questi due metodi  sia  piu'  efficace,  o  se la combinazione della ricerca del sangue  occulto  con la sigmoidoscopia produca maggiori benefici, che l'uno dei due test da solo.   Vi  e' una buona evidenza scientifica per suggerire la ricerca del sangue occulto nelle feci con frequenza biennale. Studi controllati e randomizzati   hanno   evidenziato  una  riduzione  significativa  di mortalita'  per  CCR nei soggetti sottoposti a screening biennale con test  al guaiaco. Tale riduzione e' piu' elevata (21%) utilizzando il test  reidratato (che pero' induce un maggior numero di colonscopie), mentre si colloca intorno al 15-18% nei gruppi sottoposti a screening con test non reidratato.   Una  riduzione del 33% della mortalita' per CCR e' stata osservata in  uno di questi studi nel gruppo sottoposto a screening annuale con test   al   guaiaco   reidratato.   L'evidenza,  derivante  da  studi caso-controllo,  condotti  nell'ambito  di programmi che utilizzano i piu'  recenti  test  immunologici,  e  da studi che hanno confrontato direttamente  la  performance  di  questi test con quella del test al guaiaco,   e'  suggestiva  per  una  maggiore  accuratezza  dei  test immunologici. Questi ultimi risulterebbero piu' sensibili e specifici rispetto  al  test  al guaiaco e garantirebbero un effetto protettivo piu'   prolungato.   Questi   test   non  richiedono  inoltre  alcuna restrizione dietetica.   L'evidenza   disponibile  derivata  da  studi  osservazionali,  e' suggestiva  per  un'efficacia  della  sigmoidoscopia come metodica di screening.  Non  e'  al  momento  disponibile una stima precisa della riduzione di mortalita' e d'incidenza ottenibile con un intervento di screening   basato  sulla  sigmoidoscopia.  Inoltre  non  esista  una evidenza  scientifica  adeguata  per  suggerire  con quale frequenza. dovrebbe essere praticato lo screening sigmoidoscopico.   E'  attualmente  in  corso il follow-up dei soggetti reclutati nel trial  multicentrico  controllato  e  randomizzato  di valutazione di efficacia  della  sigmoidoscopia  "una  tantum" (studio italo-inglese SCORE).  Sulla  base  dei  risultati di questo studio sara' possibile derivare  una  stima  quantitativa  piu' precisa dell'efficacia dello screening sigmoidoscopico.
  B) Programma di screening
     Pur essendoci evidenza di efficacia dello screening nel ridurre la mortalita' per carcinoma colorettale, allo stato attuale non esistono i  presupposti  per  proporre  un  unico  modello  di  intervento  da estendere all'intero territorio nazionale.   Le   conoscenze   sul  potenziale  impatto  derivante  da  diversi protocolli  e  test  di  screening  adottabili, in termini di costi e benefici, sono, infatti, insufficienti.   Queste conoscenze sono indispensabili per definire con accuratezza un  programma  di  screening  del  CCR  per  la popolazione italiana, stimarne  le  implicazioni  organizzative  e  finanziarie e creare le premesse  per  la  sua  realizzazione. La valutazione di tali aspetti rappresenta  quindi  un  obiettivo da perseguire in modo coordinato a livello nazionale.
  C) Valutazione dell'impatto di diversi protocolli e test di screening
     In   base   alle   precedenti   considerazioni   e  alle  evidenze disponibili,  si  raccomanda  di  promuovere  attivita'  integrate di valutazione rispetto ai seguenti settori:
    -  stima  dell'effetto atteso sulla mortalita' e sull' incidenza di  diversi  protocolli  e  test di screening, clinicamente validati in  funzione   delle   diverse   caratteristiche   di   sensibilita'  e  specificita'  dei  test,  della  adesione  e  della copertura della  popolazione.  Tali  stime  richiedono  sia  un  impegno  sul  piano  valutativo, che utilizzi le evidenze disponibili, sia la conduzione  di studi di intervento finalizzati all'acquisizione di informazioni  non disponibili in Italia.  -  stima  del  carico  di  lavoro  e  dei  costi,  per le strutture  sanitarie,   derivanti   dai   test   di  screening,  dai  test  di  accertamento  diagnostico,  dalla  terapia, dal follow-up clinico e  dalla  riabilitazione.  Analogamente,  tali  stime  necessitano  di  informazioni  oggi  solo  parzialmente  disponibili,  da  acquisire  attraverso attivita' pilota.  -  stima  del  rapporto costo-beneficio, espresso nei termini degli  usuali  indicatori  utilizzati in sanita' pubblica quali: costo per  caso  evitato,  morte prevenuta, anno di vita salvato, anno di vita  salvato  corretto  per qualita' della vita. Tale valutazione dovra'  basarsi sulle risultanze delle prime due stime.
  Sorveglianza nei soggetti a rischio elevato
     A)  In  questo  contesto  il  problema  essenziale  e'  quello  di   identificare  soggetti appartenenti a famiglie affette da FAP o da   HNPCC,  attraverso  l'estensione  e  l'ottimizzazione  di registri   nazionali,  poiche'  il  rischio  di  CCR  per i figli di soggetti   affetti  da  tali  patologie  e' molto elevato (50%). Accanto alla   realizzazione  dei  test genetici, che al momento sono disponibili   solo  per  la FAP e non in modo routinario, fondamentale appare la   sorveglianza    endoscopica.   Nelle   FAP   si   raccomanda   una   sigmoidoscopia  flessibile ogni anno, dall'eta' di 10-15 anni sino   a  30-35  anni,  con  successivo  follow-up con colonscopia ogni 3   anni.  Nell'HNPCC  si  raccomanda  una  colonscopia  ogni  2  anni   dall'eta'  di  25  anni  o  iniziando  5  anni  prima dell'eta' di   insorgenza  del  cancro  nel  membro  della  famiglia colpito piu'   precocemente dall'affezione.   B) Per soggetti con un parente di 1o grado (padre, madre, sorella,   fratello,  figlia,  figlio)  affetto  da CCR diagnosticato in eta'   inferiore a 45 anni, o con due parenti di 1o grado con CCR ad ogni   eta'  (rischio  aumentato  di  6 volte) si raccomanda di valutare,   anche  sulla  base delle recenti acquisizioni sperimentali di tipo   genetico,   l'opportunita'  di  una  sorveglianza  mirata  le  cui   caratterizzazioni  saranno  oggetto  di  definizione  da parte del   gruppo operativo.   C)  Nei  soggetti  con  storia  personale  di CCR, di adenoma o di   malattia  infiammatoria  del colon, si raccomanda un follow-up con   colonscopia   in   accordo   a  protocolli  di  sorveglianza  gia'   codificati.  Per  soggetti  con  adenomi del colon, di particolare   interesse    appaiono    i    modelli   di   intervento   mediante   chemioprevenzione   ancora   in   fase  di  valutazione  in  studi   sperimentali.
     In  sede  di  Commissione  oncologica nazionale, o in suo apposito Gruppo  di  lavoro, saranno valutate nuove metodiche di screening con riferimento  sia  ad  altre  patologie neoplastiche sia a quelle gia' oggetto di screening.   Tale  valutazione  sara' finalizzata a indicare la sperimentazione necessaria,   anche   sotto   il   profilo   di  una  valutazione  di costi-benefici,  per  l'eventuale  diffusione  di  altri  screening a livello di popolazione.   A questo proposito, si raccomanda che eventuali screening genetici per  l'individuazione  di soggetti ad aumentato rischio di sviluppare le  neoplasie  siano attentamente valutati ed applicati solo dopo che ne sara' stata dimostrata l'efficacia.
                   Obiettivo specifico intermedio n. 4
                     PREVENZIONE PRIMARIA DEI TUMORI
                                Premessa
     La  ricerca  scientifica  degli  ultimi  anni ha messo in evidenza diversi  fattori  di rischio, che hanno importanza nella comparsa dei tumori.    L'insorgenza    del   cancro,   patologia   ad   eziologia multifattoriale,  e'  ascrivibile  a  molteplici  fattori  esogeni ed endogeni   interagenti  fra  di  loro.  Si  puo'  affermare  che  una considerevole  frazione  dei  tumori  e'  attribuibile  ad  abitudini personali, quali il fumo di sigaretta, l'alimentazione, l'esposizione alle  radiazioni ultraviolette solari o artificiali, ad agenti virali o ad esposizioni ambientali (cancerogeni in ambiente di lavoro, radon negli  ambienti  domestici, radiazioni inquinamento atmosferico). Nel complesso   una  quota  significativa  di  neoplasie  sarebbe  quindi evitabile  modificando  gli  stili  di vita e riducendo l'esposizione ambientale. Si stima, infatti, che solo 1/4 delle neoplasie incidenti sarebbe inevitabile nell'ipotetica assenza di influenze ambientali.   La  prevenzione primaria si fonda sul principio che, per diminuire il  rischio  di  una  malattia,  occorre  evitare o ridurre al minimo livello  possibile  l'esposizione agli agenti, che possono causare la malattia  stessa o che possono contribuire ad aumentare il rischio di contraria.  I risultati della prevenzione primaria nei riguardi delle malattie  cronico  degenerative,  fra  cui  le malattie tumorali, non possono che rimanere peraltro per lungo tempo dei non eventi, quindi, per loro natura, non quantificabili. Questa condizione porta spesso a minimizzare  l'importanza  della  prevenzione  primaria,  soprattutto laddove  la  valutazione  quantitativa  dei rischi e dei benefici nei confronti    dell'esposizione    a    specifiche   sostanze   risulta difficoltosa.  Pur  non  essendovi  ragione  valida per sostenere che l'attivita'   cancerogena   di   certe   sostanze   chimiche  rimanga circoscritta  all'interno  delle fabbriche o quella del fumo limitata all'aspirazione  volontaria  del  fumo  di tabacco, le difficolta' di dimostrare  una  significativita'  statistica dei dati possono talora essere addotte come prova sufficiente di un'assenza di nocivita'.   Cio'   ha   avuto   come   conseguenza   che,  sebbene  l'evidenza epidemiologica abbia suggerito che anche livelli di inquinamento medi o  relativamente  bassi possono avere effetti nocivi sulla salute, si sia   verificato  che  le  concentrazioni  ambientali  di  inquinanti direttamente  correlati  alla  produzione  e consumo di energia, alle attivita' di alcune industrie ed all'uso massiccio di alcuni prodotti industriali, primo fra tutti l'automobile, continuino ad aumentare.   Il progredire delle conoscenze scientifiche sui meccanismi sottesi al  processo multifattoriale e a piu' stadi della cancerogenesi e' di massima  utilita',  sia  per il miglioramento dei mezzi diagnostici e terapeutici  sia  per  l'affinamento  delle iniziative di prevenzione primaria.  E'  quindi  auspicabile che misure di prevenzione primaria siano prese sulla base di tutti gli elementi conoscitivi disponibili. Occorre  essere consapevoli che non si puo' aspettare di ottenere una completezza  di informazioni e di dati, che la tecnologia attualmente a  disposizione  non e' ancora in grado di fornire, per procrastinare l'adozione  di  misure  di prevenzione. Infatti, occorre sottolineare che  se  la disponibilita' di chiare prove di cancerogenicita' di una esposizione   impone   un   intervento  preventivo,  prove  deboli  o frammentarie   non   escludono   affatto   un'azione   preventiva   o cautelativa,  se  vi  e'  fondato sospetto di effetti irreversibili a lungo termine.
  LE PRIORITA' IN TEMA DI PREVENZIONE PRIMARIA
  Il  Piano  sanitario  nazionale 1998\2000 considera tra gli obiettivi prioritari  la  promozione  di  comportamenti  e stili di vita per la salute  ed  il  miglioramento  delle  condizioni ambientali ed indica numerose  azioni  tese  alla  prevenzione  primaria  delle  malattie, comprese le patologie oncologiche. Con  specifico riferimento agli obiettivi, ed alle strategie indicate nel  Piano  sanitario  nazionale,  saranno  di  seguito  trattati gli aspetti  prioritari  per  l'attuazione  di  programmi  di prevenzione primaria  dei  tumori,  ai  diversi  livelli  e  nelle  articolazioni funzionali del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.). Occorre  peraltro  sottolineare  che  l'attuazione di tali interventi presuppone  la predisposizione e l'attuazione dei Piani per la Salute attraverso  un'adeguata  azione  concertata  dei  vari  settori delle Amministrazioni  pubbliche,  in particolare Regioni e Comuni, nonche' il  coordinamento  operativo  di tutte le strutture che compongono il S.S.N.   ai   vari  livelli  (Ospedale,  Distretto,  Dipartimento  di Prevenzione).   Si   sottolinea   in   particolare   l'importanza  di concertazioni istituzionali sulla politica del tabacco e sulle misure programmatiche  per  la protezione dei lavoratori e della popolazione generale. a rischio di amianto, ovvero nello sviluppo di politiche di trasporto  che  riducano  la  contaminazione  ambientale  delle  aree urbane. Si  sottolinea  inoltre  l'opportunita' che le attuali procedure e le attivita'  che  le  strutture  del  S.S.N.  svolgono  nel campo della prevenzione,  non  solo oncologica, siano sottoposte ad una revisione periodica  dell'efficienza  ed  efficacia,  al fine di individuare un corpo strategico di iniziative effettivamente utili. Nell'individuare le   priorita'   degli   ambiti  d'intervento,  e  nel  formulare  le conseguenti raccomandazioni specifiche, sono stati seguiti i seguenti criteri:
     1.  Privilegiare  gli  interventi  di prevenzione specificatamente   previsti dal P.S.N. 1998-2000.   2.  Privilegiare gli interventi verso quei fattori di rischio, per   i   quali  vi  e'  una  consolidata  evidenza  epidemiologica  e/o   sperimentale    di   cancerogenicita'.   Cio'   non   esclude   la   predisposizione  di  azioni  di  prevenzione in via precauzionale,   anche  quando  l'evidenza scientifica non e' definitiva e le prove   sono ancora parziali.   3.  Privilegiare  quegli  interventi  di  prevenzione  per i quali   esistono  prove scientifiche d'efficacia nel ridurre l'esposizione   della  popolazione  e/o  nel  ridurre  la frequenza della malattia   tumorale.  In mancanza di revisioni sistematiche sull'efficacia, o   in   carenza   di   sperimentazioni   controllate,   e'   indicata   l'opportunita'   di  produrre  valutazioni  sistematiche  di  tipo   quantitativo,  ovvero  si  suggerisce  di condurre sperimentazioni   controllate  nel  contesto italiano, anche se la disponibilita' di   queste  ultime  non  puo'  essere  considerata  in  tutti  i  casi   preliminare  rispetto all'organizzazione di azioni di prevenzione.   Ne   discende   che   lo  spettro  degli  interventi  deve  essere   continuamente espanso, non ridotto.   4.  Affrontare  in  modo  prioritario il nodo delle diseguaglianze   dello   stato   di   salute  e  ridurre  i  differenziali  sociali   nell'esposizione agli agenti cancerogeni.
  1) ABITUDINE AL FUMO
     Il  Piano  sanitario  Nazionale,  in  linea  con gli intenti degli organismi   sanitari   internazionali,  ha  introdotto  la  lotta  al tabagismo  tra  gli  obiettivi  diretti  a promuovere comportamenti e stili  di  vita  per  la  salute.  Oltre  ad  auspicare  la  drastica diminuzione  del  numero  dei fumatori attraverso il perseguimento di alcuni  obiettivi,  il  Piano pone inoltre l'accento sulla necessita' del rispetto della normativa esistente sul divieto di fumo.   Dal  momento  che il fumo di sigaretta e' un importante fattore di sperequazione  sociale nei confronti della salute, ogni intervento di cessazione  del  fumo,  specialmente nei confronti dei gruppi sociali meno  avvantaggiati,  risponde  all'obiettivo  della  riduzione delle diseguaglianze previsto dal P.S.N.
  La rilevanza del fumo in Italia
     La  prevalenza  dei  fumatori  attivi  in  Italia  e' ancora molto elevata (33.1% - 17.3 % rispettivamente degli uomini e delle donne in eta' superiore ai 14 anni, dati riferiti all'anno 1997).   La  percentuale  dei fumatori tra i 14 ed i 24 anni e' addirittura aumentata negli ultimi anni (17.4 % nel 1993 e 20.5% nel 1997) (ISTAT 1998).  Il  fumo  e' altresi' diffuso negli adolescenti di entrambi i sessi.  Infatti, il 9% di loro sono fumatori abituali. L'abitudine al fumo   dei   ragazzi  dipende  fortemente  dall'esempio  fornito  dai genitori.  Inoltre, piu' del 50% dei bambini e' correntemente esposto al  fumo passivo nelle mura domestiche, soprattutto nella famiglie di condizione sociale piu' bassa.   Sono  attribuibili al fumo di tabacco in Italia circa 90.000 morti l'anno,  di  cui  oltre  il 25% e' compreso tra i 35 ed i 65 anni. Il fumo attivo rimane la principale causa di morbosita' e mortalita' nel nostro  Paese,  come  in  tutto  il  mondo  occidentale. Al fumo sono attribuibili  circa  un  terzo  delle  morti  per  cancro. Il fumo e' dannoso  ad  ogni  eta', ma il rischio ad esso correlato di contrarre una  patologia  oncologica,  e' strettamente dipendente dalla data di inizio  di tale abitudine. Infatti, una persona che inizia a fumare a 15  anni  ha  una  probabilita'  tre  volte superiore di ammalarsi di tumore  rispetto  ad  un  individuo che inizi a fumare all'eta' di 20 anni.   L'esposizione  a  fumo passivo e' causa di aumento del rischio per tumore  polmonare,  infarto del miocardio e malattie respiratorie nei bambini.  Il  fumo  delle  madri  durante  la  gravidanza  causa  una significativa  riduzione  del peso alla nascita ed e' responsabile di una  quota  considerevole  delle  morti  improvvise  del lattante, ha inoltre gravi conseguenze per lo sviluppo del lattante.   A  fronte  ditali  dati  epidemiologici,  la  consapevolezza degli effetti  negativi del fumo in Italia e' ancora sottostimata sia nella popolazione  generale  che  tra  il  personale sanitario. Infatti, la prevalenza  di  fumatori tra i medici e' paradossalmente piu' elevata di quella della popolazione generale.
  L'efficacia degli interventi
  In base alle evidenze disponibili, esistono valide prove di efficacia su una serie di misure di controllo del tabagismo quali:
   - la politica dei prezzi; - l'abolizione della pubblicità diretta ed indiretta; - i provvedimenti di restrizione del fumo nei luoghi pubblici e di  lavoro, quando a questi si accompagna un adeguato controllo; - il coinvolgimento dei mass-media nelle campagne educative; - la raccolta dell'informazione individuale sull'abitudine al fumo  in tutti i contatti con il servizio sanitario; - l'effettuazione di un colloquio con il medico di base; - la terapia sostitutiva con nicotina; - gli interventi di supporto di gruppo.
  Le strategie per l'intervento
     Gli interventi sul fumo gia' realizzati in Italia sono sicuramente numerosi,  ma  hanno  avuto  carattere  locale,  poco integrato tra i servizi  sanitari, educativi e di volontariato, che di volta in volta ne  sono  stati promotori. I momenti diversi dell'iniziazione e della dipendenza   dal  fumo  richiedono  azioni  coordinate  e  competenze professionali  complementari  inserite  in percorsi predefiniti e ben strutturati.   Si  raccomanda  fortemente  pertanto, di programmare interventi di carattere  nazionale,  che  coinvolgano  un  vasto numero di soggetti rispetto  all'ambito  specifico  del  SSN,  che  affrontino in chiave strategica  il  tema del fumo, concertino in modo organico le azioni, forniscano   linee  di  indirizzo  tecnico,  individuino  le  risorse occorrenti e monitorizzino i risultati.
  In tal senso un "Piano nazionale di lotta al fumo" dovrebbe prevedere azioni coordinate per:
  - prevenire l'acquisizione dell'abitudine al fumo tra i giovani; - favorire la cessazione del fumo tra i soggetti fumatori; - proteggere i non fumatori dall'esposizione a fumo passivo.
  Prevenire l'acquisizione dell'abitudine al fumo tra i giovani
     La politica del prezzo puo' avere sicuramente effetti positivi tra i  giovani,  ma puo' indurre un incremento delle vendite dei prodotti di   contrabbando,  che  deve  essere  contrastata  in  modo  deciso. Occorrera'  inoltre  concertare  una  valutazione  di  efficacia  del divieto  di vendita dei tabacchi ai minori di 16 anni. Gli interventi informativi  e  educativi  in  ambito  scolastico  sono indubbiamente importanti  per  informare  sugli  effetti  negativi del tabacco. Gli interventi  di  prevenzione  per  i  giovani  saranno  efficaci se lo stresso  articolato  mondo della scuola fornira' un esempio coerente, tramite  l'assunzione  di  modelli  comportamentali che bandiscano il fumo  dalle  mura  scolastiche,  se  le  strutture del SSN forniranno immagini  negative  del  fumo, se i mezzi di comunicazione forniranno uguali messaggi.   Appare    opportuno   che   le   amministrazioni   regionali,   in collaborazione  con  le  istituzioni scolastiche, promuovano piani di interventi  di  educazione  alla salute, rivolte ai ragazzi a partire dalla  scuola  dell'obbligo.  Sono  inoltre  auspicabili attivita' di formazione  degli  insegnanti  anche  tramite la collaborazione delle strutture  del  S.S.N. quali ad esempio i Dipartimenti di prevenzione delle  A.S.L..  L'impostazione degli interventi educativo-informativi rivolti  ai giovani dovra' puntare sugli aspetti positivi di una vita libera  da  fumo,  piuttosto  che  sui  rischi  alla  salute  da esso derivanti.
  Favorire la cessazione del fumo tra i soggetti fumatori
     E'  affidata  alla  programmazione  regionale l'implementazione di iniziative  o programmi volti a favorire la cessazione del fumo nella pratica  clinica ordinaria ospedaliera e territoriale. E' proponibile che,  nell'ambito  delle  strutture  del SSN, si costituiscano equipe multidisciplinari  che  programmino  gli  interventi  e  coordinino i percorsi  per  la  promozione  di  momenti formativi, educativi e del trattamento dei soggetti fumatori.   Un  ruolo specifico nel programma di cessazione del fumo e' svolto dal  medico di medicina generale, nei confronti dei propri assistiti. I  medici  di  medicina  generale vedono gran parte della popolazione assistita  ogni  due  anni  e  possono  personalizzare e ripetere gli interventi.  In considerazione della dipendenza farmacologica, di cui soffrono  molti fumatori, che necessita' di terapia sostitutiva della nicotina,  trattamento  la  cui  efficacia  e'  stata documentata, e' affidato  al  medico  di base il compito di diagnosticare, con metodi standardizzati,  lo  stato  di  dipendenza  da  nicotina  dei  propri assistiti,  al  fine  di  indicare  la  terapia  piu' adeguata per la disintossicazione.    Appare    peraltro    opportuno   adeguatamente sensibilizzare  e  formare  i medici di medicina generale sui criteri diagnostici  relativi  alle  caratteristiche della dipendenza e sulle linee guida piu' adeguate per facilitare la cessazione dell'abitudine al fumo.
  Proteggere i non fumatori dall'esposizione a fumo passivo
     Si  rimanda  ad  un  apposito  e urgente intervento legislativo la chiara  regolamentazione  del  divieto  di  fumo  anche nei luoghi di frequentazione   pubblica,  esclusi  dalla  normativa  vigente  (bar, ristoranti, luoghi di lavoro confinati non aperti al pubblico).   Per  quanto  attiene  la normativa vigente sul divieto di fumo nei luoghi  pubblici,  si  sottolinea  l'attuale non rispetto delle norme nelle  strutture  del  S.S.N.  e  nelle  strutture  scolastiche  e di istruzione superiore.
  Raccomandazioni specifiche
     Nell'auspicare l'avvio di un Piano nazionale contro il tabacco, si raccomanda   il   completamento   della   normativa  vigente  per  la regolamentazione  del  divieto  di fumo negli esercizi pubblici (bar, ristoranti) e nei luoghi di lavoro chiusi, non aperti al pubblico, al fine  di  tutelare la salute dei lavoratori anche dall'esposizione al fumo passivo.   Le   Amministrazioni   competenti   dovrebbero  esercitare  idonee attivita'  di  stimolo  e sorveglianza, al fine di garantire la piena applicazione  ed  il  rispetto  delle  leggi vigenti. Si raccomandano inoltre  interventi  che  assicurino  il  divieto di fumo in tutte le strutture  sanitarie,  pubbliche  e  private,  in  tutte le scuole di ordine  e  grado,  nonche'  il  rispetto  del  divieto  di vendita di sigarette ai minori di 16 anni.   Si  raccomanda  inoltre  l'avvio di campagne informativo-educative attraverso  i  mass-media  e  la  scuola,  caratterizzate da messaggi modulati a seconda della popolazione bersaglio.   A livello regionale, dovrebbero essere definite le caratteristiche specifiche  del piano di lotta al fumo delle strutture del S.S.N., in modo  da  garantire  programmi  strutturati  di cessazione e l'idonea attivita' di formazione per tutte le figure professionali del S.S.N.. E'  altresi'  importante  una  capillare  opera  di  informazione per favorire l'uso della terapia sostitutiva (Scheda n. 1).   Sarebbe  opportuno  prevedere  la  realizzazione  di iniziative di formazione  e sensibilizzazione dei medici di medicina generale e dei pediatri  di  base,  nonche'  di  tutto il personale sanitario, sulle problematiche  del  tabagismo  e  sulle  modalita'  di  approccio  al paziente tabagico.   E',  infatti,  indispensabile che i medici di medicina generale, i pediatri  di  base,  i  ginecologi,  e  tutti  gli operatori sanitari informino  costantemente i pazienti sui danni del fumo e sui benefici della  cessazione.  Ogni  intervento  e  suggerimento ai genitori nel periodo della gravidanza e perinatale puo' avere un impatto rilevante in  termini di protezione dei bambini e rappresentare uno stimolo per smettere  di  fumare.  Appare  inoltre  necessario  concertare  con i medici,  gli  operatori sanitari, organizzati nelle loro Associazioni ed Ordini Professionali, la introduzione nella pratica clinica di:
    -  valutazione  e  registrazione  sistematica  nella documentazione  clinica dell'abitudine al fumo dei pazienti;  -   "counseling"  sistematico  per  tutti  pazienti  fumatori,  con  adeguato  supporto  ed  assistenza  con  invito ai fumatori, quando  necessario,  a  rivolgersi a centri specialistici per la cessazione  del fumo;  -  raccomandazione  ai fumatori che vogliono smettere l'adozione di  un programma personalizzato di disassuefazione, consigliando quando  necessario  l'uso  di  una  terapia  sostitutiva  della  nicotina e  fornendo informazioni accurate su questo tipo di terapia;  -  raccomandazione  alle  donne  di  smettere  di fumare durante la  gravidanza, con assistenza a smettere, quando lo richiedono.
  Per  i  Medici  Competenti  e  gli  operatori dei Servizi di Igiene e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro
     Tutto  il personale addetto alla sicurezza nei luoghi di lavoro ha un  ruolo  importante  per la promozione della salute, anche per quel che riguarda l'esposizione a fumo di tabacco ambientale. I lavoratori dovranno  essere informati sui rischi attribuibili alla esposizione a fumo  passivo  e  sulle  conseguenze  per la salute della esposizione contemporanea  a  piu'  sostanze  cancerogene.  Il  datore di lavoro, inoltre,  dovra'  essere  informato  degli  obblighi  derivanti dalla normativa  vigente,  nello  specifico  l'art. 9 DPR 303/56, art. 9 L. 300/70, art. 1, 4, 31 D.Lgs 626/94.
  SCHEDA I
  Consigli per l'uso della terapia sostitutiva della nicotina
    -  Il  trattamento  con  la terapia sostitutiva della nicotina puo'  aiutare i fumatori a smettere di fumare, anche se questi hanno gia'  provato senza successo  -  Interventi  clinici controllati hanno dimostrato che l'uso della  terapia sostitutiva, da parte dei fumatori che vogliono smettere di  fumare, raddoppia la probabilita' di successo  - La terapia sostitutiva non e' una cura magica. Non sostituisce le  sigarette  o la forza di volonta' di smettere di fumare. Durante il  periodo  di  astinenza,  questa  terapia  aiuta  a non riprendere a  fumare  -  La terapia sostitutiva fornisce nicotina in maniera lenta e meno  soddisfacente  rispetto  alle  sigarette  ma  e'  sicura e da' meno  dipendenza  -  La terapia sostitutiva contiene nicotina ma non contiene catrame  o  monossido  di  carbonio  come  il  fumo di sigaretta. Non esiste  nessuna evidenza che la nicotina sia causa del cancro  -  La  terapia  sostitutiva  riduce  ma  non  elimina  i sintomi di  irritabilita', depressione e desiderio di fumare tipici del periodo  di astinenza  -   Pochissime   persone   diventano   dipendenti   della   terapia  sostitutiva.  Alcuni  ex-fumatori  continuano questa terapia per un  anno, il che e' per lo piu' dovuto al timore di riprendere a fumare  -  Per  raggiungere  risultati  ottimali,  la  terapia  sostitutiva  dovrebbe   essere   usata   in  dosi  adeguate  e  per  un  periodo  sufficientemente lungo. I fumatori dovrebbero seguire le istruzioni  indicate  nel  foglietto  illustrativo  e  chiedere  al  farmacista  informazioni piu' dettagliate sul prodotto
  2) ALIMENTAZIONE ED ALCOOL
     Circa  le  abitudini alimentari il Piano sanitario nazionale fissa specifici  obiettivi per adeguare l'Italia agli standard nutrizionali internazionalmente  raccomandati,  in  quanto  fattori  in  grado  di aumentare   la  capacita'  individuale  a  controllare,  mantenere  e migliorare  lo stato di salute in generale e probabilmente, anche nei confronti delle patologie neoplastiche.
  Prove  sulla  cancerogenicita'  o  azione  protettiva  di costituenti dell'alimentazione
     Non ancora del tutto esaurienti prove scientifiche indicano che ad alcuni  comportamenti  alimentari  (es.  una dieta ricca in verdura e frutta)  potrebbe  essere  associata  una  diminuzione importante del rischio  di  cancro. La relativa concordanza tra gli studi per alcune abitudini   alimentari   puo'  quindi  consentire  l'elaborazione  di linee-guida di pratica applicazione pratiche.   Al  contrario,  per quanto riguarda le integrazioni alimentari con vitamine  e/o  elementi oligominerali, attualmente molto diffuse, non vi  sono  prove della loro efficacia per la prevenzione dei tumori, o addirittura  e'  dimostrato un effetto negativo. In ogni caso, non e' appropriato  riportare  tra  le  indicazioni  di  questi preparati la prevenzione del cancro.   Per  quanto  riguarda le prove, relative all'effetto cancerogeno o protettivo  di  diverse abitudini alimentari, si riporta nella scheda n.  2  una valutazione di adeguatezza basata su rassegne sistematiche pubblicate nella letteratura internazionale. Tale classificazione del livello qualitativo delle prove puo' tradursi in raccomandazioni piu' specifiche che sono qui di seguito riassunte:
    -  scegliere  prevalentemente  alimenti  di  origine  vegetale, con  un'ampia varieta' di verdura e frutta, legumi e cereali;  -  mangiare  diverse  porzioni  al  giorno  di  verdura e di frutta  fresca, scegliendo varieta' di stagione;  - mangiare diverse porzioni di cereali al giorno;  -  preferire  prodotti  non  raffinati;  (es. zucchero e farina non  raffinati)  -  consumare  regolarmente  pesce,  riducendo  il  consumo di carne  rossa;  -  limitare il consumo di grassi, in particolare di origine animale  (latte, burro, formaggio, carni);  - evitare il consumo di cibi conservati sotto sale;  -  non  lasciare  per  lungo  tempo  a  temperatura  ambiente  cibi  deteriorabili;  -  limitare  il  consumo di cibi cotti ad elevate temperature (alla  griglia) o affumicati;  - limitare il consumo di alcolici.
     A queste indicazioni si aggiunge la raccomandazione di controllare il  peso,  evitando  sovrappeso  ed  obesita'  attraverso un adeguato apporto calorico ed un appropriato livello di esercizio fisico.
  SCHEDA 2
   Livello qualitativo delle prove sulla relazione tra alcune abitudini alimentari e prevenzione dei tumori
  Livello qualitativo     Raccomandazione delle prove
  (A)                     adottare una dieta ricca di frutta e verdura (A)                     consumare alcolici solo in quantità moderate (B)                     adottare una dieta povera di grassi (meno                        del 30% delle calorie totali) (B)                     adottare una dieta povera di grassi saturi                        (meno del 10% delle calorie totali) (B)                     adottare una dieta povera di carne rossa (B)                     mantenere il peso forma (B)                     adottare una dieta ricca di fibre (B)                     ridurre i nitriti, le carni affumicate e i                        cibi conservati sotto sale (E)                     non è suggerito assumere preparati                        vitaminici, se non per patologie da carenza
  Nota - Livelli qualitativi di prova:
  A: un buon livello di prove suggerisce che l'intervento dovrebbe   essere avviato B: le prove sono incerte o incomplete, ma suggeriscono che   l'intervento dovrebbe essere avviato C: un livello insoddisfacente delle prove suggerisce che   l'intervento non dovrebbe essere avviato, anche se può essere   avviato sulla base di altre considerazioni (non scientifiche) D: prove incerte o incomplete suggeriscono che l'intervento non   dovrebbe essere avviato E: un buon livello di prove suggerisce che l'intervento non dovrebbe   essere avviato
  Pesticidi ed additivi
     Oltre  alla  relazione  tra  nutrienti  e  rischio  di  cancro, va considerato  anche  il  problema  dei pesticidi e degli additivi. Una stima degli effetti dannosi alle concentrazioni abitualmente presenti nei  cibi italiani e' estremamente complessa. Sulla base dell'attuale legislazione  e  dei  controlli  effettuati  nei  paesi  europei,  la presenza  di  additivi  o  pesticidi  non  e'  tale da contrastare il suggerimento  di  mangiare  molte  porzioni  di  frutta  o verdura al giorno.  Tuttavia le incertezze sono tali e il problema interessa una popolazione  cosi' ampia, da richiedere specifici investimenti per la ricerca  sulla  tossicita' a lungo termine dei pesticidi. Si puo' fin da  ora  raccomandare,  ai  fini  di  riduzione  dell'esposizione  ad antiparassitari,  in  particolare  per  le  fasce di popolazione piu' vulnerabili  (come  i  bambini),  di  sbucciare  la  frutta fresca, o lavarla  accuratamente,  e  di  privilegiare  il consumo di verdura e frutta   coltivate   con  procedure  biologiche  o,  quantomeno,  con procedure di lotta ai parassiti guidata o integrata.
  Prove sull'efficacia degli interventi di educazione alimentare
     Il  problema  principale  dell'educazione alimentare e' costituito dalla  difficolta' di valutarne l'efficacia e quantificarne l'effetto sul  lungo  periodo.  Da  studi condotti, le strategie risultate piu' efficaci sono le seguenti:
    -  prendere  in  considerazione  gruppi  a  rischio o con abitudini  particolari;  - utilizzare metodi di autovalutazione;  - partecipazione attiva dei destinatari dei messaggi;  -  la  disponibilita' di cibi salutari nei ristoranti e nelle mense  rinforza l'efficacia di messaggi;  -  la  maggiore  efficacia  di  una  campagna  si  raggiunge  se il  programma  e'  orchestrato  su  diversi piani (politica dei prezzi,  informazione univoca e chiara da parte dei mass-inedia, dei medici,  della pubblicita)
  Le strategie per l'intervento
     I  decreti  legislativi  502  e 517 ed il decreto legislativo 229, agli  art.7  bis,  7  ter, 7 quater, identificano nei Dipartimenti di Prevenzione  delle  ASL  le  strutture  deputate  alle  attivita'  di prevenzione  primaria  e  di educazione alla salute. Inoltre, il D.M. 16/10/1998    "Approvazione    delle    linee    guida    concernenti l'organizzazione  del  Servizio  di  Igiene  degli  Alimenti  e della Nutrizione  (SIAN)  nell'ambito del Dipartimento di Prevenzione delle Aziende  Sanitarie  Locali" gia' prevede che l'Area Funzionale Igiene della  Nutrizione  svolga,  tra  l'altro,  interventi  di prevenzione nutrizionale   anche  nell'ambito  della  ristorazione  collettiva  e diffonda  le  linee  guida.  Affinche' tali strutture garantiscano il rispetto  degli  obiettivi  posti dal Piano Sanitario Nazionale, sono necessarie alcune tappe intermedie:
    -  la  definizione  di  obiettivi intermedi, entro i Piani Sanitari  Regionali,   la  definizione  di  indicatori,  per  verificarne  il  raggiungimento  (es. quale proporzione di persone, in diverse fasce  di eta', sono state raggiunte da messaggi di educazione alimentare;  quante  mense  sono  state  certificate  per la loro adesione ad un  programma preventivo di efficacia dimostrata, ecc.)  -  la definizione dei criteri di accreditamento dei Dipartimenti di  Prevenzione,   che   includano   la   elaborazione  di  linee-guida  articolate  e  basate sulle prove scientifiche, e di indicatori per  la verifica della messa in atto delle linee-guida stesse.
     Non  va  peraltro sottovalutata l'esperienza specifica maturata in alcuni   Dipartimenti   Materno-Infantili  sullo  specifico  problema dell'alimentazione.  E' opportuno il coinvolgimento di tali strutture per  la  progettazione  e  l'implementazione dei programmi educativi. Nella  stesura  delle linee guida, e' necessario tenere presente che, accanto  agli  interlocutori  obbligati rappresentati dal mondo della scuola  e  della  ristorazione  collettiva, occorre coinvolgere nelle attivita'   preventive,   dopo  una  fase  di  sperimentazione  e  di fattibilita',  i  medici di medicina generale, soprattutto per quanto riguarda  il  "counseling" nutrizionale nei soggetti ad alto rischio, in  particolare  obesi  e  sovrappeso. A tal proposito occorre notare che,  mentre  il  "counseling"  nei  soggetti sovrappeso puo' seguire metodiche  analoghe  a  quello  dedicato  agli abituali fumatori (non dipendenti) e ai bevitori non alcolisti, il trattamento dell'obesita'  |  
|   |  si  configura  sempre  di  piu'  come  una tematica ad alto contenuto clinico,  che  comporta un supporto specialistico sia psicologico che terapeutico.
  Raccomandazioni specifiche sp; 1. Alimentazione
     Le  raccomandazioni  che  seguono  tengono conto delle esigenze di attuazione pratica di attivita' di prevenzione nonche' delle esigenze di ricerca ad esse legate:
     1.   Stesura   di   indicazioni   operative  alimentari  altamente   specifiche    nelle    raccomandazioni,    che    considerino   la   multidimensionalita'   del   problema   (politiche   dei   prezzi,   pubblicita',   messaggi   educativi,   ecc.),   sulla  base  delle   indicazioni   scientifiche   delle  linee-guida  gia'  disponibili   (Commissione  Europea,  ovvero  le  linee-guida elaborate nel 1997   dall'Istituto Nazionale della Nutrizione)   2.  Definizione  di  messaggi  semplici,  focalizzati  e rivolti a   diversi sottogruppi della popolazione.   3.  Avvio  di  una  sperimentazione  nei luoghi della ristorazione   collettiva  che  associ ai messaggi educativi la disponibilita' di   piatti  che rispondano alle esigenze nutrizionali, e di ricette da   utilizzare anche a casa.
  Alcool
     Le  prove  scientifiche  relative agli effetti dannosi dell'alcool sono  ditale  livello  da  non  richiedere una revisione sistematica. Resta  tuttavia  irrisolto  il  problema  dei  rischi  e dei benefici associati  con  il  consumo  di quantita' medio-basse. Numerosi studi indicano,  infatti,  che  la  relazione  dose-risposta tra consumo di alcool  e  mortalita'  generale  e da malattie cardiovascolari ha una forma  ad  U;  la  mortalita'  e'  cioe' piu' bassa per i consumatori moderati  rispetto  a chi non beve affatto. Non e' ancora chiaro come questi dati scientifici debbano tradursi in linee-guida operative. E' necessario   inoltre  valutare  l'efficacia  di  diversi  modelli  di intervento  educativo,  e  progettare  un  intervento di lotta contro l'abuso  di  alcool  (non  solo  l'etilismo,  ma consumi medio-alti), tenendo  conto  delle  esperienze  gia'  in  corso  in Italia e delle revisioni sistematiche della letteratura.
  3) INFEZIONI
  La rilevanza delle infezioni nella eziologia dei tumori.
     Si  stima che il 15% di tutti i tumori che sono diagnosticati ogni anno  nel  mondo  siano  attribuibili ad agenti infettivi: tale quota varia  dal  21%  per  i  paesi  in  via di sviluppo al 9% per i paesi industrializzati  come l'Italia. Circa 1.500.000 nuovi casi di tumore potrebbero  essere  teoricamente  evitati ogni anno in tutto il mondo prevenendo le infezioni da agenti infettivi rilevanti.
  Virus Epatite B (HBV)
     Il   ruolo   dell'infezione  cronica  da  HBV  nell'eziologia  del carcinoma  epatocellulare  e'  ormai  ben definito, con una stima del rischio  relativo  che  varia  da  3  a  150.  Nel  1994,  la Agenzia Internazionale di Ricerche sul Cancro ha incluso l'HBV tra gli agenti di  provata  cancerogenicita'. Complessivamente, all'infezione da HBV e' attribuibile il 52% dei carcinomi epatocellulari al mondo.
  Virus Epatite C (HCV)
     Anche   l'HCV   e'   stato  incluso  tra  gli  agenti  di  provata cancerogenicita'  nel  1994  dalla  IARC  per il suo ruolo (in quanto infezione  cronica)  nell'epatocarcinoma.  La  quota  di  tali tumori attribuibile all'infezione da HCV e' stimata intorno al 25%.
     Helicobacter pylori (HP)
     Nove studi caso-controllo che hanno indagato la relazione tra HP e carcinoma  gastrico  hanno evidenziato una associazione positiva, con una  stima  del  rischio  relativo  compresa tra 1.8 e 6. Altri studi hanno   evidenziato   aumenti   ristretti  a  sottogruppi  specifici. Assumendo  un  rischio relativo di 2, e una prevalenza dell'infezione da HP intorno al 50% nei paesi industrializzati, e' stato stimato che nel  71%  dei  carcinomi  gastrici  l'infezione  da  HP  ha  un ruolo determinante.
  Human papillomavirus (HPV)
     La  IARC  ha indicato nel 1995 che i sottotipi 16 e 18 di HPV sono agenti  sicuramente  cancerogeni,  anche  se  l'ipotesi che HPV fosse coinvolto  nell'eziologia  del  carcinoma  della  cervice uterina era stata  formulata  da  molti decenni. Ulteriori studi hanno dimostrato che  anche  i sottotipi 31, 33, 35, 45, 51, 52, 58, 59 possono essere considerati  cancerogeni.  Complessivamente, gli studi caso-controllo indicano che le donne HPV positive hanno un rischio di circa 60 volte piu'  alto di carcinoma cervicale delle donne negative per HPV. L'HPV e'  responsabile  di  circa  l'80%  dei  tumori  cervicali  nei paesi industrializzati  e  del  90%  di  tali  tumori  nei  paesi in via di sviluppo.
  HIV
     L'HIV  e'  stato  incluso  nel  1996  tra  gli  agenti sicuramente cancerogeni  per l'uomo a causa della sua associazione causale con il sarcoma   di  Kaposi  e  con  alcuni  tipi  di  linfoma  non-Hodgkin. L'infezione  da  HIV e' associata anche con un aumento del rischio di carcinoma   invasivo  della  cervice  (una  neoplasia  inclusa  nella definizione d'AIDS) e del linfoma di Hodgkin.
  Epstein-Barr virus (EBV)
     L'associazione  tra  EBV  e  alcuni  tipi di tumore acquisisce una sempre maggiore consistenza, dovuta al crescere negli anni del numero di  tumori  umani in cui e' dimostrata la presenza e l'espressione di sequenze  di  EBV. E' stata riportata un'associazione con l'infezione da EBV per il linfoma di Hodgkin, per i linfomi non-Hodgkin a cellule B o a cellule T, per il linfoepitelioma timico, in aggiunta ad alcuni carcinomi  come  il  carcinoma  gastrico,  i  tumori  delle ghiandole salivari,  ed  i  tumori  del  tratto  uro-genitale. Nei pazienti che presentano  una  compromissione del sistema immunitario, la frequenza di tumori solidi in pazienti con infezione da EBV e' molto piu' rara. La  maggior  parte  delle  neoplasie  EBV  associate  sono di origine linfoide,   come   e'   ormai   ben   dimostrato   per   i  disordini linfoproliferativi  che originano nei pazienti sottoposti a trapianto d'organo,  o  per i linfomi immunoblastici ed i linfomi primitivi del sistema nervoso centrale che si verificano nei pazienti con AIDS.
  Le strategie per l'intervento
     Una   potenziale  campagna  di  prevenzione  primaria  dei  tumori associati alle infezioni prevede interventi di tipo comportamentale e vaccinale.  Per  gli  interventi  di  tipo comportamentale, le vie di trasmissione  dei  virus  sopra  citati  sono  ben  conosciute  e  la prevenzione  dell'infezione  e  quella neoplastica coincidono. Per la riduzione  del  rischio da HBV, HCV, HTV, collegati alla trasmissione per  via  ematica,  si  raccomanda  l'uso di siringhe sterili, per la trasmissione  per  via  sessuale  si  raccomanda l'uso del condom con partner  occasionali  o  con  partner  di  cui  non sia noto lo stato anticorpale.  Analoga  raccomandazione  sull'uso  del condom vale per l'HPV.   Per  quanto  riguarda  la  possibilita'  di  prevenzione  primaria vaccinale,  la  vaccinazione  contro HBV e' efficace nel prevenire la morbosita'   da   epatite   ed   e'   plausibile  che  l'eliminazione dell'infezione    possa    portare   all'annullamento   del   rischio neoplastico.  La  vaccinazione  contro  HBV  e'  gia'  una realta' in Italia,  mentre altri vaccini contro l'HPV e l'HP sono attualmente in via di preparazione e valutazione.
  Raccomandazioni specifiche
     In   connessione  con  il  Piano  Nazionale  AIDS,  devono  essere proseguite  le campagne di informazione relative alla trasmissione di infezioni durante i rapporti sessuali non protetti e per aumentare la frequenza  dell'uso  del  condom.  Le numerose esperienze condotte in questi  anni  per  la  prevenzione dell'AIDS (interventi nelle scuole basate sugli insegnanti, interventi di educazione fra pari, unita' di strada  ecc.)  dovrebbero  fungere  da riferimento per lo sviluppo di attivita'   educative  volte  alla  prevenzione  di  altre  patologie infettive associate allo sviluppo di neoplasie.   E'  affidato  alle  Regioni  il  compito  di  programmare adeguati interventi  di  educazione  alla salute, finalizzati alla prevenzione delle  infezioni trasmesse per via sessuale ed ematica. L'inserimento nelle  campagne  dei  contenuti relativi alla prevenzione dei tumori, accanto  a  quella delle infezioni in quanto tali, puo' migliorare la consapevolezza  dell'utenza  e  adeguare  il messaggio. E' fortemente auspicato  inoltre  che tali programmi siano accompagnati da adeguate attivita'  di  valutazione,  volte  a verificare la loro efficacia in termini  di  aumento  della proporzione di soggetti con comportamenti consapevoli e positivi.   E'   fortemente   raccomandato   considerare   nei   programmi  la possibilita' di distribuire gratuitamente siringhe e condom ai gruppi a rischio. I programmi di educazione dovrebbero essere implementati a livello  Aziendale  coinvolgendo nella loro realizzazione i m.m.g, in primo  luogo,  tutte  le  strutture  sanitarie pubbliche con le quali l'utenza  a  rischio puo' venire in contatto, il mondo della scuola e l'associazionismo,  soprattutto  giovanile.  I  servizi di educazione alla   salute  dovranno  essere  sistematicamente  coinvolti  per  la progettazione  degli  interventi,  al  fine  di  garantire  l'uso  di tecniche  comunicative  adeguate.  I Dipartimenti di Prevenzione sono sistematicamente chiamati in causa:   - per la progettazione degli interventi;   - per la loro valutazione;   -  per  il  controllo  della  copertura  vaccinale soprattutto per quanto riguarda l'epatite B.   Si  ritiene  inoltre opportuno, quando possibile, che le strutture di   ricerca   italiane   partecipino   ai   progetti  internazionali multicentrici  volti  ad  implementare e sperimentare i nuovi vaccini con potenzialita' di prevenzione primaria dei tumori.
  4) ESPOSIZIONI IN AMBIENTE DI LAVORO
     Il  PSN  fa  riferimento  all'ambiente  di lavoro nelle "azioni da sviluppare  nei  piani  regionali  e  aziendali".  Alcune azioni sono pertinenti alla prevenzione dei tumori, quali le seguenti:
     - potenziamento e razionalizzazione della formazione degli addetti   alla vigilanza e controllo;   - informazione ai lavoratori;   - realizzazione di una rete di epidemiologia occupazionale;   -  piena  realizzazione  della  recente  normativa  di  settore  e   perseguimento  sanzionatorio e giudiziario delle inadempienze alla   legge;   - miglioramento delle rilevazioni sulle malattie professionali.
  Le evidenze disponibili
     Sono    stati    identificati    come   cancerogeni   dall'Agenzia Internazionale  per  la  Ricerca  sul  Cancro (LARC) numerosi agenti, processi  produttivi  ed  esposizioni  lavorative.  Si ritiene che le esposizioni  professionali  contribuiscano ad almeno il 3-4% di tutta la  patologia  neoplastica,  con  una percentuale maggiore per alcune sedi tumorali come il polmone (fino al 40%) o la vescica (fino al 25% circa). Esiste, tuttavia, un divario notevole tra il numero di tumori professionali  stimati sulla base delle indagini epidemiologiche e il numero  molto  inferiore  dei  tumori  indennizzati.  Nel quinquennio 1993-97  sono stati riconosciuti e indennizzati in Italia 476 casi di tumore  di  origine  professionale, a fronte di un numero (desumibile dalle suddette stime della letteratura scientifica) dell'ordine delle migliaia per anno. Si consideri che solo l'amianto causa ogni anno in Italia  circa  1000  mesoteliomi  pleurici e un numero verosimilmente analogo  di  tumori  polmonari.  Si  tratta  quindi  di  un  fenomeno largamente   sommerso.  Tra  le  cause  di  tale  divario  vi  e'  la difficolta'  nel  ricostruire  le  esposizioni lavorative lontane nel tempo,   la   insorgenza   della   patologia   neoplastica   dopo  il pensionamento,  quando  i  lavoratori  cessano  di essere seguiti dai servizi   di  prevenzione  competenti,  nonche'  la  non  sufficiente attenzione   e  preparazione  delle  strutture  di  diagnosi  e  cura all'identificazione    delle   cause   lavorative   della   patologia neoplastica.
  Le strategie per l'intervento
     La  prevenzione  primaria  dei  tumori professionali si ottiene in primo   luogo   attraverso   interventi   tecnologici   mirati   alla modificazione  dei cicli lavorativi e degli agenti chimici impiegati, nonche'  con  una  capillare  azione di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, come prevede la normativa vigente.   L'efficacia  di  questi  interventi  e'  valutabile indirettamente attraverso  studi  epidemiologici,  che  confrontino  l'incidenza dei tumori  nelle stesse coorti lavorative prima e dopo gli interventi di prevenzione. Considerando i tempi di latenza delle neoplasie in esame (20-30 anni), e' possibile oggi valutare l'efficacia degli interventi di prevenzione dei primi anni Settanta.   Appare    prioritario    attivare   azioni   che   permettano   la identificazione  delle  popolazioni di lavoratori a rischio di cancro nel  contesto  nazionale.  In Italia la normativa prevede due sistemi nazionali   di  registrazione  dell'esposizione:  il  registro  degli esposti  a cancerogeni previsto dal D.Lgs 626\94 ed il registro degli esposti  ad  amianto  previsto dal D.Lgs 277\91. Ambedue i sistemi si basano   sull'attivazione   di   flussi  informativi  tra  le  unita' produttive,  l'organo  di  vigilanza  e  l'ISPESL, presso di cui sono istituiti  i  registri  di  esposizione.  I modelli e le modalita' di registrazione  sono stati predisposti dall'ISPESL. Tuttavia i decreti attuativi,   cui   la  normativa  rimanda  per  l'applicazione  delle disposizioni,  non  sono  ancora stati emanati. Appare necessario che tali  strumenti ed i relativi flussi informativi siano al piu' presto adottati,  al  fine  di  attivare  il  previsto  sistema nazionale di registrazione.   Sulla base delle considerazioni esposte, si rimanda all'iniziativa regionale  l'elaborazione  di  piani  per  la  prevenzione dei tumori professionali   e   si   raccomanda  il  perseguimento  dei  seguenti obbiettivi:
    -  Identificazione  e classificazione delle aziende che impiegano e  producono  cancerogeni,  ordinandole  per  comparto  e tipologia di  lavorazione, e quantificare l'esposizione professionale.  -  Indicazione e promozione di soluzioni tecnologiche concretamente  attuabili  in grado di sostituire le sostanze cancerogene dai cicli  lavorativi  o,  quanto  meno,  di  ridurre al minimo le esposizioni  professionali conseguenti alla loro presenza.  -  Definizione  di  archivi  di  esposti  a  cancerogeni di origine  professionale e realizzazione della sorveglianza epidemiologica sui  tumori  professionali  e lavoro-correlati, prioritariamente rivolta  verso  quelli a piu' elevata frazione eziologica, finalizzata anche  al loro riconoscimento in sede medico-legale.
     Un contributo importante alla prevenzione dei tumori professionali puo'  venire da un maggior coinvolgimento e partecipazione, su questa tematica,   delle  strutture  di  diagnosi  e  cura  dei  tumori.  In particolare,  si  propone che per le due neoplasie professionali piu' frequenti,  quelle  polmonari  e vescicali, le strutture del Servizio Sanitario  Nazionale s'impegnino a raccogliere in modo standardizzato un'adeguata   anamnesi  lavorativa  dei  casi,  utilizzando  apposita modulistica  ben  sperimentata. Tali notizie dovranno far parte della documentazione    clinica   individuale.   Dall'insieme   di   queste segnalazioni  potra'  derivare  l'individuazione di eventuali focolai epidemici  attualmente  non  riconosciuti,  con  la  possibilita'  di attivare interventi di prevenzione mirati.
  Raccomandazioni specifiche
     1. Attivare piani per la sorveglianza a livello regionale in grado di  identificare  e  classificare  i  comparti  e  le lavorazioni con impiego  e produzione di cancerogeni, registrare i soggetti esposti a sostanze  cancerogene  come  espressamente  previsto dal DLgs 626/94, riconoscere    la    patologia   tumorale   dovuta   ad   esposizioni professionali.   2.   Aumentare   la  sensibilita'  delle  strutture  del  Servizio Sanitario   Nazionale   nel   riconoscimento  di  tumori  di  origine professionale,   adeguando   le   procedure   attualmente  carenti  e deficitarie nella raccolta dell'anamnesi professionale dei casi. Cio' permettera'  di migliorare la qualita' delle informazioni relative ai casi  di  neoplasia  di  origine  professionale,  che  devono  essere trasmesse  all'ISPESL,  ai  fini  della  registrazione  nell'archivio nazionale dei casi di tumore di sospetta origine professionale, cosi' come  previsto  all'art.  71  del  d.Lgs  626\94.  A tal fine, appare opportuno  che  le  Amministrazioni  Regionali predispongano apposite schede  con  l'elenco  delle esposizioni e delle attivita' lavorative per le quali esiste evidenza di associazione con i tumori del polmone e della vescica.
  5)RADON
     Il  problema  dei rischi sanitari connessi alla presenza del radon negli  edifici  e'  affrontato  esplicitamente  nel  Piano  Sanitario Nazionale  1998-2000.  Gli  obbiettivi  sono l'intensificazione della ricerca  scientifica  nel settore e la riduzione della concentrazione di  radon nelle abitazioni ed in altri luoghi chiusi. Dovranno essere attivate  azioni  per  l'identificazione  delle  situazioni  con  una concentrazione  di  radon  piu'  elevata, la predisposizione di norme specifiche,  lo  studio  di adeguate azioni di rimedio, la formazione professionale e l'informazione della popolazione.
  Gli effetti sanitari del radon
     L'esposizione  al  radon  ed ai suoi prodotti di decadimento e' un fattore  di  rischio  per  il  tumore  polmonare  ed  e' generalmente considerata  come  una delle principali cause di tale neoplasia, dopo il  fumo  di  sigaretta.  L'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro  ha classificato tali radionuclidi tra le sostanze cancerogene di  gruppo  1.  Si  stima che il rischio individuale sull'intera vita dovuto  all'esposizione  continua  a 100 Bq/m3 sia dell'ordine di 1%, con un'incertezza stimabile in un fattore 3.   A  tutt'oggi  le  incertezze  sulle stime quantitative del rischio sono  rilevanti,  anche  se  minori  di quelle relative a molti altri cancerogeni,  in  particolare  per quel che riguarda l'estrapolazione alla   popolazione  esposta  in  ambienti  domestici,  l'entita'  del sinergismo con il fumo di sigarette ed il rischio per i non fumatori. .sp, La situazione in Italia
     L'esposizione  della  popolazione  in  Italia  e'  stata  valutata tramite  un'indagine  nazionale,  promossa e coordinata dall'Istituto Superiore  di Sanita' e dall'ANPA in collaborazione con le Regioni su un  campione  di  5000  abitazioni. Tale indagine condotta negli anni 1989-96  ha permesso di stimare la distribuzione della concentrazione di  radon  nelle  abitazioni,  il cui valore medio e' risultato di 75 Bq/m3,  cui  corrisponde,  secondo  una stima preliminare, un rischio individuale sull'intera vita dell'ordine di 0.5%. Indagini effettuate in  scuole  materne ed elementari di sei regioni italiane hanno messo in  evidenza  che anche in questa tipologia di edifici si riscontrano livelli equivalenti o superiori a quelli delle abitazioni. Sulla base di  tali  dati, e' stato stimato che il 5-15% dei circa 30.000 tumori polmonari  l'anno,  che si verificano in Italia, sono attribuibili al radon.   La  maggior  parte  dei  tumori  attribuibili  al  radon e' dovuta all'interazione radon-fumo.   In  Italia,  a  differenza  di  molti paesi Europei, non esiste al momento  normativa  in  materia  di radon. A livello comunitario, una raccomandazione  del  1990,  prevede  l'adozione  per  le  abitazioni esistenti  di  un  livello  di riferimento di 400Bq\mc sopra il quale effettuare  interventi  per ridurre la concentrazione di radon e, per le  abitazioni future, l'adozione di un limite superiore di 200Bq\mc. Inoltre  la  direttiva  96\29 Euratom, in materia di radioprotezione, prevede  che  gli stati membri emanino una normativa per il radon nei luoghi di lavoro entro il maggio del 2000.   Con  l'indagine  nazionale  nelle  abitazioni si e' stimato che in circa   l'1%   di   esse   (circa   200.000  abitazioni)  vi  e'  una concentrazione  di  radon  superiore  ai 400Bq e in circa il 4% delle abitazioni (circa 800.0000) si superano i 200 Bq.   Una  situazione  non  molto  diversa  e'  prevedibile anche per le scuole  ed  i  luoghi di lavoro. I livelli di riferimento citati sono livelli  normativi  e non soglie di pericolo, in quanto il rischio di tumore  polmonare  associato  all'esposizione  a radon e', allo stato attuale delle conoscenze, un effetto senza soglia.
  L'efficacia degli interventi.
     Dal  punto  di vista tecnico le azioni preventive piu' studiate si riferiscono a sistemi per ridurre l'ingresso nelle case monofamiliari del  radon  proveniente  dal suolo. Con tali sistemi si ottiene anche una riduzione del 90% della concentrazione del radon. Per gli edifici di  grandi dimensioni i risultati sono generalmente inferiori. Per le situazioni  per le quali i materiali da costruzione contribuiscono in maniera  rilevante,  non  sono ancora stati trovati rimedi efficaci e duraturi  e  l'unico  approccio  si  basa  sull'uso  di materiali che emanano poco radon.
  Raccomandazioni specifiche
     Il  PSN  1998-2000 si pone come obiettivo la riduzione del rischio di   tumore   polmonare  derivante  dall'esposizione  a  radon  nelle abitazioni   ed   in   altri   luoghi   chiusi,   tramite   azioni  e raccomandazioni  specifiche  che sono qui riprese e puntualizzate. Le azioni  suggerite  costituiscono  i  primi  elementi  del  "Programma nazionale  radon"  pluriennale - da effettuarsi in collaborazione con altri  enti  ed  amministrazioni, in analogia a quanto fatto in altri Paesi  Europei - la cui elaborazione complessiva e' promossa da parte del Ministero della Sanita'.   Emanazione  di linee guida per l'individuazione delle aree e degli edifici con concentrazione di radon piu' elevata, sia per i luoghi di lavoro   e   le  scuole  (oggetto  dell'imminente  recepimento  della direttiva   europea  96/29)  sia  per  le  abitazioni.  Lo  strumento principale  saranno  adeguate  campagne  di misura, da effettuarsi in collaborazione  tra  il SSN e i laboratori regionali per il controllo della  radioattivita'  ambientale.  Tali  laboratori,  realizzati dal Ministero  della  Sanita'  dopo  l'incidente di Chemobyl generalmente presso  i  Presidi  Multizonali  di Prevenzione, e in molti casi gia' transitati  alle  Agenzie  Regionali  per  la  Protezione  Ambientale partecipando all'indagine nazionale sul radon nelle abitazioni, hanno acquisito una notevole esperienza, e sono dotati della strumentazione necessaria.   2.  Promozione  di un'indagine epidemiologica multicentrica per la stima del rischio radon tra i soggetti non fumatori, che coinvolga le Regioni  in  cui  sono  stati  riscontrati i valori medi piu' alti di concentrazione  di  radon  nelle  abitazioni,  al fine di valutare il numero  di  casi  di tumore polmonare attribuibili al radon tra i non fumatori.   3.  Predisposizione  di una normativa specifica per il radon nelle abitazioni,  che  si armonizzi con quella per i luoghi di lavoro, che sara' contenuta nel recepimento della direttiva europea 96/29.   4.  Raccolta  sistematica  dei  dati  relativi alle misurazioni di concentrazione  di radon ed alle azioni di rimedio o preventive sugli edifici,  al fine di valutare l'efficacia degli interventi in termini di numero di edifici individuati con alti valori di concentrazione di radon,  di  percentuale  di  tali  edifici "risanati", e di entita' e durata della riduzione della concentrazione di radon.   5.  Emanazione  di linee guida per la formazione del personale del SSN  e per una corretta informazione della popolazione. Cio' si rende particolarmente utile anche in vista dell'imminente recepimento della direttiva europea 96/29.
  6) RADIAZIONI IONIZZANTI PER SCOPI MEDICI
     Il PSN si pone come obiettivo la riduzione del rischio (di tumore) associato  all'esposizione  a  radiazioni  ionizzanti  per le persone sottoposte  ad  indagini  cliniche  di radiodiagnostica e di medicina nucleare,  mediante la riduzione degli esami non necessari (anche con campagne di educazione sanitaria) l'adozione di adeguati programmi di assicurazione di qualita' e la sostituzione degli apparati obsoleti.
  Strategie per l'intervento
     Anche  con  riferimento  ad una vasta esperienza internazionale si puo'  ritenere  che il conseguimento degli obiettivi indicati dal PSN in  materia di protezione dalle radiazioni ionizzanti in campo medico debba  essere associato alla esigenza di poter far fronte all'aumento considerevole   del   numero   di   pratiche   radiologiche,  e  piu' recentemente di quelle ad alta dose come la Tomografia Computerizzata ed  alle  indagini  su  soggetti  in eta' pediatrica. Si deve inoltre tenere  conto  che le prestazioni radiologiche sono spesso ancora non ottimizzate.  E'  stato,  infatti,  verificato che la stessa indagine puo'  essere  effettuata  con  dosi estremamente diverse a parita' di qualita'   o  produrre  immagini  di  qualita'  non  sufficiente  con conseguente necessita' di ripetizione dell'esame.   Pertanto,  mentre  da  una  parte  e' necessario intervenire sulla riduzione  del  numero  di  esposizioni  attraverso la limitazione di tutte le esposizioni non necessarie, si deve altresi' intervenire per migliorare   il  rapporto  tra  la  qualita'  dell'immagine  o  della prestazione   e   la   dose   associata  alla  singola  procedura,  e standardizzare  al  livello delle prestazioni migliori le prestazioni sull'intero territorio nazionale.   Il    primo   obiettivo,   oltre   a   richiedere   una   maggiore sensibilizzazione   della   popolazione   su  questo  tema,  richiede soprattutto  un  aumento  di consapevolezza degli stessi, medici, che puo' essere perseguito promuovendo la diffusione della conoscenza dei problemi della radioprotezione del paziente.   L'ottimizzazione  delle  prestazioni e' invece il risultato di una operazione  piu'  complessa  che riguarda non solo l'efficienza delle apparecchiature  ma  anche  un  loro uso ottimale e quindi prevede un impegno   per  la  formazione  e  l'aggiornamento  del  personale  su specifici temi di radioprotezione del paziente.   Importante  e'  infine  un  impegno  di ricerca e di aggiornamento continuo   per  la  individuazione  di  metodi  e  di  procedure  per raggiungere  tale  obiettivo. Le recenti disposizioni legislative per la  protezione  dalle  radiazioni  in  campo  medico  (D.Lgs 230/95 e decreti  applicativi)  hanno  delineato  un  quadro  diversificato di adempimenti  che  riguardano tra l'altro sia la giustificazione delle indagini   con   radiazioni   ionizzanti   e   la  definizione  delle responsabilita',  sia  l'obbligo di effettuare programmi di controllo di qualita' sulla strumentazione.   Non   risultano   dati  sulla  reale  applicazione  delle  attuali disposizioni legislative. Si ricorda peraltro che e' stato pubblicato il  D.Lgs. n. 187 del 26\5\2000 in attuazione della direttiva EURATOM 97/43  sulle  esposizioni  mediche,  Il  suddetto  D.Lgs. modifica ed abroga la sezione II del capo IX del D.Lgs. 230\95, introduce dosi di riferimento per gli esami di radiodiagnostica e di medicina nucleare, indica  che  si ponga particolare attenzione agli esami ad alta dose, agli  esami  effettuati per " screening", alle indagini effettuate su pazienti  in  eta'  pediatrica,  e  che si predispongano programmi di assicurazione della qualita'.
  Raccomandazioni specifiche
  Per  un'attuazione  piu'  efficace  delle disposizioni legislative si raccomandano le seguenti azioni:
     1.   Emanazione  di  linee  guida,  in  via  prioritaria,  per  la   definizione di programmi di garanzia della qualita', delle dosi di   riferimento e dei criteri di accettabilita' della strumentazione;   2.  Messa a punto di procedure di valutazione dell'efficacia degli   interventi,  per le quali e' necessario e' sviluppare le attivita'   conoscitive sotto elencate:
    -  sistematizzare ed organizzare l'inventario delle apparecchiature  radiologiche,   anche  per  poter  consentire  il  controllo  della  applicazione  della  normativa  vigente  da  parte  delle autorita'  preposte alla vigilanza;  -  organizzare una raccolta sistematica di dati su tipo e frequenza  degli  esami radiologici (inclusa la medicina nucleare), allo scopo  di individuare su quali settori intervenire in modo prioritario;
  7) RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE
     Il  PSN  affronta  il  problema  dei  rischi  cancerogeni connessi all'esposizione  a radiazioni ultraviolette, ponendosi come obiettivo la  riduzione di tali rischi mediante adeguate campagne di educazione sanitaria.
  L'evidenza disponibile
     La  radiazione  ultravioletta  (RUV)  e'  un  accertato fattore di rischio   per  danni  a  breve  e  a  lungo  termine  sia  di  natura deterministica  sia  di  natura  probabilistica. Fra essi particolare rilievo  sanitario  riveste  la  fotoinduzione  dei  tumori  cutanei. L'Agenzia  Internazionale  per  la  Ricerca  sul  Cancro  colloca  la radiazione  solare,  in  particolare la componente ultravioletta, tra gli  agenti  cancerogeni  per  l'uomo  (gruppo  1). La stessa Agenzia analizza  i  problemi  connessi  con  l'esposizione  umana alla RUV e raccomanda  piu' incisive ed idonee azioni di prevenzione primaria da parte delle autorita' sanitarie nazionali. Nelle popolazioni di ceppo caucasico  di  tutti  i  Paesi economicamente ricchi, nel corso degli ultimi  decenni,  l'incremento dell'incidenza delle neoplasie cutanee e'  stato tra i piu' elevati. E' stata osservata una associazione tra la  probabilita'  che si manifesti il carcinoma della pelle e la dose accumulata  da  ciascun  individuo  nel  corso della sua vita. Per il melanoma  della  pelle  si  e' osservato che il rischio dipende anche dalla  storia  personale  delle ustioni cutanee da esposizione acuta, soprattutto se occorse durante l'infanzia e l'adolescenza.   La    struttura    socio-economica    della   societa'   influisce significativamente sul rischio sanitario da RUV, nel senso che quanto maggiori sono le disponibilita' economiche, tanto piu' sono probabili abitudini,  comportamenti e condizioni a rischio (viaggi in localita' tropicali,   escursioni  ad  alta  quota,  trattamenti  estetici  con sorgenti  artificiali,  cambio  repentino  dei livelli di esposizione alla  radiazione  solare  per attivita' ricreative praticate nel fine settimana, ecc.).
  Nel  definire  le  priorita',  i  settori  di  intervento e le misure concrete da adottare, bisogna considerare:
    - gli effetti benefici ed essenziali dell'esposizione alle RUV;  -  le  peculiari  caratteristiche  della  sorgente che maggiormente  contribuisce all'esposizione umana, il sole;  -  le  attivita'  ricreative  ed il desiderio che induce la maggior  parte della popolazione ad esporre il proprio corpo alle RUV solari  o artificiali.
  Raccomandazioni specifiche
    -  Promuovere l'informazione e educazione sanitaria volta a ridurre  l'eccessiva  esposizione  alla RUV solare, soprattutto nei soggetti  maggiormente a rischio;  -  Regolamentare, con misure normative ed amministrative, l'impiego  della RUV artificiale nei trattamenti estetici;  - Aggiornare le norme di protezione che individuino livelli massimi  di  esposizione  per  tutti  coloro  che  sono  esposti  per motivi  professionali in ambiente di lavoro;  -   Promuovere   l'applicazione   dei  principi  di  ottimizzazione  nell'impiego terapeutico della RUV;
  5. Valutare l'efficacia delle misure di protezione adottate.
  8) CANCEROGENI AMBIENTALI
     Il  PSN,  pur ascrivendo al contesto ambientale e all'inquinamento atmosferico  un ruolo importante per la salute dei cittadini, ha reso esplicita  l'oggettiva  difficolta'  nella elaborazione di obbiettivi specifici.   Tra   le   misure   indicate   nel  P.S.N.  per  ridurre l'inquinamento  atmosferico, vengono qui sotto indicate quelle che si prestano ad iniziative in contesti regionali o comunali.
    -  Regolamentazione  della  circolazione  e  riduzione del traffico  veicolare  privato.  E'  da  sottolineare  che  nel  contesto della  prevenzione   primaria   dei  tumori,  la  riduzione  del  traffico  veicolare   avrebbe   il   duplice   risultato   del   contenimento  dell'inquinamento  atmosferico  e l'incoraggiamento indiretto ad un  maggiore ricorso all'esercizio fisico.  - Politiche dei trasporti basate sull'utilizzo di fonti energetiche  alternative  e  riorientamento  del  traffico  commerciale verso il  trasporto su rotaia o per mare.  - Sensibilizzazione della popolazione all'uso razionale delle fonti  energetiche per il trasporto e il riscaldamento.  -   Trasformazione   dei   sistemi  di  riscaldamento  domestico  e  collettivo verso l'utilizzo di combustibili meno inquinanti.  -  Controllo,  delle perdite di volatili organici in prossimita' di  complessi industriali.
  Le evidenze disponibili
  1. Inquinamento atmosferico
     L'inquinamento  atmosferico e' un fenomeno complesso che coinvolge un  largo  numero  di  inquinanti,  che  vanno  incontro  a  continue trasformazioni chimiche e fisiche. Fra gli agenti inquinanti numerose sono   le  sostanze  considerate  cancerogene  per  l'uomo  come  gli idrocarburi  policiclici aromatici, il benzene, l'amianto, l'arsenico ed alcune nitrosamine. A questi si aggiungono sostanze irritanti come l'anidride  solforica,  l'ossido  di  azoto,  l'ozono, il particolato fine,   etc.  La  relazione  fra  agenti  inquinanti  tossici,  quali compaiono  nell'aria  ambiente  in complesse miscele ed effetti sulla salute   e'   stato   l'oggetto  di  un  grande  numero  di  indagini epidemiologiche.   Dall'insieme   di   questi  dati  e  dall'evidenza  epidemiologica disponibile,   si   ritiene   giustificata   la   preoccupazione  che l'esposizione  mista a sostanze con proprieta' cancerogene aumenti il rischio  di  tumore,  ed  in  particolare dell'apparato respiratorio. Tuttavia,   la   valutazione  della  dimensione  del  rischio  legato all'esposizione  a  concentrazioni basse per periodi prolungati e con inizio  talora  nelle  prime  eta'  della vita, e' tuttora oggetto di studio,  anche  a causa delle difficolta' esistenti nella definizione dell'esposizione e di fattori confondenti come il fumo.   Va  inoltre  sottolineata,  seppur  sulla  base  di  una  evidenza epidemiologica  piu'  limitata,  la  possibilita'  di  un  eccesso di neoplasie per altre sedi specifiche, ed in particolare per i tumori e le leucemie infantili. In relazione ad altre patologie, numerosi sono gli  studi  che hanno evidenziato un'associazione tra livelli elevati d'inquinamento  e mortalita' generale, ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari  e respiratorie e prevalenza di malattie respiratorie in eta' pediatrica.   Tutti  questi  elementi concorrono a confermare che l'inquinamento atmosferico  e'  una  fonte  di danno alla salute, per le popolazioni esposte,  che esige l'elaborazione di strategie preventive. In questo senso  va  migliorato  e  reso  piu' efficiente il monitoraggio delle caratteristiche  e dei livelli dell'inquinamento. Non va dimenticato, infatti,   che   le   tre   maggiori   componenti   dell'inquinamento atmosferico:  industria,  combustione domestica e traffico veicolare, hanno  tendenze  temporali  e  dimensioni molto diverse nelle diverse aree  italiane.  Pur  tenendo conto della limitata disponibilita' dei dati,  le  prime due componenti sono tendenzialmente in diminuzione a partire dagli anni '70, mentre, a partire dallo stesso periodo, si fa sempre  piu' importante nei centri urbani italiani il contributo dato all'inquinamento  dell'aria  dal  traffico  veicolare, che e' oggi la maggior   fonte  di  inquinamento  atmosferico.  Di  conseguenza,  le emissioni veicolari costituiscono l'esposizione che puo' maggiormente contribuire  nell'immediato  e medio futuro ad un aumento del rischio per tumori, soprattutto respiratori, nelle popolazioni esposte.   Una  particolare  attenzione  va dedicata alla pericolosita' delle emissioni  derivanti  dai  motori  a  combustione  diesel per i quali esistono  consolidate evidenze di tipo sperimentale ed epidemiologico che indicano un ruolo specifico di questa esposizione nella eziologia del tumore polmonare.   Queste   osservazioni   impongono   l'adozione   di  politiche  di contenimento delle emissioni nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie  con  il  coinvolgimento  di  diversi  attori: industria, autorita'   locali,   associazioni   di   consumatori,  organismi  di controllo,  mezzi  di  informazione,  ecc..  E',  infatti,  del tutto evidente  che  nessuna  politica  ambientale in questo settore potra' essere  coronata  da successo senza il coinvolgimento dei cittadini e delle  loro  abitudini che si affianchi a un comportamento coerente e coraggioso  delle  amministrazioni  e  dei  produttori.  Inoltre,  in considerazione   dei  lunghi  tempi  di  latenza  tra  esposizione  e insorgere    di    patologie    tumorali,   nonche'   degli   effetti dell'inquinamento  sulle  patologie  respiratorie in eta' pediatrica, ogni  ulteriore  ritardo  nell'adozione  di  politiche  di  controllo portera'  inevitabilmente  a  un  aggravamento ulteriore dell'impatto sulla  salute  nei  prossimi  decenni con un conseguente aggravio dei costi  sanitari  ed economici per gli individui e la societa' nel suo complesso.
  2. Esposizione ambientale ad amianto
     E'   noto   dalla   letteratura   scientifica  internazionale  che l'esposizione   a   fibre   di   amianto   di  tipo  ambientale,  non professionale,  ma  associata alla residenza in prossimita' di luoghi nei   quali  l'amianto  e'  lavorato,  e'  in  grado  di  causare  il mesotelioma pleurico.   In   Italia,   come  in  generale  in  Europa,  la  frequenza  del mesotelioma pleurico e' in aumento. Dei circa 1000 nuovi casi l'anno, si  stima  che  la  maggior  parte  riguardi i lavoratori esposti per motivi  professionali,  ma  un  certo  numero  di casi si sviluppa in soggetti che sono stati esposti all'amianto nell'ambiente generale in assenza  di  documentate  esposizioni  professionali. Le segnalazioni sinora   disponibili   riguardano   soggetti   residenti  presso  gli stabilimenti  per  la  produzione  di  manufatti  in cemento-amianto, presso  i  cantieri navali e inoltre in situazioni isolate dove si e' fatto  uso di materiale da costruzione contaminato con tremolite. Non esistono   al  momento  attuale  stime  quantitative  del  numero  di mesoteliomi  pleurici  associati ad esposizione ambientale ad amianto nel nostro paese.   Il quadro normativo sull'amianto e' in Italia definito dalla legge n.  257 del 1992, che ha sancito la dismissione dell'uso dell'amianto nel  nostro  paese.  I  complessi  problemi  tecnologici, ambientali, sanitari  e  giuridici connessi con l'attuazione della legge 257 sono stati oggetto nel marzo 1999 della Conferenza Nazionale sull'Amianto, organizzata  dalla  Presidenza del Consiglio. Il documento conclusivo della  Conferenza  contiene  un  articolato elenco di raccomandazioni alle quali si rinvia per una trattazione piu' esaustiva.   Si  raccomanda  che,  a livello regionale, siano sviluppate azioni volte  al monitoraggio sistematico della applicazione della normativa relativa   all'abbandono   dell'amianto  e  per  la  riduzione  della esposizione  nei  gruppi  a  rischio  e  nella  popolazione generale, comprensivo delle problematiche legate alle azioni di decoibentazione e  stoccaggio  e  di  quelle  derivanti dalla diffusione dell'amianto attraverso  il  traffico  veicolare.  Particolare  rilevanza  riveste inoltre  la  verifica  di  assenza  o il grado di pericolosita' degli eventuali  sostituti dell'amianto, onde garantire che la sostituzione dell'amianto,  con  altri  materiali,  non  sia  all'origine di nuovi rischi  per  la salute dei lavoratori. Inoltre, si raccomanda che gli aspetti  relativi alla esposizione delle popolazione ed all'eventuale rischio per la salute siano sistematicamente compresi nelle relazioni di  valutazione ambientale, realizzando in tal senso una integrazione di  competenze ambientali e sanitarie finalizzate ad un piu' completo controllo  del  rischio  cancerogeno.  Tale  integrazione puo' essere realizzata a livello locale tramite azioni concertate fra Agenzie per la protezione ambientale ed istituzioni sanitarie (in particolare gli Istituti  a  carattere scientifico, le Agenzie Sanitarie Regionali, i Dipartimenti  di  prevenzione delle aziende USL, e le altre eventuali competenze   epidemiologiche),  coordinate  e  promosse  dai  Governi Regionali.  Si  raccomanda inoltre che nell'ambito di tali azioni sia compresa  la  identificazione  e la sorveglianza epidemiologica delle popolazioni  a  rischio  e  degli  ex-esposti,  anche  al  fine della adeguata identificazione dei casi di neoplasia asbestocorrelata, come previsto dalla attuale normativa.
  Le strategie per l'intervento
     E'  indispensabile  sottolineare  la rilevanza delle problematiche del  traffico,  e  nello specifico dell'inquinamento atmosferico, nel definire  le  politiche nazionali del trasporto e dell'ambiente. Ogni scelta  programmatica  di carattere nazionale e locale dovrebbe tener conto  della  componente  salute.  (Piani  per  la  Salute zonali) E' evidente   che   gli  interventi  di  natura  complessiva  dovrebbero interessare l'intera organizzazione urbanistica delle citta', come ad esempio  la  separazione  drastica dei flussi veicolari dalle aree di permanenza della popolazione e la creazione di una rete efficiente di trasporto  urbano  non  inquinante.  In tale ottica dovrebbero essere facilitate  le  iniziative  volte  a  limitare  il  traffico  privato nell'ambito   urbano,   al   potenziamento  del  trasporto  pubblico, all'esclusivo   uso  di  auto  catalizzate,  alla  limitazione  della circolazione  nell'ambito  urbano  dei  ciclomotori  a  due tempi, al posizionamento   dei   distributori   di   carburante  lontano  dalle abitazioni  e  dai presidi scolastici. L'orientamento verso politiche piu'  restrittive  sulla circolazione di auto private, d'altra parte, e'  stato anche sancito dalla recente Conferenza Interministeriale di Londra,  dove i ministri di Sanita', Ambiente e Trasporti di 54 paesi hanno sottoscritto un documento con precisi impegni programmatici.   Tutte  le  azioni  indicate  dovrebbero  essere accompagnate da un progetto  strategico italiano, fortemente caratterizzato dal punto di vista  epidemiologico, sulle caratteristiche degli inquinanti urbani, sull'impatto   di   questi  sulla  salute  della  popolazione,  sulle efficacia  delle  politiche  e delle strategie preventive proposte ed adottate.  E'  da ricordare la necessita' di una attenta sorveglianza degli effetti sanitari delle emissioni derivanti dai grandi complessi industriali  e  per  la  produzione  di  energia  elettrica  e  dagli impianti' di incenerimento.
  Raccomandazioni specifiche
     1.  Adozione  di  misure  che  favoriscano  il  potenziamento  del trasporto  pubblico,  in particolare quello non su gomma e ad energia pulita,  scoraggiando  la  diffusione  tuttora  in  crescita dell'uso privato   dell'automobile,  e  favoriscano  il  trasporto  merci  per ferrovia e per nave.   2.   Programmazione   di   interventi   strutturali   a  carattere interdisciplinare  (urbanistica, ingegneria, igiene, etc.) miranti ad una  sempre  maggiore separazione fra traffico veicolare ed attivita' residenziali della popolazione.   3. Protezione della popolazione infantile con la creazione di aree pubbliche  (scuole, asili, parchi) esenti dal rischio di inquinamento atmosferico.   4.  Potenziamento nelle aree urbane del monitoraggio delle singole componenti  dell'inquinamento  atmosferico con particolare attenzione per le componenti cancerogene.   5.  Monitoraggio  degli  effetti  sulla  salute  della popolazione esposta  all'inquinamento  da  traffico  veicolare  e  di provenienza industriale,  anche  in  relazione  agli  interventi  di  prevenzione adottati,  con  particolare  attenzione  agli effetti nella fascia di eta' infantile.   6.  Introduzione  di  corsi  di educazione ambientale nelle scuole primarie e secondarie.   Coerentemente   con  gli  impegni  presi  a  livello  Europeo,  si raccomanda la introduzione nei PSR di azioni concertate con gli altri soggetti  pubblici  e  privati  competenti,  volte a salvaguardare la salute  della  popolazione  residente  rispetto  a  fonti  inquinanti ambientali  ed  in  particolare  al  traffico  veicolare. Tali azioni dovranno   tenere  conto  delle  particolarita'  delle  problematiche locali,  con  particolare riferimento ai centri urbani ed alle grandi direttrici di traffico. In particolare, si raccomanda che gli aspetti relativi  alla esposizione delle popolazioni ed all'eventuale rischio per  la  salute  siano  sistematicamente  compresi nelle relazioni di valutazione  ambientale, realizzando in tal senso una integrazione di competenze  ambientali  e  sanitarie  finalizzate ad un piu' completo controllo  del  rischio  cancerogeno.  Tale  integrazione puo' essere realizzata a livello locale tramite azioni concertate fra Agenzie per la protezione ambientale ed Istituzioni sanitarie (in particolare gli IRCCS,  le Agenzie Sanitarie Regionali, i Dipartimenti di prevenzione delle  aziende USL, e le altre eventuali competenze epidemiologiche), coordinate   e   promosse   dai   Governi  Regionali.  Si  raccomanda l'elaborazione  di  un progetto integrato di respiro nazionale per la valutazione  dell'impatto dell'inquinamento ambientale sullo stato di salute  della  popolazione,  anche  in  rapporto  alle  strategie  di contenimento delle emissioni nell'ambiente urbano.   Si raccomanda, infine, la ricerca e lo sviluppo di metodi efficaci per   l'informazione   corretta   alla   popolazione  sui  rischi  da esposizione  ambientale  anche  in relazione al livello di percezione del rischio.
   Obiettivo specifico intermedio n°5
   POTENZIAMENTO DELLA RICERCA CLINICA IN ONCOLOGIA, DA REALIZZARE TRAMITE L'ALLOCAZIONE DI ADEGUATE RISORSE E LA PREDISPOSIZIONE DI UN PIANO NAZIONALE DI SETTORE.
     La  ricerca  biomedica,  clinica e sanitaria in genere risponde al fabbisogno  conoscitivo ed operativo del Sistema sanitario nazionale. Il  Piano  sanitario  nazionale  e  il  D.leg.  229/99 definiscono le finalita'  generali ed i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria.  La  ricerca oncologica rappresenta un settore prioritario nell'ambito  della  ricerca  biomedica,  clinica  e  sanitaria  per i seguenti motivi:
    - la rilevanza sociale della patologia oncologica;  -  i risultati ancora insoddisfacenti dei trattamenti codificati in  molte neoplasie avanzate;  -  il  rapido  avanzamento delle conoscenze scientifiche, che rende  impossibile       separare       nettamente       i      protocolli  diagnostico-terapeutici  codificati  da  procedure  innovative, che  contengono tematiche di ricerca clinica.  -  la  necessita'  di  sviluppare  specifici  progetti  di  ricerca  relativamente alle prestazioni assistenziali infermieristiche.
     L'assunto  su  cui  si  basa  il  presente  documento, che propone interventi  di razionalizzazione delle risorse disponibili, e' che la ricerca   clinica   di   buona   qualita'   scientifica   si  traduce inevitabilmente in un miglioramento della qualita' dell'assistenza.   Pertanto,  per la realizzazione degli obiettivi indicati nel Piano sanitario  nazionale,  occorre  potenziare  e  sviluppare  la ricerca biomedica,  clinica  e  sanitaria  in genere, indirizzando le risorse verso programmi in grado di:
    -  promuovere  un  miglioramento  delle conoscenze scientifiche per  tutte le professionalita' coinvolte;  -  individuare  le scelte piu' opportune per situazioni complesse e  controverse,  al fine di migliorare la qualita' dei servizi e delle  prestazioni sanitarie e per indicare corretti percorsi diagnostico-  terapeutici.
     Il   Piano   oncologico   conferma   l'importanza   della  ricerca scientifica,   ribadendo   l'esigenza  di  un  collegamento  tra  gli obiettivi  individuati  dalla  programmazione  sanitaria.  In  questa direzione  va  coordinata  l'attivita'  di  ricerca  facente  capo al Ministero della sanita', il cui indirizzo e la cui valutazione devono risultare intimamente coerenti con le linee di azione indicate per il triennio l998\2000.   Per il Piano oncologico sara' predisposto dalla C.O.N. un rapporto annuale   per  la  ricerca  oncologica,  che  riunira'  le  attivita' scientifiche realizzate in questo settore dagli organismi nazionali e regionali,  pubblici  e  privati, anche se non facenti riferimento al Ministero della sanita'.   Sara'  possibile  in  tal modo monitorizzare i progetti di ricerca attivati,  le  risorse  destinate  a  tale scopo e consequenzialmente formulare   le   indicazioni   operative   per  il  successivo  anno, sottoponendo   tali   risultanze  alla  Commissione  per  la  Ricerca Sanitaria, istituita presso il Ministero della sanita'.   E',  infatti, sempre piu' indispensabile garantire alcuni aspetti, fondamentali  per  una  ricerca scientifica oncologica finalizzata al raggiungimento   di   obiettivi  utili  per  il  miglioramento  delle conoscenze  in  tema  di prevenzione, diagnosi e cura delle patologie neoplastiche.  A  tale proposito si raccomanda fortemente di porre in essere iniziative atte a garantire:
    -  il  coordinamento  dei  programmi  e delle iniziative di ricerca  nell'ambito delle strutture del SSN;  -  la  cooperazione  tra  le  maggiori organizzazioni o i programmi  internazionali impegnati nel settore della ricerca, con particolare  riferimento alle iniziative assunte in sede di Unione Europea;  - il trasferimento dei risultati della ricerca alla pratica clinica  corrente,  al  fine  di  ottenere  elevati  standard qualitativi di  attivita';  -   la   metodologia   piu'   idonea   per   la   conduzione  delle  sperimentazioni cliniche;  - l'uso corretto dei test genetici in oncologia;  - l'utilizzazione di infrastrutture comuni;  - l'allocazione delle risorse in centri di eccellenza, che potranno  essere  costituiti anche in seguito ad accordi istituiti fra centri  diversi,  purche'  tra  loro  formalmente  coordinati,  al  fine di  trasformare l'eccellenza scientifica in eccellenza applicativa;  -  la  partecipazione  delle  istituzioni  private  riconosciute ai  programmi stabiliti dal Ministero della sanita';  -  il  coordinamento  delle  attivita'  delle  associazioni private  impegnate  nella  raccolta di fondi per la ricerca biomedica con il  Ministero della sanita', al fine di una razionale allocazione delle  risorse;  - la partecipazione delle strutture del SSN ai programmi di ricerca  comunitari attraverso un'adeguata informazione ed assistenza.
     Fortemente  raccomandata e' inoltre la cooperazione di istituzioni scientifiche  su  obiettivi  specifici. Si rammenta, a tal proposito, che l'Unione Europea con il rapporto "Inventare il domani: la ricerca europea al servizio del cittadino" , ha sottolineato nel 5o Programma Quadro  il  ruolo  sempre piu' centrale della ricerca scientifica nei riguardi   di  temi  sociali  quali  crescita,  occupazione,  salute, ambiente, il cui miglioramento e' strettamente connesso agli stati di avanzamento in campo scientifico e tecnologico.   La  ricerca sanitaria e' indubbiamente elemento essenziale per una migliore utilizzazione delle risorse, per una migliore qualita' delle prestazioni  e  dei servizi e per la formazione di operatori sanitari nel   rispetto   del   rigore  metodologico  nell'espletamento  delle specifiche attivita' professionali.   L'Italia  deve  quindi  promuovere  le  iniziative  piu'  idonee a potenziare tali attivita', tenuto conto che esistono nel nostro paese competenze e strutture altamente qualificate.   La  formazione  permanente  in  oncologia  deve  inoltre garantire competenze  di tipo specialistico, ma deve essere inoltre in grado di preparare  in  modo  adeguato  gli  operatori  sanitari  ad un lavoro multidisciplinare  e di equipe, coerentemente con quanto sottolineato in precedenti capitolo del presente Piano oncologico nazionale.   In   tal   senso   la  Commissione  oncologica  nazionale,  dovra' formulare,   alle  istituzioni  competenti,  raccomandazioni  per  la realizzazione  di  programmi  per  un'adeguata  formazione  in questo settore. indicazioni   Disposizioni legislative che regolano la sperimentazione clinica   Per quanto attiene, in maniera specifica il problema relativo alla necessita'  di  ridurre  i  tempi  necessari per il trasferimento dei risultati  dalla  ricerca  alla pratica clinica corrente e' auspicata l'accelerazione ed esemplificazione delle procedure autorizzative per la conduzione di studi clinici innovativi in oncologia.   La   sperimentazione   di  trattamenti  oncologici  pone  problemi specifici  rispetto  alle  altre sperimentazioni farmacologiche ed in particolare:  esiste  la  necessita'  di  disporre  con  rapidita' di farmaci potenzialmente efficaci in malattie ad alta letalita';
    - l'indice terapeutico e' spesso ridotto e pertanto le Fasi I delle  sperimentazioni   non  sono  condotte  su  volontari  sani,  ma  su  portatori di neoplasie non suscettibili di terapie efficaci;  -  gli studi preclinici non utilizzano di norma modelli animali, ma  linee cellulari tumorali umane in vitro o trapiantate in topi nudi;  -  accanto  ad  end-point  tradizionali  occorre valutare end-point  alternativi.
     In considerazione di cio', in aggiunta alle disposizioni normative vigenti,  sono  state  introdotte  e  rese operative specifiche linee guida   per   la   sperimentazione  dei  prodotti  Antitumorali,  che rappresentano   lo   strumento   di   tutela   del   soggetto   della sperimentazione e di garanzia degli studi scientifici.
  Accreditamento dei centri per la ricerca.
     L'accreditamento per la ricerca e' importante sia sotto il profilo scientifico,  (sperimentazioni complesse possono dare risultati molto diversi  secondo  la tipologia delle istituzioni coinvolte) che sotto il  profilo  della ricaduta assistenziale. (le istituzioni che devono applicare    i   protocolli   diagnosticoterapeutici,   validati   da sperimentazioni   cliniche,  devono  assicurare  lo  stesso  standard qualitativo  delle  istituzioni  ove  si e' svolta la sperimentazione clinica.   Per  svolgere  attivita'  di  sperimentazione  clinica  le strutture dovrebbero essere in possesso dei seguenti requisiti:
    -  esistenza  di  un Comitato Etico Locale, secondo quanto previsto  dalla normativa vigente;  -     modello     organizzativo    che    garantisca    l'approccio  interdisciplinare  ed integrato al paziente oncologico (IRCCS, Poli  oncologici, Dipartimenti oncologici);  -  attivita'  di  ricerca  clinica  del  personale  operante  nella  struttura, documentata dai curricula e dalla partecipazione a studi  clinici nazionali ed internazionali;  - partecipazione ad attivita' formative sulla ricerca clinica;  -    collegamenti    con    analoghe   istituzioni   nazionale   ed  internazionali;
     Al  fine  del raggiungimento degli obiettivi avanzati nel presente capitolo  del  piano  si auspica inoltre l'istituzione di un'Anagrafe nazionale delle ricerche cliniche in oncologia.
  Un registro prospettico delle sperimentazioni ha lo scopo di:
    -  fornire  una  descrizione  della distribuzione e dell'evoluzione  temporale  della  ricerca clinica per quanto riguarda le condizioni  cliniche studiare, i tipi di trattamento, i centri partecipanti, il  numero dei pazienti arruolati, lo sponsor etcc;  -  promuovere  un  miglioramento  complessivo  della qualita' delle  sperimentazioni cliniche oncologiche;  -  fornire  a  medici  e  pazienti  un  centro di consultazione per  l'eventuale partecipazione ad una delle sperimentazioni in corso.
     Per  raggiungere  questi  scopi, il Registro delle sperimentazioni dovrebbe  garantire  che  il  censimento  delle  sperimentazioni  sia completo,  che  l'acquisizione  delle  informazioni  sia  accurata ed esaustiva,  che  la  gestione  e  diffusione  delle  informazioni sia tempestiva.   Le   disposizioni   legislative   sulla   sperimentazione  clinica garantiscono  la  qualita'  dei  dati  sperimentali  prodotti ai fini registrativi.  Spesso  la  sperimentazione con finalita' registrativa non  permette  di  individuare  lo  scenario  clinico  o la modalita' ottimale  di  utilizzazione  del  nuovo  farmaco.  Di  fatto,  quindi l'utilizzazione   clinica   dei   nuovi  farmaci  e'  in  gran  parte influenzata  dai  protocolli  sperimentali  che sono attivati dopo la registrazione. La maggior parte di questi protocolli di fase III e IV sono  condotti  nell'ambito  di  Gruppi  Cooperatori di cui e' talora difficile   individuare  le  modalita'  organizzative,  le  fonti  di finanziamento  e  gli  eventuali  controlli di qualita' sui prodotti. Sarebbe  pertanto  opportuno  attivare un Albo dei Gruppi Cooperatori con il compito di:
    -  verificare la modalita' di conduzione e monitoraggio degli studi  clinici multicentrici;  -  definire  criteri  di  accreditamento  per il coordinamento e la  partecipazione a studi multicentrici;  -  incentivare  la  ricerca  clinica  multicentrica su tematiche di  interesse nazionale.
     Tale  Albo  potrebbe  essere  costituito presso il Ministero della sanita'   e   contenere   gli   elementi  identificativi  essenziali: finalita',    modello    organizzativo,   fonti   di   finanziamento, rappresentante  legale,  centro  elaborazione dati, ufficio operativo etc.
                                Parte III
    ATTIVAZIONE DI SISTEMI DI MONITORAGGIO E CONTROLLO IN ONCOLOGIA.
  A)   CONSOLIDAMENTO   E   SVILUPPO   DELLA   RETE   DI   MONITORAGGIO      EPIDEMIOLOGICO BASATA SUI REGISTRI TUMORI DI POPOLAZIONE.
     Nel  Piano  Sanitario  Nazionale  1998-2000  (PSN)  sono  indicati specifici  obiettivi  di salute e modalita' di intervento finalizzate alla  loro realizzazione. Nel Piano e' inoltre espressa l'esigenza di attivare  meccanismi  di  sorveglianza  dei  parametri di salute, per valutare  'lo  stato  di  realizzazione  degli obiettivi previsti. Si afferma  in  tal  modo  con  chiarezza  la  necessita' di disporre di ulteriori  e  puntuali  indicatori  di  salute, in quanto di primaria importanza per la programmazione e la valutazione degli interventi in campo  sanitario.  Sino  ad  oggi  si  e' fatto prevalente ricorso ad indici  di  mortalita',  che pur presentando il vantaggio derivato da una  statistica  completezza,  periodica  e  stabilizzata, assicurata dall' ISTAT, rappresentano solo parzialmente lo stato di salute della popolazione italiana.   A   livello   di  alcune  Regioni,  adeguati  sistemi  informativi permettono  di articolare ulteriori e piu' perfezionate "famiglie" di indicatori   di  salute.  Tuttavia  tali  informazioni,  non  essendo disponibili  in  modo sistematico a livello nazionale, permettono una valutazione solo parziale degli indicatori e delle loro modifiche nel tempo, e quindi rivestono un valore prevalentemente locale.   In  considerazione dei limiti riscontrati, il P.S.N. stesso indica la  necessita'  di  un coerente progetto di ampliamento della base di dati  disponibili  sulla salute e sui suoi determinanti, che permetta la  costituzione di un valido set di indicatori nazionali a carattere socio-sanitario  da applicare periodicamente, adeguato alle rinnovate esigenze,  espresse  a  livello  nazionale ed internazionale, di dati epidemiologici  per  la  programmazione.  Tale  progetto  deve  porsi l'obiettivo  di  realizzare  un  nuovo  sistema informativo nazionale sullo  stato  di  salute,  coerente  con le esigenze ed adeguato alle scadenze  della  programmazione.  Lo  sviluppo di tale sistema appare peraltro improrogabile a fronte delle attuali richieste informative a livello europeo ed internazionale.   Esso  deve prevedere l'integrazione, all'interno delle statistiche correnti  nazionali,  dei  dati  prodotti  dai  Registri di Patologia opportunamente  estesi  e  validati  (Registri Tumori, AIDS, malattie cardiovascolari,   patologia   rare).   Deve   inoltre  prevedere  il contributo della Medicina Generale, all'interno di studi a hoc, volti al  dimensionamento  dei  bisogni  sanitari ed alla valutazione della qualita'  dell'assistenza  e  della vita, e la realizzazione di studi campionari  nazionali sullo stato di salute della popolazione, basati su misure obiettive e strumentali.   In   campo   oncologico   e'   essenziale   la  stabilizzazione  e riorganizzazione  della  rete  dei  Registri  Tumori  che, per il suo carattere   di   sistematicita'   e   di  qualita',  costituisce  una fondamentale fonte informativa nazionale sulla patologia neoplastica. Tale  rete  deve  integrarsi  a  pieno  titolo  nella nuova strategia informativa sullo stato di salute.
  La registrazione dei tumori in Italia
  Definizione.
     I  Registri  Tumori  (RT) sono strutture che raccolgono, valutano, organizzano  ed  archiviano,  in  modo continuativo e sistematico, le piu'  importanti  informazioni  su  tutti  i  casi  di  neoplasia che insorgono  nella  popolazione  interessata.  La  maggioranza dei R.T. identifica le neoplasie maligne di tutti i tipi e insorte a qualsiasi eta'. Per alcune neoplasie, soprattutto se rare, vi sono inoltre R.T. specializzati.
  La situazione Italiana.
     In  Italia  e' attualmente operante una Rete di Registri Tumori di Popolazione  che  ha  in  osservazione circa il 15% dei residenti sul territorio  nazionale, oltre ad alcuni Registri specializzati (tumori infantili, dell'osso, del colon-retto, dei mesoteliomi). Analogamente a   quanto   accaduto   nella   maggior   parte  dei  Paesi  europei, l'orientamento  e'  stato  quello  di  realizzare  un certo numero di registri a carattere locale o regionale che permettessero, attraverso l'uso  integrato  dei  propri dati, di rappresentare adeguatamente la situazione dei tumori a livello nazionale.   Tutti  i  Registri  italiani aderiscono alla Associazione Italiana Registri   Tumori  (AIRT).  Essi  contribuiscono  alla  pubblicazione periodica  internazionale  a  cura dell'OMS (Cancer Incidence in Five Continents)  e  al network dei RT Europei (European Network of Cancer Registries-EuroCIM).  L'inserimento  dei  Registri  Italiani e' stato possibile   in   quanto   questi   seguono  metodiche  rilevazione  e trattamento   dei   dati   di  qualita'  adeguata  sulla  base  delle indicazioni internazionali.   In  aggiunta  alle  pubblicazioni  internazionali, l'AIRT pubblica periodicamente  con maggior dettaglio e con elaborazioni a hoc i dati relativi  ai  RT  italiani  (v.  successive edizioni di "Il cancro in Italia".) .il,
     Funzioni
       -  La  prima funzione dei RT e' quella di descrivere il fenomeno  neoplastico  e  le  sue  variazioni  territoriali  e temporali Cio'  avviene  attraverso la produzione sistematica, e con metodologie di  raccolta,  trattamento  ed  analisi  confrontabili,  di  misure  di  incidenza e mortalita'.     -  I  RT  producono  dati  di  sopravvivenza per le diverse sedi  neoplastiche,  fornendo  cosi'  un  indicatore  fondamentale  della  qualita'   dei   servizi  diagnostici  e  terapeutici  nei  diversi  territori e del suo evolversi nel tempo. Tale informazione offre un  valore aggiunto importante rispetto ai dati di sopravvivenza basati  su  serie  cliniche. Infatti, i RT utilizzano serie non selezionate  di  pazienti,  e  quindi forniscono una rappresentazione del quadro  legato alle attivita' cliniche a livello dell'intera popolazione.     -  I RT producono dati di prevalenza a livello locale e stime di  prevalenza  a livello nazionale. La prevalenza e' l'indicatore piu'  diretto del carico sanitario dovuto ai tumori in una popolazione ed  e' particolarmente utile per valutare i bisogni sanitari.     - Per le tre funzioni sopraddette, i RT rappresentano il sistema  informativo  di  riferimento  sulla  patologia  neoplastica  per  i  Governi nazionale e regionali, nonche' l'unica fonte sistematica di  incidenza  disponibile in Italia che riguardi una patologia di tale  importanza  sociale  ed  economica.  Il  Piano  Sanitario Nazionale  1998-2000,   infatti,   indica  la  necessita'  di  promuovere  "la  rilevazione della incidenza dei tumori tramite la rete dei Registri  Tumori  e  la  realizzazione  di  stime  di incidenza, prevalenza e  sopravvivenza per l'intera popolazione italiana".     -  Essi  sono  strumento  indispensabile  per l'organizzazione e  valutazione dell'efficacia di interventi di prevenzione primaria in  aree  e/o  popolazioni  ad alto rischio. La situazione italiana e',  infatti,   caratterizzata   da   una  notevole  variabilita'  delle  frequenze della malattia neoplastica.     -  Nell'ambito  degli  studi  valutativi,  i  RT  Italiani  sono  indispensabili   per  la  valutazione  degli  screening  oncologici  tramite  indicatori di efficacia. Tale attivita' si inserisce nella  valutazione   di  qualita'  dei  numerosi  programmi  di  screening  recentemente  avviati  o in fase di avvio, concordemente con quanto  previsto dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000.     -   Ulteriore   importante   funzione   e'  rappresentata  dalla  partecipazione  a  ricerche di epidemiologia clinica ed eziologica.  Cio'  e'  reso  possibile  dalla presenza presso i RT di casistiche  molto  vaste,  rappresentative  di  tutte  le  sedi  tumorali e ben  documentate  sia  sul piano diagnostico, che per quanto riguarda lo  stato  in  vita.  Cio'  li  rende  strumenti particolarmente validi  soprattutto  per  grandi  studi  su  base di popolazione, per studi  multicentrici   e   per   studi  sulla  qualita'  della  assistenza  oncologica e sulla qualita' di vita del paziente neoplastico, anche  in collaborazione con i medici di medicina generale.
    Rappresentativita' territoriale.
       I R.T. italiani sono nati in periodi diversi ed in assenza di un  quadro  programmatorio  nazionale.  Dei  13 Registri di popolazione  consolidati, 3 sono collocati nel Nord- Ovest, 2 nel Nord-Est, 4 in  Emilia  Romagna,  3 nel Centro ed 1 nel Sud Italia. Alcuni Registri  Tumori  sono  di  dimensioni medio-piccole (popolazioni inferiori a  500.000  abitanti).  Due  aspetti  sono  legati  a  questo  profilo  territoriale:
    -  la  ridotta presenza del Sud Italia nella rete informativa. Cio'  rappresenta  una  fonte  di imprecisione per le stime di incidenza,  prevalenza  e  sopravvivenza  per il territorio nazionale. Inoltre,  sfuggono  alla  valutazione  le diversita' fra aree all'interno del  Sud. A parziale correzione di questa situazione, e' da segnalare la  esistenza a Sud di alcune nuove iniziative di registrazione, per le  quali  e' in corso di valutazione l'adesione alle norme di qualita'  internazionali.  -  la  forte  necessita' di coordinamento fra Registri, mirato alla  confrontabilita'   delle   rilevazioni,   al   miglioramento  della  rappresentativita'  regionale  e  nazionale,  alla realizzazione di  pubblicazioni    congiunte   ed   alla   collaborazione   a   studi  multicentrici.  Di particolare rilevanza e' l'individuazione di una  strategia  di  sviluppo della registrazione che, nei prossimi anni,  permetta  il  raggiungimento  di  una  migliore  rappresentativita'  nazionale.
  NECESSITA'  ORGANIZZATIVE  E  CONDIZIONI ATTUALI DI FUNZIONAMENTO DEI REGISTRI
  I problemi.
     Data  l'assenza di programmazione nazionale, ed in mancanza di una normativa  comune,  fino  ad oggi i RT italiani sono stati fortemente penalizzati  da condizioni di precarieta' economica ed amministrativa legata  a  disomogeneita'  di  comportamento e ritardi nella presa in carico  da  parte  delle Regioni. I registri del Sud, che e' anche il territorio   meno   rappresentato   nella   rete  nazionale,  sono  i maggiormente    penalizzati.    La   precarieta'   organizzativa   e' incompatibile   con   le   caratteristiche   insite  nel  sistema  di registrazione,   che  ha  valore  in  quanto  sistema  informativo  a funzionamento  costante, con qualita' confrontabile nel tempo e senza soluzioni di continuita'.   Appare  pertanto opportuno superare la fase "spontaneistica" della registrazione  dei tumori in Italia, intervenendo per stabilizzare le strutture  gia'  funzionanti, per programmare con criteri rigorosi le eventuali  nuove iniziative, per valorizzare le iniziative periodiche di produzione di dati di interesse Nazionale.
  Il ruolo delle Regioni.
     E'  fortemente  raccomandato  che  le  Regioni,  aderendo  ad  una concordata   strategia   di   registrazione   in  Italia,  promuovano iniziative  atte  a stabilizzare i Registri esistenti e a favorire la crescita   di  nuovi  Registri,  di  adeguata  qualita',  nelle  aree considerate  strategiche,  ai fini del raggiungimento di una adeguata rappresentativita' della situazione nazionale.
  La  qualita' della registrazione e dei sistemi informativi. Affinche' la  rete  dei Registri italiani dia garanzie di adeguatezza vi e' una assoluta   necessita'  di  alta  qualita'  e  confrontabilita'  delle rilevazioni.   A   livello  di  singolo  Registro  tali  esigenze  si realizzano  solo  se  a livello locale vi e' un adeguato investimento sulla  qualita'  dei  sistemi  informativi,  che sono alla base delle attivita'   di   registrazione  (Schede  di  Dimissioni  Ospedaliere, Mortalita' e Anatomie Patologiche).
  Il coordinamento nazionale fra Registri.
     Al  fine  di  assicurare  la produzione di dati adeguati a livello Nazionale,   e'   necessario   un   coordinamento,   che   garantisca l'uniformita'   delle  tecniche  di  registrazione,  dei  sistemi  di classificazione,   della   qualita'   della  completezza.  A  livello nazionale,   tali  esigenze  sono  garantite  dal  coordinamento  dei Registri  ad opera dell'AIRT, che promuove l'uso di tecniche omogenee di  buona qualita' ed assicura ai singoli R.T. l'assistenza tecnica e la  valutazione.  L'uso integrato dei dati e' assicurato dalla "Banca Dati  Nazionale dei RT" (contenente dati individuali non nominativi), alla quale aderiscono tutti i Registri italiani di adeguata qualita', e  che rappresenta l'interlocutore per l'utenza scientifica e per gli organismi nazionali ed internazionali, nonche' una fonte unificata ad aggiornamento  periodico  per  le  pubblicazioni  di  dati  a livello nazionale.
  La rappresentativita' nazionale.
     Al  fine  di  perseguire appieno il proprio ruolo nell' ambito del nuovo  sistema  informativo  sanitario italiano, e' necessario che le nuove  iniziative  di registrazione si inquadrino in una strategia di adeguata rappresentativita' del territorio nazionale.
  PROMOZIONE DI NUOVE TECNICHE DI REGISTRAZiONE, TEMPESTIVITA' E COSTI.
     La informatizzazione delle principali fonti informative utilizzate dai  RT  offre  l'opportunita'  di  migliorare  la  tempestivita'  di pubblicazione  dei  dati  e  di  ridurre  i costi. In particolare, il linkage dei dati individuali nominativi derivanti dagli archivi delle Schede  di  Dimissione  Ospedaliere  (SDO),  di  mortalita'  e  delle Anatomie  Patologiche si e' dimostrato efficiente per ridurre i costi (presumibilmente  alla meta) ed accelerare la produzione dei dati (di circa  2  anni),  cosi' da renderli piu' adeguati, soprattutto per le attivita' di valutazione.   Tale  metodo e' gia' in uso presso alcuni Registri italiani, ed e' all'attenzione  degli  Organismi  internazionali  (IARC, 1998). L'uso diffuso  di tale tecnica di registrazione permetterebbe, a parita' di risorse, di interessare aree piu' vaste del territorio nazionale e di superare  cosi'  i problemi di rappresentativita' a parita' di costi. E'  tuttavia  da  notare  che  le  tecniche  di  record  linkage sono possibili  e  compatibili  con una buona qualita' della registrazione solo  se  la  qualita'  delle fonti informative essenziali, a livello locale,  e'  risultata adeguata sulla base di una attenta valutazione preliminare e di un sistema di controllo continuativo.
  RAPPORTO  CON  UN  NUOVO SISTEMA INFORMATIVO NAZIONALE SULLO STATO DI SALUTE.
     Il  carattere  di continuita', di sistematicita' e di integrazione delle  informazioni da piu' fonti, colloca a pieno titolo la Rete dei RT  all'interno  del  progetto  di un nuovo sistema informativo sullo stato  di  salute,  secondo  i  criteri  espressi nel Piano Sanitario Nazionale.  Utilizzando  la  Banca  Dati  Nazionale  saranno prodotti periodicamente   Rapporti   descrittivi   relativi   alla  situazione nazionale  e  delle  regioni,  in relazione anche con le scadenze dei prossimi  Piani  sanitari  nazionali  e  delle  esigenze  informative nazionali e internazionali.   Per  quanto  riguarda  i  tumori,  il debito informativo e' quindi pienamente   assolto   dalle   attivita'   della   rete  dei  RT,  in collaborazione  con  le  Istituzioni Nazionali di raccolta ed analisi dei  dati. Particolare importanza assume in tal senso il rapporto con l'ISTAT e con l'Istituto Superiore di Sanita'.   Inoltre   i   RT,   in   stretta   collaborazione   con  l'ISPESL, costituiscono   la   base   informativa   sui   tumori   di   origine professionale,  come  previsto dalla normativa nazionale. Infatti, e' da  notare come e' affidata all'ISPESL la costituzione di un Registro Nazionale  dei  Mesoteliomi da Amianto (Dlgs 277/91, art. 36) e di un Registro  dei  tumori legali ad esposizioni lavorative (DLgs. 626/94, art.71 -Registrazione dei tumori).
  I RT E LA LEGGE SULLA RISERVATEZZA.
     Il  fatto  che  i RT usino piu' fonti informative per costruire la serie  dei propri casi, a livello cartaceo o informatizzato, comporta obbligatoriamente  l'uso  di  dati individuali nominativi. Inoltre le casistiche  individuali  e  nominative  presenti  nei  Registri  sono comunemente  utilizzate  per  studi  clinici  finalizzati alla tutela della  salute  individuale.  L'enorme  mole di dati obbligatoriamente nominativi  (sono  attualmente  registrati  in Italia ogni anno circa 40.000  casi  incidenti  ed individuati altrettanti casi prevalenti), spesso  relativi  a  soggetti  deceduti  o in gravi condizioni, rende impossibile  l'ottenimento  del  consenso  informato a livello di RT. Tale  problema  e'  peraltro  tenuto  in debito conto nella normativa vigente.  Tutti  i Registri aderenti al AIRT utilizzano correntemente un  Codice  di  Autoregolamentazione,  che garantisce la Tutela della Riservatezza dei dati sensibili.
  I NUOVI RT ED I CRITERI DI AMMISSIBILITA'.
     La fase di crescita spontanea dei RT italiani ha comunque permesso di  maturare  know-how di ottimo livello e di produrre dati unici nel panorama dei monitoraggio dei fenomeni oncologici.   Ne e' emerso un forte interesse per le attivita' di registrazione, che  ha  portato, negli ultimi anni, alla nascita di nuove iniziative in  territori  precedentemente  non coperti. Attualmente, oltre ai 13 Registri  generali, i cui dati sono gia' presenti nelle pubblicazioni internazionali,   vi   sono   nuovi   Registri  in  fasi  diverse  di realizzazione,  che  presumibilmente  porteranno la proporzione della popolazione interessata dalla registrazione dal 15% ad almeno il 20%.   Al momento attuale, e' opportuno un intervento programmatorio, che regoli  la  nascita  di  nuovi  R.T.  sulla base di criteri adeguati. Questi sono:
    -  miglioramento  della rappresentativita' nazionale. Devono essere  valorizzate   le   iniziative   di   registrazione   nelle  Regioni  attualmente non rappresentate o scarsamente rappresentate.  - verifica delle precondizioni del sistema informativo locale, tali  da   permettere   la  raccolta  di  dati  di  buona  qualita',  con  particolare riferimento alle fonti informatizzate;  -   adesione   ai  criteri  internazionali  di  qualita'  richiesti  dall'OMS.  - disponibilita' al controllo di qualita' ed alla partecipazione al  network    nazionale   ed   internazionale   dei   RT   (condizione  indispensabile per partecipare alla Banca dati Nazionale;  - dimensione sufficiente;  - garanzia di continuita'.
     Infine,   deve   essere   valorizzato  un  processo  di  ulteriore informatizzazione  dei RT esistenti, e stimolato l'eventuale processo di accorpamento di aree limitrofe, al fine di ridurre il numero delle strutture di registrazione ed aumentarne la dimensione.   La   nascita   di   un   nuovo  RT  deve  essere  preceduta  dalla realizzazione  di  uno  studio  pilota  che  affronti  il  tema della qualita'  delle  fonti  informative  e  permetta la costruzione di un adeguato archivio dei casi prevalenti.
  CONCLUSIONI ED INDICAZIONI OPERATIVE
     I   Registri   Tumori  Italiani  (R.T.)  rappresentano  una  fonte informativa   essenziale   per   il   governo   nazionale  e  per  le amministrazioni  regionali  relativamente  ad  incidenza, mortalita', prevalenza  e  sopravvivenza  per  tumori  in  Italia,  come peraltro rilevato dal Piano Sanitario Nazionale 1998-2000.   I  R.T.  rappresentano  inoltre  strumenti  fondamentali,  per  la valutazione  delle  attivita'  diagnostiche  e  terapeutiche in campo oncologico,  per  la  valutazione di qualita' degli screening, per la ricerca   eziologica   e   clinica   nazionale   ed   internazionale. Costituiscono  inoltre  la base informativa altamente qualificata per la  programmazione  e la valutazione di efficacia degli interventi di prevenzione primaria.   Si  ritiene  pertanto  opportuno sensibilizzare le amministrazioni regionali  nei  confronti di iniziative finalizzate al consolidamento dei  R.T.  esistenti  ed  al  raggiungimento  di  una  piu'  adeguata rappresentativita' nazionale delle attivita' di registrazione.
  Considerato quanto espresso si raccomanda fortemente che:
    -  I  R.T. siano inseriti nell'ambito del progetto di nuovo sistema  informativo sullo stato di salute della popolazione, necessario per  assolvere al debito informativo nazionale ed internazionale ai fini  della  programmazione.  Per  quanto  riguarda i tumori, infatti, il  debito  informativo  e' assolto dalle attivita' della rete dei R.T.  svolta  in  collaborazione con le istituzioni nazionali di raccolta  ed  analisi  dei dati ed in particolare con l'ISTAT, con l'Istituto  Superiore  di Sanita' e con l'ISPESL, per quanto concerne, i tumori  di origine professionale.  - L'Associazione Italiana Registri Tumori, attraverso la Banca Dati  Nazionale, garantisca la produzione di dati, a carattere nazionale,  di  epidemiologia descrittiva dei tumori e ne curi la pubblicazione  con   periodicita'   adeguata   alle   scadenze  di  programmazione  nazionale. Si raccomanda che la associazione medesima risponda, per  la  Rete  dei  R.T., al Ministero della Sanita' ed alla Commissione  Oncologica Nazionale.  -  Attraverso  adeguate  risorse  umane  e  materiali  ed opportuna  attenzione  nei  confronti  della  qualita' dei sistemi informativi  locali,  le  amministrazioni  regionali garantiscano la continuita'  delle  attivita' di registrazione, tramite il sostegno ai R.T. gia'  operanti sul territorio di competenza e promuovano e valorizzino le  iniziative    di   registrazione   nelle   aree   rappresentate   o  adeguatamente  rappresentate.  Relativamente  a cio', si raccomanda  che  l'individuazione  di  nuovi Registri avvenga coerentemente con  criteri   di   programmazione   nazionale,   tenendo   conto  della  rappresentativita' territoriale della registrazione, valorizzando e  promuovendo la registrazione nelle aree attualmente non coperte.  - L'inserimento di nuovi RT nella rete nazionale preveda un sistema  di  accreditamento,  secondo  standard  di qualita' internazionale,  attualmente gia' garantito dalla AIRT.  -  Ai  fini  della  operativita',  che  i  RT possano trattare dati  sensibili  in assenza di consenso informato, come peraltro previsto  dalla  attuale  normativa. Al fine di produrre dati aggiornati ed a  basso  costo,  i RT devono, infatti, poter avere accesso alle fonti  informatizzate  nominative  sui  casi di neoplasia, con particolare  riferimento  alle  schede di dimissione ospedaliera, ai certificati  di  morte,  agli archivi dei referti istologici e citologici, delle  quali  peraltro  deve essere opportunamente valutata la qualita' in  ciascun territorio.
  B) LE MIGRAZIONI SANITARIE PER CURE DEI PAZIENTI ONCOLOGICI.
  1b) Premessa
     L'analisi su cui si basa il presente documento e' stato elaborata, per   quanto   attiene   le   migrazioni   sanitarie  interregionali, utilizzando  i  dati  relativi alle schede di dimissione ospedaliera, provenienti   dalle   singole   regioni  italiane,  in  possesso  del Dipartimento della Programmazione del Ministero della sanita'.   Le  SDO relative l'anno 1997, riguardano tutti i ricoveri avvenuti negli    ospedali   pubblici   (presidi   ospedalieri,   ed   aziende ospedaliere),  negli  I.R.C.C.S.  nelle  case di cura convenzionate e nelle  case  di cura non convenzionate. Per queste ultime, permangono dei dubbi sulla completezza dei dati.   I dati si riferiscono ai ricoveri in regime ordinario ed attengono al  numero  dei  ricoveri,  non al numero di soggetti ricoverati e si riferiscono esclusivamente alle patologie neoplastiche dell'adulto.
  Le  neoplasie  da  monitorizzare,  sono  state  scelte  in base a due criteri:
    - La rilevanza numerica;  -  La rarita' della patologia, con conseguente possibile necessita'  di alta specializzazione e concentrazione territoriale.
  2b) Considerazioni sul bilancio migratorio delle diverse regioni e la mobilita' dei pazienti oncologici per regione
     I  ricoveri dei cittadini italiani ammalati di tumore maligno, che avvengono  in regioni diverse da quella di residenza rappresentano un fenomeno imponente.   Infatti,  nel  1997  essi  sono stati oltre 73.000, a fronte di un totale di ricoveri per neoplasia che sono stati 726.000.   Alle  evidenti  implicazioni  di  carattere economico correlate al fenomeno  migratorio,  si  associano  i  disagi  ed  i problemi che i pazienti   oncologici   e   le   loro   famiglie  devono  affrontare, nell'allontanarsi  dal  consueto  luogo  di  residenza.  Il  fenomeno migratorio  per  cure  oncologiche, divide le regioni italiane in tre gruppi:
   - Le regioni con un bilancio positivo, intendendo in tal senso  quelle regioni in cui gli ingressi da altre regioni sono superiori  alle migrazioni; - Le regioni con un bilancio sostanzialmente in pareggio; - Le regioni con un bilancio negativo.
     La  maggior  parte delle regioni del Sud appartiene a quest'ultimo gruppo.   Per  l'anno  1997,  la  regione  che  attrae  il maggior numero di pazienti  residenti fuori del proprio territorio e' la Lombardia, con circa  19.500  ricoveri,  pari  al 12,3% di tutti i ricoveri avvenuti nelle  strutture  territoriali.  Ad  essa seguono il Lazio, con circa 9.900.  ricoveri,  pari  ai  10.4  di  tutti  i ricoveri e l'Emilia e Romagna,  con  quasi  9.000.  ricoveri, pari all'11.8% del totale dei ricoveri.   Al  contrario,  la regione che perde il maggior numero di pazienti oncologici  e'  la  Sicilia,  con circa 8.700 ricoveri fuori regione. Tale  dato  e'  comunque da considerare con cautela, per la possibile incompletezza  delle  informazioni. Alla Sicilia seguono la Campania, con circa 8.300 ricoveri fuori regione e la Calabria, con circa 7.000 ricoveri extraregione.   Piu'  in  generale  si osserva che la mobilita' interregionale dei residenti  nel  Centro-Nord  riguarda  prevalentemente spostamenti in regioni  limitrofe,  nelle  regioni del Sud si nota una tendenza agli spostamenti di lunga distanza.   Infatti,  per  quanto  attiene  la  Lombardia, piu' di 10.000. sui 19.000. ricoveri suddetti, riguardano pazienti provenienti da regioni meridionali.
  3b) La mobilita' per patologia
     Le  patologie  oncologiche  che piu' frequentemente comportano una migrazione sanitaria sono:   i tumori della mammella, con 6726 ricoveri fuori regione;   i linfomi, con 5395 ricoveri fuori regione;   i tumori del polmone, con 5340 ricoveri fuori regione.   La percentuale maggiore di migrazioni sanitarie si riscontra nelle neoplasie  del  connettivo  e  dei  tessuti  molli (23%), seguiti dai linfomi  (22.1%),  dai  tumori  dell'encefalo (17%) e da quelli dello stomaco (14.8%)   Sempre  in termini proporzionali i tumori del colon (6.4 %9, della prostata    (7.2%)    comportano   meno   frequentemente   migrazioni interregionali.   L'analisi  dei  dati  evidenzia  che  il  fenomeno  migratorio per patologia  oncologica  avviene  sia  per alcune patologie considerate piuttosto  rare, (i tumori del connettivo, i tumori dei tessuti molli i  tumori  dell'encefalo) sia per alcune tra le patologie oncologiche maggiormente  incidenti,  quali  le  neoplasie mammarie, le neoplasie polmonari o i linfomi.   Pertanto  la  mobilita'  per  patologia oncologica riguarda sia le neoplasie  per le quali e' prevedibile il coinvolgimento di strutture altamente  specializzate,  che  le neoplasie per le quali le tecniche terapeutiche   sono   piu'   facilmente   disponibili  ed  ampiamente standardizzate.  Le neoplasie maligne della mammella rappresentano un chiaro  esempio  di  quanto  anzidetto.  Basti  dire  che  in termini percentuali  l'11.3%  dei  ricoveri  extraregionali e' attribuibile a questa  patologia.  Inoltre la migrazione non si limita a spostamenti in  regioni  limitrofe,  ma  presenta  linee  di  attrazione  a lunga distanza.  La  regione  che  di  gran  lunga  ricovera, per ca. della mammella  e'  la  Lombardia, seguita, a notevole distanza dal Lazio e dall'Emilia Romagna.   Anche  per questa patologia le regioni del Sud mostrano un elevato livello di non autosufficienza.   I  tumori  dell'encefalo  rappresentano  un  esempio  di patologia relativamente rara, il cui trattamento in pochi centri di riferimento ad  alta  specializzazione  potrebbe  meglio  garantire  un  adeguato livello  terapeutico.  Anche  questa  patologia  e' caratterizzata da forti  fenomeni  migratori.  Infatti,  a fronte di un totale di circa 11.000  ricoveri  avvenuti  nel  1997, 2250 sono avvenuti fuori della regione  di residenza. Anche per questa patologia sono soprattutto le regioni  del  sud a determinare i maggiori flussi migratori, diretti, verso  la  Lombardia e moderatamente verso il Veneto l'Emilia Romagna ed il Lazio.
  4b) Le Migrazioni sanitarie all'estero
     L'esame  dei  dati,  relativi alle migrazioni sanitarie all'estero per  cure  dei  pazienti  oncologici,  forniti dal Dipartimento delle professioni  sanitarie  del Ministero, relativi l'anno 1997, conferma l'importanza in termini numerici del fenomeno.   La  migrazione  all'estero  dei cittadini Italiani costituisce per dimensioni  un  fenomeno  unico  in  Europa,  estremamente  rilevante pertanto sia dal punto di vista economico che sociale. Le motivazioni sottese  a  tale  fenomeno  sono legate a richieste autorizzative per prestazioni    chemioterapiche,    radioterapiche,   diagnostiche   e neurochirurgiche.  Dall'analisi  dei modelli autorizzativi rilasciati dai centri regionali di riferimento emergere una certa disomogeneita' nelle  prassi  autorizzative  regionali, nella completezza del flusso informativo,   della  congruita'  della  autorizzazione  rispetto  al trattamento che sara' effettuato all'estero.
  5b) Conclusioni
     Per   quanto  attiene  le  migrazioni  sanitarie  all'interno  del territorio  nazionale,  le schede di dimissione ospedaliera, nel loro complesso  e  per  le patologie osservate, hanno messo in evidenza un forte flusso migratorio dal sud verso il Nord. Come gia' espresso, il fenomeno   non  e'  esclusivamente  legato  all'insorgenza  di  forme neoplastiche  rare che potrebbero essere motivate dalla necessita' di afferire  in  strutture  e  competenze  di alta specialita', ma anche patologie  per  le  quali  sono  ampiamente diffusi, standardizzati e condivisi i protocolli diagnostico-terapeutici. In questi ultimi casi quindi il trattamento dei pazienti oncologici dovrebbe poter avvenire all'interno  della  regione  di provenienza. Risulta pertanto urgente procedere  ad  un'analisi,  che  tenda  ad  individuare le specifiche prestazioni  per  le  quali  avviene  la migrazione. Tale studio deve essere  finalizzato  anche a distinguere le migrazioni cosi' dette di comodo,  cioe'  legate  alla  vicinanza  geografica  ad  un centro di diagnosi  e  cura delle malattie oncologiche, dalle migrazioni legate ad una effettiva carenza di offerta di servizi in loco.   L'analisi  di tali informazioni potra' consentire il perseguimento di obiettivi di programmazione sanitaria, che tendano:
    -   ad  assicurare  le  prestazioni  essenziali  nelle  regioni  di  residenza,  per  quanto attiene le patologie a maggiore incidenza e  per le quali esistono protocolli terapeutici standardizzati;  -   a  valorizzare  la  concentrazione  di  del  trattamento  delle  patologie rare e di tecniche complesse in centri di eccellenza;  - a ridurre il fenomeno delle migrazioni all'estero, assicurando la  razionalizzazione dei percorsi diagnostico-terapeutici.
    Per  quanto  attiene  il fenomeno migratorio extranazionale, appare  opportuno
    - migliorare i flussi informativi, relativi ai modelli TSR.01 ed E1  12;  -  attivare,  da  parte delle regioni, il flusso informatizzato dei  dati individuali relativi alle migrazioni all'estero;  -  modificare  la  scheda  informatizzata, al fine di ottenere piu'  dettagliate informazioni;  -  omogeneizzare,  per  quanto  possibile,  la prassi autorizzativa  regionale.
  C)  ATTIVAZIONE DI PROGRAMMI OPERATIVI DI CONTROLLO DI QUALITA' DELLE ATTIVITA' DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE.
  Introduzione
     Le  numerose  iniziative in corso e le procedure di accreditamento delle strutture assistenziali fanno riferimento a criteri gestionali, organizzativi  e  strutturali, atti a garantire efficienza e qualita' delle  prestazioni  erogate,  due  livelli  che richiedono approcci e controlli  ovviamente  diversificati.  Infatti,  l'efficienza  e'  un requisito  necessario,  ma  non  sufficiente, a garantire la qualita' delle prestazioni.   Gli   esami   eseguiti  nel  paziente  oncologico  possono  essere grossolanamente  suddivisi  in  esami  strumentali o di laboratorio e sono     eseguiti     e     utilizzati     durante    tutto    l'iter diagnostico-terapeutico  del  paziente  oncologico, dalla prevenzione primaria  e  secondaria (screening), alla diagnosi, alla formulazione della  prognosi,  alla  pianificazione  terapeutica,  al monitoraggio della  evoluzione  della  malattia  e  degli  effetti collaterali nel paziente trattato.   Attualmente,   a   livello   nazionale,  non  sono  state  assunte iniziative  finalizzate  a  verificare  l'attendibilita' degli, esami forniti dalle strutture sanitarie al momento del loro accreditamento, ne'  alcun  sistema  di monitoraggio della qualita' delle prestazioni per  le  strutture accreditate, che costituiscono la rete del Sistema Sanitario  Nazionale.  L'eterogeneita'  della  qualita' e del tipo di prestazioni  fornite  dalle diverse strutture, in funzione di diversi fattori quali, non ultimo, l'ubicazione topografica, ha rappresentato e  tuttora  rappresenta  un  problema per la qualita' dell'assistenza sanitaria fornita al Paese.   Nel   settore   dell'oncologia,   l'evoluzione  tecnologica  delle procedure  di laboratorio e delle apparecchiatura medicali ha portato all'acquisizione   di  rilevanti  informazioni  e  aperto  importanti prospettive  per  la  gestione  del  paziente  affetto  da  patologia oncologica. I diversi esami, anche per la successione cronologica con cui  sono  stati  proposti  ed utilizzati, sono attualmente a diversi stadi  dell'iter  del controllo di qualita' previsto per garantire la riproducibilita' intra- ed inter-laboratorio. Si rimanda all'allegato no4  al  presente  documento per un approfondimento della tematica in oggetto.
                               CONCLUSIONI
     Al  fine della realizzazione di quanto previsto nel presente Piano oncologico  nazionale,  si  auspica fortemente che in ogni regione si provveda  a garantire il coordinamento delle attivita' oncologiche. A tale   scopo,   si  raccomanda  fortemente  la  costituzione  di  una Commissione  oncologica  regionale,  che  includa  al  suo interno le diverse competenze coinvolte in materia.   La   suddetta   Commissione   avra'   il   compito  di  supportare tecnicamente le amministrazioni regionali nella formulazione di linee guida  comportamentali e per il monitoraggio delle attivita' poste in essere,  al  fine  della  programmazione  e implementazione del Piano oncologico regionale.   L'attuazione   delle  indicazioni  inerenti  il  Piano  oncologico nazionale,  nei  suoi  diversi  aspetti,  sara'  oggetto di periodico monitoraggio  da  parte  del  Ministero  della  sanita',  tramite  la Commissione oncologica nazionale.   A  tale  scopo  si  procedera'  all'attivazione  di  un sistema di rilevazione  periodica  dei  dati  inerenti  gli  obiettivi specifici intermedi indicati nel presente Piano.   Tali  rilevazioni,  da  effettuare  con  cadenza annuale presso le Amministrazioni  regionali, forniranno il materiale per la stesura di un report annuale al Ministro della sanita' sullo stato d'avanzamento e  di implementazione delle strategie sottese all'implementazione del Piano Tumori.  |  
|   |                              ALLEGATO No1 INDICAZIONI  SUI MODELLI TENDENZIALI DI ORGANIZZAZIONE DELLA RETE DEI                               SERVIZI
  1a) Unita' operative di oncologia medica
  Negli ospedali per acuti, ove prevista, l'articolazione organizzativa dei servizi di oncologia medica puo' comprendere:
    -   posti   letto   per   ricoveri  in  regime  ordinario,  la  cui  disponibilita',  ferma  restando  la  compatibilita'  con il numero  globale  dei  posti letto stabiliti dalla programmazione regionale,  potra'   essere   realizzata   anche   tramite   la   riconversione  dell'utilizzo dei posti letto esistenti;  -  posti  letto in regime di day- hospital, dimensionati secondo le  norme vigenti in materia;  - ambulatori per attivita' terapeutiche e cliniche;  - spazi adeguati per l'accettazione e l'accoglienza dei malati;  -  ambienti  protetti per la preparazione dei farmaci antiblastici,  secondo  quanto  previsto  dal  "Documento  di  linee  guida per la  sicurezza  e  la  salute  dei  lavoratori  esposti a chemioterapici  antiblastici  in  ambiente  sanitario"  pubblicato  sulla  Gazzetta  Ufficiale n. 236 del 7 ottobre 1999.
     La  terapia  chirurgica  dei  tumori e' di primaria importanza nel controllo  della malattia neoplastica. Peraltro la complessita' delle strategie  terapeutiche  richiede  la  massima  integrazione  fra  la chirurgia  e  le  altre discipline implicate nella terapia dei tumori maligni.  Tale  integrazione puo' realizzarsi favorendo, in strutture ospedaliere  complesse, l'istituzione di " chirurgie" particolarmente dedicate  al  trattamento  dei  tumori  maligni,  quali  le chirurgie oncologiche o le chirurgie ad orientamento oncologico.
  1b) Il Dipartimento oncologico
     Il   Dipartimento   di   oncologia,   inteso  come  l'aggregazione tecnico-funzionale  o strutturale, secondo le indicazioni del Decreto Legislativo  229,  di  competenze ed unita' operative, rappresenta il livello ospedaliero di integrazione fra le unita' operative coinvolte nella diagnosi, cura e riabilitazione del malato oncologico.   Il   Dipartimento   di   oncologia   trova  ulteriori  livelli  di integrazione  tecnico-funzionale  con il Dipartimento di Prevenzione, con  il  Distretto  ed  altri Dipartimenti, impegnati a vario titolo, nella  realizzazione  di  programmi di prevenzione primaria, diagnosi precoce  e  monitoraggio  epidemiologico.  Al  fine  di realizzare il coordinamento  di  tutte  le  attivita'  in  materia  di prevenzione, diagnosi,  cura  e riabilitazione delle malattie oncologiche, si puo' inoltre prevedere la costituzione, nell'osservanza delle disposizioni regionali  in  materia  di  accordi  interaziendali,  di Dipartimenti tecnico-funzionali oncologici interaziendali.
  Il Polo oncologico
     E'  raccomandata  la  realizzazione  di  un  efficace  ed organico coordinamento  a  livello  regionale di tutta l'attivita' oncologica, per  garantire  qualita'  omogeneita'  ed  equita'  di intervento. In alcune  realta'  regionali  tale  azione  di forte coordinamento puo' essere   in   grado   di  garantire  un'ottimizzazione  dei  percorsi assistenziali,  anche  in  riferimento  al  trattamento  di patologie tumorali  rare  o  comunque  abbisognevoli,  per  la complessita' del trattamento,  di  un  approccio  specialistico di alto livello. Nelle situazioni   in   cui   tale  rete  regionale  e'  insufficientemente sviluppata,  ovvero  i  bacini di riferimento lo suggeriscano, l'alta integrazione   puo'  conseguirsi  attraverso  l'attivazione  di  poli oncologici che, in quanto dotati di oncologia medica, di chirurgia ad indirizzo oncologico e di radioterapia, preferibilmente insistenti in una  stessa  sede  e  comunque  strettamente  connesse in termini sia strutturali sia tecnico-funzionali, sono in grado di erogare risposte integrate e coordinate in funzione della complessita' della patologia oncologica.   Nel  Polo oncologico dovrebbero essere inoltre presenti competenze di  prevenzione  oncologica  e  di epidemiologia, con apposite Unita' operative o strutture complesse, ove esistenti.   Per   garantire   un'effettiva   attivita'  integrata  e  di  alta complessita',  dovrebbero  essere  previste fra le attivita' del Polo quelle   proprie  di  anatomia  patologica,  ematologia,  diagnostica strumentale  e  di  laboratorio,  endoscopia,  specialita'  d'organo, anestesia  e  rianimazione,  riabilitazione,  psicologia,  nutrizione clinica,  genetica  e  il  servizio farmaceutico. Tali servizi, anche quando  non  dedicati  esclusivamente  alle attivita' oncologiche, ne dovrebbero  supportare  in  modo  determinante  l'azione. Fatta salva l'autonomia  organizzativa  e normativa regionale, il Polo oncologico prevede  articolazioni  organizzative  con il Dipartimento oncologico strutturato  all'interno  di presidi ospedalieri delle ASL, di AO, di strutture  universitarie,  secondo  quanto  previsto  all'art.  6 del decreto   legislativo  229,  ovvero  coincidere  con  gli  I.R.C.C.S. oncologici.
    -  All'interno  del  Polo  il modello Dipartimentale e' in grado di  garantire  il  coordinamento  delle attivita' e di fornire una piu'  efficace  organizzazione delle attivita' assistenziali, un migliore  utilizzo delle risorse, minori ritardi e disfunzioni.
     L'adeguamento  delle  strutture  e delle modalita' operative sopra indicate  dovrebbe  consentire  inoltre  di  ridurre  marcatamente la mobilita' interregionale dei pazienti oncologici.
  2d) I.R.C.C.S. oncologici
     Gli  I.R.C.C.S.  ad  indirizzo  oncologico perseguono finalita' di ricerca  in  campo  biomedico  e  nella organizzazione e gestione dei servizi sanitari, oltre a fornire prestazioni di ricovero e cura. Gli I.R.C.C.S.  sono  qualificati ospedali di rilievo nazionale e di alta specialita' per le patologie di maggior rilievo nazionale.   Gli I.R.C.C.S. garantiscono le funzioni di ricerca epidemiologica, preclinica  e  clinica.  Funzione  specifica  di  alto  rilievo e' la ricerca  integrata  tra competenze sperimentali e cliniche, con l'uso di  alte  e  innovative  tecnologie.  E'  compito degli I.R.C.C.S. il trasferimento  dei risultati ottenuti al Sistema Sanitario Nazionale, per  una  migliore  qualificazione  della  assistenza  (attraverso il supporto  tecnico e operativo alla rete delle strutture e dei servizi oncologici  nell'esercizio  delle loro funzioni, per il perseguimento degli  obiettivi del P.S.N. nonche' attraverso la formazione continua del personale)   L'attivita'  assistenziale  connessa  all'attivita'  di ricerca e' svolta sulla base della programmazione regionale.  |  
|   |                              ALLEGATO No2           ESAME DELLO STATO DELLA RADIOTERAPIA IN ITALIA
     La   radioterapia   e'  fondamentale  nella  terapia  specifica  e palliativa  dei  tumori  maligni. Infatti, per un bacino di utenza di 500.000  abitanti, sono attesi, tendenzialmente ogni anno, circa 2600 nuovi casi di tumore. La meta' di questi casi, (a cui va aggiunta una quota pari a circa il 20% di soggetti gia' irradiati, che necessitano di  ulteriore  trattamento), fa ricorso prima o poi ad un trattamento radioterapico.   Le  strutture di radioterapia attualmente esistenti sono, in molte aree   del   paese,   inadeguate  a  far  fronte  alle  richieste  di prestazioni;  esse,  infatti,  necessitano  di  riorganizzazione e di adeguamento  tecnologico  sia  qualitativo sia quantitativo. Infatti, l'incidenza  dei  tumori  e le relative indicazioni alla radioterapia rendono  opportuna  la  previsione,  per ambiti territoriali definiti dalle Regioni di:
    -  un'apparecchiatura di alta energia, considerando che annualmente  con un acceleratore lineare sono trattati dai 400 ai 500 pazienti;  -  attrezzature  accessibili  per  una corretta identificazione del  volume  da irradiare ed una corretta valutazione della dose in esso  distribuita (Simulatore, TAC, Sistema per piani di cura);  - un numero adeguato di specialisti ed operatori sanitari;
     Il  modello organizzativo della radioterapia deve fare riferimento alla rete dei servizi, calata nella realta' dipartimentale.   L'analisi  dettagliata  della  situazione  della  radioterapia  in Italia  e'  riportata nelle sottostanti tabelle che si riferiscono al censimento  condotto  dall'AIRO  nel  1995  e  forniscono  un  quadro complessivo  della  situazione di fatto della radioterapia nel nostro paese.
   Stato della radioterapia (1995) TAB 1: CASI ATTESI PER RADIOTERAPIA =================================================================== Anno 1995          Nord-Centro          Sud          Italia ------------------------------------------------------------------- Abitanti            36.537.793       20.923.184      57.460.977 ------------------------------------------------------------------- Centri              76               21             97 ------------------------------------------------------------------- Rapporto            480.760          996.343        592.381 Abitanti centri ------------------------------------------------------------------- Nuovicasi tumori    5%               3.5%           4.47% anno ------------------------------------------------------------------- Casi attesi\anno    182.700          74.150         256.850 ------------------------------------------------------------------- Casi attesi per     109.610          44.490         154.100 radioterapia ------------------------------------------------------------------- - Media pesata su tutti i registri, incidenza stimata, 1991 - Calcolati sulla base del 50% dei nuovi casi di tumore attesi ogni  anno, ai quali si somma il 10% dei casi ritrattati.
  TAB 2: ATTREZZATURE RT ESTERNA ===================================================================            NORD           SUD           ITALIA (95)        ITALIA           CENTRO                                            (89) =================================================================== LINAC*       48              5              53                27 ------------------------------------------------------------------- LINAC**      42              10             52                37 ------------------------------------------------------------------- COBALTO      43              10             53                82 ------------------------------------------------------------------- CESIO        5               1              6                 9 ------------------------------------------------------------------- ORTOVOLTAGGI 67              9              76                94 ------------------------------------------------------------------- *Acceleratore lineare **Acceleratore lineare ad elettroni
  TAB 3: ATTREZZATURE RT ESTERNA: TIPOLOGIA E VETUSTÀ =================================================== Centri con 1 sola unità                       30 --------------------------------------------------- Centri con una sola unità Co60                16 --------------------------------------------------- Acceleratori lineari con età superiore a 10   31 anni --------------------------------------------------- Unita Co60 speriore ai 10 anni                36 ---------------------------------------------------
  TAB 4: ATTREZZATURE SIMULAZIONE ===================================================================                NORD         SUD         ITALIA (95)        ITALIA               CENTRO                                        (89) =================================================================== Unità RX        21           7            28                  -- ------------------------------------------------------------------- Simulatore      47           7            54                  49 ------------------------------------------------------------------- Accesso Tac     51           8            59                  -- ------------------------------------------------------------------- SIM-TAC *       11           5            16                  -- ------------------------------------------------------------------- TPS**           80           11           91                  63 ------------------------------------------------------------------- *SIM.TAC= TAC Simulatori **TPS= Sistemi per piani di trattamento
  TAB 5: ATTREZZATURE BRACHITERAPIA ===================================================================              NORD          SUD          ITALIA (95)        ITALIA             CENTRO                                          (89) =================================================================== Numero         2            1              3                  2 Centri con Ra226 ------------------------------------------------------------------- Numero         34           3              38                 38 centri con after Remote loading ------------------------------------------------------------------- N° LDR         40           2              42                 -- ------------------------------------------------------------------- N° HDR         15           2              17                 6 -------------------------------------------------------------------
  TAB 6: DEGENZE ===================================================================              NORD         SUD           ITALIA (95)        ITALIA             CENTRO                                          (89) =================================================================== Degenza       902            121            1023              1308 ordinaria ------------------------------------------------------------------- Day           92             53             145                -- Hospital ------------------------------------------------------------------- Pz\trattati   --             --             80                56 letto -------------------------------------------------------------------
  TAB 7: PERSONALE ===================================================================            NORD           SUD           ITALIA (95)        ITALIA           CENTRO                                            (89) =================================================================== Medici     454              79            533                 426 ------------------------------------------------------------------- Fisici     177              24            201                  -- ------------------------------------------------------------------- TSRM       566              83            649                 518 -------------------------------------------------------------------
  NB:  Mentre  il  personale  medico  e tecnico e' totalmente assorbito dalla   radioterapia  e  quindi  il  dimensionamento  dei  centri  di radioterapia  deve  tener  conto  della specificita' di queste figure professionali,  il personale fisico e' coinvolto solo parzialmente in questo  tipo  d'attivita'  avendo  anche  altri  compiti di supporto. Naturalmente  il  dimensionamento delle risorse deve tenere in debito conto   questi   fatti   in   modo   da   ottimizzare   anche  queste professionalita'   di  supporto,  (il  rischio  e'  che,  in  carenza d'adeguata  programmazione,  proliferino  in  maniera  non  adeguata, togliendo  risorse necessarie ad altri compiti prioritari. Le tabelle successive   hanno  quindi,  per  quel  che  riguarda  questa  figura professionale, questo bias e vanno quindi lette con accortezza.
   TAB 8 PAZIENTI TRATTATI ===================================================================                 NORD         SUD         ITALIA (95)       ITALIA                CENTRO                                       (89) =================================================================== Pazienti        73.424       8.606          82.030          73.884 TR Esterna      67.043       7.709          74.752          71.786 alte energie ------------------------------------------------------------------- Brachiterapia   1985         559            2.544           2.098 ------------------------------------------------------------------- Tecniche        1520         259            1.779             -- speciali ------------------------------------------------------------------- Chemioterapia   17.857       1.223          19.080           10.988 -------------------------------------------------------------------
  TAB 9:RAPPORTO PAZIENTI\ATTREZZATURE PERSONALE ===================================================================               NORD         SUD          ITALIA (95)        ITALIA              CENTRO                                         (89) =================================================================== Npz\           552          344             519               506 unità\.A.E ------------------------------------------------------------------- N°pz\medico    162          109             154               173 ------------------------------------------------------------------- N°pz\fisioc    415          359             408                -- ------------------------------------------------------------------- N° PZ TSRM     130          104             126               143 ------------------------------------------------------------------- N°PZ           1080         662             1013              972 Centro RT -------------------------------------------------------------------
  TAB 10: STATO DELLA RADIOTERAPIA Centri censiti\Centri presenti anni 89, 91, 93, 95. ===================================================================             Abitanti       1989       1991       1993        1995 =================================================================== Italia       57.460.9       76\89      93\93      83\89      81\97             77 ------------------------------------------------------------------- Nord-        36.537.7       61\70      71\71      70\71      68\76 Centro       93 ------------------------------------------------------------------- Sud          20.923.1       15\19      22\22      13\18      13\21             84 -------------------------------------------------------------------  |  
|   |                          ALLEGATO N°3                        Tabella n°1
                                    Accettabile          Desiderabile
     Partecipazione                   = 50%                  70% Tasso di richiami allo              =  8%                 = 5% screening iniziale Tasso di richiami agli              =  4%                 = 2% screening successivi Rapporto biopsie chirurgiche        = 1:1                 = 0.5:1 Benigne\Maligne
  Screening iniziale: Tasso di identificazione            = 5 x 1000            = 6 x 1000 (per 1000 donne esaminate)
       Rapporto Prevalenza/Incidenza    3                   > 3
  Screening successivi;    - Tasso di identificaztone       = 3.5 x 1000     (per 1000 donne esaminate)    - Rapporto Prevalenza/Incidenza  > 1.5                >2    - Tasso di identificazione per   = 1.5 x 1000      tumori invasivi < 10 mm
  Screening iniziale: proporzione di casi diagnosticati allo screening in stadio II o più avanzato (#)      = 40%
  Screening successivi: proporzione di casi diagnosticati allo screening in stadio II o             = 30% più avanzato
  (*)per  richiami  in  differita.  (#)Stadio II= dalla classificazione TNM-UICC.
   ALLEGATO 3 bis
              INDICATORI E STANDARD PER LA VALUTAZIONE DI PROCESSO DEI            PROGRAMMI DI SCREENING DEL CANCRO DEL COLLO DELL'UTERO.
                          Proposto dal GISCi
  ====================================================================                  Tabella 1 - INDICATORI "DIRETTI" ==================================================================== INDICATORE                            STANDARD --------------------------------------------------------------------                   Tabella 1a - COPERTURA -------------------------------------------------------------------- 1) COPERTURA (%di donne della         Proposta: Donne 25-64 aa: popolazione-obiettivo con almeno      DESIDERABILE: >80% una diagnosi citologica negli         ACCETTABILE: >65% ultimi tre anni)                      CEE: 85% della popolazione                                      obiettivo,                                      NHSCSP; >80% donne 25-64 aa -------------------------------------------------------------------- 2) ADESIONE ALL'INVITO                Da determinarsi empiricamente                                      Valori diversi a seconda che                                      siano invitate tutte le donne                                      o solo quelle non "coperte"                                      spontaneamente. Dovrebbe                                      soprattutto essere stabilita                                      una proporzione minima della                                      copertura che derivi dagli                                      inviti --------------------------------------------------------------------         Tabella 1b - VALIDITÀ E PREDITTIVITÀ DEL PROGRAMMA -------------------------------------------------------------------- 3) DETECTION RATE                     Da stabilire, per l'Italia, (Proporzione di casi di lesione       in base alla distribuzione invasiva o preinvasiva individuati    empirica osservata, tenendo come risultato dello screening tra    conto delle differenze le donne screenate confermati         geografiche di rischio istologicamente)                      di Ca in assenza di screening Per CIN I - CIN II-I - Ca invasivo    ed in base a considerazioni                                      teoriche sul valore atteso                                      dato il rischio suddetto.                                      Gli unici standard esistenti                                      sono quelli NHSCSP, riguardano                                      in realtà la distribuzione dei                                      risultati citologici:                                      (moderato/grave 1.6% +-0.4;                                      lieve/borderline; 5.5%+- 1.5)                                      e sono ottenuti empiricamente.                                      Non applicabili in Italia -------------------------------------------------------------------- 4) VALORE PREDITTIVO POSITIVO         Da stabilire dopo una da calcolare vs. istologia tra le     ricognizione della situazione donne rinviate in colposcopia         italiana. per categoria diagnostica (ASCUS,     NHSCSP; 65-85% delle citologia LSIL, HSIL) e complessivamente        moderate/gravi con CIN II+; (tutte le inviate in colposcopia) riferimento;   istologia CIN I o      CEE; nessuno standard. più grave               istologia CIN II               o più grave -------------------------------------------------------------------- 5) CASI INTERVALLO (incidenza di     CEE; Nessuno standard Ca invasivo entro tre anni da una    Proposta: OTTIMALE: <10% del citologia negativa)                  tasso in assenza di ogni                                     attività di diagnosi precoce.. --------------------------------------------------------------------              Tabella 1c - DIAGNOSI E TRATTAMENTO ADEGUATI -------------------------------------------------------------------- 6) COMPLIANCE ALLA COLPOSCOPIA       CEE: follow-up e trattamento                                     attivati entro tre mesi dal                                     test anormale.                                     NHSCSP; Citologia moderata/                                     grave >=90% <4 settimane.                                     Qualsiasi invio >=90% <8                                     settimane                                     Proposta:                                     Qualsiasi invio                                     ACCETTABILE: >=80%                                     DESIDERABILE: >=90%                                     Invio per HSIL;                                     ACCETTABILE; >=90%                                     DESIDERABILE: >=95%                                     In ogni caso entro 4 mesi -------------------------------------------------------------------- 7) COMPLIANCE AL TRATTAMENTO DI      Proposta: LESIONI PREINVASIVE.                 >=90% -------------------------------------------------------------------- 8) % CON CITOLOGIA NEGATIVA PER      Proposta: SIL A 6 MESI DAL TRATTAMENTO         >=90% coincidente con lo                                     standard NHSCSP -------------------------------------------------------------------- 9) % ISTERECTOMIE SUI CASI           Evento sentinella per tutti i INDIVIDUATI DALLO SCREENING          casi senza Ca invasivo(valutare                                     appropriatezza). Per istologia                        Proposta: ACCETTABILE; <2% dei CIN I - CIN II-III - Ca invasivo     casi CIN II-III                                     Praticamente nessun caso con                                     istologia CIN I -------------------------------------------------------------------- 10) INCIDENZA CA INVASIVO IN         EVENTO SENTNELLA DONNE CHE HANNO AVUTO UN'INDICAZIONE ALLA COLPOSCOPIA                     Proposta: (Include le donne che non hanno      DESIDERABILE; praticamente fatto la colposcopia nonostante      nulla. l'indicazione, quelle trattate,      ACCETTABILE: non più di 3 casi quelle in follow-up diagnostico      ogni 100000 donne screenate o dopo terapia, da considerarsi separatamente) --------------------------------------------------------------------                  Tabella 2 - INDICATORI "INDIRETTI" -------------------------------------------------------------------- INDICATORE                            STANDARD -------------------------------------------------------------------- 11)% DONNE NON ADERENTI               Proposta: ALL'INDICAZIONE DI RIPETERE           <5% di quelle con almeno un IL PAP-TEST (rispetto al totale di    test donne con almeno un test). -------------------------------------------------------------------- 12) % CITOLOGIE INADEGUATE            Proposta:                                      DESIDERABLLE: <5%                                      ACCETTABILE: <7%                                      CEE <5%; NHSCSP: 7% +- 2 -------------------------------------------------------------------- 13) INTERVALLO TEST-REFERTO           Proposta:                                      >80% entro 4 settimane                                      100% entro 6 settimane                                      coincidente con lo standard                                      NHSCSP: CEE: entro 3 settimane -------------------------------------------------------------------- 14) NUMERO TEST LETTI PER ANNO        LABORATORIO                                      CEE e NHSCSP:> 15000                                      Proposta: > 25000                                      Con eventuale aggregazione                                      laboratori                                      LETTORE:                                      NHSCSP:> 3000 (non a tempo                                      pieno)                                      7500 (massimo se a tempo pieno)                                      Proposta: >7000 (screening                                      primario) -------------------------------------------------------------------- 15) NUMERO DONNE VISTE PER            Proposta: COLPOSCOPISTA                         >100 nuovi casi- coincidente                                      con lo standard NHSCSP --------------------------------------------------------------------  |  
|   |  ALLEGATO N°4
           ATTIVAZIONE DI PROGRAMMI OPERATIVI DI CONTROLLO DI        QUALITA' DELLE ATTIVITA' DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE:
  1) ESAMI RADIODIAGNOSTICI.
  Premessa
     Nel  settore della radiodiagnostica e' molto sentita la necessita' di  accurati  controlli,  sia  per  quanto riguarda la qualita' delle immagini radiologiche, sia per le dosi di radiazioni utilizzate. Tale carenza  e'  particolarmente  avvertita  per  gli esami mammografici, considerata  la  loro  larga  diffusione, che vede coinvolto anche un elevato numero di donne asintomatiche.   Attualmente  gli  esami  mammografici  possono essere eseguiti con dosi  superiori  a quelle mediamente necessarie (con rischio di danno indotto)  e produrre immagini di pessima qualita' e quindi non idonee ad evidenziare tumori di piccole dimensioni (inefficacia dell'esame).   La Commissione della Comunita' Europea ha promulgato direttive che sono  riportate  nella  circolare  del  Ministero della Sanita' n. 62 dell'agosto  1984  e nella G.U. n. 265 del 5 ottobre 1984, al fine di ottenere   sia   il   miglioramento  della  qualita'  delle  immagini radiologiche sia la riduzione della dose.   Il  controllo e l'assicurazione di qualita' in radiodiagnostica si possono ottenere se e' applicato un protocollo esecutivo estremamente dettagliato,  come  quello  proposto nel 1992 dalla Commissione delle Comunita'  Europee  (pubblicazione  DGV  775/92)  e  che  prevede  il coinvolgimento   interdisciplinare  di  varie  figure  professionali: radiologi,   fisici,   esperti   qualificati,   tecnici  sanitari  di radiologia medica.
  Situazione attuale
     L'Italia  dispone  di  una  cospicua  normativa di riferimento. Il Decreto  Legislativo  n.  230/95  (GU  136  del  13 giugno 1995) ed i successivi  decreti applicativi, hanno ben recepito molte delle norme di  sicurezza  relative  alla protezione sanitaria della popolazione, dei  pazienti  e  dei  lavoratori  contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti, connesse ad esposizioni mediche (direttiva 97/43 EURATOM) ed  hanno stabilito anche il tipo, le modalita' e la periodicita' dei controlli  di  qualita'  e  la  necessita'  che i radiologi, i fisici specialisti e gli esperti qualificati predispongano idonei protocolli e i criteri minimi di accettabilita' delle apparecchiatura.   Qualificate  pubblicazioni,  (  si  cita  a puro titolo di esempio "ISTISAN  95/12 Controllo di qualita' in mammografia, aspetti tecnici e clinici"; "Controlli di qualita' in Radiologia, basi tecnologiche e riferimenti  normativi")  hanno  gia'  affrontato problemi specifici, suggerendo idonei protocolli per gli esami piu' comuni.   Nella   realta'   si   e'   ancora  in  fase  organizzativa  e  il raggiungimento  della  fase  operativa si presenta ancora lontano sia per  la carenza di figure professionali qualificate, sia per il costo piuttosto  impegnativo per rendere operativi programmi di garanzia di qualita'.
  Proposta
  Il  raggiungimento  di  una  situazione soddisfacente e possibilmente ottimale su tutto il territorio nazionale, richiede:
    a) disponibilita', da parte di tutte le unita' di radiodiagnostica,  di  un  set  minimo  di  apparecchiature  necessarie  per espletare  giornalmente in sede ed in un modo autonomo i controlli di qualita'  di primo livello;  b)  potenziamento  dei  Servizi  di  Fisica  Sanitaria esistenti in  rapporto al reale numero di apparecchiature presenti nel territorio  di afferenza;  c)   individuazione   di   Centri   di  Riferimento  Regionali  per  l'assicurazione  di  Qualita'  (C.R.Q.).  Questi  centri,  dovranno  essere   collocati   presso   qualificate   Unita'   Operative   di  Radiodiagnostica  dove esistano competenze cliniche, indispensabili  per un corretto controllo di qualita'.
     Per  quanto  riguarda  i  controlli  di  qualita'  di  I livellava precisato  che,  per  garantire  in  radiologia  una  buona qualita', costante  nel  tempo,  e' necessario eseguire quotidianamente su ogni unita'  di  radiodiagnostica  almeno  la  valutazione  della qualita' dell'immagine  e della dose in ingresso e un controllo del sistema di trattamento   (sensitometria)   Queste  semplici  procedure  di  test dovranno  essere  eseguite  in  sede ed in maniera autonoma quindi le amministrazioni  sanitarie  o  i datori di lavoro dovranno fornire le attrezzature   necessarie   (esposimetro   e/o  dosimetro,  fantoccio dedicato, sensitometro, densitometro automatico e manuale) e adeguate iniziative  di  formazione  del  personale.  Per  quanto  riguarda la funzionalita'  dei  C.R.Q.  vanno  considerati  e  ottemperati alcuni aspetti fondamentali.   Per  quanto riguarda il personale, l'istituzione del Centro presso Unita'  Operative  assicura  la  presenza  delle  competenze cliniche (radiologo);  e'  indispensabile  assicurare la presenza di almeno un fisico  sanitario  e  di  un  operatore  tecnico.  Il CRQ operera' in stretta  collaborazione con i servizi di Fisica Sanitaria esistenti e attuera'  le  procedure di certificazione ai fini dell'accreditamento delle strutture sanitarie.   Oltre  alle  attrezzature  summenzionate  il  Centro dovra' essere dotato  di  termometro, misuratore dei kV e del tempo di esposizione, fotometro,  lastre di plexiglas, filtri di alluminio, dispositivo per la  misurazione  della  macchia  focale  e del contatto schermo-film, personal-computer. In conclusione e come per tutti gli altri esami e' necessario garantire un programma di controllo di qualita' periodico.
  2) ESAMI DI MEDICINA NUCLEARE
  Premessa
     In medicina nucleare valgono, in linea di massima, le premesse sia concettuali  sia  normativa trattate nel capitolo relativo agli esami di radiodiagnostica.   Schematicamente,   il  controllo  di  qualita'  delle  prestazioni medico-nucleari  deve  partire proprio da un approccio clinico, cosi' come prescritto dal Decreto Legislativo n. 230\95, per poi continuare con verifiche sulla qualita' e tipo di radionuclide da somministrare, sulla  strumentazione  e  sui  protocolli  da  seguire.  Ogni singola prestazione  diagnostica  o terapeutica di medicina nucleare richiede una attenta valutazione clinica sulla base:
   - dell'età, sesso, grado di autonomia o dipendenza, spettanza  di vita; - diagnosi di accesso e quesito clinico; - situazioni metabolico-funzionali che possono modificare la  risposta della prestazione.
     Per  quanto  riguarda  la  scelta della molecola di supporto e del radionuclide,  questa  deve  essere  orientata ad ottenere il miglior risultato  clinico con la minor dose per il paziente. La scelta della molecola  di  supporto e' legata al tipo di informazioni diagnostiche che   si  vogliono  avere,  tenendo  in  conto  la  necessita'  della rispondenza  della  qualita'  del  radiofarmaco  agli  standard della Farmacopea  Ufficiale,  quali  la  purezza radionuclinica, la resa di marcatura, la stabilita' del prodotto, ecc.   Un  altro  aspetto importante e' il controllo della strumentazione previsto  dal D.M. attuativo dell'art. 113 del Decreto Legislativo n. 230\95.  E'  pertanto  necessario,  cosi'  come  recita  la normativa vigente,  che  il  responsabile  delle  apparecchiature  di  medicina nucleare  provveda  affinche'  esse  siano  sottoposte a controllo di qualita' da parte del fisico specialista o dell'esperto qualificato e che   il   giudizio  della  qualita'  tecnica  sia  dato  dal  medico specialista.   Le  linee  guida proposte dal Gruppo di Studio A.I.M.N. propongono controlli  sperimentali, mensili ed annuali, tali da rendere omogenei i test di verifica su tutto il territorio nazionale.   E'  auspicabile  che i parametri ottenuti possano essere riportati in  un apposito programma in modo da poter effettuare una valutazione statistica della costanza di risposta dei sistemi sotto controllo.
  Situazione attuale
     Al  momento, non e' stato predisposto un sistema di verifica dello stato  di  attuazione  della  normativa  predetta  ne'  tanto meno un sistema  di  monitoraggio della qualita' della strumentazione e delle prestazioni.
  Proposta
     Nel  campo  specifico  oncologico  appare  ancora piu' evidente la necessita'  di  un  controllo  anche delle metodologie applicate. Per tale   motivo   si   potrebbe   ipotizzare,   come  proposto  per  la radiodiagnostica,   l'individuazione   di   Centri   di   Riferimento regionali,  o interregionali, per la verifica globale della qualita'. Compito  di  queste  strutture sarebbe quello di verificare nel tempo tutti i parametri strumentali e metodologici, imposti dalla normativa vigente  e  definiti  anche  tramite  il  contributo delle Societa' e Associazioni Scientifiche, con verifiche almeno annuali.
  3) ESAMI DI LABORATORIO
  3.1 I marcatori serici
  Premessa
     La  comparsa  del  fenotipo  maligno  comporta un incremento della produzione e/o del rilascio da parte della cellula trasformata di una serie  di  sostanze,  la  cui  determinazione  a  livello  serico  e' utilizzata a fini diagnostico-prognostici.   La  rilevanza  clinica  di  detti  Marcatori  Tumorali  Serici  e' essenzialmente proporzionale alla precocita' con la quale sono capaci di  descrivere  un  determinato  fenomeno  clinico.  L'alto contenuto tecnologico,   la   grossa   valenza   economica,   ed   il  continuo aggiornamento  delle  conoscenze scientifiche, particolarmente rapido nell'ultimo periodo, ha fatto si che il settore sia caratterizzato da una   crescente   disponibilita'  di  indicatori  biologici  per  uso routinario.  A  fronte  di  una  crescente  e  duttile  potenzialita' diagnostica,  fa riscontro una eterogeneita' di utilizzo da parte dei medici e pertanto un alto tasso di utilizzo improprio. A questo stato di  cose  ha  sicuramente  contribuito  la mancanza in letteratura di studi   prospettici,  controllati  e  randomizzati,  che  definiscano inequivocabilmente la valenza clinica dei marcatori tumorali serici.   L'utilizzo  clinico  di  detti  marcatori  e'  guidato  da  alcuni fattori,  quali  il  livello  di evidenza scientifica della validita' diagnostica,  la  specificita'  tissutale (d'organo, tipo cellulare o istologico) e l'obiettivo clinico da perseguire.
  Situazione attuale
     Alla  luce delle considerazioni di cui sopra, esistono indicazioni specifiche per l'utilizzo di marcatori tumorali serici , basati sulle evidenze  scientifiche  in funzione del tipo di tumore e dell'uso che se ne vuole fare (Tab. 1).
   Tabella I Tipo Neoplasia     Obiettivo Clinico       Marker Elettivo
  Ca. Tiroide        Diagnosi, Stadio,       Calcitonina (ca.midoli.)                   Prognosi,               Tireoglobulina (ca.diff.)
                     Monitoraggio dopo                   terapia radicale                   Monitoraggio della                   Terapia
  Ca. Polmone        Stadio, Prognosi,       NSE (microcitoma)                   Monitoraggio dopo                   terapia radicale                   Monitoraggio risposta                   terapia
  Ca. Colon-retto    Monitoraggio dopo       CEA                   terapia radicale
  Ca. Fegato         Stadio,                 AFP                   Monitoraggio risposta                   terapia
  Ca. Ovaio          Stadio, Prognosi,       Ca125AFP, HCG                   Monitoraggio risposta                   terapia
  Ca. Utero          Stadio, Prognosi,       HCG(mola vescicolare)                   Monitoraggio                   Risposta terapia
  Tumori Germinali   Diagnosi, Stadio,       AFP, HCG Testicolo          Prognosi                   Monitoraggio risposta                   terapia
  Ca. prostata       Diagnosi, Stadio        PSA Totale                   Prognosi,          rapporto PSA totale/PSA                   Monitoraggio risposta   libero                   terapia
  Ca. Mammella       Monitoraggio risposta   Ca 15.3                   Terapia
  Importante  sottolineare  come  la  determinazione di molti di questi markers sia inclusa nel tariffario nazionale.
  Proposta
     Analogamente  a quanto avviene per la maggior parte degli esami di laboratorio  ad  uso clinico, anche per i markers tumorali circolanti esiste   la   necessita'  di  una  valutazione  e  validazione  della accuratezza  dei  metodi  di  analisi adottati per la valutazione dei singoli marcatori e della appropriatezza clinica di utilizzo.   La  soluzione  di  detti problemi rimanda ad iniziative di diverso tipo  e  a diversi livelli. (Tab. 2) riassumibili nella necessita' di attivare  1)  una  continua  revisione  della letteratura scientifica sugli  argomenti  in questione, 2) programmi di Controllo di Qualita' Analitici  e  Pre-analitici  relativi  ai  singoli  marcatori e 3) un programma di aggiornamento continuo degli operatori.
  Tabella 2
   =================================================================== Problema              Soluzione        Livello di       Ref                                       approccio =================================================================== Appropriatezza        Revisione        Nazionale        Comitato utilizzo              letteratura                       Esperti ------------------------------------------------------------------- Criteri               Univocità        Nazionale        Comitato interpretazione       Revisione                         Esperti                      Educazione ------------------------------------------------------------------- Valutazione Errore    Controllo        Regionale        Centro Analitico             qualità                           Riferimento ------------------------------------------------------------------- Valutazione Errore    Certificazione   Nazionale        Centro Preanalitico          Laboratorio      Nazionale        Riferimento -------------------------------------------------------------------
  Delle  iniziative  indicate,  attualmente  risulta  attivato  solo un programma  di  controllo  di  qualita'  della fase analitica (analisi variabilita' intra ed interlaboratorio) relativa solo ad una serie di marcatori tumorali circolanti.
  3.2 MARCATORI TISSUTALI
  3.2.1 Test genetici per la diagnosi di predisposizione ereditaria
  Premessa
     Sulla  base  delle attuali evidenze scientifiche, i tumori possono essere  definiti  malattie  multifattoriali  in  cui  lo  sviluppo di cellule  neoplastiche e' dovuto all'accumularsi di mutazioni multiple in   geni   cruciali   per   il   controllo   della   proliferazione, differenziazione e apoptosi cellulare, per la riparazione del DNA.   Una  storia  oncologica, in familiari di primo o di secondo grado, e'  riscontrata  in  oltre  il 20% dei pazienti affetti da neoplasie. Secondo  i  dati  attualmente  disponibili, l'1,5% di tutti i casi di tumore  e'  associato  a  sindromi  specifiche  di natura ereditaria. L'identificazione   dei   portatori   di   forme  di  suscettibilita' ereditaria  allo  sviluppo  delle  neoplasie rappresenta, quindi, una parte  integrante  dell'opera  di  prevenzione in campo oncologico in quanto, in casi selezionati, il riconoscimento del rischio ereditario di sviluppare tumori specifici si puo' accompagnare all'attuazione di interventi   mirati,  in  grado  di  ridurre  la  morbilita'  e/o  la mortalita' per tali neoplasie.   Tenuto  conto  delle  molteplici  determinazioni  genetiche,  gia' condotte   nei  laboratori  di  numerose  istituzioni,  della  rapida evoluzione delle conoscenze di genetica molecolare in questo settore, si  rende  indispensabile l'attivazione di programmi nazionali per il controllo di qualita' dei test genetici e delle procedure di raccolta e  restituzione  di  informazioni  genetiche  a famiglie e soggetti a rischio.
  Situazione attuale
     Al  momento  attuale, i test genetici ritenuti in grado di fornire informazioni  clinicamente  utili e sulla base della quale sono prese decisioni  mediche  di provata efficacia, riguardano diverse sindromi ereditarie.
  Un primo gruppo di sindromi comprende:
  - Retinoblastoma Familiare (gene RB), - Poliposi Familiare del Colon (gene APC), - Sindrome di von Hippel-Lindau (gene VHL), - Neoplasie Endocrine Multiple tipo 2 (gene RET).
     L'esecuzione  di  test genetici per l'identificazione di portatori asintomatici,  all'interno delle famiglie in cui si e' manifestata in precedenza  una  delle  condizioni  di  cui  sopra,  e', pertanto, da considerarsi  parte  integrante  di una corretta prassi di assistenza clinica e di conseguenza si raccomanda di valutare l'opportunita' che questi  test siano riconosciuti dal Servizio Sanitario Nazionale come analisi di tipo diagnostico.   Un  secondo  gruppo comprende sindromi ereditarie predisponenti al cancro  di  cui  sono stati identificati alcuni dei geni responsabili quali:
  Carcinoma  Familiare del colon-retto non-associato a Poliposi o HNPCC - geni hMSH2, hMLH1, hPMS1, hPMS2, hMSH6; Carcinoma Familiare della mammella e ovaio - geni BRCA1, BRCA2; Sindrome di Li-Fraumeni - gene TP53; Atassia-Telangiectasia - gene ATM; Xeroderma Pigmentoso - geni.XP; Neurofibromatosi tipo 1 - gene NF1; Melanoma Familiare - gene p16.
     I  relativi  test  genetici devono essere utilizzati, attualmente, solo  nell'ambito  di  programmi  di  ricerca  genetica e clinica, in quanto i protocolli di follow-up oggi proposti a livello nazionale ed internazionale sono ancora in via di definizione (es. HNPCC) o non e' ancora  stata  dimostrata  una  provata  efficacia  (es.  sindrome di Li-Fraumeni).   In  particolare, relativamente a questo secondo gruppo di sindromi ereditarie   predisponenti  al  cancro,  va  segnalato  il  carcinoma familiare  della  mammella  e  dell'ovaio  per  il  notevole  impatto sociale,  psicologico ed assistenziale insito in tale forma tumorale. La  presenza di una documentata alterazione dei geni BRCA1 o BRCA2 in una   paziente  consente  l'individuazione  dei  soggetti  a  rischio nell'ambito della famiglia.   Allo  stato attuale, e' ancora in corso di valutazione l'efficacia dei protocolli di follow-up adottati da vari Centri.
  Proposta
     La  moltiplicazione  incontrollata  dei  laboratori che forniscono informazioni  sui  test genetici impone l'attivazione di controlli di qualita'  per  la  certificazione della qualita' delle determinazioni genetiche  condotte,  quale premessa indispensabile per l'istituzione di  una  rete  di  laboratori  accreditati  in  cui  questi test sono condotti  e nella prospettiva di un loro utilizzo clinico. Va inoltre sottolineato che l'attivazione di tale rete rappresenta solo il primo segmento   di   tutta   la   complessa   problematica  relativa  alla predisposizione ereditaria allo sviluppo dei tumori e che un corretto utilizzo  di  queste  informazioni  genetiche potra' essere garantito solo   dalla   istituzione   di   Centri   di   riferimento  multi  e interdisciplinari per la consulenza genetico-oncologica.   Tali Centri si possono configurare come unita' funzionali composte da  genetisti,  biologi  molecolari,  patologi,  oncologi  clinici  e psicologi,  che,  mediante  un  lavoro  di  equipe, siano in grado di assicurare  una  adeguata  integrazione  nella  pratica clinica delle nuove  conoscenze  scientifiche  via  via  disponibili. E' opportuno, pertanto,  che  tali  Centri si realizzino in istituzioni oncologiche (IRCCS,  Dipartimenti Oncologici Universitari ed Ospedalieri) attive, per  quanto  attiene  la  ricerca,  nel  campo  della genetica medica oncologica.   La  determinazione  del  rischio  genetico  di  cancro deve sempre avvenire  nell'ambito  di  una  consulenza  genetica  i  cui elementi principali   sono:   la  ricostruzione  della  storia  familiare,  la valutazione  di  quest'ultima alla luce delle conoscenze attuali, una corretta  trasmissione  al  paziente  e/o  ai  suoi  familiari  delle informazioni  relative  alle varie opzioni disponibili (diagnostiche, terapeutiche e profilattiche).   L'offerta  a  pazienti  e  a  loro  familiari asintomatici di test genetici,  volti  ad  individuare una predisposizione ereditaria allo sviluppo  di  neoplasie,  deve avvenire esclusivamente nell'ambito di tre  situazioni:  a) consulenza genetica per sindromi ereditarie note predisponenti  al  cancro; b) programmi di ricerca genetica e clinica approvati  da  istituzioni nazionali e/o internazionali; c) eventuali programmi  di screening, che in futuro dovessero rivelarsi efficaci e vantaggiosi sul piano del rapporto costi/benefici.   Inoltre,  la  raccolta  di un consenso informato all'esecuzione di analisi  genetiche  da  parte  dei  pazienti  e  dei  loro familiari, rappresenta  un  elemento  centrale  del  processo  interattivo della consulenza  genetica e richiede da un lato la piena consapevolezza da parte  di  chi  si  sottopone  all'analisi  delle potenzialita' e dei limiti della stessa, e dall'altro una garanzia di totale riservatezza circa i risultati del test.   Da   quanto   esposto   si   evince   la  necessita'  di  proporre l'attivazione  di  fasi  successive per la verifica dell'utilita' dei test  e  il  riconoscimento  dei  laboratori  coinvolti  in  tutta la complessa problematica della predisposizione genetica.   E'  inoltre  opportuno  che  tali  informazioni  genetiche, per la complessita'  delle  problematiche  cliniche ed etico-sociali da esse suscitate,   siano   gestite  da  Centri  di  riferimento  multi-  ed interdisciplinari    per    la    consulenza    genetica   oncologica opportunamente individuati.   L'offerta di test genetici deve essere proposta solo da Laboratori altamente  qualificati,  in  stretta  connessione  con  i  servizi di genetica afferenti o collaboranti con i Poli oncologici, dotati delle figure  professionali  necessarie  a  garantire  elevati  standard di qualita'  e  attivamente  impegnati in una ricerca migliorativa delle prestazioni   stesse,   come   certificato   dalla   loro  produzione scientifica e/o dalla loro partecipazione a progetti pilota in ambito nazionale  e  internazionale. E' auspicabile che tali laboratori ed i servizi  di  genetica  operino  in  modo  sinergico  e siano tra loro collegati in rete.
  3.2.2 Test Virali
  Premessa
     Indagini   epidemiologiche   e  osservazioni  clinico-sperimentali indicano  che  circa  il  15%  di tutte le neoplasie umane e' causato direttamente  o  indirettamente  da  infezioni  virali.  I meccanismi attraverso i quali alcuni virus producono la trasformazione cellulare sono  stati  in  gran  parte  chiariti  e, in alcuni casi, sono state definite  le interazioni con altri fattori cancerogeni ambientali. La caratterizzazione  delle  varianti  virali coinvolte e dei livelli di espressione   del   genoma  virale  potrebbe  consentire  un  miglior inquadramento  prognostico  e  l'adozione  di piu' appropriati schemi terapeutici. Infine, la concreta possibilita' di attuare strategie di prevenzione e di terapia basate su interventi di immunoterapia attiva specifica  (vaccini  profilattici  e  terapeutici) rende estremamente importante   l'accuratezza   diagnostica  delle  infezioni  virali  e l'individuazione delle neoplasie associate.
  Situazione attuale
     Per  la  patologia epatica, conseguente ad infezioni con virus B e C,  le  relative  tecniche di analisi e l'interpretazione diagnostica sono  ormai  standardizzate  ai  fini  della  valutazione  clinica  e terapeutica.  Lesioni preneoplastiche e neoplastiche sono associate a diversi tipi di infezioni virali.   Papilloma virus (HPV): e' responsabile delle lesioni proliferative del  tratto genitourinario, delle prime vie aeree e digestive e della cute. Sono stati identificati finora piu' di 80 diversi tipi di HPV.   La  ricerca  di  sequenze  HPV  puo'  essere effettuata con metodi diversi, caratterizzati da una diversa sensibilita' e applicabilita': metodi   di   ibridizzazione   diretta   (dot  blot,  Southern  biot, ibridizzazione  in  situ  (ISH,  "Hybrid  Capture"  (HC)  e metodi di amplificazione (PCR).   Virus  di  Epstein-Barr  (EBV): e' un virus DNA ed appartiene alla famiglia dei virus herpetici gamma. La sua infezione e' correlata con lo  sviluppo  della  mononucleosi infettiva, dei linfomi di Burkitt e simil-Burkitt,    del    linfoma    immunoblastico    in    individui immunocompromessi,  del  carcinoma  rinofaringeo. Meno frequentemente l'EBV  e'  coinvolto  nel  linfoma  di  Hodgkin,  in alcuni linfomi a cellule  T,  nel  carcinoma  gastrico  e  nella  sindrome  di  Duncan (sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X).   Le   tecniche  diagnostiche  dell'infezione  da  EBV  sono  basate essenzialmente   sulla   dimostrazione   sierologica   di   anticorpi virus-specifici   svelati   attraverso   immunofluorescenza,   ELISA, fissazione  del  complemento, immunoblotting etc. Per quanto concerne la  dimostrazione  dell'EBV  nei tessuti, sono utilizzate le tecniche molecolari   di   Southern   e   la   PCR;  molto  usate  sono  anche l'ibridizzazione in situ per evidenziare gli EBER.   Virus   herpetico  umano  tipo  8  (HHV-8/KSHV):  appartiene  alla famiglia  dei  virus  herpetici  gamma  ed e' associato al sarcoma di Kaposi.   E'  presente  nelle  varianti  di  KS  classico,  endemico, iatrogeno,  epidemico (AIDS-associato); inoltre e' stato rinvenuto in alcuni  rari  linfomi  caratterizzati  da  versamenti  sierosi  (body cavity,  based  lymphoma o BCBL, primary effusion lymphoma o PEL). Da indagini  preliminari  sieroepidemiologiche risulta una prevalenza di infezione  nella  popolazione  adulta  sana  italiana del 10-25%, con elevata prevalenza nel sud e in Sardegna.   La  diagnosi di infezione si basa sulla ricerca di anticorpi verso antigeni  virali  (proteine  del  ciclo  litico, proteine di latenza) eseguite con metodi ELISA e di immunofluorescenza.   Virus  umano T-Iinfotropico (HTLV-1): e' un retrovirus complesso e la  sua  infezione  e'  legata allo sviluppo della leucemia/linfoma a cellule   T   dell'adulto   (ATLL).  Questa  neoplasia  e'  osservata endemicamente   in  alcune  aree  geografiche.  L'HTLV-1  e'  inoltre correlato  eziologicamente  con  una  neuropatia cronica degenerativa nota  come paraparesi spastica tropicale (TSP) e con alcune patologie su  sfondo  immunitario (artropatia, uveite, miosite etc..). E' stato isolato   anche  un  HTLV-2,  diffuso  in  Italia  soprattutto  nella popolazione HIV-1 positiva tossicodipendente, la cui infezione non e' ancora stata correlata con condizioni patologiche definite.   La  diagnostica di queste infezioni si basa sulla dimostrazione di anticorpi  (test  ELISA,  immunoblot)  e  sulla  ricerca  di sequenze nucleotidiche  mediante  Southern  blot  e  PCR. La definizione della clonalita'  del  sito  di integrazione dei DNA provirale e' oltremodo utile  nella  diagnostica  differenziale dell'ATLL e nel monitoraggio della  malattia  minima  residua.  In  ragione  della  relativa bassa prevalenza  dall'infezione  da  HTLV,  la  relativa  diagnostica  nei laboratori   non   e'   tuttavia   molto   sviluppata;   inoltre,  la differenziazione tra HTLV-1 e HTLV-2 e' frequentemente trascurata.
  Proposta
     Molti  dei  test  virali,  soprattutto  quelli  molecolari, basati essenzialmente  su PCR, e utilizzati per l'evidenziazione di sequenze nucleotidiche   virali   non   sono   attualmente   standardizzati  e necessitano di opportuni controlli.
  3.2.3 TEST BIOLOGICI
  Premessa
     Negli   ultimissimi   decenni,   la   crescente   acquisizione  di informazioni   sulla   biologia  del  tumore  e  l'affinamento  delle metodologie  di  laboratorio  hanno  portato  ad  una  vera e propria rivoluzione   culturale   e   alla   introduzione,   nella  attivita' routinaria,  di  esami  sempre  piu' sofisticati. In particolare, nel settore degli esami di laboratorio, si e' assistito ad una evoluzione dagli  esami  morfologici  e  biochimici  a  quelli cellulari e, piu' recentemente, molecolari.   La  grande  svolta culturale si e' concretizzata nell'integrazione della   tradizionale   stadiazione  patologica  con  una  stadiazione biofunzionale.  Tale  integrazione ha comportato la transizione da un approccio  deterministico,  basato  sul  modello  tradizionale  della diffusione  progressiva  e  ordinata  della  malattia  oncologica  da locale,  a  regionale,  a  sistemica,  ad un approccio nel quale sono considerati  anche  fattori  biologici,  legati  in parte all'entita' della  trasformazione  cellulare  e  in  parte  alle  caratteristiche immunologiche  dell'ospite. La caratterizzazione biologica del tumore primitivo,  infatti,  si  e'  dimostrata  in  grado  di  fornire  sia informazioni  prognostiche  ad  un  buon  livello di accuratezza, sia informazioni   utili   per   pianificare   il  tipo  di  trattamento, loco-regionale e/o sistemico.   Questa  innovativita'  concettuale  e' gia' stata trasferita nella pratica clinica in alcune istituzioni e lascia intravedere importanti ripercussioni    in   termini   di   efficacia   terapeutica   e   di costo-beneficio sia economico che di tossicita' per il paziente.
  Situazione attuale
     L'interesse    suscitato   dai   risultati   ottenuti   da   studi biologico-clinici condotti in istituzioni di eccellenza ha portato ad un'ampia diffusione delle varie determinazioni biologiche sul tumore, alcune delle quali incluse nel tariffario nazionale delle prestazioni rimborsate  dal  SSN,  in  laboratori  di  anatomia  patologica  o di ricerca.   Queste  determinazioni  sono  attualmente  utilizzate non solo per analisi  retrospettive, a scopo di ricerca per definire e convalidare le   potenzialita'   dei   marcatori   biologici,   quali  indicatori prognostici o predittori di risposta ai diversi trattamenti, ma anche prospetticamente per la pianificazione del trattamento clinico.   Questa  auspicata svolta nell'atteggiamento della gestione clinica del  paziente  non  e'  stata preceduta o accompagnata da un adeguato controllo   di  qualita'  intra  ed  interlaboratorio  delle  diverse determinazioni morfologiche, biochimiche, cellulari o molecolari.   L'esigenza  e  l'attivazione di controlli di qualita' e' stata per la  prima  volta  avvertita  per  i recettori per ormoni steroidei in occasione  del  loro utilizzo per la definizione prognostica e per la programmazione di ormonoterapie nelle pazienti con carcinoma mammario e per i diversi marcatori serici.   Successivamente  ulteriori  iniziative scientifiche hanno promosso l'attivazione  di  un  controllo  di  qualita'  sulle caratteristiche proliferativi   del   tumore,  utilizzando  diversi  approcci,  quale indicatore prognostico e predittore di risposta alla chemioterapia.   Successivamente,  sempre  in ambito scientifico e' stato esteso il controllo   di  qualita'  ad  altri  aspetti  e  variabili  cellulari coinvolti  nella  trasformazione  e  progressione  tumorale e percio' determinanti per la diagnosi e prognosi della malattia tumorale.   Questi  controlli,  scaturiti  da  iniziative di piccoli gruppi ed estesi   a   poche   istituzioni,   hanno  evidenziato  un'allarmante eterogeneita'  dei risultati tra i diversi laboratori, che si traduce in   una  errata  gestione  terapeutica  dei  pazienti.  Inoltre,  il progressivo  accumularsi  delle conoscenze sulla biologia cellulare e molecolare  dei  tumori  ha  portato alla identificazione di numerosi eventi  correlati alla predisposizione, trasformazione e progressione tumorale,  anch'essi  tutti  determinati  e utilizzati al di fuori di controlli di qualita'.
  Proposta
     Si  raccomanda  fortemente  l'assunzione  di  iniziative  atte  ad istituzionalizzare  controlli  di  qualita',  per  le  determinazioni morfologiche  e  biologiche  del  tumore, per le quali la rilevanza a fini  diagnostici, prognostici e nella pianificazione del trattamento e'  ormai convalidata, come requisito essenziale per l'accreditamento dei laboratori di oncologia.
  SUPPORTO BIOSTATISTICO AGLI ESAMI DI LABORATORIO.
     L'ottimizzazione delle risorse impiegate nei laboratori oncologici deve  essere  basata  su  un  adeguata  valutazione  statistica della qualita'  delle  informazioni  provenienti dalle misure in studio. In particolare  devono  essere  evidenziate  le  proprieta' quantitative delle  misure  in  atto  in  relazione  al  tipo  di utilizzo clinico previsto.   La  ricerca  di  base permette di caratterizzare biologicamente il marcatore  e quindi l'informazione derivante dallo stesso. Le fasi di ricerca  successive  prevedono  la  messa  a  punto  del  saggio,  la validazione  del  saggio,  il  controllo  di  qualita'  entro  e  tra laboratori.   Il  controllo  di  qualita' tra laboratori Dopo la messa a punto e validazione  del  saggio,  la  ricerca  e'  focalizzata  sull'impatto clinico   della   misura  del  biomarcatore  stesso.  In  particolare l'interesse riguarda la possibilita' di definire specifici protocolli terapeutici  e  piu'  generalmente di identificare pazienti a diversa probabilita'   di   ricaduta  e/o  morte  nel  periodo  di  follow-up successivo all'intervento terapeutico primario.   La  competenza  biostatistica offre la possibilita' di strutturare la  ricerca  susseguente  a  quella  di base in modo quantitativo. La ricerca  puo'  articolarsi nelle attivita' schematizzate nei seguenti punti,    con    l'indicazione   delle   corrispondenti   metodologie biostatistiche di riferimento:
     1)  Messa  a  punto  del saggio: disegno dell'esperimento, analisi   della varianza ed analisi delle scale di misura;   2)  Validazione  del  saggio:  analisi della regressione lineare e   non-lineare  per  problemi  di  calibrazione  e  di  confronto tra   metodi.   3)   Controllo   di   qualita'   entro   laboratorio:   metodi  di   campionamento, analisi della varianza ed analisi della concordanza   tra misure.   4)  Controllo  di qualita' tra laboratori: analisi della varianza,   analisi della regressione ed analisi della concordanza tra misure.
     Se  i  punti  3  e  4  di  controllo  di  qualita'  vero e proprio presuppongono  l'esecuzione  del  saggio  nell'ambito  della routine, l'esecuzione  dei  punti  1  e  2  deve comunque precedere la ricerca clinica  sulle  proprieta'  dei saggio stesso. Lo studio dell'impatto diagnostico  o prognostico di un saggio comporta la valutazione della dipendenza  delle  variabili,  che  esprimono lo stato patologico del paziente  od il tempo di sopravvivenza libero da malattia, dai valori misurati  nel  saggio  stesso  considerando  congiuntamente  le altre variabili  note  come  fattori  di  diagnosi o prognosi. La ricerca a questo  livello  e'  organizzata  secondo  quanto  previsto dai punti successivi.
        5)  Disegno  e  realizzazione  dello  studio clinico, metodi di   campionamento e disegno sperimentale.      6)  Analisi  dei  dati dello studio: tecniche di costruzione di   modelli   di   regressione   flessibile   per  la  discriminazione   diagnostica o per l'analisi dei tempi di sopravvivenza in presenza   di variabili continue e/o discrete.      7)  Validazione  dei modelli. Questa operazione e' fondamentale   per   l'utilizzo  clinico  del  modello  statistico.  Permette  la   verifica  della capacita' discriminatoria e predittiva in generale   del   modello   statistico   realizzato   nella  fase  precedente,   possibilmente   sulla   base   di   dati   provenienti   da  studi   indipendenti.      1)  Sintesi  dei  risultati  e  definizione  di  criteri per la   decisione  clinica.  Presentazione  del  risultato  di  un modello   statistico possibilmente complesso in termini di informazioni piu'   facilmente interpretabili dal punto di vista clinico-biologico. Il   lavoro  congiunto  di  medici, biologi e biostatistici permette la   derivazione delle regole decisionali cliniche.
     Tale attivita' deve prevedere:
     Raccolta,  valutazione  e  selezione della letteratura scientifica per biomarcatori; Valutazione delle modalita' di esecuzione, utilizzo e  richiesta di biomarcatori; Progettazione e pianificazione di studi per la valutazione di biomarcatori.   Il   supporto   biostatistico   integrato  e'  uno  degli  aspetti fondamentali   prelusivi   alla  fase  di  accreditamento  dei  saggi nell'ottica  della  garanzia  di  qualita'  del  servizio  erogato  e dell'ottimizzazione dei rapporto costi/benefici.
  CONCLUSIONI
     Da  quanto espresso emerge l'opportunita' di attivare controlli di qualita'  per gli esami strumentali e di laboratorio, eseguiti per la gestione  del  paziente  oncologico, dal momento diagnostico a quello terapeutico.   L'obiettivo  e'  quello  di  controllare la riproducibilita' degli esami,    ossia    della   loro   qualita',   quale   requisito   per l'accreditamento dei laboratori deputati all'esecuzione di questi.   Al   contempo   appare   utile   sottolineare  l'importanza  della attivazione  di  studi mono o multicentrici pilota e confirmatori per la   validazione   del  valore  biologico  e  clinico  dei  risultati ottenibili dai diversi esami.   L'ottemperanza  di  questi  due  punti,  potrebbe  determinare una migliore   allocazione   delle   risorse  del  SSN,  derivante  dalla conoscenza  dell'effettivo  valore clinico di alcuni test diagnostici utilizzati  in  oncologia,  e  dalla  migliore  gestione del paziente oncologico.   Alla  luce di quanto considerato si potrebbe inoltre provvedere ad una   revisione  ed  aggiornamento  del  tariffario  nazionale  delle prestazioni  a carico del SSN, escludendo test diagnostici obsoleti o ancora  oggetto  di  studio  e  ricerca per la definizione della loro utilita'  clinica e ricomprendere test ed esami di rilevanza validata e correntemente utilizzati a scopo diagnostico terapeutico.  |  
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